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ANNO XVIII Numero 1 - Maggio 2012 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P. a Noi “La parola” “La parola” Tariffa Associazioni senza fini di lucro: “Poste Italiane S.p.A.” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 (convertito in legge 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 2 DCB TA

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ANNO XVIII Numero 1 - Maggio 2012 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P.

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Questo periodico è as so cia to alla Unione StampaPeriodica Italiana

ommarioSEditoriale .................................................................... Pag. 3

Giornata Internazionale dell’Infermiere ............................. » 4

Il Dipartimnento e la sua logica ........................................ » 5

L’infermiere e la contropulsazione aortica .......................... » 18

AFC proteico fuori casa ............................................... » 27

Le sfi de dell’infermiere di nefrologia nel 3º millennio ............ » 29

Infermiere: sempre più precario ........................................ » 31

Ruolo del coordinatore nella gestione informatizzatadel processo assistenziale ...................................... » 33

Il bracciale della sicurezza ............................................... » 35

La musica, il movimento e l’incontro umano ....................... » 36

Libera professione: una scelta .......................................... » 39

Analisi statico descrittiva e predettivitàdello strumento diagnostico ............................................ » 41

Indagine sugli errori di terapiae letteratura a confronto ................................................ » 49

Casa della Salute ........................................................... » 55

Management Infermieristico ........................................... » 57

Il lavoratore e la visita fi scale .......................................... » 58

Considerazioni .............................................................. » 59

Diario ......................................................................... » 60

Informutili .................................................................. » 61

Master Universitario ....................................................... » 66

AVVISOLa redazione si riserva la valutazione degli articoli inviati, il rimaneggiamento del testo, la pubblicazione secondo esigenze giornalistiche. Il materiale inviato non è restituito.

Fotocomposizione e stampaStampa Sud spa - Mottola (Ta)

www.stampa-sud.it

Reg. Trib. di Taranto n. 462/94decreto del 23/03/1994

Direttore ResponsabileBenedetta Mattiacci

Coordinamento editorialee redazionale

Emma Bellucci Conenna

Hanno collaborato:

Benedetta MattiacciGiovanni ArgeseGerardo MeccaViviana NosellaGiovanni VicoCaterina SumaPaolo VolpeEustachio PosaGianfranco ZibilloMilly LacatenaDora Chiloiro

Comitato di RedazioneG. ArgeseL. CalabreseE. De Santis

A. GualanoG. MeccaF. Perrucci

Collegio IPASVIVia Salinella, 15

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orari di apertura al pubblicolunedì - mercoledì - venerdì

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ANNO XVIII Numero 4 - Maggio 2012 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P.

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Daniela BattagliaBlasi YlayalyManuela CarrinoNicola CeteraIrene Del MonacoSaverio InternòMaria MottoleseFrancesco ScapatiRosa CassisiElena De SantisNatalina Segoloni

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Editoriale

Benedetta MattiacciPresidente Collegio IPASVI

L’editorialeIPASVI

l recente Congresso Nazionale della nostra Federazione, che ha visto la presenza del Ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha evidenziato la volontà e la necessità di revisio-ne del profi lo professionale infermieristico alla luce dei cambiamenti (situazioni epidemiologi-che, bisogni dei cittadini, condizioni sociali e gli stili di vita, evoluzione scientifi ca e tecnologica) che richiedono l’acquisizione di maggiori com-petenze.Necessaria, allora, la ridefi nizione, l’implemen-tazione, l’approfondimento con la revisione dei percorsi formativi diversifi cati in linea con l’In-fermiere del 3° Millennio che si potrà avvalere di una serie di strumenti quali cartella informa-tizzata, protocolli multi professionali, modelli di organizzazione per complessità assistenziale.Né bisogna dimenticare la “battaglia” per una nuova clinical governance che rappresen-ta un vero e proprio scoglio per un modello organizzativo rispondente alle esigenze dei pa-zienti e che sembra vada a cozzare con mani-festi interessi delle Regioni, responsabili della programmazione, organizzazione e gestione dei servizi, degli stessi Direttori Generali del-le Aziende sanitarie e dei direttori di struttura per le cui nomine si è pensato ad “una valuta-zione comparativa tra i candidati ai diversi ruoli in contrasto con la normativa in mate-ria di nomine (legge 509)”. Facile intuire quanto le nuove norme possano risultare indigeste, perché si punta ad una go-vernance basata su meritocrazia, competenze e preparazione, non più sul predominio, sull’in-vadenza, sull’ingerenza della politica che ad oggi decide il calendario delle nomine su base fi duciaria anziché sull’individuazione dei re-quisiti necessari alla gestione di aziende com-plesse. Ne derivano sforamenti dei budegts, l’obbligo dei Piani di Rientro che “ingessano”

le amministrazioni sanitarie, depauperano la qualità delle prestazioni, portano al collasso di Strutture e alla chiusura degli ospedali, pro-ducono una dilagante deregulation di ruoli e funzioni dei diversi profi li professionali, con una dilatazione della mole di lavoro per noi infer-mieri, costretti a confrontarci con carenze orga-nizzative, logistiche, strumentali, con una catti-va organizzazione del lavoro e con uno spreco delle risorse. Accanto, assistiamo alla palese violazione del-la meritocrazia, delle competenze, della profes-sionalità per le nomine dei ruoli apicali, asse-gnati non già attingendo al meglio delle risorse umane disponibili ma in base a criteri discutibili quale la possibilità di non creare contrasti.Così, tra le “fi gure di spessore” si innesca un meccanismo di disaffezione, di demotivazio-ne “regista” anche di pensionamenti con con-seguente impoverimento della professione e dell’offerta di prestazioni ottimali.In questo momento, molte sono le punte di potenziale eccellenza (potenziale perché non abbastanza valorizzate, non fatte esprimere al meglio) in procinto di andar via, stanche di lottare contro l’incapacità, l’ignoranza dei ruoli, la frustrazione di non poter osservare i dettati dei profi li, dei codici deontologici, della fi losofi a stessa della professione.Una sconfi tta in certo qual modo.Fortunatamente la nostra professione sa rige-nerarsi, attinge nuove forze, nuova linfa per combattere malcostumi, pregiudizi, per garan-tire ai Cittadini la nostra professionalità, le no-stre competenze, magari nella libera professio-ne, forte di uno spirito di parte e della voglia di essere tramite tra il malato e la sanità.Nulla va sprecato; nulla è fatto invano; nulla è stato subito invano.Tutto fa esperienza per chi rimane, per chi vuo-le cogliere anche i cambiamenti.

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Il 12 Maggio si celebra la Giornata Internazionale dell’Infermiere, giornata di commemorazione della nascita di Florence Nigh-tingale, fondatrice della professione infermieristi-ca, pioniera di temi che ancora oggi si dibattono all’interno della profes-sione, perché non hanno risposte esaurienti.

L’infermiere è trait- d’u-nion tra malato e sanità, ne fa suoi i bisogni e individua le defi cienze del sistema di cui è espressione critica.

Così, non di rado come singolo, o come col-legio, interviene proponendo aggiustamenti e dando suggerimenti nell’ottica del miglioramen-to dei servizi da offrire al Cittadino, anello fi nale di una catena di servizi non sempre adeguati al bisogno.

E’, questo, il cruccio di chi, come noi, profon-de impegno senza poter esprimere al meglio professionalità e capacità, spesso frustrate e represse da logiche economiche del sistema. A queste logiche sono da imputare atteggiamenti talvolta bruschi, mancanza di dialogo, scarsa partecipazione alle problematiche umane del malato.

Ce ne scusiamo, perché involontariamente rendiamo i Cittadini compartecipi di quelli che sono i nostri problemi lavorativi: riduzione del personale infermieristico con conseguente au-mento del carico di lavoro; riduzione del budget sanitario con una serie di disfunzioni e disser-vizi a cominciare dall’allungamento delle liste di attesa sino alla mancanza di materiale sa-nitario.

12 MAGGIO GIORNATA INTERNAZIONALE DELL’INFERMIERE

Non è facile vivere una situazione border-line, garantendo l’indispen-sabile.

Però, gli Infermieri con-tinuano nella qualifi -cazione professionale per essere pronti, appe-na il contesto sanitario ne offrirà l’opportunità, ad esprimere il meglio nell’ottica del rispetto del diritto alla Salute e del Codice Deontologico

della professione infermieristica.

Benedetta MattiacciPresidente Collegio IPASVI Taranto

Lettera ai Cittadini

Il Consiglio Direttivo con il Vescovo di Oria, Mons. Pisanello, al termine della messa celebrata nella Parrocchia M.S. Assunta

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Da oltre 30 anni si parla di Dipartimento in Sanità. Ciò nonostante, si fa ancora mol-

ta fatica a rendere questo modello clinico e organizzativo patrimonio culturale degli addetti ai lavori, ma soprattutto realtà.Da qui alcune domande:Perché non decolla? E’ un modello da rivede-re? E, se è ancora valido, perché è importante che le organizzazioni applichino questo model-lo?Le risposte possono essere ricavate da un’in-tervista effettuata da Chiara Buongiovanni nel 20101 al “padre del dipartimento”, Elio Guzzanti, che defi nisce il Dipartimento come “costituito dalle unità operative omogenee, affi ni o com-plementari, che perseguono comuni fi nalità e sono quindi tra loto interdipendenti, pur man-tenendo la propria autonomia e responsabilità professionali”. (...) Le unità operative costituen-ti il dipartimento sono aggregate in una speci-fi ca tipologia organizzativa e gestionale, volta a dare risposte unitarie, tempestive, razionali e complete rispetto ai compiti assegnati e a tal fi ne adottano regole condivise di comporta-mento assistenziale, didattico, di ricerca, etico, medico-legale ed economico”( La defi nizione di Dipartimento di Guzzanti viene riportata nella Proposta di linee guida per l’applicazione del modello dipartimentale nelle strutture ospeda-liere”, ASSR, 1996);

Perché il Dipartimento?“Generalmente si associa il concetto di Dipartimento al concetto di governo clinico, e la 1 Intervista del 12/01/2010 di Chiara Buongiovanni: Elio Guzzanti, il Dipartimento in Sanità e l›interdipendenza organizzata (Articolo del dossier: Tra governance aziendale e centralità del paziente. Luci ed ombre del Dipartimento in Italia)

parola “governo clinico” può destare il sospetto che il signifi cato fi nale sia “governano i clinici”: niente di tutto questo. Si tratta di responsabi-lizzarsi, cioè rendersi conto per rendere conto agli altri - in primo luogo ai pazienti, ai fami-liari e poi alle istituzioni - di ciò che facciamo. Ovviamente questo comporta ruolo e ricono-scimento ma anche impegno e responsabilità. Il Dipartimento è l’unico modo per fare si che la grande specializzazione della medicina piutto-sto che frantumarsi diventi un mosaico ordito secondo un disegno ben preciso. Per fare un esempio: nell’arco delle neuroscienze nessu-no può risolvere tutti i problemi, ma il neuro-logo, il neuroriabilitatore, il neurochirurgo, tutti insieme, nel Dipartimento si scambiano le loro opinioni intorno al malato. Il malato è al centro e l’organizzazione segue un processo clinico, organizzativo, culturale, etico nel suo interesse. Questa è la sostanza. Ci lavoriamo da 37 anni e però la creatura piano, piano sta crescendo. Era tempo oramai che si affermasse, direi che ho aspettato abbastanza per vedere i risultati che mi sembra stiano venendo, sia pure con diffi coltà. Oggettivamente: quando oramai ne parlano tutti vuol dire che è fatta, no?!” Come rimuovere gli ostacoli?“Gli americani e i tedeschi hanno dato grande spazio al decentramento dei Dipartimenti con-ferendo loro grande responsabilità clinica, so-stanziale organizzativa e affi ancando anche un esperto di amministrazione.Da noi il difetto principale è che non c’è un’a-zienda, ma c’è solo un direttore generale. È diffi cile per il direttore generale staccarsi da al-cune responsabilità. Non voglio dire che è una questione di perdita di potere ma, certamente, anche di timore che gli sfugga di mano qualco-

Dott. Giovanni Argese

Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed OstetricheInfermiere UAL Crispiano - TA

IL DIPARTIMEMENTOE LA SUA LOGICA

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separazione delle diverse discipline specialisti-che dal corpo delle discipline di impostazione generalistica.L’art. 10 del DPR 128/69, atto diretto ad appro-fondire e precisare il quadro normativo prodot-to con la legge 132/68 con cui prese corpo la riforma dell’assistenza ospedaliera, attribuisce al Consiglio di Amministrazione dell’Ente la fa-coltà di organizzare strutture amministrative di tipo dipartimentale tra le divisioni, le sezioni e i servizi affi ni e complementari “al fi ne della loro migliore effi cienza operativa, dell’economia di gestione e del progresso tecnico e scientifi co”.Sempre secondo il DPR 128/69, la direzione delle strutture dipartimentali è affi data a un Comitato costituito dal Direttore Sanitario, dai Primari, dagli Aiuti Capi di Sezione o di Servizi Autonomi e da una rappresentanza elettiva di Aiuti e Assistenti nella medesima proporzione stabilita per il Consiglio dei Sanitari (art. 13, L. 132/68). Poiché, a causa della immaturità del sistema a recepire il senso innovativo della proposta e della probabile incoerenza tra:

a. necessità di governo “forte” del Dipartimento,

b. eccesso di assemblearismo del Comitato indicato per dirigerlo e, no- nostante la chiarezza della normativa, non si ebbero signifi cative esperienze di dipartimentalizzazione delle strutture ospedaliere.

sa. Invece le persone illuminate, decentrando con regole precise, non possono creare l’anar-chia. Creano piuttosto una interdipendenza or-ganizzata.Quindi, secondo me, il passo successivo per le nostre aziende è proprio quello di capire (come molti tra i nuovi direttori generali stanno facen-do) che il decentramento dipartimentale va tut-to a loro vantaggio e che il budget non è la fi na-lità ma è lo strumento per realizzare gli obiettivi di salute. Questo è il concetto”.Prima di rifl ettere sugli aspetti organizzativi e sui problemi operativi e gestionali connessi alla trasformazione dipartimentale di un Presidio ospedaliero o di una intera AUSL, sembra op-portuno ripercorrere il “faticoso viaggio” legisla-tivo che è alla base del modello organizzativo. Per questo facciamo ricorso alla impeccabile descrizione contenuta nella PROPOSTA DI ORGANIZZAZIONE DIPARTIMENTALE, del Marzo 2005, della AUSL della Valle d’Aosta (Documento riservato al Collegio di Direzione).Le prime norme sul Dipartimento vengono det-tate nel momento in cui ci si rende conto della necessità di colmare le lacune della legge 1631 del 1938 con cui lo Stato Italiano aveva per la prima volta defi nito il sistema di regole e criteri di riferimento per l’organizzazione e il funziona-mento degli Ospedali, lacune create si a causa del profondo mutamento intervenuto in campo medico in rapporto al processo di frammenta-zione culturale e metodologica operato dalla

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Nel 1975 il problema fu ripreso dalla legge 148 che all’art. 55 attribuiva alla Regione (toglien-dola ai Consigli di Amministrazione, risultati incapaci di concretizzare il mandato del DPR 128) la facoltà di promuovere iniziative di atti-vazione di Dipartimenti che, peraltro, dovevano essere riservate solamente a Ospedali ritenuti in possesso dei requisiti necessari, con possi-bilità di collegamento con altre istituzioni sani-tarie del territorio servito dall’Ospedale, ferme restando le fi nalità attribuite al Dipartimento e la collegialità della direzione delle strutture di-partimentalizzate e con la sola innovazione co-stituita dalla necessità di integrare quest’ultima con i responsabili delle strutture sanitarie terri-toriali. La L. 148/75 che, evidentemente, si pro-poneva di dare soluzione a 2 problemi, e cioè:

1) la necessità di attribuire ad un organo superiore, capace di condizionare i Consigli di Amministrazione, la responsabilità di avvio dei Dipartimenti;

2) la necessità di stabilire i criteri sulla base dei quali procedere all’individuazione del-le strutture ospedaliere idonee a sostenere il processo di dipartimentalizzazione, vista l’im-possibilità di generalizzarlo, rimandava la pro-pria complessiva attuazione alla emanazione di un successivo decreto fi nalizzato alla deter-minazione dei nuovi orientamenti e all’appro-fondimento della disciplina sul modello diparti-mentale. E, in effetti, in attuazione della legge 148/75, l’8/11/1976 fu approvato un Decreto Ministeriale molto importante ai fi ni della deter-minazione degli orientamenti da assumere per la realizzazione delle strutture dipartimentali.I capisaldi di tale DM erano i seguenti:

1. conferma alla Regione del ruolo di pro-motore dei Dipartimenti, anche in collegamento con le istituzioni socio-sanitarie territoriali; 2. estensione dei fi ni e degli obiettivi da porre alla base delle decisioni di costituzione dei Dipartimenti, in particolare:

a. convergenza delle competenze e delle esperienze scientifi che, tecniche e assi-stenziali di gruppi e di singoli operatori sanitari, per garantire al paziente assi-stenza sanitaria completa

b. incremento della ricerca e collegamento tra didattica e assistenza, secondo la le-gislazione universitaria ospedaliera

c. miglioramento delle tecniche sanitarie a livello interdisciplinare

d. perfezionamento professionale degli operatori sanitari di ogni livello, per qua-lifi care l’assistenza sanitaria e renderla accessibile alla totalità dei cittadini

e. superamento delle disfunzioni che cau-sano allungamenti della durata della de-genza o degenze inappropriate

f. umanizzazione dei rapporti tra utenti delle strutture sanitarie e loro famiglie, da un lato, e, dall’altro, operatori sanitari e strutture stesse

g. corresponsabilizzazione degli operatori sanitari sul piano professionale, in rela-zione alle rispettive mansioni o funzioni e rispetto alle diverse necessità organiz-zative

h. collegamento tra competenze ospeda-liere e competenze di istituzioni e strut-ture sociosanitarie territoriali per un ap-proccio integrato all’educazione sanita-ria e alla prevenzione, cura e riabilitazio-ne da parte delle strutture ospedaliere e territoriali;

3. previsione della costituzione di Dipar-timenti “misti” ospedalieri/universitari negli Ospedali convenzionati con l’Università;

4. previsione dell’utilizzo in comune nell’ambito del Dipartimento di impianti, attrez-zature e servizi, al fi ne di assicurare effi cien-za tecnica ed economia di gestione in base a schemi programmati di lavoro;

5. precisazione degli organi del Dipartimento (individuati nel Comitato direttivo e nel Coordinatore) e determinazione dei criteri per la regolazione delle loro attività, a partire da schemi regionali uniformi;

6. individuazione delle tipologie dei Dipartimenti sulla base dei seguenti criteri:

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a. secondo gradualità e intensità delle cure e del tipo di intervento

b. per settori nosologici o per gruppi di età

c. per settori specialistici, d’organo o d’ap-parato

d. secondo tipologie ospedaliere omoge-nee o miste ospedale/territorio, purché destinate al perseguimento di obiettivi didattici e di ricerca comuni.

Ancora una volta, tuttavia, l’emanazione di nuove norme non produsse alcun effetto rile-vante, verosimilmente perché la dipartimen-talizzazione rimaneva oggetto di promozione da parte delle Regioni, piuttosto che provve-dimento obbligatorio delle Amministrazioni. A tale situazione cerca di porre rimedio la leg-ge 833/78 di riforma sanitaria che, dopo aver defi nito l’Ospedale “stabilimento” e “struttura dell’Unità Sanitaria Locale”, decretandone la derubricazione da Ente dotato di personalità giuridica a semplice articolazione organizzati-va dell’Unità Sanitaria Locale stessa, stabilisce che le Regioni, nell’ambito della programma-zione sanitaria, disciplinano con apposite leggi l’ordinamento degli Ospedali in Dipartimenti, in funzione:

a. della integrazione di divisioni, sezioni e servizi affi ni e complementari

b. del collegamento tra servizi ospedalie-ri e territoriali, secondo le esigenze dei bacini di utenza

c. della gestione dei Dipartimenti sulla base delle integrazioni delle competen-ze e della valorizzazione del lavoro di gruppo.

Sebbene con tale fondamentale legge si affer-masse il concetto della obbligatorietà del mo-dello dipartimentale ospedaliero e si stabilisse il superamento della discrezionalità della sua attuazione che aveva contraddistinto la norma-tiva precedente, ben pochi risultati si produsse-ro nella pratica, anche perché non furono as-sunti provvedimenti (non essendo previsti) per

sanzionare le inadempienze. L’immobilismo che ha caratterizzato fi n dall’inizio il processo di costituzione dei Dipartimenti non si è modifi -cato nemmeno a seguito dell’emanazione della legge 595 del 1985 con la quale, nel quadro di importanti norme di programmazione sanitaria (si fi ssava a 6.5 per 1000 abitanti la dotazione massima ammessa di posti letto ospedalieri e, ancora in funzione del contenimento della ca-pienza delle strutture di degenza, si ammetteva la possibilità di deroga dai parametri di dimen-sionamento delle divisioni e delle sezioni con-tenuti nella Legge 132/68), si prese ancora una volta atto delle diffi coltà di attivare i Dipartimenti e si stabilì che le Regioni avrebbero dovuto pre-disporre (nel contesto dei loro Piani Sanitari) progetti di ristrutturazione delle degenze ospe-daliere sulla base della individuazione di aree funzionali omogenee afferenti alle attività di Medicina, di Chirurgia e di Specialità che, pur articolate in divisioni, sezioni e servizi speciali di diagnosi e cura, anche a carattere pluridisci-plinare, avrebbero dovuto:

a. essere dimensionate in rapporto alle esigenze assistenziali

b. rappresentare misure di avvio all’ap-plicazione delle norme sancite dalla L. 833/78 in merito alla organizzazione di-partimentale degli Ospedali.

Per la prima volta si confi gurava l’ipotesi di aggregazioni organizzative della struttura ospedaliera diverse da quelle tradizionali (aree funzionali omogenee) e per la prima volta il

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legislatore pareva recepire l’esigenza di supe-rare una organizzazione interna degli Ospedali condizionata pesantemente dal sistema chiu-so, verticistico e rigidamente gerarchizzato delle Divisioni e dei Servizi autonomi, siste-ma tale da costituire l’esatta antitesi di un’or-ganizzazione ospedaliera dipartimentale, per defi nizione aperta, collaborativa, trasversale, fondata sulla integrazione dei diversi contributi disciplinari e delle competenze e delle respon-sabilità professionali. Confermando che la sto-ria del Dipartimento Ospedaliero è in Italia la Storia delle occasioni mancate, la L. 595/85 consentiva che all’interno dell’area funzionale omogenea e come articolazione della stessa, sopravvivessero divisioni, sezioni e servizi, ovvero perseverava nell’adeguarsi a logiche compromissorie e, in qualche misura, contrad-dittorie i incoerenti con l’obiettivo di riconosce-re al progetto di dipartimentalizzazione dell’O-spedale il reale signifi cato di sua rifondazione globale diretta al defi nitivo superamento di un assetto organizzativo tradizionale ormai del tut-to inadeguato.La L. 412 del 1991 ha il merito di introdurre nella normativa relativa all’organizzazione di-partimentale dell’Ospedale i termini precisi del superamento di tali logiche compromisso-rie. Infatti, oltre a ribadire l’obbligo di attuare le aree omogenee con presenza obbligatoria del Day Hospital, introduce il concetto di Unità Operativa, termine che sancisce la defi niti-va abolizione dei termini Divisione, Sezione e Servizio.L’Unità Operativa conserva la propria autono-mia funzionale (è importante considerare che viene meno l’aspetto rigidamente strutturale del modello di organizzazione ospedaliera derivato dalla L. 132/68) in ordine alle patologie di com-petenza, nel quadro, però, di una effi cace inte-grazione e collaborazione con altre strutture af-fi ni e con uso in comune delle risorse umane e strumentali. La L. 412/91 raggiunge in tal modo il doppio risultato di rendere attuale sia la dipar-timentalizzazione dell’Ospedale, sia il defi niti-vo superamento del suo assetto organizzativo tradizionale di cui la stessa dipartimentalizza-zione è strumento decisivo, in quanto l’esplicito riferimento la autonomia funzionale circoscritta

alle “patologie di competenza” delimita i poteri e le responsabilità inerenti la gerarchia profes-sionale, inserendo da questa gli aspetti orga-nizzativi sui quali viene a incidere naturalmente l’assetto dipartimentale. Altre conferme dell’o-rientamento favorevole a procedere con deter-minazione alla riorganizzazione ospedaliera su base dipartimentale si trovano in 2 Decreti emanati prima dei Decreti Legislativi di riordino del SSN.Nel Decreto del Ministro della Sanità del 29 gennaio 1992 sono disciplinati i criteri e i re-quisiti per consentire alle strutture sanitarie l’esercizio delle attività di alta specialità. Il cor-retto e coordinato espletamento dell’attività di alta specialità deve essere assicurato sulla base di norme fi ssate dall’organo deliberante dell’allora Unità Sanitaria Locale e dirette a or-ganizzare i servizi che contribuiscono alla rea-lizzazione di tale attività secondo le modalità di accorpamento funzionale e unitario tipiche del Dipartimento. Nel DPR 27/3/1992 è contenuto l’atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni per la determinazione del livello di assistenza sanitaria in condizioni di emergenza. Il DPR detta precise norme per l’organizzazione strut-turale e funzionale e indica criteri e modalità di affi damento delle responsabilità in riferimento al Dipartimento di Emergenza che deve essere istituito negli Ospedali individuati dalla Regione e che diviene un esempio di Dipartimento fun-zionale obbligatorio. L’ultima defi nitiva e più recente conferma della volontà del legislatore di realizzare compiutamente la dipartimenta-lizzazione dell’Ospedale, in accordo con la L. 595/85 e con la L. 412/91, si trova nei decreti legislativi 502/92 e 517/93 nei quali sono con-tenuti i provvedimenti inerenti l’aziendalizzazio-ne delle Unità Sanitarie Locali e degli Ospedali in possesso di specifi ci requisiti. La Puglia disciplina la Dipartimentalizzazione emanando la L.R. n. 36 del 1994, le linee gui-da pubblicate in G.R. n. 4268 del 23 dicembre 1997 e relativa circolare dell’8.1.98 (vedi alle-gato1); l’art. 62 della legge regionale 6 maggio 1998, n. 14 (abrogazione dell’art.35 della L.R. 36/94) e con il Reg. n°9 del 20 dicembre 2002.

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IL DIPARTIMENTO2

1. Defi nizione di DipartimentoIl Dipartimento è un’organizzazione integrata di unità operative omogenee, affi ni o complemen-tari, ciascuna con obiettivi specifi ci, ma che concorrono al perseguimento di comuni obiet-tivi di salute.Esso, con il supporto di un sistema informati-vo adeguato alla valutazione della produttività e degli esiti in salute, rappresenta il modello organizzativo favorente l’introduzione e l’attua-zione delle politiche di Governo Clinico quale approccio moderno e trasparente di gestione dei servizi sanitari e costituisce il contesto nel quale le competenze professionali, ponendosi quale fattore critico per il conseguimento degli obiettivi del dipartimento, rappresentano la principale risorsa dell’organizzazione.

2. L’organizzazione dipartimentale del- l’ospedaleL’ospedale occupa una posizione preminente all’interno del SSN, di cui assorbe circa il 45% delle risorse. Al suo interno risiedono le com-petenze specialistiche di più alto livello e le tec-nologie più avanzate e rappresenta, quindi, la sede dove vengono erogate le prestazioni me-diche dal contenuto tecnologico più elevato e la sede privilegiata per lo sviluppo di attività di formazione e di ricerca.Ciò richiede un modello organizzativo che risponda, nel modo più appropriato, alla ele-vata complessità del sistema, che consen-ta di raggiungere i livelli di appropriatezza, effi cacia ed effi cienza richiesti per garantire l’ attuazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).A partire dagli anni ‘60 si è sviluppato un in-tenso dibattito per l’individuazione di un assetto organizzativo che consentisse:

1) l’integrazione delle attività di profes-sionisti operanti in settori diversi e recanti cul-ture fortemente e diversamente specialistiche;

2 Direzione Generale e della programmazione sanitar-ia, dei livelli essenziali di assistenza e dei principi etici di sistema – Uffi cio III Qualità delle attività e dei Servizi, Roma 23 marzo 2005.

2) la condivisione di tecnologie sofi sticate e costose;

3) la razionalizzazione dell’impiego delle risorse;

4) la creazione di una struttura di controllo intermedia più vicina agli operatori e ai pazienti e quindi più sensibile nel cogliere i problemi e più rapida ed effi cace nel fornire risposte;

5) il miglioramento della qualità dei pro-cessi assistenziali.L’organizzazione dipartimentale è apparsa la soluzione che, meglio di altre, potesse con-sentire il raggiungimento di:

1. obiettivi organizzativi, con miglioramen-to del coordinamento delle attività di as-sistenza, ricerca e formazione;

2. obiettivi clinici, con la promozione della qualità dell’assistenza;

3. obiettivi economici, con la realizzazione di economie di scala e di gestione;

4. obiettivi strategici, con la diffusione delle conoscenze e lo sviluppo delle compe-tenze.

L’organizzazione dipartimentale degli ospedali, in particolare con l’ applicazione della metodica del budget come sistema di gestione econo-mica e strumento di negoziazione, ha notevoli rifl essi sulle procedure e sugli strumenti di pro-grammazione e controllo aziendale.

Sotto questo aspetto assume un forte connota-to strategico la funzione del Capo Dipartimento al quale viene affi dato il compito di negoziare con l’Amministrazione gli obiettivi del diparti-mento ed il relativo budget.

3. FinalitàNella prospettiva della progressiva introdu-zione del Governo Clinico, le fi nalità perse-guite dall’organizzazione dipartimentale posso-no essere così schematizzate:

• Sinergie per l’effi caciaL’integrazione ed il coordinamento delle diver-se professionalità, che possono utilizzare risor-se da loro scelte ed organizzate, aumenta la probabilità della effi cacia terapeutica.

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• Garanzia dell’outcomeLa misura degli esiti dei trattamenti deve essere prevista nell’ambito del Dipartimento, per assicurare i risultati migliori in termini di salute, nel rispetto delle risorse economiche disponibili e tramite l’implementazione e la ma-nutenzione sistematica di linee guida nazionali e internazionali;

• Continuità delle cureI percorsi assistenziali, la presenza di professio-nisti che hanno condiviso scelte terapeutiche ed organizzative, nonché momenti formativi, con la conseguente riduzione di trasferimenti e prese in carico del paziente da parte delle di-verse unità operative, favorisce l’ integrazione e la continuità delle cure.

• Integrazione inter-disciplinareLa elaborazione condivisa di percorsi assisten-ziali e linee guida favorisce la reciproca cono-

scenza e valorizzazione dei professionisti delle diverse discipline, incrementando di conse-guenza l’ effi cacia e l’effi cienza.

• Orientamento al pazienteNel dipartimento, la visione complessiva del-le problematiche del paziente (garantita dalla presenza di tutte le professionalità necessarie ad affrontarla), favorisce l’impiego di percorsi assistenziali mirati, favorendo l’orientamento al paziente di tutti i processi e la migliore gestio-ne del caso.

• Aumento della sicurezza per il pa-ziente

La progettazione di strutture e percorsi inte-grati, l’impostazione interdisciplinare e multi professionale della cura, l’integrazione ed il coordinamento delle risorse sono componenti importanti di un sistema volto alla sicurezza del paziente.

• Valorizzazione e sviluppo delle risorse umane

La crescita professionale e la gratifi ca-zione degli operatori sanitari. è sostenuta dal confronto sistematico delle esperienze e dalla condivisione delle conoscenze attraverso l’ela-borazione di percorsi diagnostico- terapeutici, la formazione e l’aggiornamento su obiettivi specifi ci con verifi che collegiali delle esperien-ze.

• Ottimizzazione nell’uso delle risorse La gestione comune di personale, spazi e apparecchiature facilita l’acquisizione e la più alta fruizione di tecnologie sofi sticate e costo-se e favorisce l’utilizzo fl essibile del personale consentendo soluzioni assistenziali altrimenti non praticabili. Essa permette altresì l’attivazio-ne di meccanismi di economia di scala con la conseguente riduzione della duplicazione dei servizi e razionalizzazione della spesa.

• Responsabilizzazione economica Gli operatori sanitari vengono coinvolti attraver-so la gestione diretta del bilancio assegnato e la loro partecipazione nella realizzazione degli obiettivi del dipartimento. La valutazione del personale sui risultati, con verifi che periodi-che, è uno strumento di garanzia per la piena valorizzazione del personale e l’attua-

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zione di una gestione effi ciente.

• Organizzazione e sviluppo della ri-cerca

Amplia le possibilità di collaborazione a proget-ti di ricerca biomedica e gestionale e favo-risce l’applicazione dei risultati nella pratica quotidiana.

4. Costituzione dei dipartimenti: criteri di aggregazione e tipologia

La letteratura riporta molteplici criteri di aggre-gazione e tipologie di dipartimenti e ciò si rifl ette in una pluralità lessicale e tassonomica talora confondente. D’altra parte il dipartimento, per poter funzionare, necessita di una dimensione organizzativa differenziata a seconda delle ne-cessità da soddisfare e si realizza attraverso la creazione di modelli coerenti con le specifi che esigenze.

4.1 Criteri di aggregazioneI più comuni sono:

• Per aree funzionali omogenee

• Per settore /branca specialistica

• Per età degli assistiti

• Per organo/apparato

• Per settore nosologico

• Per momento di intervento sanitario/ intensità e gradualità delle cure

Nella realtà, questi non rappresentano gli unici criteri di aggregazione; infatti, essendo il dipartimento un insieme di relazioni fi nalizza-te, le singole aziende possono scegliere quali sono quelle da privilegiare, tenendo conto degli obiettivi strategici, delle interdipenden-ze fra unità operative e delle situazioni logisti-che dell’azienda.

4.2 TipologiaAl momento non è disponibile una classifi ca-zione sistematica e quindi un elenco esaustivo

delle varie tipologie di dipartimenti, tuttavia si riporta una sintetica rassegna dei più comuni.Una elementare classifi cazione suddivide i di-partimenti in base all’attività delle unità opera-tive da cui sono composti in amministrativi e clinici.

Le tipologie più frequentemente indicate dalla letteratura sono:

• strutturali, caratterizzati dall’omoge-neità, sotto il profi lo delle attività o delle risorse umane e tecnologiche impiega-te, delle unità organizzative di apparte-nenza (criterio centrato sulla produzio-ne sanitaria); il termine strutturale viene inteso come aggregazione funzionale e fi sica coinvolgendo unità con colloca-zione nella stessa area ospedaliera; ciò favorisce la gestione comune delle ri-sorse umane, degli spazi, delle risor-se tecnico-strumentali ed economiche assegnate;

• funzionali, aggregano unità operative non omogenee, interdisciplinari sem-plici e/o complesse, appartenenti con-temporaneamente anche a dipartimen-ti diversi, al fi ne di realizzare obiettivi interdipartimentali e/o programmi di rilevanza strategica (criterio centrato su obiettivi comuni da realizzare);

• verticali, intesi come organizzazioni con gerarchie e responsabilità ben defi nite rispetto alle unità che le compongono;

• orizzontali, costituiti da unità operative appartenenti a diversi dipartimenti ver-ticali, anche appartenenti ad aziende diverse, con la funzione di coordinare unità che appartengono ad uno stesso livello gerarchico.

In base all’assetto di governo i dipartimenti si defi niscono:

• forti, se vi è una gestione gerarchica delle unità operative di appartenenza;

• deboli, se vi è un coordinamento tra-sversale delle unità operative, che mantengono una propria autonomia.

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A seconda del coinvolgimento di unità ope-rative ospedaliere o territoriali si identifi ca-no:

• dipartimenti aziendali, costituiti da uni-tà operative della stessa azienda;

• dipartimenti interaziendali, derivati dall’aggregazione di unità appartenenti ad aziende sanitarie diverse.

Il dipartimento aziendale può essere:

• ospedaliero, costituito esclusivamente da unità operative appartenenti all’ospe-dale;

• transmurale, costituito da unità intra ed extra ospedaliere facenti parte della stessa azienda;

• ad attività integrata o misto, costituito da unità ospedaliere ed universitarie.

Il dipartimento interaziendale può essere:

• gestionale, dove si realizza la gestione integrata di attività assistenziali apparte-nenti ad aziende sanitarie diverse;

• tecnico-scientifi co, con scarsa integra-zione operativa e gestionale, ma con un ruolo di indirizzo e di governo culturale e tecnico di alcuni settori sanitari.

La struttura dipartimentale può essere di-segnata secondo un modello reticolare, ovvero una struttura a rete con il fi ne di coordinare l’attività della disciplina interes-sata sotto l’aspetto professionale, attraverso l’adozione di protocolli e linee guida e con l’ausilio di procedure informatiche che colle-ghino in rete tutte le unità coinvolte, articolate in unità autonome sotto l’aspetto gestionale e professionale, ma integrate tra loro da relazioni funzionali.Come per i criteri di classifi cazione, anche per quanto riguarda la tipologia, la diversifi cazione delle realtà locali fa sì che questa classifi ca-

zione non sia suffi ciente a comprendere tutte le possibilità. La normativa nazionale, consi-derando la complessità del problema, ha in-teso fornire un quadro di riferimento generale, senza elementi dettagliati sull’organizzazione dei dipartimenti, lasciando alle Regioni e alle aziende la regolamentazione in merito, per consentire di adottare soluzioni diversifi cate rispondenti alle singole realtà.

5. Funzioni del DipartimentoPossono essere riassunte in:

• assistenza

• formazione e aggiornamento

• ricerca

• informazione ed educazione sanitaria

Sicuramente la funzione assistenziale neces-sita di un approfondimento, in quanto quest’ul-tima è deputata alla soluzione dei problemi di salute dei cittadini, che richiedono sempre più risposte globali e competenti. Le attività che ri-entrano in questa categoria sono:

• la prevenzione

• la preospedalizzazione

• l’attività ambulatoriale

• il day hospital

• la day surgery

• il ricovero ospedaliero ordinario

• l’organizzazione dei trasferimenti interni e del follow-up

• la riabilitazione

• la dimissione protetta

• l’assistenza domiciliare integrata

Oltre queste attività la logica dipartimentale ne contempla altre, nello specifi co prevede:

• l’utilizzazione ottimale degli spazi, del personale e delle apparecchiature

• il coordinamento con le attività extrao-spedaliere, con i m.m.g. e con i distretti

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• lo studio, l’applicazione e la verifi ca di linee guida per conferire la maggiore omogeneità possibile alle procedure or-ganizzative dell’umanizzazione dell’as-sistenza

• lo studio e l’applicazione di sistemi inte-grati di gestione, anche attraverso il col-legamento informatico all’interno e tra i dipartimenti

• l’individuazione e la promozione di nuo-ve attività o di nuovi modelli operativi nello specifi co campo di competenza

• l’organizzazione della didattica

• la gestione del bilancio assegnato al di-partimento

• l’organizzazione dell’attività libero-pro-fessionale

• la valutazione e la verifi ca della qualità dell’assistenza fornita

Quanto esposto risulta essere solo la parte de-scrittiva e funzionale della logica dipartimenta-le; ben altro signifi ca, invece, discutere delle modalità organizzative e soprattutto dei livelli decisionali che meritano di essere trattati ed analizzati in un prossimo lavoro.

ALLEGATO 1Le linee guida sul dipartimento ospedaliero in Puglia

L’elaborazione legislativa disponibile in materia di dipartimento ospedaliero, sia in sede di normativa attuativa dell’art. 17 della legge 23 dicembre 1978, numero 833, sia in sede di normativa regionale non ha trovato, nella fase di attuazione, un omogeneo e diffuso riscontro, per cui l’istituto del dipartimento ad oggi, non riesce ancora a realizzarsi nonostante le enunciazioni riformistiche.

Già in precedenza, l’art. 55 della legge 18 aprile 1975, n. 148 conferiva alle Regioni, in sede di de-terminazione del piano ospedaliero, il potere di ini-ziativa per l’attuazione delle strutture dipartimentali “presso gli ospedali che ne presentino i requisiti an-che in collegamento con altre istituzioni sanitarie”.

In tal senso, in attuazione del richiamato art. 55

della legge n. 148/75, con D.M. Sanità 8 novembre 1976 l’istituto del dipartimento trova puntuale rego-lamentazione.

Il dipartimento è stato visto, talora, come “occasio-ne” per rifondare l’ospedale e, quindi, come stru-mento per realizzare, anche sul piano organizzativo ed assistenziale, un nuovo modello in ogni caso conforme al riassetto giuridico - istituzionale quale contemplato dal riordino ex D.L.vo n. 502/92, come modifi cato dal successivo D.L.vo n.517/93 ( art. 4, comma 10).

Pertanto, a livello programmatorio, la iniziativa della Regione assume valore propositivo e condizionale senza, peraltro, precludere la possibilità di attiva-zione dei dipartimenti su iniziativa diretta ed auto-noma da parte delle preposte aziende sanitarie, purché nei limiti dell’ordinamento regionale.

Ad oggi, la carenza di esperienza delle altre regio-ni sviluppata nella complessa problematica diparti-mentale non fa ritenere superata la cosiddetta fase di “sperimentazione” al punto di poter passare ad una defi nitiva ed uniforme regolamentazione dell’i-stituto del dipartimento.

Il dipartimento ospedaliero, inteso nella sua acce-zione più ampia, opera nella sua sede specifi ca or-ganizzatoria quale lo “stabilimento ospedaliero”.

Diversi sono gli obiettivi di fondo da perseguire in ordine all’assetto funzionale dell’ospedale:

1. il passaggio da un sistema basato su servizi e reparti istituzionalmente separati ad un nuovo si-stema fondato su aggregazioni organiche;

2. la individuazione dei requisiti per la quali-fi cazione degli ospedali da legittimare in funzione dipartimentale, anche con riferimento al criterio del numero dei posti letto;

3. l’articolazione di modelli dipartimentali, sia con riferimento alla diversa complessità degli ospe-dali interessati, sia con riferimento ad aggregazioni nosologiche di particolare rilievo;

4. la defi nizione degli ambiti dipartimentali, pur sempre in sede ospedaliera, ma incidenti verso più stabilimenti contigui tra loro;

5. l’attivazione di un modello dipartimentale purché subordinato alla realizzazione di progetti -obiettivo e, quindi, non necessariamente legato a una struttura permanente.

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In tale contesto, la Regione Puglia con l’art. 62 della legge regionale 6 maggio 1998, n. 14, ha inteso di-sciplinare l’istituto del dipartimento ospedaliero, de-legando alla Giunta Regionale la predisposizione di linee - guida che di seguito si riportano defi nendone gli obiettivi e le fi nalità. 1. Ambito di applicazione

Le Aziende sanitarie della Regione articolano in forma dipartimentale l’organizzazione delle funzioni ospedaliere.

In attesa della defi nizione del Piano Sanitario Re-gionale nonché del Piano di riordino della rete ospedaliera, il modello dipartimentale si intende ri-ferito al presidio ospedaliero dotato di almeno 300 posti letto, nonché alle aziende ospedaliere.

I dipartimenti sono aggregazioni di distinte unità funzionali affi ni e complementari e comunque fra loro collegabili sul piano operativo.

I dipartimenti devono essere defi niti:

- per aree omogenee, comprendenti almeno tre unità operative di medicina, di chirurgia, nonché di settori nosologici di particolare rilievo;

- per fasce di età: materno infantile e geriatria lungodegenza;

- per organo: cardiologia/cardiochirurgia e ne-frologia/urologia;

- per ciascuna area della medicina diagnostica e dei servizi;

- per progetto- obiettivo mediante realizzazio-ne di attività assistenziali di particolare rilevanza nosologica non necessariamente legata ad una struttura permanente.

Nelle Aziende sanitarie locali dove insistono più stabilimenti ospedalieri, distanti tra loro non oltre 35 Km., il dipartimento può essere attuato aggregando le unità operative e/o servizi degli stessi presidi se-condo il modello organizzativo di cui sopra. Mede-sime unità operative non possono afferire a più di un dipartimento. 2. Finalità del dipartimentoL’organizzazione dipartimentale è volta a migliorare le qualità delle prestazioni, l’effi cienza dei servizi e la produttività e il contenimento della spesa sanita-ria, attraverso interventi operativi tendenti:

a) alla convergenza di competenze e di espe-rienze scientifi che, tecniche ed assistenziali di gruppi e di singoli operatori sanitari, per consentire unitarietà e globalità dell’assistenza;

b) al superamento delle disfunzioni che determi-nano tempi lunghi nell’erogazione delle prestazioni sanitarie;

c) a rendere dinamico il posto letto da gestire nel contesto dipartimentale a disposizione di tutte le unità operative che compongono il dipartimento;

d) a rendere fl essibile il ruolo degli operatori che, pur nel rispetto della professionalità e delle norme contrattuali, devono poter essere in grado di adat-tarsi ad una molteplicità di ruoli e di sedi di lavoro;

e) a promuovere la ricerca e l’aggiornamento professionale degli operatori;

f) al miglioramento dei livelli di umanizzazione dell’assistenza erogata utilizzando personale in servizio con specifi che professionalità;

g) all’organizzazione degli spazi e dell’utilizzo delle attrezzature sanitarie assegnate alle unità operative che compongono il dipartimento. 3. Costituzione del dipartimentoAlla costituzione del dipartimento provvede il Di-rettore generale dell’Azienda sanitaria. La relativa proposta è formulata dal Direttore sanitario, sentito il Consiglio dei sanitari, previa verifi ca delle condi-zioni e dei requisiti richiesti.

Il dipartimento ospedaliero prevede due livelli deci-sionali di cui uno collegiale:

- il comitato di dipartimento;

- il responsabile di dipartimento.

I suddetti livelli decisionali hanno una competenza organizzativa e gestionale. Il dipartimento e i suoi livelli decisionali non hanno alcuna competenza cli-nica garantendo autonomia ai medici delle singole unità operative e/o servizi. 4. Comitato di dipartimentoIl comitato del dipartimento è nominato dal Direttore generale; esso è composto:

- dai responsabili delle unità operative appartenenti al dipartimento;

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- da una rappresentanza dei dirigenti di I° livello eletta fra gli stessi secondo le modalità del regola-mento in misura pari al 50% dei responsabili delle unità operative e/o servizi del dipartimento elevabi-le all’unità superiore;

- da un rappresentante dell’area del comparto eletto fra i dipendenti appartenenti ai profi li professionali: infermieristico, tecnico- sanitario e della riabilitazio-ne.

Il comitato dura in carica due anni e si riunisce al-meno una volta al mese ovvero su richiesta di al-meno 1/3 dei componenti.

Il comitato delibera con la maggioranza dei voti espressi; a parità di voti prevale il voto del respon-sabile del dipartimento.

In caso di impossibilità di procedere a votazione, il responsabile assume direttamente le decisioni ne-cessarie, motivandole e assumendone le respon-sabilità. Il comitato è integrato a livello consultivo nelle sedute in cui siano all’esame problematiche inerenti i rapporti con il territorio, da un rappresen-tante designato dai medici convenzionati che ope-rano nel territorio ( per l’azienda ospedaliera il ter-ritorio è quello dell’Azienda USL dove è collocata).

Il comitato assume decisioni, nel rispetto delle di-rettive della direzione generale, sui seguenti argo-menti:

a) proposta del piano annuale delle attività;

b) valuta, fornendo il proprio parere, le propo-ste del Responsabile del Dipartimento, per l’utiliz-zazione degli spazi, attrezzature, orari delle attività e quindi del personale, le richieste dei beni e dei servizi, i programmi di formazione e aggiornamen-to, lo sviluppo di nuove attività, di riordino o di ces-sazione;

c) la sperimentazione e l’adozione di modalità organizzative volte al miglioramento dell’effi cienza e all’integrazione delle attività delle strutture del di-partimento per raggiungere il miglior servizio al co-sto più contenuto;

d) il coordinamento e lo sviluppo delle attività cliniche, di ricerca, di formazione, di studio e di ve-rifi ca della qualità delle prestazioni;

e) il miglioramento dei livelli di umanizzazione dell’assistenza erogata all’interno delle strutture del dipartimento;

f) il coordinamento di eventuali attività extrao-spedaliere connesse alle funzioni del dipartimento;

g) stabilisce i modelli per la verifi ca e la valuta-zione della qualità dell’assistenza fornita;

h) propone i piani di aggiornamento e riquali-fi cazione del personale, programma e coordina le attività didattiche, di ricerca scientifi ca e di educa-zione sanitaria;

i) valuta, altresì, ogni altra proposta o argo-mento che gli venga sottoposto dal Responsabile del dipartimento o dai singoli appartenenti al dipar-timento stesso, in relazione ai problemi o eventi di particolare importanza. 5. Responsabile del dipartimentoIl dipartimento è diretto da uno dei dirigenti di II° livello delle unità operative e/o servizi interessati, nominato dal Direttore generale con provvedimento motivato su proposta del Direttore sanitario. Il re-sponsabile del dipartimento dura in carica due anni ed è rinnovabile. In caso di assenza o di impedi-mento è sostituito da un dirigente del Comitato del dipartimento nominato dallo stesso. La funzione è aggiuntiva a quella di responsabile della unità ope-rativa ed è incompatibile con l’attività libero - pro-fessionale esterna. Le competenze del Responsa-bile del dipartimento sono:

a) assicurare il funzionamento del dipartimen-to, concordando con il Direttore Generale attraver-so le proposte del piano annuale dell’attività discus-so ed approvato in seno al comitato le strategie, gli obiettivi e le linee di sviluppo nonché le risorse da assegnare al dipartimento, suddivise dalla Direzio-ne Generale per unità operativa;

b) concordare con la Direzione Generale una quota indistinta da attribuire al dipartimento per le attività comuni;

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c) predisporre previo parere del comitato e trasmettere alla Direzione Generale annualmen-te le richieste di: beni, servizi, assegnazione aree personale ed il loro orario di lavoro, utilizzazione di spazi e strutture corsi di aggiornamento e for-mazione per la realizzazione dei programmi delle attività secondo un piano di sviluppo triennale;

d) verifi care la conformità dei comportamenti e i risultati con gli indirizzi generali forniti dal Diretto-re Generale dell’azienda;

e) presiedere il Comitato e rappresentare il di-partimento nei rapporti con la Direzione generale.

6. Adozione del regolamentoPer ciascun dipartimento deve essere predispo-sto apposito regolamento deliberato dal Direttore generale della Azienda sanitaria, su proposta del Direttore sanitario, sentito il Consiglio dei sanitari.

Il suddetto regolamento deve defi nire l’organizza-zione ed il funzionamento del dipartimento stabi-lendo:

- le funzioni assistenziali che afferiscono a cia-scuna area dipartimentale;

- la qualità, la quantità e le dimensioni delle unità operative e/o servizi appartenenti a ciascun dipartimento;

- la puntuale defi nizione dei rapporti tra le strutture organizzative del Presidio Ospedaliero;

- le modalità di elezione del comitato, la sosti-tuzione dei componenti e le supplenze;

- la formalità per l’adozione delle decisioni.

I relativi atti costitutivi e regolamentari dei dipar-timenti sono sottoposti al provvedimento di auto-rizzazione della Giunta Regionale che si esprime nel merito entro 60 giorni dalla ricezione degli atti. Trascorso il primo anno dalla costituzione del di-partimento e, in ogni caso dalla data di esecuzione del regolamento di attuazione, il Direttore generale provvede a relazionare alla Giunta regionale, con formale provvedimento, per il tramite dell’Assesso-rato regionale alla Sanità, in merito ai risultati rag-giunti da ciascun dipartimento in riferimento agli obiettivi stabiliti.

7. Dipartimento mistoNegli ospedali convenzionati con l’Università i di-partimenti possono essere costituiti da unità opera-tive e/o servizi a direzione ospedaliera e a direzione universitaria.

L’organizzazione delle strutture dipartimentali in cui sono presenti unità operative a direzione universi-taria nonché le procedure di nomina del respon-sabile del dipartimento sono stabilite dal Direttore Generale d’intesa con il Rettore della Università, secondo il disposto dell’articolo 2, comma 5, del D.MURST -SANITA’ 31 luglio 1997.

8. Dipartimento interaziendale

In via sperimentale è previsto anche l’avvio, per ambito provinciale, di un dipartimento interazienda-le fi nalizzato al coordinamento, alla collaborazione e alla integrazione fra unità operative che appar-tengono ad aziende sanitarie diverse. Il predetto di-partimento ha soltanto una funzione di indirizzo e di governo tecnico della sanità per la collaborazione di protocolli assistenziali.

La partecipazione delle unità operative ad un dipar-timento interaziendale non è alternativa alla parte-cipazione ai dipartimenti ospedalieri aziendali.

I livelli decisionali sono costituiti dal responsabile e dal comitato del dipartimento interaziendale. La costituzione del dipartimento interaziendale e i li-velli decisionali sono deliberati d’intesa tra i Direttori generali delle Aziende interessate.

BIBLIOGRAFIA

1. Mastrilli F. et al., ASSR, Rapporto del grup-po di lavoro sui dipartimenti. Il dipartimento nel SSN, Foglio notizie, 3,1996, pp XIX-XXXII2. Chiara Buongiovanni, intervista al Prof. Elio Guzzanti, 12/01/20103. Carlo Calamandrei, Carlo Orlandi - La Dirigenza Infermieristica, Mc Graw Hill – 3^edi-zione 20084. Lavoro della Direzione Generale e della pro-grammazione sanitaria, dei livelli essenziali di assistenza e dei principi etici di sistema – Uffi cio III Qualità delle attività e dei Servizi – Roma 23/02/2005

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Dott. Mecca Gerardo

Infermiere S.C. di Cardiologia - UTICP.O. Centrale “SS. Annunziata” - TARANTO

L’INFERMIERE E LACONTROPULSAZIONE

AORTICA

Introduzione

La contropulsazione aortica (IABP –Intra aor-tic ballon pump ) è il più diffuso sistema di as-sistenza circolatoria temporanea, in grado di aumentare la velocità del fl usso coronarico e di diminuire il post-carico, agendo così in manie-ra favorevole all’apporto e la richiesta di ossi-geno da parte del miocardio. Ideato negli anni 60 come supporto meccanico nei gravi casi di insuffi cienza ventricolare sinistra, mostrava i suoi limiti in quanto poteva essere inserito solamente per via chirurgica ed, inoltre, i ma-teriali con i quali era costruito creavano turbo-lenze al fl usso sanguigno e sviluppo di emolisi massiva. Il perfezionamento della tecnica, con la possibilità dell’inserimento per via percuta-

nea, e l’impiego di nuovi materiali, hanno fatto sì che l’ IABP rivesta un ruolo molto importante nel trattamento del miocardio ischemico e mal funzionante. L’ambiente di utilizzo dell’IABP è quello della sala operatoria e dell’unità di tera-pia intensiva; più recentemente questo sistema viene impiegato con maggior frequenza in am-bito di laboratorio di emodinamica a fronte di procedure di urgenza o emergenza.

Indicazioni alla IABP

A) L’indicazione principe all’utilizzo della IABP nell’unità di terapia intensiva coro-narica è il defi cit di pompa secondario a :

Esteso IMA

Shock cardiogeno e/o insuffi cienza ventricolare sinistra

Rottura post infartuate del setto inter-ventricolare

Insuffi cienza mitralica acuta da rottura post-ischemica

Angina instabile refrattaria

Rottura del muscolo papillare e/o di corde tendinee

Perforazione di un lembo mitralico in corso di endocardite batterica

In attesa di trapianto cardiaco

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B) L’indicazione all’utilizzo della IABP in ambito cardochirurgico è dato:

Miglioramento della portata cardiaca in pazienti emodinamicamente instabili in attesa di trapianto cardiaco

Supporto emodinamico in pazienti in bassa portata che necessitano di un completamento diagnostico-terapeutico prima dell’intervento

Sindrome da bassa gittata dopo intervento

Infarto miocardio peri-operatorio allo scopo di ridurre l’area di necrosi o migliorare lo stato del circolo

Incapacità di svezzamento dalla circolazione extracorporea( CEC) al temine dell’intervento cardiochirurgico

Le controindicazioniLe controindicazioni all’utilizzo dell’IABP si possono dividere in:

Assolute Relative Occlusione distale aortica o severa stenosi Severi disturbi vascolari periferici

Dissecazione aortica Bypass arteriosi aortici o ileofemorali

Aneurisma aorta toracica o addominale Moderata insuff. della valvola aortica

Severa insuffi cienza della valvola aortica Tachiaritmie incontrollate (> 140 b/min)

Controind. all’eparina o ad altri anticoag. ev

La consolle si può schematizzare in tre componenti:

a) Unità di controllo deputata alla rego-lazione del momento di gonfi aggio e sgonfi aggio del palloncino (timing) sulla scorta del segnale proveniente dall’ECG o dalla curva pressoria del paziente (trigger)

b) Monitor che evidenzia la curva presso-ria e l’ECG del paziente in tempo reale

c) Sistema pneumatico azionato dall’uni-tà di controllo che, utilizzando del gas (elio) proveniente da una bombola in-serita nella consolle, gonfi a e sgonfi a alternativamente prima un palloncino presente in una camera di sicurezza della consolle e quindi di conseguenza, tramite questo, il palloncino posiziona-to nell’aorta del paziente.

Caratteristiche del sistema Il sistema consta di un palloncino di polyethyle-ne (materiale poco trombogeno) montato su un catetere vascolare semirigido collegato trami-te un tubo ad una consolle di comando che è in grado di monitorizzare l’ ECG e la curva di pressione arteriosa, sincronizzando l’insuf-fl azione e la desuffl azione del palloncino con il ciclo cardiaco. Il pallone viene gonfi ato con elio che, essendo un gas inerte, dotato di bassa vi-scosità (questa proprietà consente di effettuare il gonfi aggio e lo sgonfi aggio molto velocemen-te) ed alto coeffi ciente di diffusione, non crea alcun tipo di problema in caso di rottura della membrana del palloncino nel sistema vascola-re. Il palloncino è disponibile in varie misure in base all’altezza del paziente , generalmente un adulto richiede una capacità di insuffl azione di 34 – 50 cc di gas( il palloncino da 40 cc misura 263 mm ed un Ø di 15 mm).

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Posizionamento del catetere

Per l’inserzione del catetere si possono usare due diverse metodiche:

CHIRURGICA: il catetere a palloncino viene introdotto direttamente nel vaso (di solito arteria femorale) dopo che questo è stato isolato chirurgicamente.

PERCUTANEA: si esegue la puntura percutanea dell’arteria e, secondo la tecnica di Seldinger, introducendo una guida metallica e un introduttore quindi il catetere. Il catetere viene posizionato in maniera precisa , la sua punta si trova 1 – 2 cm sotto l’emergenza dell’arteria succlavia di sinistra, l’estremità distale non deve ostruire le emergenze delle arterie renali.

Unità di controllo Palloncino

Il corretto posizionamento può essere verifi ca-to usando la fl uoroscopia o la radiografi a del torace individuando il marker radiopaco della punta del catetere.

Effetti emodinamici

Gli effetti emodinamici che la contropulsazione determina sono:

Fase di gonfi amento

Il palloncino, gonfi ato in fase diastolica a valvole semilunare chiuse (apice onda T), provoca uno spostamento di sangue verso il bulbo aortico con incremento della pressione diastolica e del fl usso coronarico.

Fase di sgonfi amento

Lo sgonfi amento rapido, subito prima della sistole (onda Q), determina una diminu-

zione della pressione insorta nel segmento in cui è posizionato il palloncino, in modo che il ventricolo sinistro possa espellere il suo conte-nuto in un’aorta “semivuota”. Questa riduzione dell’impedenza all’eiezione ventricolare sinistra consente un aumento del volume sistolico e della portata cardiaca, minor lavoro cardiaco, diminuito consumo di ossigeno.

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E’ di fondamentale importanza che la contro-pulsazione sia sincronizzata con la sistole e la diastole, per far questo è possibile usare come trigger l’ ECG, la curva di pressione arteriosa o un pacemaker. Il palloncino può essere rego-lato con vari rapporti rispetto al ciclo cardiaco (1:1,1:2,….1:8) e può seguirne la frequenza sino a 140 b/min.Gli effetti della contropulsazio-ne cambiano radicalmente la forma della curva della pressione arteriosa, e, per un adeguato controllo, è necessario che questa sia monito-rizzata in modo invasivo.

Effetti emodinamici dell’ IABP

Pressione aortica

Cuore Flusso sangue Pressione Vt sn Ventricolo sinistro

Diminuizione sistolica

Diminuzione afterload

Aumento fl usso coronarico

Diminuizione sistolica

Diminuizione volume

Aumento diastolica

Diminuizione preload

Aumento CODiminuizione fi ne diastole

Diminuizione tensione parete

Aumento fl usso renale

Aumento CO

Aumento EF

Effetti sull’onda

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Complicazioni

La contropulsazione non è esente da rischi per il paziente. L’incidenza di complicanze varia dal 15% al 40%(a seconda della natura delle stes-se). Complicanze serie sono documentate nel 5 – 10% dei casi, le più comuni sono rappre-sentate (9 – 22%) dall’ischemia degli arti infe-riori e dalla setticemia (1 – 22%).

L’ischemia degli arti inferiori può realizzarsi nell’arto ipsilaterale o in quello controlaterale, e può evidenziarsi tanto con il dispositivo posi-zionato che subito dopo la rimozione.

Il 20% circa dei pazienti necessita di interventi chirurgici per complicanze vascolari.

Può verifi carsi la rottura del palloncino durante posizionamento a seguito del contatto con stru-menti taglienti o in sede a seguito del contatto con una placca calcifi ca all’interno del vaso.. Questo fenomeno si evidenzia con l’entrata del sangue all’interno del palloncino e del sistema pneumatico. Tale evenienza impone l’immedia-ta sostituzione del palloncino, sia per il rischio connesso all’immissione di gas in circolo, sia per la possibilità che il sangue all’interno del palloncino, coagulandosi, possa rendere diffi -coltosa la rimozione dello stesso.

In generale possiamo riassumere le compli-canze come elencato nella tabella seguente:

COMPLICANZE IABP

MAGGIORI MINORI

Morte Ematoma nel punto di accesso

Emorargia con compromissione emodinamica Emorargia minore

Sepsi Trauma vascolare/ riparazione chirurgica

Ischemia grave degli arti inferiori Microembolizzazione(disturbi cerebrali)

Necrosi midollo spinale Trombosi arteriosa

Ischemia o infarto mesenterico e/o renale Febbre

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Dissecazione aortica Infezione nel punto di accesso

Embolia gassosa Batteriemia

Intrappolamento del pallone incapacità a rimuoverlo

Neuropatia ischemica

Ulcera ischemica plantare

Pseudoaneurisma

Claudicatio

Svezzamento dall’IABP

La durata della contro pulsazione è variabile a seconda dell’indicazione e può variare da 1 o 2 giorni per pazienti con ischemia miocardia, a 1 0 2 settimane per pazienti con insuffi cienza ventricolare sinistra.In base alla durata del trattamento ci si deve aspettare un certo grado di dipendenza del pa-ziente, per questo motivo la sospensione sarà graduale riducendo progressivamente il contri-buto del contropulsatore ed embricandolo con adeguato supporto farmaceutico. Esistono due metodi di svezzamento:

I metodo

Riduzione progressiva del ciclo cardiaco/assistenza

II metodo

Riduzione progressiva del volume del gas insuffl ato, mantenendo invariato il ciclo cardiaco/assistenza.

Se il catetere è stato posizionato tramite scopertura arteria, la rimozione prevede il con-trollo chirurgico dell’arteria; se applicato invece per via percutanea, verrà semplicemente sgon-fi ato e sfi lato, nel punto di inserzione si eser-citerà una compressione manuale di circa 15

min. e successivamente si applicherà il com-pressore pneumatico.

Assistenza infermieristica al paziente con-tropulsato

L’ IABP viene applicato in una fase critica del decorso clinico del paziente, per cui, per ga-rantire un’assistenza effi cace, è fondamentale che l’infermiere sappia gestire correttamente tale apparecchiatura e riconoscerne tempe-stivamente le eventuali anomalie. E’ indispen-sabile, se il paziente è sveglio, coinvolgerlo informandolo sui principi di funzionamento di questo apparecchio indispensabile per la sua

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sopravvivenza, in modo da poter contare sulla sua collaborazione.

Al fi ne di suddividere i carichi di lavoro all’inter-no di una terapia intensiva e per ottenere un controllo più effi cace, il rapporto tra infermiere e paziente contropulsato dovrebbe essere di 1:1, mai superiore a 1:2 .

Durante l’assistenza al paziente contropulsato sono fondamentali alcuni controlli che andran-no eseguiti costantemente:

• La temperatura, il colorito, e il pol-so dell’arto in cui è inserito il catetere dell’IABP. Nella nostra terapia intensiva per il controllo della temperatura dell’ar-to usiamo appositi trasduttori che visua-lizzano le temperature di entrambi gli arti per valutarne l’eventuale differenza. Questo controllo ci permette di valutare in anticipo un rischio di ischemia dell’ar-to. Il controllo del colorito della cute an-drà effettuato anche su tutto il corpo per rilevare la presenza o meno di marezza-tura.

• Controllare i parametri vitali (la febbre potrebbe, ad es., scaldare il pallonci-no e il suo gas all’interno favorendo la formazione di condensa e rallentando il processo di gonfi aggio/sgonfi aggio) ed emodinamici del paziente, eventuali variazioni signifi cative dovranno essere repentinamente comunicate al medico di terapia intensiva.

• Monitoraggio continuo con catetere di Swan-Ganz (pressioni di riempimen-to, resistenze, pressione polmonare),

• Monitoraggio dei valori emogasanali-tici (squilibri negli scambi gassosi, squili-bri idreoelettrolitici),

• Monitoraggio della diuresi (controllare la perfusione renale, individuare preco-cemente eventuali segni/sintomi di insuf-fi cienza renale acuta da ridotta gittata

cardiaca, mantenere un buon bilancio idro- elettrolitico).

• Controllare il punto di inserzione del catetere aortico per verifi carne lo stato e/o la presenza di eventuale infi amma-zione/infezione. A tal fi ne sarebbe op-portuno medicare tale zona con medi-cazioni adesive trasparenti, riducendo sensibilmente l’inquinamento del punto di inserzione. La manovra di sostituzione della medicazione andrà eseguita in ma-niera e con materiali sterili, assicurando l’asepsi degli interventi. La medicazione andrà sostituita di routine ogni 48 ore e ogni qualvolta necessario.

• Controllare la presenza di eventuale sangue nel circuito pneumatico: indi-ce di porosità o rottura del palloncino. La presenza di sangue all’interno del pal-loncino potrebbe, una volta coagulato, impedire o rendere diffi cile la rimozione dello stesso.

• Controllare che tutto il circuito sia cor-rettamente collegato( al fi ne di evi-tare l’introduzione di aria), che i cavi di lettura ecg siano correttamente posizionati(eventualmente sostituire elettrodi deteriorati), controllare la pres-sione della sacca di lavaggio montata sul trasduttore( =300 mm/Hg ) e control-larne la sua quantità ( la sacca di solu-zione salina + 20 Unità di eparina x litro, mantiene costantemente lavato e pervio il catetere)

• Controllare la sincronizzazione con il segnale ecg (o pressorio), la mancanza di sincronizzazione determina uno scor-retto funzionamento dell’IABP: gonfi ag-gio precoce (si gonfi a prima della fi ne della sistole con la potenziale chiusura della valvola aortica, aumento delle resi-stenze e del Vs , rigurgito aortico), gon-fi aggio ritardato (si gonfi a molto dopo la chiusura della v. aortica con ineffi ca-

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ce per fusione coronarica), sgonfi aggio precoce (si sgonfi a molto prima dell’ini-zio della sistolecon conseguente perdita di ogni benefi cio), sgonfi aggio ritardato (si sgonfi a dopo l’inizio della sitole suc-cessiva andando ad ostacolarla, aumen-tando il carico del Vs e impedendo l’eie-zione del sangue dallo stesso)

• La capacità della bombola di elio (con-trollare l’effettiva presenza di una bom-bola di scorta).

• Controllare che l’IABP sia messo in carica

Posizione e igiene personale del paziente

Per un buon funzionamento dell’IABP il pa-ziente deve essere posizionato in decubito ortopnoico non superiore a 30° ( per evitare pericolose strozzature del catetere), l’arto in cui è inserito il catetere non dovrà essere piegato mai, le manovre di igiene e del cambio bian-cheria andranno eseguite rapidamente e con il tronco del paziente in asse con gli arti inferiori. E’ fondamentale la cura dell’igiene personale del paziente in quanto la posizione obbligata può facilitare l’insorgenza di Ldd, andrebbe eseguito un bagno a letto giornaliero con un cambio totale della biancheria, più un’eventua-le spugnatura serale con cambio biancheria e ogni qualvolta necessario. Il paziente verrà posizionato lateralmente utilizzando gli appo-siti presidi (tutori,cuscini in silicone, archetti). Se il paziente è sveglio è fondamentale infor-marlo sulle modalità e motivazioni che rendo-no necessario mantenerlo in una determinata postura.

Assistenza durante il posizionamento del catetere dell’IABP

Anche se può sembrare di minor importanza, e ripetitivo, rispetto alle manovre che andranno eseguite in seguito, è fondamentale informare il paziente, se sveglio, sulla manovra che si andrà ad eseguire. Tale manovra andrà ese-guita con tecnica sterile.

1. Informarsi sulla tecnica che verrà usata (chi-rurgica o per cutanea) al fi ne di preparare il materiale occorrente (cestello con ferri per scopertura arteria, telini sterili,ecc….)

2. Procedere alla tricotomia se necessario

3. Assicurarsi che la traccia ecg al monitor sia buona e non disturbata

4. Applicare gli elettrodi dopo aver sgrassato accuratamente la cute

5. Applicare il cavo dell’ ecg sul paziente con-trollando la comparsa della frequenza e della traccia ecg sulla prima traccia del monitor dell’IABP

6. Preparare il campo sterile aiutando il medi-co (se si esegue la scopertura arteria que-sti andrà aiutato a vestirsi)

7. Durante il posizionamento del palloncino eseguire le prescrizioni del medico, assi-sterlo nella gestione del materiale e con-trollare la situazione del paziente dal mo-nitor.

8. Al termine del posizionamento collega-re il trasduttore con la linea di lavaggio (preventivamente preparata).

9. Eseguire lo zero e quindi collegare il tra-sduttore con la linea di pressione.

10. Controllare la traccia pressoria sul monitor dell’IABP

Per la rimozione dello stesso ci si dovrà infor-mare sulla tecnica che è stata usata per il posi-zionamento al fi ne di preparare il materiale oc-corrente. Se applicato per via per cutanea ver-rà semplicemente sgonfi ato e sfi lato: nel punto di inserzione si eserciterà una compressione manuale di circa 15 min. e successivamente si applicherà il compressore pneumatico, quindi una medicazione compressiva per alcune ore, controllando temperatura e polsi periferici. Se applicato con tecnica chirurgica occorrerà un controllo dell’arteria dal chirurgo che effettue-rà la manovra, i ferri e il materiale saranno gli stessi usati per il posizionamento.

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BIBLIOGRAFIA:

� Paul L. Marino – The ICU Book -Contropulsatore aortico

� N.H. Diepenbrock – Guida pratica in area critica – Contropulsazione con palloncino intaortico

� G. Ruvolo – Manuale di terapia intensiva postcardio-chirurgica – Contropulsazione aortica

� Nursing Cuore – Atti del 3° congresso Nazionale –Assistenza infermieristica alla persona con contro-pulsatore aortico

� Ospedale Cisanello Pisa-Anestesia e Rianimazione – Parliamo di contropulsazione aortica

� P.J Owverwalder,M.d –The Internet Journal of Tho-racic & Cardiovascular- IABP

� Brenda Morgan, Clinical Educator,CCTC, Critical Care London, Health Sciences Centre- Protocollo per infermiere addetto all’IABP

� Piera Sisti, Paola Di Giulio- Problemi cardiaci- Pom-pa intaortica a Palloncino(IABP)

� Gruppo di lavoro IP Terapia Intensiva Multimedia S.S.G Milano – Assistenza al paziente con IABP

� Robert C. Schlant, J.Willis Hurst – Il Cuore,il manuale,-La contropulsazione aortica

� Assistenza infermieristica al paziente contro pulsato. Marcello Scardino.

Comitato di Redazione

Alcuni componenti: da sinistra Carla Minzera, Gerardo Mecca, Elena De Santis, Benedetta Mattiacci, Attilio Gualano, Filomena Perrucci.

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Dott.ssa Viviana NosellaDott. Gianni Vico

Inf. Ambulatorio della S.C. di Nefrologia e Dialisi del P.O.O. “M. Giannuzzi” di ManduriaDirettore: Dott. Stefano Chimienti

A.F.C. APROTEICO FUORI CASA

Una dieta ipoproteica-ipofosforica si rende necessaria quando insorge una insuffi -

cienza renale cronica di una certa importanza. L’Insuffi cienza Renale Cronica (IRC) è una sindrome caratterizzata da una riduzione pro-gressiva delle funzioni renali. Le funzioni principali del rene sono:

1. fi ltraggio e depurazione del sangue dalle scorie azotate ed altre sostanze introdotte nell’organismo ( in una giornata i reni fi ltrano ben 180 litri di acqua, la quantità di urina che producono mediamente va da 0,5 a 3 litri nelle 24 ore);

2. mantenimento dell’equilibrio Idro-salino ed Acido Base nel sangue;

3. produzione di alcuni ormoni come l’eritropoietina (che stimola la formazione dei globuli rossi da parte del midollo osseo), la renina e le prostaglandine (che regolano la pressione arteriosa), la produzione della forma attiva della vitamina D, fondamentale per l’as-

sorbimento intestinale di calcio e per la calcifi -cazione delle ossa;

4. eliminazione del fosforo alimentare in eccesso.

L’Insuffi cienza Renale Cronica può essere causata da molte patologie che hanno in co-mune una perdita progressiva delle funzioni dei nefroni. Più della metà dei casi dell’IRC nei paesi in-dustrializzati sono causati dal diabete mellito e dall’Ipertensione Arteriosa. Cause meno frequenti sono le glomerulo nefriti ed il rene policistico. In presenza di alcuni fattori di ri-schio, quali l’ipercolesterolemia, le infezioni urinarie ricorrenti, l’obesità etc., la possibilità di comparsa della malattia aumenta. Purtroppo l’IRC è una malattia silenziosa, i cui sintomi soggettivi più evidenti (nausea, debo-lezza, sonnolenza, inappetenza..) si manifesta-no solo nella fase avanzata. Il trattamento dell’Insuffi cienza Renale Croni-ca può essere conservativo o sostitutivo.

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Lo scopo del trattamento conservativo è quel-lo di preservare il più a lungo possibile la fun-zione renale, attraverso l’uso di farmaci, un’a-limentazione a basso contenuto di proteine e sali minerali, un corretto stile di vita. Quando ciò non è possibile, è necessario ricorrere al trattamento sostitutivo, ovvero alla dialisi o al trapianto. Durante il trattamento conservati-vo, un’alimentazione adeguata può contribui-re a ritardare l’ingresso in dialisi e controllare alcune complicanze dell’IRC. Questi due ob-biettivi vengono raggiunti attraverso una dieta ipoproteica ed ipofosforica, cioè una dieta che permette di ridurre l’assunzione con i pasti di proteine e di fosforo. Oggi è disponibile un’ampia gamma di pro-dotti aproteici (pasta, pane e sostituti, farina , biscotti, merendine, dessert, etc.) che possono essere acquistate in farmacia o in negozi spe-cializzati.Con questi prodotti è possibile preparare ricet-te gustose, conservando le proprie abitudini ali-mentari e il gusto della buona tavola. Infatti, chi ha detto che un cibo ipoproteico ed ipofosforico è un cibo meno gustoso?

Perché rinunciare a mangiare bene anche se si necessita di una dieta ipoproteica e ipofosforica?Ne è dimostrazione il progetto “A.F.C. – Apro-teico Fuori Casa”, una bella idea promossa dall’Ambulatorio della S. C. di Nefrologia e Dialisi del Presidio Ospedaliero Orientale “M. Giannuzzi” di Manduria, diretta del dott. Stefa-no Chimienti.Il progetto, coordinato dalla dietista dott.ssa Mo-nica Bolgiani e dagli infermieri dell’Ambulatorio dott.ssa Viviana Nosella e dott. Gianni Vico, è rivolto a quei pazienti a cui è stata prescritta una dieta ipoproteica (con poche proteine) ed ipofosforica (a ridotto contenuto di fosforo) con l’utilizzo dei prodotti aproteici; lo scopo è quello di educare e motivare i pazienti e i loro familiari all’utilizzo dei prodotti aproteici per migliorare l’aderenza alla dieta ipoproteica, dimostrando che è possibile mangiare con gusto anche con l’utilizzo dei prodotti aproteici, evitando la ripe-titività della dieta. La dieta ipoproteica ed ipofo-sforica, infatti, è importante per prevenire e trat-

tare i segni e sintomi dell’Insuffi cienza Renale Cronica, per procrastinare l’inizio della dialisi, prevenire e trattare la malnutrizione e preve-nire le patologie cardiovascolari. Per questo, il progetto “A.F.C.”, oltre a guidare il paziente ad una corretta alimentazione, si propone di coin-volgere anche i locali pubblici di ristorazione ad adottare, nel proprio menù, piatti preparati ad hoc, come succede per i celiaci e i diabetici. Il progetto è stato presentato nella sede della S. C. di Nefrologia e Dialisi dove è stato an-che organizzato un incontro formativo, rivolto ai pazienti e familiari, sull’utilizzo dei prodotti aproteici seguito da un piccolo buffet ipoprotei-co preparato dagli organizzatori.Questa iniziativa sta raccogliendo favorevoli riscontri presso alcuni ristoranti della città, che con entusiasmo hanno accolto la proposta, at-tivandosi positivamente per la sua fattiva con-cretizzazione, garantendo al progetto un signi-fi cativo apporto al fi ne di migliorare la qualità di vita dei pazienti, oltre che promuovere com-portamenti e atteggiamenti alimentari corretti e migliorare la compliance. Per informazioni si può contattare telefonica-mente l’ambulatorio nefrologico del Presidio Ospedaliero Orientale “M. Giannuzzi” di Man-duria al numero 099.800280.

Obiettivo del progetto: Migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da Insuffi cienza Renale Cronica ai quali è stata prescritta una dieta ipoproteica con l’utilizzo dei prodotti specifi ci, dando la possibilità di reperi-re alcuni alimenti freschi di giornata, già pronti ( pane, pasta, pizze etc.), di migliorare i sapori nella preparazione delle pietanze casalinghe, oppure di mangiare fuori casa senza modifi ca-re le abitudini di vita.

Bibliografi a:

• S.Chimienti, B.Gigante, C.Cristofano, M.Gallucci, La cucina mediterranea, antichi sapori alla ricerca della sa-lute. Percorsi gastronomici applicati alla nefrologia, Edi-trice Salentina, Lecce 2002

• B.Cianciaruso, G. Brunori , A.Cupisti, A.Filippini, L.Oldrizzi, G.Quintaliani, D.Santoro (2008). La dieta aproteica oggi in Italia: le conclusioni del gruppo di la-voro della Società Italiana di Nefrologia. G Ital Nefrol, 25, 54-7.

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Caterina Suma

A.F.D. Nefrologia P.O. “Valle d’Itria” - Martina Franca - ASL-TA

LE SFIDE DELL’INFERMIEREDI NEFROLOGIA NEL 3º MILLENNIO

Nuovi fenomeni sociali stanno evidenzian-do problemi di natura collettiva, ai quali

ospedale e territorio sono chiamati a risponde-re attraverso politiche, prima non necessarie, e servizi nuovi, con un livello estremamente elevato della personalizzazione e della qualità richiesta.Si pensi alle esigenze legate ai fenomeni dell’immigrazione e al ruolo giocato dalle tec-nologie.La confi gurazione del lavoro si va progressi-vamente modifi cando, si riduce l’attività ope-rativa e gli organici; si accorpano le strutture concentrandosi nei compiti di core-business; si sviluppano nuove professionalità in coeren-za ai nuovi bisogni (es. il mediatore culturale,

esperti di tecnologie dell’informazione, ecc.); si modifi ca il sistema delle competenze richieste (es. la capacità di sviluppare reti di relazioni o di condividere conoscenze, di pensare in logica sistemica) per poter rendere sostenibili nuove politiche.E’, allora, necessario che le persone che ope-rano negli ospedali o sul territorio siano compe-tenti, motivate e abbiano consapevolezza della centralità del ruolo che svolgono.I professionisti infermieri del settore nefrologico sanno da tempo che la qualità dei risultati, nei servizi resi al cittadino, dipende in larga misura dalle qualità professionali e personali degli in-fermieri e dei medici.A mio avviso, il futuro degli infermieri di nefrolo-gia dipende molto da come si sapranno affron-tare le sfi de per mantenere gli spazi conqui-stati in passato: culturali, tecnici e di rilevanza professionale, indispensabili per un’assistenza che ha due nature intersecate: quella tecnica e quella relazionale.La prima sfi da per l’infermiere di nefrologia del terzo millennio è quella di attrarre giovani mi-gliori e competenti, di recuperare una capacità competitiva all’interno delle aziende sanitarie e sul mercato del lavoro.Si tratta di valorizzare il rapporto con le univer-sità, di migliorare le logiche di reclutamento e selezione, di favorire più adeguate condizioni di lavoro con defi nizioni contrattuali delle com-petenze cliniche avanzate, dimostrando all’o-pinione pubblica la rilevanza, le competenze dei professionisti, la varietà di assistenza e le opportunità di servizi che i centri emodialitici offrono.La seconda sfi da riguarda la capacità di svi-luppare un maggiore senso di appartenenza, di motivazione professionale e specifi ca tra le persone che operano nelle nefrologie e dialisi.Troppo spesso è possibile osservare infermieri

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demotivati che lamentano di non essere sta-ti coinvolti nei profondi processi di riforma, e spesso, coloro che si lamentano, hanno privile-giato nel loro percorso professionale più la let-teratura approfondita del gossip, piuttosto che quella informativa e scientifi ca di natura infer-mieristica.Il lavoro nelle nefrologie e dialisi richiede spes-so saperi e capacità professionale di alto pro-fi lo, per questo una gran parte del personale è laureata o diplomata.Non è, però, suffi ciente: gli scenari che gli ospedali si trovano a dover affrontare richiedo-no di investire nella formazione del personale e in percorsi di apprendimento capaci di svilup-pare nuove competenze, capaci di andare oltre i tradizionali saperi e conoscenze, per entrare anche nello sviluppo delle qualità personali, allo scopo di saper governare e gestire sistemi complessi di relazioni. La terza sfi da è quella dell’adeguamento delle capacità e delle competenze degli infermieri.L’aumento della prevalenza delle malattie ne-frologiche e il ridotto numero di nefrologi rende necessaria una diversa diffusione delle compe-tenze nefrologiche. La professionalizzazione degli infermieri rende concreta l’ipotesi di una nuova divisione del lavoro, con un progressivo task shift dai medici agli infermieri. I nefrologi

dovrebbero sviluppare un rapporto preferen-ziale con la professione infermieristica. Dimen-sioni per fare ciò oltre al task shifting sono la ricerca e la formazione post-universitaria.Tre sfi de di notevole rigore, che possono esse-re agevolate e semplifi cate dall’appartenenza ad un’associazione infermieristica e di settore non medica, come è stato ribadito nell’ incon-tro tenutosi a Bologna il 29 gennaio u.s., or-ganizzato dall’EDTNA( European Dialysis and Transplant Nurses Association) “FARE RETE INSIEME la comunicazione associativa, come strumento di coordinamento e crescita di un’as-sociazione professionale no profi t”.Il direttivo dell’associazione ha proposto ai suoi soci più fedeli di unire gli animi professionali, di fare rete informativa e strategica.E’ necessario che gli infermieri acquistino la consapevolezza che l’associazionismo è un punto di forza della professione, pochi soci si-gnifi ca poca rappresentatività reale, poca dif-fusione, poco utilizzo degli strumenti culturali, poco senso di appartenenza, poca possibilità di fare gruppo ed esprimere capacità decisio-nali con autorevolezza. La solitudine è il nemico numero uno di tutte le professioni, vi invito a crescere. Insieme ci sentiremo meno soli.

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Dott. Paolo Volpe

Inf. Centro Diurno EPASSS - Grottaglie

INFERMIERE:SEMPRE PIÙ PRECARIO

La grave situazione economica che sta atta-nagliando il nostro paese non può che river-

berarsi in modo pregnante sulla parte più debo-le, il lavoratore precario.Se alla grave situazione economico-fi nanziaria sommiamo scelte politiche mirate ad attaccare il pubblico impiego ecco nascere alcune norme che accentuano il fenomeno del precariato.La parola precario deriva etimologicamente dal latino precarius (ottenuto con preghiere) che si-gnifi ca incerto, provvisorio, instabile.Con il termine precariato, invece, si intende l’in-sieme dei soggetti che vivono una condizione lavorativa che rileva, contemporaneamente, due fattori di insicurezza:

1. mancanza di continuità del rap-porto di lavoro e certezza sul futuro

2. mancanza di un reddito adeguato su cui poter contare per pianifi care la propria vita presente e futura.

Uno studio, condotto da due ricercatori dell’I-stituto Nazionale di Statistica, quantifi ca alla fi ne del 2006 in circa 2.809.000 i lavoratori con forme contrattuali “precarie”, a cui andrebbero sommati ulteriori 948.000 lavoratori provenienti da esperienze lavorative “precarie” terminate ed in cerca di nuova occupazione, per un totale di 3.757.000 lavoratori.I responsabili del collasso attuale della pubbli-ca amministrazione sono individuati nel blocco dell’turn-over fi no al 2013 e nell’entrata in vigo-re della legge 122 del 2010.

La legge 122/2010 ha sancito un taglio del 50% delle risorse da utilizzare per il rinnovo dei contratti del personale a tempo determinato in base a quanto speso nel 2009, limitando a solo

il 20% la possibilità di turn-over, utilizzando contratti a tempo indeterminato, privilegiando le procedure di mobilità rispetto alle procedure concorsuali.

Il Piano di Rientro, varato dal governo regio-nale, quindi un accordo Tremonti-Vendola, ha azzerato anche il tetto del 20%, cancellando i posti vacanti dalla entrata in vigore della legge.

Alla luce di ciò mi chiedo: Come verranno garantiti i livelli essen-ziali di assistenza?

Chi e come si copriranno i posti vacanti considerando una media di 30 pensionamenti ogni anno?

Si spinge il welfare verso la privatiz-zazione dei servizi pubblici a scapito di quello pubblico?

Mi preme precisare l’illegittimità della pubblica amministrazione, quindi delle Asl, di conferire contratti a tempo determinato per ricoprire i po-sti vacanti così come sancito dal CCNL del com-parto sanità pubblica, dalla legge 165/2001, legge 247/2007 e dal Dlgs 368/2001 attuati-vo della direttiva dell’Unione europea 1999/70/CE del 28 giugno 1999 relativa all’accordo sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNI-CE, dal CEEP e dal CES).

La normativa italiana ed europea non consentirebbero alla pubblica amministrazione di concedere incarichi a tempo determinato, se non nelle more di una procedura concorsuale, pena l’erogazione di una sanzione. La sanzio-ne varia dal risarcimento del danno, all’otteni-mento del contratto a tempo indeterminato, ed

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è bene qui ricordare le sentenze nella scuola, del tribunale di Genova, che ha trasformato il contratto dei precari con almeno 36 mesi di servizio da determinato ad indeterminato.

A questa sentenza si sommano le sentenze del tribunale di Rossano, di Foggia, Napoli, oltre che in Grecia e dai pronunciamenti della Corte di giustizia Europea. Si è aperta una nuova era nella lotta al lavoro precario nella pubblica am-ministrazione che da buon padre di famiglia do-vrebbe dare il buon esempio, eliminando tutte le forme di contratto determinato, quali co.co.co. , co.co.pro. , a favore di quello indetermi-nato. A tal proposito, è partita un’azione giudi-ziaria in varie parti d’Italia, tra cui nella nostra realtà, che vede rivendicare, a buon titolo, il contratto a tempo indeterminato per chi ha al-meno 36 mesi di lavoro anche non continuativo nella pubblica amministrazione.

Molti tribunali hanno già dato lustro alle riven-dicazioni dei lavoratori precari, concedendo un risarcimento del danno, che varia da tribunale a tribunale, dalle 12 alle 25 mensilità e in alcuni casi anche il contratto a tempo indeterminato.

Nelle giornata del 24/03/2011 e del 21/04/2011, presso il Tribunale di Bari, Sezione Lavoro si sono conclusi primi ricorsi giurisdizionali contro la ASL Bari, promossi da infermieri e terapisti che hanno visto come esito una conciliazione tra i ri correnti.Questo al fi ne di sentirsi dichiarare l’illegittimità del comportamento della Regione Puglia e del-la ASL Bari, nel continuare ad assumere per più anni lo stesso personale a Tempo Determinato, in assenza di concorsi. La conciliazione (R.G. n. 2345/2011 e 5443/2011) tra le parti ha previsto la stabilizza-zione fi nalizzata all’assunzione a tempo inde-terminato nelle mansioni d’ infermiere ovvero di operatore professionale sanitario terapisti della riabilitazione.La ASL BARI ha accettato la proposta, così come formulata dai ricorrenti, sussistendo in capo a ciascuno di essi il possesso di tutti i re-quisiti di legge previsti per essere stabilizzati e DELIBERANDO di prorogare il rapporto di lavoro a tempo determinato attualmente in es-sere con i ricorrenti fi no alla defi nitiva stabiliz-zazione.Che giustizia sia fatta...

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Dott. Eustachio Posa

Inf. U.O. Pneumologia e Gastroenterologia “F. Miulli” - Acquaviva delle Fonti (BA)

RUOLO DEL COORDINATORE NELLA GESTIONE INFORMATIZZATA DEL PROCESSO ASSISTENZIALE

ProgettoIntroduzione nuovo software dell’U.O. di Pneumologia e Gastroenterologia che permet-terà di determinare e gestire i processi opera-tivi, determinare classi di gravità per l’utente e classi di criticità per i processi, quantifi care e valutare l’appropriatezza delle azioni in rappor-to alle prestazioni, integrare l’èquipe assisten-ziale, determinare il fabbisogno delle risorse, comparare la criticità delle strutture organizza-tive, misurare i costi.

IntroduzioneUno dei problemi più sentiti dagli infermieri è senz’altro quello di far risultare l’assistenza che svolgono, cioè di rendere oggettivamente quantifi cabile il carico di lavoro quotidiano.Senza uno strumento per misurare l’intensità

del lavoro, non si può dimostrare il lavoro as-sistenziale erogato e quantifi care l’assistenza prestata.Non poter disporre di una misura del lavoro in-fermieristico ha delle conseguenze su tutte le decisioni gestionali che riguardano:

1. L’assegnazione degli infermieri ai diver-si reparti;

2. L’organizzazione di reparto;

3. la defi nizione degli organici;

4. Le assunzioni:

Ad esempio, in mancanza di uno strumento per misurare il carico di lavoro infermieristico, in molte realtà - ancora oggi – si continua ad

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assegnare gli infermieri ai reparti solo in base al numero di posti letto oppure in base a valu-tazioni contingenti o a impressioni soggettive.Il problema riscontrato è che l’attuale sistema di raccolta dati (cartella infermieristica in forma-to cartaceo utilizzata nell’U.O. di Pneumologia e Gastroenterologia dell’Ospedale “Miulli” di Acquaviva delle Fonti) non permette di quan-tifi care l’assistenza da erogare ai pazienti rico-verati.Quindi, l’ipotesi di ricerca è quella di introdur-re un software che possa aiutare gli infermieri ed il coordinatore a quantifi care la complessità assistenziale per poter ottimizzare il processo assistenziale.

Materiali e MetodiE’ stato somministrato un questionario, pri-ma della sperimentazione del nuovo software nell’U.O. di Pneumologia - Gastroenterologia dell’Ospedale “Miulli” di Acquaviva delle Fonti, ad un campione di 15 infermieri e coordinato-ri di reparto. Questa prima indagine ha voluto verifi care la conoscenza informatica degli infer-mieri, gli attuali strumenti di gestione assisten-ziale in formato cartaceo in uso nel reparto e la motivazione ad un’eventuale introduzione di un sistema informatizzato di gestione del proces-so assistenziale.Nella fase del progetto del nuovo software, la Direzione Sanitaria ha individuato un program-matore del CED, il quale ha concordato con il coordinatore dell’U.O. i giorni disponibili per poter effettuare delle riunioni con tutto il per-sonale per iniziare a valutare la tipologia del software da utilizzare.Dopo aver valutato la tipologia dei pazienti pre-senti in reparto, costituito il nomenclatore delle attività assistenziali si identifi ca un software da utilizzare in via sperimentale per circa 120 gg. Dopo aver utilizzato il software ICA 1.1, è stato somministrato un secondo questionario che ha verifi cato eventuali diffi coltà nella gestione del-lo stesso, eventualità o meno di utilizzarlo in via defi nitiva, ecc.

ConclusioniLe resistenze al cambiamento, relative all’intro-duzione di un nuovo software, sono state supe-

rate dalla necessità di quasi tutti gli infermieri di rendere oggettivamente quantifi cabile il carico di lavoro quotidiano. Il software, utilizzato in via sperimentale, si è dimostrato uno strumento utile per migliorare la qualità assistenziale ma anche uno strumento valido per la gestione del processo assistenziale. Ha, altresì, aiutato il coordinatore a calcolare il fabbisogno assisten-ziale. Infatti, nel periodo in cui è stato utilizzato, le unità infermieristiche distribuite nei 3 turni,sono state assegnate dal coordinatore in relazione alla complessità assistenziale dei pazienti pre-senti in reparto. Anche la Direzione sanitaria ha avuto un quadro generale e preciso della situa-zione del reparto in qualsiasi momento.Positiva la valutazione data dagli infermieri, malgrado le diffi coltà incontrate, superate dalla voglia di dimostrare e quantifi care il lavoro pre-stato giornalmente.In conclusione: esperienza positiva per la mag-gior parte degli infermieri perché ha ottimizzato l’uso delle risorse, ha indirizzato le cure infer-mieristiche, ha facilitato la costruzione di pia-ni assistenziali, ha aumentato la completezza delle informazioni nella documentazione infer-mieristica, ha favorito lo sviluppo professionale stimolando il confronto e l’interazione tra i vari componenti dell’équipe.Dopo aver valutato le potenziali qualità del software, la Direzione Sanitaria ha deciso di incrementare i corsi di formazione per gli operatori allo scopo di estendere il progetto a tutto l’ospedale.

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Dott. Gianfranco Zibillo

Inf. Struttura Complessa U.O. Pneumologia P.O. “S. Maria degli Angeli” - Putignano (BA)

IL BRACCIALE DELLA SICUREZZA: IDENTIFICAZIONE DEL PAZIENTE A RISCHIO

IntroduzioneSono stati utilizzati dei braccialetti colorati per l’identifi cazione del paziente a rischio caduta, per l’identifi cazione del paziente allergico e per l’identifi cazione del paziente da sottoporre e sottoposto ad emotrasfusione. L’obiettivo del-lo studio è la dimostrazione che tali strumenti danno la possibilità di individuare quindi ridurre le situazioni a rischio con conseguente garan-zia in termini di sicurezza per il paziente.Il braccialetto di colore rosso identifi ca il paziente a rischio caduta;il braccialetto di colore viola identifi ca il pa-ziente allergico;il braccialetto di colore arancio identifi ca il paziente sottoposto o da sottoporre ad emotrasfusione.

Materiali e MetodiLo studio sperimentale è stato condotto nel-la U.O.C. di Chirurgia 1 e nel Servizio di Radiologia, Ambulatorio Cardiologico e Servizio di Ecografi a dell’Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti.Gli operatori sanitari (infermieri e tecnici radio-logici) rappresentano il gruppo campione non probabilistico di convenienza. Inizialmente (prima fase) il campione è stato sottoposto ad un questionario pre-introduzione braccialetto identifi cativo, garantendo l’anoni-mato, per verifi care le conoscenze a riguardo.Successivamente ( seconda fase) è stato intro-dotto l’utilizzo dei braccialetti colorati, applica-ti al polso dei pazienti a rischio, mediante una scheda di valutazione distribuita agli infermieri dell’U.O.C. di Chirurgia 1.In tutte le stanze di degenza dell’U.O.C. e dei Servizi, che fanno parte dello studio, è stato af-fi sso un manifesto recante il bracciale colorato e la tipologia di rischio associata, un secondo manifesto riporta le raccomandazioni da segui-re per i pazienti a rischio caduta.

Un questionario post-introduzione (terza fase), sottoposto al gruppo campione, ha indicato se i bracciali sono risultati strumenti utili per ridurre l’evento avverso. La variabile indipendente del progetto è l’utilizzo dei braccialetti colorati per identifi care il paziente a rischio, mentre la va-riabile dipendente è la compliance degli infer-mieri. Il questionario post-introduzione è strut-turato in maniera tale da ottenere informazioni per valutare anche la compliance del paziente, dal momento che rappresenta colui che effetti-vamente indosserà il braccialetto.

ConclusioneLo studio condotto ha dimostrato come affron-tare un grossissimo problema quale l’evento avverso, partendo da uno strumento con un bassissimo costo, prima di intraprendere alter-native a questa tipologia di braccialetto senz’al-tro più costosa.Lo studio ha evidenziato come il braccialetto colorato sia uno strumento di istantanea iden-tifi cazione del rischio mediante il colore, senza ricorrere necessariamente ad un sistema infor-matizzato. Il braccialetto colorato rappresenta una valida alternativa ad altri sistemi d’identifi -cazione dei pazienti a rischio.Questa alternativa ha il vantaggio di poter es-sere realizzata rapidamente, grazie all’esiguità del costo.

ConsiderazioniE’ probabile che la tecnologia dia più garanzie, ma non per questo non si avvalora l’ipotesi che un sistema basato sui colori possa convivere con un sistema basato sull’informatizzazione.Inoltre, affermo che, nonostante la tecnologia, molti Stati d’America utilizzano questo sistema d’identifi cazione perché, sottolineo, permette il riconoscimento istantaneo del rischio.Tesi sostenuta dai dati di questo progetto di ri-cerca.

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Dott. Milly Lacatena

Inf. Coordinatrice Uff. Formazione ASL TA

LA MUSICA, IL MOVIMENTO E L’INCONTRO UMANO. UN NUOVO METODO DI “CURA”

La danza è un’ esperienza di benessere globale che, attraverso il recupero sponta-

neo delle emozioni più naturali (gioia, apertu-ra, espressione autentica, fi ducia in sé stes-si, coraggio), permette di sviluppare il meglio di sé stessi e delle proprie qualità umane. Attraverso la musica, il movimento e l’incon-tro con gli altri, la danza propone la scoperta di un altro livello di comunicazione tra le per-sone che parli più all’anima che all’intelletto e che rianimi l›intelligenza dell’affettività attra-verso l›apertura alla vita, la sicurezza, l›intuizione, la comunicazione sen-sibile, il rinnovamento esisten-ziale, la sensibilità spirituale. Fin dalla notte dei tempi, la musica e la danza sono sempre state associate al divino. Si è sempre pen-sato che la musica unis-se l’uomo alle divinità. Il suono stesso è ritenuto di origine sacra e la stessa musica è considerata qual-cosa di potente e di enigma-tico, capace di curare. La prin-cipale fonte di suono nei rituali è costituita dalla musica strumenta-le o corale. L’esempio più calzante di musica strumentale trascendentale è presente nello sciamanesimo e nel tarantismo.

L’obiettivo delle danze sciamaniche è la guarigione.Lo sciamanesimo è stata la prima pratica spirituale del genere umano (almeno 40mila anni fa, ma per alcuni antropologi è nato più di 100.000 anni fa).La parola “sciamano” deriva dall’inglese “sha-man”, adattamento del termine “saman” (o “sa-

men”) che per il popolo dei tungusi siberiani de-signa gli operatori medici che agiscono in stato di trance Gli sciamani vengono anche chiamati “guarito-ri feriti” poiché hanno in sé una ferita che non si rimargina mai, che mantiene aperto il cuore dello sciamano alla comprensione delle altrui sofferenza.Per curare, lo sciamano sa che, quando ponia-mo riparo ai danni a livello spirituale, comincia a guarire anche il mondo naturale. E’ questa la

vera medicina della Terra.Lo sciamanesimo è una pratica

diffusa già nell’epoca paleo-litica e tuttora ne abbiamo

tracce in Siberia, America centrale e meridionale (in particolare in Messico e Perù.), USA, Giappone, Tibet, Indonesia, Nepal, Australia e Asia nord-orientale. Lo sciamane-simo può contenere al

suo interno tracce di reli-gioni e tradizioni locali..

Prerogative di uno sciama-no sono: essere un maestro

dell’estasi, uno specialista dell’a-nima umana, essere colui che domina

il fuoco, che compie il volo magico, che gua-risce. Per fare tutto ciò, si serve della trance, trance che avviene tramite il suono del tam-buro o sostanze allucinogene in grado di ec-citare la mente, portando l’uomo verso altri stati di coscienza in cui comunica con gli spiriti guida. Si tratta di persone sovente introverse e non di rado emarginate, poiché considera-te visionarie nonché schizofreniche. La diffe-renza tra uno sciamano ed uno schizofrenico sta nel fatto che lo sciamano riesce a domi-

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nare i suoi vari livelli di coscienza, lo schizo-frenico no. Lo sciamano viene defi nito “una persona che è riuscita a guarire se stessa”.Alla base del rito sciamanico esiste l’uso della danza e della musica ritmata e accompagnata dall’uso di tamburi. Danzando gli sciamani esauriscono la pro-pria resistenza muscolare e nervosa fi nché, non controllando più nulla, liberano la men-te dal corpo.In realtà tutte le danze sono espressione di una sublimazione, ad esempio nel pensiero arcaico i movimenti ritmici, il girotondo, il moto circolare della danza erano una riproduzione della volta del cielo e del ciclo delle esistenze. Una danza del tutto simile allo sciamanesimo e che si muove ed articola con gli stessi principi esiste nella parte meridionale del nostro pae-se e precisamente nella zona del Salento. Si tratta del fenomeno del tarantismo. Il taranti-smo è un fenomeno storico religioso pugliese che ha sempre destato molta curiosità da parte degli antropologi. Il termine tarantismo deriva da “Taranto”, città in cui è nato questo rito-ballo esorcizzante. La credenza vuole che il protago-nista di questo rito sia una donna (ma talvolta erano anche gli uomini) che viene morsa da un ragno (tarantola o taranta, il cui nome scienti-fi co è Ischnocolus) e, per liberarsi dal veleno iniettato dal ragno, deve sottoporsi al rito. Si tratta di un esorcismo a carattere musicale in quanto la donna guarisce attraverso la musi-ca e la danza (come nelle danze sciamaniche). Il tarantato presentava disturbi molto simili a quelli dell’epilessia, nonché un offuscamento dello stato di coscienza e turbe emotive. Al rit-mo della pizzica o tarantella (musica dal ritmo sfrenato), il tarantato danza e canta per molte ore fi nché cade a terra sfi nito. Secondo la cre-denza popolare, infatti, mentre il tarantato con-sumava le proprie energie nella danza, il ragno si consumava e soffriva fi no a morire. Alla fi ne della danza, il tarantato fa il gesto di schiaccia-re il ragno. Questo rituale coniuga sia elementi pagani che cristiani. Quando il tarantato avver-te i primi sintomi, chiede che vengano i musici-sti a casa o nella piazza del paese a suonare la pizzica. Oltre alla pizzica si suonava anche il tamburello, il violino, l’organetto, l’armonica ed

altri strumenti. Il tarantato si scatenava, quindi, in una lunga danza e in questa prima fase si cercava di capire da quale ragno fosse stata morsa la vittima. Si sostiene infatti che dietro il tarantismo popolare ci fosse un bisogno della donna di ricevere maggiori attenzioni dal pro-prio marito. La musicoterapia (MT) sta trovando, in que-sti ultimi anni, anche nel nostro paese alcune applicazioni nell’ambito della ricerca di un mi-glioramento della qualità di vita psicofi sica di molti soggetti attraversati dall’esperienza della malattia, in cui la medicina tradizionale, pretta-mente farmacologica, non riesce a dare tutti i risultati sperati.Sono sempre più numerose in tutto il mondo occidentale le persone che decidono di rivol-gersi alla medicina alternativa, per curare di-sturbi cronici come la cefalea, la lombalgia e l’ ansietà, o in cerca di speranza se colpiti da malattie incurabili o terminali. La MT mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell’individuo in modo tale che esso possa meglio realizzare l’integrazione intra- e inter-personale e, di conseguenza possa migliorare la qualità della propria vita grazie ad un pro-cesso preventivo, riabilitativo o terapeutico”.Il terapeuta ha la possibilità di lavorare con una varietà di pazienti, sia bambini sia adulti, che possono avere handicap emotivi, fi sici, mentali o psicologici.La malattia, secondo un moderno punto di vista, dovrebbe essere affrontata con un’assistenza integrata, rivolta al miglioramento della qualità di vita, dove le procedure mediche, prioritarie per gli aspetti biologici della terapia, possono essere accompagnate da altri interventi non-medici, ma sempre rivolte al raggiungimento del benessere psicofi sico della persona. Negli U.S.A. e nel resto d’Europa molti di questi aiu-ti, sono solitamente condotti, d’intesa con i medici e in piena autonomia, dagliinfermieri. La MT può essere applicata a tutte le fasce d’età e in una varietà d’ambiti di cura; la mu-sica ha una qualità non–verbale e offre un’am-pia possibilità d’espressione verbale e vocale. L’elemento sonoro-musicale proprio della mu-sica può acquistare connotati terapeutici in due settori operativi : psicoterapico e riabilitativo.

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Nel settore psicoterapico l›elemento sonoro-musicale diviene un canale di comunicazione non verbale che può favorire l›instaurarsi di particolari forme di relazione interpersonale. Nel settore riabilitativo, invece, la musica funge da stimolo per una determinata funzione (moto-ria, vocale, cognitiva, ecc.) e costituisce il modello formale al cui interno questa funzione si articola. È necessario precisare, però, che in ambito musicoterapico per «musica» s›intende un in-sieme di prodotti sonori che comprendono un campo più ampio di ciò che normalmente è considerato arte musicale, cioè : suoni/rumori ambientali o corporei, sia organizzati sia non, infrasuoni, ultrasuoni, vibrazioni e musica, così com›è intesa comunemente. La scelta del ma-teriale sonoro/musicale da utilizzare dipende dai presupposti dell›intervento musiterapico, dalle sue modalità e dagli utenti cui è destinato.Il processo di cura coinvolge l’uomo dal punto di vista olistico, in quanto mente, corpo, am-biente sociale, ed è per questo che anche chi eroga assistenza deve avvalersi di nuovi stru-menti di cura come ad esempio la danza e la musicoterapia.L’infermiere può avvalersi della musica come strumento aggiuntivo nel suo operato, per po-ter raggiungere assieme all’assistito l’obiettivo prefi ssato nella relazione d’aiuto.Il Policlinico Umberto I di Roma, Dipartimento di scienze dell’Invecchiamento, ha effettuato uno studio sull’effetto Mozart con l’ascolto della sonata K448.Lo studio ha evidenziato un miglioramento del-la memoria di cifre, nell’abilità spazio tempora-le e dell’abilità prassico-ideativa con un miglio-ramento della memoria.Molti sono gli ambiti dove si possono adottare questi interventi, in pediatria, in geriatria, in ri-animazione, nella terapia del risveglio, in sala travaglio, in psichiatria, in neurologia e in tutti gli interventi riabilitativi.Nell’ambito sanitario si parla sempre del rap-porto costo/benefi cio; ed è proprio per questo che ritengo che questa tecnica non farmacolo-gica debba essere inserita anche nella nostra realtà, essendo la musicoterapia una terapia economica, non invasiva ma soprattutto sen-za effetti collaterali e quindi immediatamente

applicabile. La sua diffusione nel territorio na-zionale sta diventando troppo elevata per non uniformarla a criteri oggettivi e validi. Il rischio serio che si corre è quello di bruciare, prima ancora di farla decollare, una disciplina che in altre parti del mondo esiste da moltissimi anni e che dove è stata applicata ha raggiunto risultati apprezzati anche campo scientifi co.Nei Paesi dove è presente un nursing avan-zato come gli U.S.A., Regno Unito, Australia e Canada, l’uso della musica nel processo assi-stenziale sta avendo da diversi anni uno svilup-po incalzante. In questi Paesi è maggiormente diffuso l’approccio olistico alla persona (con la presenza nell’équipeassistenziale di operatori specializzati in tera-pie complementari) e vi è una cultura infermie-ristica notevole : la musicoterapia viene ricono-sciuta ed avvalorata anche nel contesto univer-sitario, con corsi di laurea specifi ci.Quindi la musica come strumento integrativo, non alternativo.

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LIBERA PROFESSIONE:UNA SCELTA

Il profi lo professionale infermieristico si avvia verso una revisione che dovrebbe fare chia-

rezza sugli ambiti di competenza, in funzione di un percorso formativo in via di defi nizione, che porterà alla valorizzazione della professio-ne, e, presumibilmente, a maggiori responsa-bilità.Di fatto, la professione infermieristica ha ben delineate competenze e responsabilità, vero è che negli ultimi anni (pur se esempi risalgono a 10-11 anni fa) ha attecchito e si è sviluppato l’esercizio della Libera Professione, vera e pro-pria opportunità di mettere alla prova capacità, competenze, preparazione, e di trovare, an-che, uno sbocco occupazionale in un mercato del lavoro non più e solo legato alla centralità dei presidi ospedalieri, ma allargato a servizi territoriali, assistenza domiciliare, medicina del lavoro, studi singoli o associati, farmacie. Certamente, la scelta non è delle più semplici se si considera da un punto di vista economi-co, perché ben lungi, in specie a breve termi-ne, di offrire le garanzie del posto fi sso, pure ha dei punti “forti”:

1) Autonomia e responsabilità;

2) Possibilità di gestire il proprio tempo;

3) Possibilità di diventare “manager” di sé stessi e del proprio lavoro;

4) Possibilità di scegliere un ambito di la-voro “privilegiato”.

Ma, anche, “Possibilità di “offrire un servizio in più ai cittadini, spesso penalizzati dalla di-stanza di strutture sanitarie o dall’impossibilità di recarvisi. Eppoi, la voglia di esserci, di usci-re dal precariato” come affermano Margherita Mongelli e Tiziana De Giorgio che hanno aper-to a Grottaglie, soltanto qualche mese fa, uno Studio Infermieristico Associato perché, ag-giungono, “Nella nostra realtà mancano studi infermieristici, manca l’affermazione dell’infer-miere come professionista della salute, capace di assumersi responsabilità, di prestazioni nella massima autonomia. Queste scelte vanno af-frontate con volontà, con la determinazione di completare l’offerta dei servizi.

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Si deve arrivare alla Libera Professione dopo una scelta ragionata, analizzata anche dal pun-to di vista logistico. Infatti, prima di decidere, noi abbiamo fatto un vero e proprio sondaggio tra i cittadini dimessi dall’ospedale, con il riscontro di gente che non sapeva a chi rivolgersi, dopo la “fermata obbligatoria” in farmacia, dove cer-care un infermiere. Ecco, noi siamo la risposta al bisogno, ci siamo e siamo punto di riferimen-to, e lo dice la risposta, molto positiva. Ancor prima di aprire, siamo state contattate per caso da un giovane alla ricerca disperata di un infer-miere per la madre, la nostra prima cliente.Disponibilità e puntualità sono caratteristiche essenziali, insieme a competenza e capacità di dare risposte ai bisogni : è la dimostrazione del bisogno di uno studio infermieristico.”Esiste la paura di sbagliare?“Lavorando in ospedale - rispondono Margherita e Tiziana - abbiamo ac-quistato una certa esperienza. A chi non è sicuro, consigliamo di affi anca-re un collega più esperto appunto per acquisire esperienza. Noi siamo qui, aperti e disponibili per chi vuole fare questa sorta di tirocinio, per acquisire l’indispensabile sicurezza e, magari, agire nel resto del territorio con caren-ze. Infatti, siamo partite dall’idea di un nucleo di infermieri dislocati nell’inte-ra provincia. Abbiamo interpellato più colleghi, ma la risposta è stata negati-va per il rischio d’impresa. Il personale del nostro studio, ad oggi, è minimo, ma, ripetiamo, siamo aperti a quei col-

leghi che vogliono fare esperienza”.Servizi offerti?

“Ecco un elenco.- Prelievi ematochimici, con referto a do-

micilio

- Terapie mediche prescritte (endoveno-se, intramuscolari, sottocutanee)

- Medicazioni semplici e complesse (chi-rurgiche, vascolari, da decubito)

- Rimozione punti di sutura

- Gestione cateterismi (cateteri venosi centrali- periferici, cateteri vescicali)

- Gestione stomie

- Rilevazione e monitoraggio parametri vitali (frequenza cardiaca, respiratoria, pressione arteriosa, temperatura, satu-razione ossigeno)

- Altre prestazioni infermieristiche (es. diabetici, cardiopatici, oncologici)

Possiamo essere contattate dalle ore 8 alle ore 20”.Un primo bilancio?“Certamente positivo pur con le inevitabili diffi -coltà”

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Chiloiro Dora 1,2 Battaglia Daniela 2 Blasi Ylayaly 2 Carrino Manuela 2 Cetera Nicola 2

Del Monaco Irene 2 Internò Saverio 4 Mottolese Maria 2 Scapati Francesco 3.

1 Direttore Struttura Complessa di Psicologia Clinica e Psicoterapia dell’Età Adulta e dell’Età Evolutiva DSM ASL Taranto2 Gruppo di ricerca clinica neurocognitiva Struttura Complessa di Psicologia Clinica e Psicoterapia dell’Età

Adulta e dell’Età Evolutiva DSM ASL Taranto3 Direttore Dipartimento di Salute Mentale ASL Taranto

4 Direttore Struttura Complessa di Neurologia S.S. Annunziata Asl Taranto

ANALISI STATISTICO DESCRITTIVA E PREDITTIVITA’ DELLO STRUMENTO DIAGNOSTICO F.A.B. RISPETTO AD ESAME STRUMENTALE RM ENCEFALO DEI PAZIENTI VALUTATI DALL’AZIENDA SANITARIA LOCALE D.S.M. SERVIZIO DI

PSICOLOGIA CLINICA E DI PSICOTERAPIA DELL’ETA’ ADULTA E DELL’ETA’ EVOLUTIVA DI TARANTO

PREMESSAIl Servizio di Psicologia Clinica dell’Asl di Ta-ranto svolge tra le sue funzioni quella di fornire valutazioni neurocognitive ai soggetti dell’am-pio territorio tarantino. La frequenza con cui si susseguono le visite, l’impegno dell’equipe nel-lo svolgerle, il buon funzionamento del servizio, l’interesse per la materia, hanno fatto nascere inizialmente all’interno del gruppo di lavoro la curiosità di un’indagine di tipo statistico-de-scrittivo sui dati dei pazienti sottoposti a valu-tazione. Di particolare interesse sono risultate le variabili socio-demografi che (provenienza, età, sesso, scolarità) proprie del campione se-lezionato in base ad un semplice criterio tem-porale. Nel corso della raccolta dati, inoltre, per motivi strettamente connessi al protocollo di valutazione utilizzato all’interno del Servizio, si è pensato ad una vera e propria Ipotesi di Ricerca. Il gruppo di lavoro si avvale, in sede di valutazione, di una serie di test diagnostici relativi alla demenza. Parte integrante del pro-tocollo, oltre al MMSE (Mini Mentale State Exa-mination) adatto a formulare una valutazione di base della gravità del defi ct cognitivo, è la FAB - Frontal Assessment Battery - strumento oggi molto diffuso, ideato per lo screening rapido di funzioni frontali, il cui punteggio globale sta ad indicare la gravità della sindrome disesecutiva e in particolare i subtest la specifi ca disfunzio-ne (I.Apollonio et al., 2005). Il test esecutivo in

questione ha lo scopo di distinguere i soggetti con demenza fronto-temporale da quelli di con-trollo e/o affetti da lievi disfunzioni esecutive le-gate prettamente all’invecchiamento piuttosto che ad una condizione preclinica o incipiente. L’ipotesi di ricerca consiste nella predittività dei punteggi FAB relativi ad ipotesi di lesioni fron-to-temporali rispetto ai risultati ottenuti da inda-gini di neuro-imaging, in particolare da esami di Risonanza Magnetica encefalo. Allo scopo di incrementare il campione complessivo dei soggetti sottoposti a tale valutazione, il gruppo di lavoro si è avvalso anche della collaborazio-ne del Presidio Ospedaliero Centrale “S.S An-nunziata” di Taranto su pazienti ricoverati nella Struttura Complessa di Neurologia.

ObiettiviAnalisi statistico-descrittiva dell’intero campio-ne di soggetti afferenti all’Ambulatorio e/o ri-coverati presso la Struttura Complessa di Neu-rologia, si è proceduto sistematicamente a va-lutazione diagnostica FAB. Successivamente sono stati estratti dal campione pazienti muniti di referto dell’esame strumentale RM encefalo allo scopo di effettuare un confronto dati.

MetodologiaIl metodo utilizzato è stato quello della valuta-zione neuropsicologica del campione dal quale sono stati estrapolati i seguenti dati:

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- variabili sociodemografi che: numerosità, età, sesso, scolarità, provenienza;

- variabili diagnostiche neuropsicologiche: rilevate attraverso la Frontal Assessment Battery;

- variabili diagnostiche di neuroimaging: ri-levate attraverso la Risonanza Magnetica dell’encefalo.

Per l’inserimento dei dati e la successiva ela-borazione statistica descrittiva e correlaziona-le è stato utilizzato il Software computerizzato SPSS 15.0 per Windows. La popolazione normativa dello studio è stata suddivisa in due gruppi rispetto a due diversi step dello studio di ricerca. Nella prima fase l’intero campione è stato oggetto di analisi sta-tistico - descrittiva rispetto a caratteristiche so-ciodemografi che specifi che. In seconda analisi è stato estratto un sottogruppo di pazienti che ha eseguito l’esame strumentale di RM ence-falo allo scopo di effettuare una correlazione bivariata tra il referto ed i punteggi FAB.

StrumentiÈ stata utilizzata la versione italiana aggiornata della Frontal Assessment Battery - FAB – (I. Apollonio et al., 2005). La batteria FAB comprende sei subtest:

a) subtest “Somiglianza”: il soggetto deve individuare il legame semantico in tre items.

b) subtest “Fluenza fonemica”: il soggetto deve produrre verbalmente quante più parole possibili che iniziano con la lette-ra “S”, esclusi nomi e cognomi di perso-na, entro un minuto di tempo.

c) subtest “Serie motorie”: il soggetto, dopo aver osservato l’esaminatore effettuare la serie di Luria pugno-palmo-dorso, in modalità imitativa “specchio”, deve ri-produrla.

d) subtest “Istruzioni contrastanti”: il sog-getto deve fornire una risposta seguen-do le consegne verbali.

e) subtest “Go – No – Go”: il soggetto deve trattenere la risposta impropriamente indotta dal subtest precedente per ap-prendimento ed informazioni sensoriali congruenti.

f) subtest “Comportamento di prensione”: posti l’uno di fronte all’altro, l’esaminato-re valuta il rifl esso di prensione motoria. La FAB consente di individuare specifi ci decalaggi settoriali in domini frontali per-mettendo di fare ipotesi di disfunzione

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del lobo frontale (Tab.1).E’ stato utilizzato come strumento di neuroi-maging la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) Encefalo.

RisultatiL’indagine è stata condotta su 81 soggetti di cui 44 donne e 37 uomini (Tab.2). I soggetti sono stati reclutati nel periodo di tempo intercorso tra Ottobre 2010 e Marzo 2011. Si tratta di individui affl uiti presso l’Ambulatorio di Psicologia Clini-ca Ospedaliera dell’ASL TA/1 “San Giuseppe Moscati” e/o la Struttura di Neurologia dell’ASL TA/1 “S.S. Annunziata”. L’età media dell’inte-ro campione di riferimento è di 64,02 ± 13,59 (range 20-89 anni). Nello specifi co, l’età media e deviazione standard delle donne sono: 64,93 ± 11,70 e degli uomini sono: 62,95 ± 15,65.

In Tab. 3 sono riportate la media e la deviazio-ne standard per la scolarizzazione di 7,31 ± 4,34 (range 0-17 anni, quest’ultimo convenzio-nalmente assegnato a tutti i soggetti che hanno terminato un ciclo di studio universitario). Nello specifi co la media e deviazione standard è di 6,30 ± 3,96 per le donne e di 8,51 ± 4,51 per gli uomini.La variabile scolarizzazione, valutata in anni

di scuola effettuati, è stata suddivisa in quattro range; il primo range (0 – 5 anni) include sog-getti dall’analfabetismo al conseguimento del-la licenza elementare, il secondo range (6 – 8 anni) include i soggetti fi no al conseguimento della licenza media inferiore, il terzo range (9 – 13 anni) include i soggetti fi no al conseguimen-to della licenza media superiore, ed il quarto range (14 – 17 anni) include i soggetti fi no al conseguimento della laurea ed eventuali spe-

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cializzazioni.Dall’elaborazione dati si osserva una maggio-re affl uenza ai Servizi dai Distretti 3 (Isola Por-ta Napoli - Paolo VI – Tamburi - Croce - Italia Montegranaro) e 4 (Salinella - Talsano San Do-nato - San Vito Carl. Lama) che costituiscono il

territorio tarantino (Fig. 3).Si osserva, nello specifi co, che dai Distretti 3 e 4 confl uiscono al Servizio, in modo pressoché omogeneo, le donne, rispettivamente (Tab. 4) : 32% e 36%; variabili, invece, le percentuali de-gli uomini rispettivamente: 56,80% e 24,30%. Pressoché equamente distribuite le percentuali di affl uenza dai Distretti 2, 5 e 6 con un ran-ge tra 6,17% e 7,41%: Massafra – Palagiano - Mottola - Statte (Distretto 2), Crispiano – Mar-tina Franca (Distretto 5), Grottaglie – Monteiasi – Montemesola – San. Giorgio J. – Pulsano – Leporano – Faggiano – Roccaforzata – Monte-parano - San Marzano (Distretto 6). Ancora più esigue quelle relative ai Distretti 1, 7, ed “altre provenienze”: Ginosa – Laterza – Castellaneta – Palagianello (distretto 1), Manduria – Avetra-na – Maruggio – Sava – Torricella – Lizzano –

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Fragagnano (Distretto 7). In Tab. 5 il punteggio medio ottenuto alla FAB dal nostro campione è di 12,60 ± 3,43 su un massimo ottenibile di 18 punti. Il nostro cam-pione, quindi, manifesta positività cognitiva per defi cit frontale (cut-off ≤ 13.11).

In Fig. 4 vi sono i punteggi medi dell’intero campione per subtest. Gli stessi rilevano che la performance migliore si registra nel sub test di prensione motoria, mentre la peggiore in quello di controllo inibitorio.

In Fig. 5 sono riportati i punteggi medi per subtest nel confronto fra i due sessi. Nonostan-

te il punteggio medio FAB totale delle donne sia superiore rispetto a quello degli uomini (tab. 5), si rileva una performance migliore degli uo-mini rispetto alle donne nelle seguenti funzioni: fl uenza verbale fonemica, sensibilità all’interfe-renza, programmazione e controllo inibitorio. Le donne, invece, hanno una performance mi-gliore rispetto agli uomini nel subtest di astra-zione e prensione motoria.

Valore diagnostico e predittivo della F.A.B.Dalla nostra esperienza clinica nell’utilizzo del-la F.A.B. abbiamo osservato numerosi vantag-gi, fra i quali la velocità di somministrazione, motivo per cui essa è defi nita un “bedside test” (somministrabile anche in reparto a lato del letto del paziente). Essa offre, inoltre, un va-lore diagnostico differenziale e predittivo di di-sfunzioni del lobo frontale. Da circa una decina di anni in letteratura vi sono studi che si sono concentrati sul valore diagnostico differenziale del test, in particolar modo per distinguere le due demenze primarie: demenza di Alzheimer (AD) e Frontotemporale (FTD). Le due demen-ze prevedono una diversa manifestazione di aspetti patologici cognitivi. Nella demenza fron-totemporale, soprattutto nello stadio iniziale, vi è una predominanza della sindrome disesecu-tiva rispetto ad altri defi cit cognitivi. A tal propo-sito uno studio francese (A.Slachevsky et. al. 2006) ha somministrato la F.A.B. a due gruppi di pazienti, AD e FTD, utilizzando come criterio di inclusione il punteggio MMSE nella norma ( ≥24 ), per stadiare il deterioramento cogniti-vo ad un grado lieve e iniziale. Nei risultati i due gruppi di pazienti differivano signifi cativa-mente nei punteggi FAB. Il gruppo di pazienti FTD aveva un punteggio medio e di deviazione standard di 7,6 ± 4 e il gruppo AD: 12,63, ± 7. (p < .001). In conclusione si è quindi conside-rato il punteggio FAB=12 come cut-off ottimale per la differenziazione dei due tipi di demenze

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(Tab.6).Tab. 6 Punteggi F.A.B in gruppo AD e FTD

(cut off = 12)

Un altro studio ha applicato la F.A.B. come stru-mento diagnostico differenziale tra la demenza di Alzheimer (AD) e la demenza sottocorticale vascolare (VD) ( Hiroaki Oguro et al.2006) ri-levando che i pazienti VD hanno manifestato maggiori decalaggi frontali rispetto ai pazien-ti AD in stadio iniziale, in particolar modo nel subtest di fl uenza verbale su indizio fonemico. Oltre la diagnosi differenziale, in letteratura, vi sono altri studi che si sono concentrati a va-lidare la F.A.B. come strumento di screening di disfunzioni del lobo frontale in ambiti clinici molto diversi. L’applicazione della FAB, come strumento diagnostico di funzioni esecutive, ha spaziato dai pazienti con Huntington’s (Rodri-gues GR et. al, 2009), e pazienti con Sclerosi Laterale Amiotrofi ca (SLA) (Oskarsson, 2010), all’ambito delle dipendenze e, in particolar modo nei consumatori cronici di marjuana, come dimostra un recentissimo studio brasilia-no (M.F. Fontes et al., 2011).Abbiamo notato, però, che in letteratura, vi è solo uno studio giapponese, risalente allo scor-so anno, che si è focalizzato sul possibile valo-re diagnostico predittivo della F.A.B. rispetto a esami strumentali (Kazumasa et al.,2010). Lo studio ha utilizzato la F.A.B. come strumento diagnostico di disfunzioni esecutive in pazienti con MCI (Mild cognitive impairment) e ha os-servato, tramite tomografi a computerizzata a

emissione di un positrone (SPECT), le aree signifi cativamente compromesse in pazienti con punteggio F.A.B. molto basso e patologi-co paragonandolo a un gruppo di controllo e a un altro gruppo MCI con punteggio F.A.B. alto. Le aree con decremento del segnale signifi ca-tivamente maggiore nei pazienti MCI con pun-teggio F.A.B. basso versus gruppo di controllo, sono le seguenti: lobo parieto temporale e lobo frontale (Fig. 6). Nei pazienti MCI con punteg-gio F.A.B. basso versus gruppo MCI con pun-teggio F.A.B. alto, però, c’è un ulteriore decre-mento nella regione frontale laterale sinistra e frontale mediale destra (Fig. 7).

Fig. 6MCI basso punteggio F.A.B. versus gruppo controllo.

Fig. 7 MCI basso punteggio FAB versus MCIpunteggio F.A.B. alto.

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La nostra ipotesi di ricerca si concentra sul va-lore predittivo della F.A.B. rispetto all’ esame strumentale della risonanza magnetica in un campione di pazienti neurologici dalle diagnosi varie (demenza; ischemia cerebrale e cosi via). Il nostro obiettivo è cercare correlati anatomici, che ci forniscano i risultati di neuroimaging, con i risultati dei punteggi F.A.B. I nostri quesiti di ricerca sono stati i seguenti: un paziente neu-rologico, con punteggio F.A.B. basso e patolo-gico, avrà un esame strumentale che indicherà un’atrofi a o lesione nel lobo frontale? E vice-versa, un paziente neurologico con punteggio F.A.B. alto e nella norma, avrà una risonanza negativa per compromissione lobo frontale?Per rispondere a queste domande abbiamo estratto dal nostro campione statistico de-scrittivo di 81 pazienti, 28 che hanno esegui-to l’esame strumentale di risonanza magneti-ca. Successivamente abbiamo diviso questo sottocampione in due: pazienti con punteggio “F.A.B. normal” (nella norma) e “F.A.B. abnor-mal” (punteggio FAB patologico). I referti del-le risonanze, invece, li abbiamo interpretati in modo dicotomico. Lo “0” corrisponde all’assen-za di lesioni e/o atrofi e in lobo frontale e l’“1”alla positività di lesione e/o atrofi a lobo frontale. Così abbiamo impostato una tabella di contin-genza 2x2, considerando le seguenti variabili

nominali dicotomiche (Tab. 7).Il nostro studio ha evidenziato una associa-zione signifi cativa tra lo strumento diagnosti-co F.A.B. e l’indagine RM Encefalo per lesioni frontali. L’elaborazione statistica ha previsto l’utilizzo del test Pearson Chi-Square che ha

evidenziato un livello di correlazione R = 0.52 con livello minimo di signifi catività del 95%. Il valore di signifi catività p = .004 risulta minore del livello minimo assunto, pertanto si rifi uta l’i-potesi nulla, ritenendo, così predittiva la Frontal Assesment Battery per diagnosi di disfunzioni del lobo frontale.

Discussione e conclusioniIl nostro campione è composto da 81 pazien-ti (44 donne e 37 uomini; età media, d.s. = 54.02 ± 13.59; anni di scolarità media, d.s. = 7.31 ± 4.34). Dall’elaborazione dati si osserva una maggiore affl uenza ai Servizi dai Distret-ti 3 e 4 che costituiscono il territorio tarantino. Il punteggio medio, d.s. ottenuti alla F.A.B. dal nostro campione sono di 12,60 ± 3,43 su un massimo ottenibile di 18 punti, rivelando, quin-di, positività cognitiva per defi cit frontale (cut-off ≤ 13.11). La performance FAB totale media delle donne è superiore rispetto a quello degli uomini (12,63 vs.12,55), ma quest’ultimi hanno punteggi migliori nei seguenti subtest: fl uenza verbale fonemica, sensibilità all’interferenza, programmazione e controllo inibitorio. Le don-ne, invece, hanno una performance migliore rispetto agli uomini nel subtest di astrazione e prensione motoria. Il nostro studio ha evidenziato una associa-zione signifi cativa tra lo strumento diagnostico F.A.B e l’indagine RM Encefalo per lesioni fron-tali (R = 0.52; p = .004). Questo signifi ca poter pianifi care una terapia, farmacologica o di ri-abilitazione neuropsicologica, senza aspettare lunghi tempi di attesa degli esami strumentali; un particolare vantaggio per tutti quei pazienti che, per motivi di protesi o altro, non possono neanche eseguire una RM o una TAC. Tuttavia non si intende giungere alla sostituzio-ne di un esame strumentale con uno strumento di screening ad alta sensibilità, come la F.A.B., poichè i dati di neuroimaging rimangono un’im-portante conferma a un’ ipotesi diagnostica, ma solo sottolineare l’utilità della velocità di scre-ening della F.A.B nell’ottica di eventuali inter-venti terapeutici e riabilitativi.Soddisfatti dei risultati raggiunti ci promettia-mo di proseguire nella ricerca approfondendo tecniche statistiche di neuroimaging specifi che

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che ci consentano di osservare le aree coinvol-te nelle funzioni esecutive della FAB, così come nel lavoro di Kazumasa et al.,2010 sopracitato. In particolar modo, vorremmo ottenere un dato imaging che ci permetta il confronto statistico delle aree cerebrali dei pazienti neurologici con punteggio FAB nella norma versus pazienti con punteggio FAB patologico.

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Dott. Rosa Cassisi

Inf. Dirigente Servizio Infermieristico Azienda Provinciale di Ragusa

INDAGINE SUGLI ERRORI DI TERAPIA E LETTERATURA A CONFRONTO

ABSTRACTGli errori in terapia farmacologica sono fra le cause più frequenti di eventi av-versi in sanità. La gestione della terapia è un processo costituito da una se-quenza di fasi ed azioni, durante le quali è elevato il rischio di disattenzioni, inceppamenti, fraintendimenti. Essa può essere paragonata ad una catena for-mata da diversi anelli: più anelli ci sono, maggiori sono le possibilità di errore. L’indagine, rivolta agli infermieri di un Presidio Ospedaliero, ha avuto lo scopo di sensibilizzare il personale sui rischi connessi alla gestione dei farmaci e di rifl ettere sulle attività e sui comportamenti che espongono agli errori. A con-clusione dell’indagine è stato organizzato un incontro di formazione durante il quale i risultati dei questionari sono stati messi a confronto con i dati reperibili in letteratura. Sono state inoltre analizzate e discusse le strategie di prevenzio-ne, tratte dalle Raccomandazioni n.1, n. 7 e n.12 del Ministero della Salute

PREMESSATra le attività assistenziali non vi è dubbio che la gestione della terapia farmacologica espone ad un elevato rischio di errori in quanto è un processo multi professionale, articolato in più fasi (prescrizione, approvvigionamento, con-servazione, prepa-razione, somministrazione, rilevazione di effi cacia) e ciascuna fase è a sua volta scomponibile in una serie di attività. E’ facile comprendere quindi come ogni azio-ne debba essere realizzata con competenza e respon-sabilità in quanto una svista o una di-menticanza di un solo operatore può avere un effetto valanga sul comportamento degli altri, con conseguenze anche molto gravi. È quello che è realmente accaduto in tanti decessi ripor-tati dalle cronache per scambio di farmaci o di pazienti, per dosaggi sbagliati o per reazioni allergiche non segnalate. In questi casi la prima reazione dell’opinione pubblica è quella di attribuire tutte le colpe all’o-peratore che ha direttamente causato il danno. Ma noi sappiamo che l’errore è quasi sempre il risultato di una serie di fattori, come rivela l’a-

nalisi delle dinamiche di molti errori clinici ana-lizzate a-posteriori. E’ vero peraltro che un’organizzazione com-plessa e con tempi ristretti come la nostra, non può contare solamente sull’attenzione, la luci-dità e la diligenza dei suoi operatori e pertanto, fi nché permangono le condizioni lavorative in cui tutti noi siamo costretti ad operare, l’errore sarà sempre pericolosamente in agguato!

INDAGINE CONOSCITIVAL’indagine, rivolta al personale infermieristico dell’Ospedale Maggiore di Modica, voleva far emergere azioni e comportamenti che espon-gono agli errori e, allo stesso tempo, raccoglie-re proposte e suggerimenti sulle possibili mi-sure di controllo e prevenzione degli eventi avversi.A tale scopo è stato predisposto un questiona-rio, contenente n.12 domande strutturate a risposta multipla e n. 3 domande aperte, som-ministrate a tutti gli infermieri operanti nei re-parti di degenza.

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Nella tabella n.1 sono sintetizzati i dati relativi alla popolazione di indagine

QUESTIONARI INVIATI = 152 (AFD e inferm.)

QUESTIONARI COMPILATI = 111 (48 uomini - 58 donne) PERCENTUALE RISPONDENTI = 72,5%

Nella tabella n.2 è indicato il numero di que-stionari compilati per Unità Operativa.

REPARTI CONTATTATI RISPONDENTI

Cardiologia 13 8

Chirurgia 15 9

Geriatria 16 8

Mal.Infettive 15 13

Medicina 17 12

Nefrologia 13 9

Ortopedia 14 13

Ostetricia 12 11

Otorino 8 7

Pediatria 15 10

Rianimazione 14 10

I RISULTATII quesiti n. 2 e n. 3 ci forniscono alcune indi-cazioni sul comportamento assunto dagli infer-mieri in caso di un errore involontario. Interes-sante è il confronto fra i due quesiti:

“Nel caso in cui ti accorgi di aver sbagliato cosa fai?”a) il 46,3% chiede aiuto ad un medico di

reparto

b) il 16% lo comunica al primario

c) qualcuno si fa consigliare dal caposala (12,4%) o da un collega fi dato (10,7%)

d) il 14 % cerca di rimediare da solo.

Nel quesito n.2 dunque, solo una piccola per-centuale dei rispondenti confessa il tentativo di occultamento dell’errore, il resto chiede aiu-to o consiglio ai superiori o ai colleghi. Nel quesito n.3 la domanda viene riformulata e riferita al comportamento altrui: “Pensi che i tuoi colleghi informino gli altri membri dell’èquipe, in caso di errore ?”

a) il 42% risponde “raramente”

b) il 34% “ qualche volta”

c) l’11,6% “mai”

d) il 10% “abbastanza” e “sempre”

Le risposte ai due quesiti sono in evidente contraddizione, il che conferma la tendenza alla fuga e all’occultamento dell’errore supe-rata solo dalla paura delle conseguenze (da qui la necessità di chiedere consiglio ed aiuto) mentre non risulta presa in alcuna considera-zione la possibilità di discutere il caso all’inter-no dell’èquipe.

Confronto con la letteratura

La scarsa propensione ad affrontare il problema e la tendenza all’ occultamento degli errori, insieme alla colpevolizzazio-ne dell’operatore in caso di errore e alla pressione che il personale subisce per raggiungere obiettivi fi nanziari e produtti-vi, determina, per J.Reason, la“Sindrome da sistema vulnerabile” ossia il rifi uto di affrontare ed analizzare il problema, il quale costituisce la barriera culturale più importante da abbattere, come precondi-zione per affrontare il problema e porre in essere le misure più idonee di prevenzio-ne del rischio.

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LE ATTIVITÀ A RISCHIOCon il quesito n. 4 è stato chiesto:

“Nell’ambito del tuo reparto, quali situazio-ni operative sono più esposte a rischio?”

a) la prescrizione dei farmaci (53,3 %) b) la preparazione della terapia (16,7%) c) la somministrazione (10,8%)d) il controllo dell’assunzione (5,9%) e) la conservazione dei farmaci ( 2,9%)

Mentre, con il quesito n.8, è stato proposto di indicare, all’interno delle fasi preceden- temen-te elencate, le attività o le situazioni maggior-mente esposte a rischio di errore:

Durante la prescrizione

a) prescrizione a voce (24,4%)

b) prescrizione per via telefonica (17,9%) c) grafi a poco chiara (16,9%)d) dati incompleti (15,6%)e) trascrizione della prescrizione (12,4%)f) uso di sigle e/o abbreviazioni (5,9%)g) terapia appuntata e trascritta (5,9%)

Durante la preparazione e somministrazione a) Frequenti interruzioni (37,2%) b) Preparazione e somministrazione realizzata da infermieri diversi (23,9%) c) Mancata specifi cazione, sul fl acone, dei farmaci prescritti (13,8%)d) Preparazione contemporanea di più farmaci (12,6%) e) Mancato controllo dell’assunzione (12,1%)

Durante la conservazionea) farmaci fuori posto (21

%) b) farmaci con nomi simili (16,7%) c) farmaci con confezioni simili (14,6%)

ANALISI DELLE CAUSE Le criticità presenti nel contesto organizzativo

sono quelli più diffi cilmente identifi cabili in quanto non determinano direttamente l’errore ma creano le condizioni favorevoli perché l’o-peratore incorra più facilmente in errore. L’analisi delle cause è stata affi data ai quesiti n.5, 6, 7, 8 attraverso i quali sono state indivi-duate quattro aree:

Cause dipendenti dalla comunicazione e in-formazione.Un problema più volte sottoposto all’attenzio-ne dei partecipanti ed analizzato sotto diver-se angolature. è quello della “comunicazione”. la tabella n. 3 sintetizza i risultati del quesito n.5 che rileva una carenza di informazioni dei medici nei riguardi degli infermieri su problemi connessi al trattamento (42%) e sull’iter dia-gnostico terapeutico (34%), sia degli operatori sanitari (medici ed infermieri) nei riguardi dei pazienti, in merito alle variazioni della terapia nel corso della degenza e alle istruzioni sui far-maci da assumere a casa.

Tab. n3

Fra le Cause di errore dipendenti dal pa-ziente sono state individuate: le condizioni di gravità, di incoscienza e di diso-rientamento, i problemi di autosuffi cienza e le diffi coltà di comunicazione linguistica (pazienti di altra nazionalità);Fra le Cause di errore dipendenti dal perso-nale le conoscenze inadeguate, l’inesperienza, la demotivazione, la fatica e lo stress, la caren-te collaborazione fra colleghi: Fra le Cause dipendenti dall’organizza-zio-ne: l’inserimento dei neo-assunti, il carico di lavoro, la carenza di attrezzature, presidi sani-tari e materiale di uso comune e una carente documentazione.

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Attraverso il quesito n. 9 è stato chiesto di stabilire una priorità fra tutti i fattori preceden-temente segnalati ed i risultati sono sintetizzati nella tabella n. 4

tabella n. 4

Relativi al

paziente %Relativi al personale %

Relativi alla organizz. %

Pazienti: di altra nazione 58 Stress fatica 47,6

Eccessivo carico di lavoro 36

Non coscienti 22,6 scarsa

collaboraz. 23,8 Comuni-cazione 17,6

Diffi cile gestione 19,4 Inadeguate

conoscenze 15,9 documentazione 15

demotivazione 11,1 Carenza attrezzature 12,3

inesperiena 2,6 Inserimento neo assunti 11,8

Confronto con la letteratura

La Joint Commission, sotto la direzione del suo Sentinel Event Policy, ha riesaminato quasi 1000 fra eventi sentinella ed eventi avversi gravi e inattesi, di cui il 15% circa è stato attribuito ad errori di terapia. Per ognuno di questi eventi è stata condotta una dettagliata analisi delle cause e sono state identifi cate e messe in atto strategie di riduzione del rischio. I dati aggregati de-rivanti da queste analisi hanno rivelato che le cause più frequentemente associate ad errori di terapia sono: • comunicazione insuffi ciente e imprecisa • scarsa coordinazione tra gli operatori sanitari • carenze di orientamento e formazione continua degli operatori sanitari • mancato coinvolgimento del paziente • l’insuffi ciente conoscenza dei farmaci

LE STRATEGIE DI PREVENZIONEPer concludere negli ultimi quesiti ( n. 10 e n. 11 ) è stato chiesto ai partecipanti di suggerire le misure che ritenevano più idonee per la pre-venzione dei rischi e il miglioramento della si-curezza dei pazienti. Le indicazioni sono state sintetizzate nell’elenco che segue:

- migliorare l’organizzazione e la qualità as-sistenziale attraverso l’introduzione o il potenziamento di strumenti organizzativi (protocolli, procedure chek-list) e documen-tali (cartella infermieristica, scheda unica di terapia) che possano fungere da barriera agli errori (64%)

- assegnare il personale infermieristico in base agli effettivi carichi di lavoro (31%)

- migliorare la comunicazione e la collabora-zione fra medici ed infermieri (30%)

- aggiornamento più aderente ai bisogni for-mativi (12%)

- procedure effi caci di inserimento dei neo assunti (6,6%)

- maggiore attenzione alla relazione infer-miere-paziente e presenza del mediatore linguistico per gli stranieri con diffi coltà di comprensione della lingua italiana (5%).

Confronto con la letteratura

Fattori riferibili all’operatore • Le disattenzioni, le sviste, gli scambi di pa-

zienti o di farmaci, • la carenza di conoscenze, gli errori di cal-

colo del dosaggio, • la routinarietà dei compiti che determinano

un calo della vigilanza nell’esecuzione dei com-piti più frequenti e consolidate dall’esperienza.

Fattori riferibili al sistema organizzativo • La mancanza di protocolli e procedure rela-

tive alle fasi di prescrizione, trascrizione, distri-buzione, allestimento, somministrazione;

• L’elevato numero di pazienti e farmaci per singolo paziente;

• L’indicazione non chiara del dosaggio; • Prescrizioni manoscritte e poco leggibili; • Ordini verbali; • Trascrizioni inesatte; • Impiego di abbreviazioni inappropriate nel-

le prescrizioni.

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Come è possibile notare, i problemi emersi ri-sultano assolutamente in linea con i risultati di altre ricerche e le cause maggiormente segna-late, sono in gran parte sovrapponibili ai dati rilevabili in letteratura. Questa constatazione ci conforta, se vogliamo accontentarci della af-fermazione che “mal comune è mezzo gaudio” ma non può lasciarci indifferenti e, tantomeno, inattivi. CONCLUSIONE DEL PROGETTORaccolti i dati e predisposta la stesura dei re-ports, ho ritenuto importante indire una riunio-ne con i colleghi dell’Uffi cio infermieristico che avevano collaborato all’organizzazione degli incontri e con i coordinatori dei reparti, al fi ne di comunicare i risultati del questionario e defi nire le azioni da intraprendere. Da questa riunione è emersa la necessità di programmare degli in-

Confronto con la letteratura

Strategie generali • La cultura del rischio “il più grande

cambiamento è quello di convincere tutti gli operatori ospedalieri che gli er-rori sono un problema del sistema e non delle persone” L. Leape (Harvard School of Public Health)

• la formazione continua al fi ne di in-trodurre e mantenere la cultura della sicurezza, migliorare e aggiornare le compe-tenze relative al trattamento farmacologico e alla sua gestione;

• la valutazione dei carichi di lavoro af-fi nchè il personale sia adeguato nu-mericamente e qualitativamente, che sia ben distribuito nell’arco della gior-nata e che il rapporto fra il fl usso dei degenti sia commisurata all’intensità assistenziale e alle attività realizate;

• La creazione di ambienti adatti per lo svolgimento del lavoro: assenza di ru-mori disturbanti, confusione, frequen-ti interruzioni, clima organizzativo e aspetti strutturali e logistici presenti nel contesto lavorativo;

• L’Identifi cazione degli errori più fre-quenti e più gravi attraverso sistemi di segnalazione spontanea (scheda in-cident reporting, audit clinico, riunioni multi-disciplinari).

Strategie relative all’organizzazione • Elaborazione di protocolli, procedu-

re e liste di controllo relative alle fasi di maggior rischio (prescrizione, tra-scrizione, distribuzione, allestimento, somministra¬zione);

• Predisposizione di sistemi di monito-raggio e tracciabilità del farmaco;

• Elaborazione di procedure per la ge-stione di farmaci;

• Standardizzazione degli elenchi delle abbreviazioni in uso;

• Monitoraggio della corretta conserva-zione dei farmaci e delle scadenze;

• Controllo della giusta conservazione di soluzioni concentrate (raccomanda-zione n.1 Min.Salute)

Strategie nella gestione diretta della terapia

• Scheda unica di terapia e, se possibi-le, un sistema di prescrizione informa-tizzata;

• Corretta rilevazione e registrazione di allergie e intolleranze del paziente ad alcune tipologie di farmaci;

• diffusione di tutte le informazioni di-sponibili

a. farmaci compresi nel PTO (indicazioni terapeutiche, effetti collaterali, intera-zioni con altri farmaci, reazioni avver-se, ecc.)

b. la lista dei farmaci ad alto rischio

c. la diluizione dei farmaci, la loro asso-ciabilità e le norme di conservazione dopo la ricostituzione.

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contri di formazione rivolti a tutto il personale coinvolto nell’indagine. Si è pertanto proceduto alla program-ma-zione di quattro giornate di formazione della durata di cinque ore ciascuna, per un numero approssimativo di 30 partecipanti per giornata. Il programma di formazione è stato stilato sulla base dei seguenti obiettivi:

� Far emergere gli elementi più rilevanti dell’indagine e mettere a confronto i risultati con i dati nazionali ed internazionali per evidenziare corrispondenze e diversità;

� allentare la naturale reticenza nell’affronta-re un argomento tanto delicato quanto spi-noso;

� Analizzare (a larghe linee) i contenuti delle Raccomandazioni del Ministero della Salu-te (n.1, 7, 12) inerenti le misure di preven-zione degli errori di terapia farmacologica, fornendo una copia a tutti coloro che non ne fossero ancora in possesso.

L’incontro è stato attivo, vivace partecipato, l’interscambio di esperienze, nonostante il tem-po limitato, ha dato prova tangibile dell’interes-se suscitato dall’argomento. Come spesso accade in questi incontri, sono emerse numerose polemiche sulle scel-te strategiche dell’Alta Dirigenza e molte criti-che sulle carenze del sistema di gestione del personale. E’ stato infatti affermato che i livelli minimi di sicurezza, a tutela del paziente e del personale stesso, sono continuamente messi in forse dalla carenza cronica di infermieri e di personale di supporto e da un ineffi cace siste-ma di sostituzione delle assenze. Ma sono emerse anche interessanti pro-poste di miglioramento che hanno confermato e rafforzato le risposte già emerse nei questio-nari. In particolare è stata sottolineata l’impor-tanza di migliorare la comunicazione e la colla-borazione all’interno dell’èquipe, di revisionare la documentazione esistente e di potenziare gli strumenti di standardizzazione dell’assistenza. Unanime, infi ne, l’opinione che bisogna attiva-re più incontri e fare più formazione, preferibil-mente sul campo.

BIBLIOGRAFIA

Marcon G, Barbiero E. Terapia farmacologica, rischi, errori e danni, SEED 2007.

American Society of Hospital Pharmacy Guidelines Linee Guida su “Preventing Medi-cation Errors in Hospitals” 1993;

Ministero della Salute Risk management in Sanità. Il problema degli errori, Commissione tecnica sul rischio Clinico Marzo 2004;

Regione Emilia Romagna Procedura regiona-le per la gestione clinica dei farmaci, marzo 2006;

Tartaglia R., Tomassini C.R., Abrami V.,Turco L., Nerattini M., L’ap proccio sistemico ecognitivo all’errore umano in medicina,Rivista Diritto Professioni Sanitarie 2002.Vettore L.V., La ricerca delle cause e deiRimedi dell’errore in medicina, Bollettino diInformazione sui farmaci AIFA XIV n. 3 2007.

AIFA – Ministero della Salute L’erroreQuando umano e quando diabolico, BollettinoItaliano sui Farmaci (BIF) ANNO XII N. 4 2005

Vincent C., Taylor-Adams S., Stanhope N.,Una cornice di riferimento per l’analisi deirischi e della sicurezza nella medicina clinica,titolo originale “Framework for analysing riskand safety in clinical medicine” BMJ 1998.

Marcon G, Materiale didattico. Corso“ClinicalRisk Management Prevenzione degli errori edanni Ottobre-dicembre 2002, AUSL Cesena

Sitografi aguidausofarmaci.itwww.agenziafarmaco.itwww.gimbe.orgwww.ipasvi.itwww.ministerosalute.it

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Studenti del Master in “Management Infermie-ristico per le funzioni di coordinamento” del-la sede di Taranto in visita, per una giornata di studio, all’UDI dell’Ospedale Distrettuale di Palombara Sabina, struttura a vocazione mul-tifunzionale e a gestione multi professionale, espressione delle nuove forme assistenziali per fornire risposte alle domande di salute di ti-pologie pre- defi nite di utenti, ma, anche, come alternativa alla ospedalizzazione “impropria”. Ce ne parla ANNA MALATESTA, Infermiera coordinatrice dell’Unità di Degenza Infermieri-stica.

Come e quando nasce la Casa della Salute sul territorio di Palombara Sabina? La Casa della Salute sul territorio di Palomba-ra Sabina nasce nel 2007 proprio come una delle risposte effi caci al Piano di Rientro Sani-tario dettato dalla Regione Lazio

Finalità?La fi nalità è quella di promuovere e proteg-gere la salute della popolazione e alleviare le sofferenze dettate dalla incidenza delle ma-lattie cronico-degenerative. All’interno della Casa della Salute nel 18 febbraio 2008 nasce l’U.D.I. (unità di degenza a gestione infermie-ristica), con la fi nalità di presa in carico della persona che necessita di assistenza infermie-ristica eleva intensità. L’utente che può essere ricoverato in UDI presenta un elevato bisogno assistenziale, stabilità clinica e diagnostica e non presenta acuzie cliniche.

Quale il tipo di utenza?L’utenza è rappresentato in prevalenza da per-sone fragili con problematiche assistenziali di medio-alta intensità, con patologie cronico-de-generative in labile compenso.Ciò non toglie che afferiscono alla nostra real-tà anche persone giovani con problematiche sociali, con necessità di inserimento nella rete

dei servizi socio-sanitari, o aventi la necessità di essere sottoposte a terapie multiple e com-plesse in sorv. inf., medicazioni e quant’altro.In questi anni abbiamo trattato in media 175 pazienti l’anno.

Criteri di accesso? Gli utenti possono essere inviaTI DA QUAL-SIASI medico del SSN del Territorio di riferimento; nel caso la proposta di ricovero venga compilata da una struttura ospedaliera, il paziente, dopo la valutazione UVM, deve es-sere comunque dimesso. (il progetto in tutte le sue articolazioni organizzative è consultabile sul sito della asl roma g, cercando la delibera del 18.02.2008).

La gestione della Casa della Salute a chi è demandata?Il responsabile della Casa Della Salute è il Di-rettore Sanitario, Dottssa Piera Lippi, mentre la responsabile dell’UDI è la Dottssa Luigia Carbo-ni, Infermiera Dirigente; la gestione organizza-tiva dell’UDI è affi data, in collaborazione con la responsabile, all’Infermiere Coordinatore Anna Malatesta

Quale l’appeal di questo tipo di struttura? L’appeal di questa nostra realtà è determinata da professionalità, presa in carico anticipata, conti-nuità delle cure, rafforzamento della capacità di assistenza della famiglia, personalizzazione dell’assistenza.

Un quadro della situazione organizzativo-economica e fi nanziaria... L’organizzazione economica e fi nanziaria dell’UDI viene gestita con il budget della ASL, in attesa di defi nizione con la regione Lazio dei fl ussi.La Casa della Salute sul territorio di Palom-bara Sabina nasce nel 2007 con la fi nalità di promuovere e proteggere la salute del-

La casa della salute:Alternativa all’ospedale

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la popolazione e alleviare le sofferenze det-tate dalla incidenza delle malattie cronico-degenerative.L’UDI (unità di degenza a gestione infermieristi-ca) nasce il 18 febbraio 2008 con la fi nalità di presa in carico della persona che necessita di assistenza infermieristica ad elevata intensità. L’utente che può essere ricoverato in UDI pre-senta un elevato bisogno assistenziale, stabili-tà clinica e diagnostica e non presenta acuzie cliniche, può essere inviato DA QUALSIASI medico del SSN del Territorio di riferimento; nel caso la proposta di ricovero venga compi-lata da una struttura ospedaliera, il paziente, dopo la valutazione UVM, deve essere comun-que dimesso. Il progetto in tutte le sue articola-zioni organizzative è consultabile sul sito della asl roma cercando la delibera del 18.02.2008.L’utenza è rappresentata in prevalenza da per-sone fragili con problematiche assistenziali di medio-alta intensità, con patologie cronico-de-generative in labile compenso. Ciò non toglie che afferiscono alla nostra realtà anche per-sone giovani con problematiche sociali, con necessità di inserimento nella rete dei servizi

socio-sanitari, o aventi la necessità di essere sottoposte a terapie multiple e complesse in sorv. inf., medicazioni e quant’altro.

Chi è il responsabile?Il responsabile della Casa Della Salute è il Di-rettore Sanitario Dssa Piera Lippi, mentre la responsabile dell’UDI è la Dssa Carboni. La gestione organizzativa dell’UDI è affi data in collaborazione con il responsabile all’Infermie-re Coordinatore Anna Malatesta.

Quanti i pazienti trattati?In questi anni abbiamo trattato in media 175 pazienti l’anno.

Quale l’appeal?L’appeal di questa nostra realtà è determinata da professionalità, presa in carico anticipata, continuità delle cure, rafforzamento della ca-pacità di assistenza della famiglia, personaliz-zazione dell’assistenza. L’organizzazione eco-nomica e fi nanziaria dell’UDI viene gestita con il budget della ASL, in attesa di defi nizione con la regione Lazio dei fl ussi.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”“MANAGEMENT INFERMIERISTICO

PER LE FUNZIONI DI COORDINAMENTO”AA.2010/2011-14 MARZO 2012 SEDE DI TARANTO

ELENCO DEGLI INFERMIERI CHE HANNO CONSEGUITO LA SPECIALIZZAZIONE:

1) CAFORIO GIULIA

2) CALABRESE LUCIA

3) CARRERA ANGELA

4) CASO CLARA

5) GAUDIANO BRUNA

6) GIANNINI MARIAROSARIA

7) GRAVINA ANNIBALE

8) INTINI SARA

9) LIGORIO CARMELA CATERINA

10) LINSALATA GIUSEPPE

11) MANISI CLAUDIA

12) MAPPA PAMELA

13) MARTELLOTTO CARMEN

14) MENDACE GIUSEPPINA

15) PERRONE ANNA MARIA

16) PICCI GILDA

17) POSA EUSTACHIO

18) ROLLO VANESSA

19) RUCCI VITA

20) SASSO MARIA

21) STEA GUERINO

22) VERDANO ANNA MARILINA

23) VOLPE PIERPAOLO

24) ZACCARIA MARIASSUNTA

25) ZIBILLO GIANFRANCO

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La visita fi scale è un accertamento predispo-sto dal datore di lavoro o dall’INPS sull’ef-

fettivo stato di malattia del dipendente che si assenta dal proprio luogo di lavoro.Durante queste fasce orarie il lavoratore ha l’obbligo della reperibilità nel suo domicilio. L’obbligo di reperibilità sussiste anche nei gior-ni non lavorativi e festivi. Da tale obbligo sono esclusi i dipendenti la cui assenza dal lavoro deriva da patologie gravi che richiedono tera-pie salvavita, da infortuni sul lavoro, da malattie per le quali è riconosciuta la causa di servizio e dagli stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta. Nel 2008 il decreto legislativo 112/2008, il fa-migerato decreto Brunetta, aveva modifi cato l›orario di reperibilità dei lavoratori pubblici, ai fi ni del controllo da parte del medico fi sca-le, a 7 giorni su 7 dalle 8:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 20:00. Tale norma è stata abroga-ta con il decreto 78/2009 su notevoli pressioni delle organizzazioni sindacali interconfederali, facendo tornare l›orario di reperibilità dei lavo-ratori pubblici dalle ore 10.00-12:00 e dalle ore 17:00-19:00. Nel 2009 l›orario di reperibilità dei lavoratori pubblici è stato nuovamente modifi cato con il DPCM 206. L’orario delle visite fi scali per i lavoratori della pubblica amministrazione in malattia è discipli-nato ad oggi dal DPCM 206 del 2009 che indi-vidua le fasce orarie di reperibilità dei pubblici dipendenti in caso di malattia dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18.Il Dpcm n. 206/2009 ha stabilito “l’obbligo per il personale dipendente da pubbliche amministra-zioni assente per malattia di rendersi reperibile per il controllo fi scale dalle ore 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 per tutto il periodo dell’assenza, com-prese le giornate festive e non lavorative. Sono esclusi dall’obbligo di rispettare le suddette fa-sce – ha precisato l’Inps nel msg. n. 3221/2010- i dipendenti per i quali lo stato di malattia è ri-

Dott. Pierpaolo Volpe

Inf. Centro Diurno EPASSS - Grottaglie (TA)

IL LAVORATORE E LA VISITA FISCALE

conducibile ad una delle sottoelencate ipotesi:

1. patologie gravi che richiedono terapie salvavita;

2. infortuni sul lavoro;

3. malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio;

4. stati patologici sottesi o connessi ad una situazione di invalidità.

Il decreto 206 del 2009 specifi ca quindi nel secondo comma dell›articolo 2 l›esclusione dall›obbligo della reperibilità per i dipendenti presso i quali è stata già effettuata una visita fi -scale da parte del medico dell’INPS nel periodo di prognosi indicato nel certifi cato.Prima dell’emanazione di questo decreto, una sentenza della Corte di Cassazione, la 1942/90 del 2008 aveva stabilito la “piena facoltà del la-voratore assente per malattia di poter disporre liberamente del proprio diritto alla locomozio-ne” dopo essere stato sottoposto a controllo da parte del medico dell’INPS a patto però di non determinare un aggravamento del suo qua-dro patologico “sentenza della Corte dei Conti n.21/2008 del 21 aprile 2008, sezione giurisdi-zionale per la regione Trentino Alto-Adige” de-terminando un danno erariale.La sentenza 1942/90 della Cassazione inter-preta come “vessatoria” la richiesta continua, da parte del datore di lavoro, di ripetute visite fi scali.Per i lavoratori del settore privato l’orario di reperibilità, così come specifi cato dall’INPS, è dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19.

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CONSIDERAZIONI“L’USA E GETTA” DELLA ASL TARANTO

OGGETTO: Funzioni di coordinamento“… con decorrenza immediata sono revocate tutte le eventuali disposizioni di nomina di referenti delle stesse UU. OO. ed è fatto divieto di individuarne di nuovi”.

La Puglia è la Regione in cui i maschi hanno il cuore “più sano”, infatti la mortalità maschile

per malattie ischemiche del cuore (12,38 de-cessi per 10.000 maschi) è la più bassa in Italia (valore medio nazionale 14,75); è basso anche il dato femminile, 7,75 (valore medio nazionale 8,22).Ma in negativo la Puglia si distingue come re-gione “meno trasparente” su accessibilità onli-ne delle liste d’attesa per le prestazioni erogate da Asl regionali: quest’anno il Rapporto pren-de infatti in esame la trasparenza di ASL e AO

Dal Rapporto Osservasalute del Policlinico Gemellila performance in salute della regione Puglia

PUGLIA: LA REGIONE COI MASCHI DAL CUORE “PIÙ SANO”. MA È LA REGIONE DALLE ASL MENO

TRASPARENTI SU LISTE D’ATTESAper quanto riguarda le liste d’attesa per le va-rie prestazioni erogate, trasparenza valutata in base al numero di ASL e AO che pubblicano online dette liste: in Puglia solo il 14% delle ASL – percentuale minore in Italia (1 Asl su 7) utilizza il web per rendere accessibile il dato ai cittadini (dato 2011; +6% dal 2005) contro un valore medio italiano del 57%.Infi ne delle due Aziende ospedaliere presente attualmente nessuna pubblica tali dati online (dato medio nazionale 44% delle AO

E’ questa la sintesi di un ordine di servizio della Direzione Generale Asl Ta che, con un colpo di spugna, azzera nomine in funzioni di coordinamento date in precedenza secondo criteri, allora non condivisi, che non riteniamo di discutere, perché non rilevanti. Di rilevante, invece, c’è “ l’usa e getta” di quei professionisti che, senza colpa alcuna, sono stati dapprima nominati, suscitando animosità nei colleghi rimasti “in prima linea” e perché,venendo il turno depauperato, risultava un aggravio di lavoro per gli esclusi e perché tra gli esclusi c’erano infermieri con i titoli per il ruolo.

Oggi, a distanza di alcuni anni, la rottamazione dei nominati con il rientro nei turni!Bene, colleghi, un’impennata di orgoglio: torniamo nei reparti, torniamo nei turni però evitiamo di farci strumentalizzare, continuando il lavoro di coordinamento senza apparire e senza riconoscimenti.Approfi ttiamo di questa rottamazione per far risaltare l’impegno profuso negli anni di “nomina dei ruoli di coordinamento e/o altro incarico con mansioni superiori” e senza indennità aggiuntive.

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Diario di una dottoressacon la padella

Dott.ssa Natalina Segoloni

Inf. Presidio Ospedaliero “Valle d’Itria” - Martina Franca (TA)

tze tze... ah ah ah ah”Nel Regno Unito la casta (i medici) hanno chiesto tramite le loro rappresentanze di non essere più chiamati in corsia “Dottore”, ma con il proprio cognome.È, infatti, una cosa giusta: dottore è l’architetto, l’ingegnere, il commercialista, l’infermiere, ecc. ecc.La casta era davanti ad un baratro che la ob-bligava a dare un titolo (dott.) al personale che ruotava nell’équipe, così... zac, si toglie ‘sto ti-tolo in corsia e nessuno si accorge che le infer-miere sono dottoresse.Eh, diario mio, ci lamentiamo dell’Italia, ma, quando c’è da tenersi le tasche posteriori dei pantaloni sulla poltrona d’onore, ovunque vai il mondo è paese.Immagini le infermiere inglesi a preparare il the alla mente al medico durante la veglia nottur-na? Un po’ come il nostro caffé. A proposito di caffé, da quando ho cambiato reparto, succe-dono delle cose strane intorno a questo caffé, anzi devo dire all’IPASVI di aprire un’indagine su ‘sta cosa. Allora, le infermiere del mio nuo-vo reparto non preparano in caffettino nella cu-cinetta, sai con moka, tazzina e tutto il resto. Essendo una specie di trincea, giustamente si ha a malapena il tempo di allontanarsi in modo “ordinato, programmato e mai in massa”, per cui ci serviamo di quelle macchinette automa-tiche che con la modica cifra di 40 centesimi ti fa un caffé rapido a prova di campanello. Oh, io sono rimasta qualche settimana a non dormirci la notte: com’è che davanti a quelle macchinet-te non vedi nemmeno un medico? Forse noi infermiere stiamo perdendo il fascino di buona compagnia davanti ad una pausa caffé nottur-na oppure...? No, no, non ti permettere di farmi scrivere queste cattiverie, per 40 centesimi do-vrebbero scappare come tordi allo sparo di un fucile? Ma dai, parliamo di dottori!

Caro diario,forse stavolta ho davvero esagerato.Pro-

porre alla Presidente di titolarmi come dotto-ressa in pubblica stampa,genererà una specie di insulto alle caste e qualche infermiere entre-rà in crisi di indentità .Ma ti ricordi quando arrivarono i primi Dirigenti dell’Area Infermieristica? Oddio che ridere! A quei tempi avevo un primario che proibiva alle infermiere di consultare la cartella clinica se non per verifi care la terapia. Mi ricordo tutti i medici in circolo, l’ausiliaria che rimestava il caffé e le infermiere che si preoccupavano di fornire lenzuola fresche alla stanza del medico di guardia. Questo, ad un certo punto, parlando del neo direttore infermieristico, bofonchiava - “Ma vi rendete conto, quello era un infermiere! Un infermiere! E mi si presenta dicendo: «Pia-cere sono il dottor tal dei tali» Dottore? Dottore, na risa!”Io, con la mia solita linguaccia che non sta mai ferma, risposi: - Oh dottore, ci sono dei medi-ci che durante gli studi arrotondavano facendo le baby sitter, avvocati che arrotondavano fa-cendo i lavapiatti, qualcuno non ha il diritto di arrotondare facendo l’infermiere per pagarsi gli studi in Scienze Infermieristiche? Anzi, per dirla tutta, siamo tutti dottori noi infermieri avendo studiato e dato degli esami in sede universita-ria, qualcuno, sa, ha anche conseguito dei ma-ster! -Uah uah, allora scusami, dottoressa Segolo-ni, la prossima volta la chiamerò con il dovuto titolo -A lasciarmi stupita non è tanto il risolino del mio primario, che, essendo uno al quale avevano tolto il primariato aveva ragione a “rosicare”, quanto le colleghe che, mentre mettevano il cioccolatino ed il bigliettino “sogni d’oro pupo bello” nella stanza del medico di guardia, am-miccavano fra loro sussurrando “dottoressa...

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DA INinfermieriIN.it il network infermieristico

L’ospedale Santa Maria di Terni ha stabilito un regolamento per il conteggio in busta paga di 20 minuti in più al giorno, per indossare la divisa. Il nosocomio che ha recepito una sentenza emanata pochi mesi fa dal tribunale del lavoro di Orvieto e che nel mondo della sanità sta facendo discutere.

Il tribunale, infatti, ha dato ragione a 2.500 infermieri degli ospedali di Perugia, Orvieto, Narni, Amelia, Todi, Foligno e Terni che nel 2008 avevano presentato ricorso contro le rispettive Asl denunciando che non veniva pagato loro il tempo del “cambio del camice”. Quattro anni dopo è arrivato il pronunciamento che, adesso, per le casse della sanità umbra suona come una mazzata. Il giudice Gianluca Forlani ha stabilito che i ricorrenti in questione hanno diritto a un risarcimento di 4.000 euro ciascuno.

Cosi da questo mese, i dipendenti dell’ospedale di Terni avranno un aumento di 650 euro l’anno in più. Scrive il giudice: “L’ente (la Asl, ndr) che si oppone al ricorso sostiene l’infondatezza della domanda sostenendo che le divise adottate possono essere indossate in tre o cinque minuti”. Invece, prosegue il magistrato, “si deve tener conto del tempo necessario per raggiungere gli spogliatoi”. E ancora “l’espressione lavoro effettivo deve essere inteso come sinonimo di prestazione lavorativa comprendendovi anche i periodi di mera attesa e l’elemento caratterizzante è la messa a disposizione delle energie psicofi siche del lavoratore a favore del proprio datore”. E così “l’atto di indossare la divisa, antecedente all’inizio della prestazione, deve essere inquadrato non tra le pause bensì tra le attività preparatorie relative all’igiene della persona”, specie, specifi ca il giudice, nel contesto di un ospedale.

Ed è per questo che “l’atto di vestizione in tale condizioni costituisce lavoro effettivo e dà diritto a retribuzione”.

LAVORO SUBORDINATO.TEMPO DI LAVORO.

OBBLIGO DEL DATORE DI LAVORO DI FAR CONOSCERE I TURNI DI SERVIZIO CON RAGIONEVOLE

PREAVVISO.VIOLAZIONE. DANNO ALLA VITA DI RELAZIONE DEL LAVORATORE.

In controversia relativa a fattispecie in cui i dipendenti a tempo pieno di una societa’ di pubblici servizi avevano lamentato di essere messi a conoscenza dei turni di servizio senza adeguato anticipo rispetto al giorno di svolgimento della prestazione lavorativa, chiedendo il risarcimento del danno alla vita di relazione derivato da tale situazione, la S.C. ha affermato che, anche nei rapporti a tempo pieno, il tempo libero ha una sua specifi ca importanza, stante il rilievo sociale che assume lo svolgimento da parte del lavoratore di attivita’ extralavorative (o relative a un secondo lavoro, ove non sia prevista esclusiva), sicché l’obbligo datoriale di affi ssione in luoghi accessibili dei turni di servizio di cui all’art. 10 della legge n. 138 del 1958 dev’essere inteso come diretto a consentire al lavoratore di conoscere in via anticipata, in un termine ragionevole, i propri impegni lavorativi, al fi ne di una programmazione del proprio tempo libero.

(Sentenza Cassazione, sezione lavoro, 21 maggio 2008, n. 12962)IPASVI-TURNAZIONE

IL TEMPO DI VESTIZIONEÈ ORARIO DI LAVORO?

INFORMUTILIa cura di Elena De Santis

Inf. D.H.Oncologia P.O. “Giannuzzi” - Manduria (TA)

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7-13 febbraio 2012Sono 7.700 le minori immigrate esposte al ri-schio di subire Io rimozione dei genitali

Bimbe mutilate, Italia a rischio. Grave impatto sulla salute.- Il dossier della Fondazione «L’albe-ro della vita»

E, altra faccia della globalizzazione, quella che abbatte le frontiere per merci e persone ma non per i diritti. Le vittime principali sono le donne, in particolare le bambine immigrate a rischio di mutilazioni genitali. Piccole persone indife-se che pur vivendo in Paesi avanzati restano imprigionate in sacche di arretratezza, isolate nell’inferno di una tradizione violenta e diffi cile da estirpare. In Italia sono oltre 7.700. La stima è della Fondazione «L’albero della vita Onlus», che ha recentemente pubblicato un dossier sulle mutilazioni genitali femminili: «il diritto di essere bambine». Le bambine di età inferiore a 10 anni rappresentano il gruppo più espo-sto (67%). L’Oms classifi ca le complicazioni a breve, medio e lungo termine. Le complica-zioni a breve termine sono legate soprattutto allo shock causato dall’intervento e vanno dal-lo shock emorragico (le perdite ematiche sono cospicue) a quello neurogenico (provocato dal dolore e dal trauma), all’infezione generaliz-zata (sepsi). Per tutte le minori, l’evento è un grave trauma: molte bambine entrano in uno stato di shock a causa dell’intenso dolore e del pianto irrefrenabile che segue. Le complicanze a medio termine, invece, riguardano soprattut-to patologie infi ammatorie del tratto vagina-le e urinario e anemia o malnutrizione, legate alla diffi coltà di un’alimentazione normale per trauma, timore e diffi coltà nell’espletamento dei bisogni fi siologici. Le conseguenze a lun-

go termine possono essere forti dolori nelle mestruazioni e nei rapporti sessuali, maggiore vulnerabilità all’infezione da Hiv, epatite e altre malattie veicolate dal sangue, infertilità, incon-tinenza, maggiore rischio di mortalità materna per travaglio chiuso o emorragia al momento da parto. Le complicazioni di tipo fi sico (inconti-nenza fecale o urina- Ha in seguito a prolasso, fi stole, infezioni, lacerazioni da sesso anale o da parto) possono inoltre determinare il ripudio da parte del coniuge e l’ostracismo della comu-nità, fi no a spingere le donne al suicidio.

Di Rosanna Magnano7-13 febbraio 2012L’esperienza Del Progetto «Tavi» All’irccs Mon-zino

Tra tecnologia ed etica: dove va la cardiochirurgia

La notizia dell operazione al cuore a Cassa-no. un intervento mininvasivo effettuato il no-vembre scorso in anestesia locale, ha fatto in fretta il giro del mondo, grazie a Internet, twit-ter e facebook. La fama del calciatore, la gio-vane età, la malattia cardiaca e l’ansia per le sue condizioni cliniche hanno fatto ombra alla straordinarietà della tecnica cardiochirurgica usata: l’intervento è stato fatto a paziente sve-glio in una manciata di minuti. Solo sessant’ anni fa questa realtà quotidiana avrebbe po-tuto far parte, a buon diritto, delle allucinazio-ni fantastiche di Giulio Veme. Eppure oggi un certo tipo di interventi al cuore per riparazione di difetti congeniti, per cardiopatia ischemica. per difetto valvolare e altro ancora possono essere fatti senza l’uso della circolazione ex-tracorporea, a cuore e torace chiuso. Questo il risultato di cinquant’aimi di studi in cardiochi-rurgia, volti a migliorare la tecnica per ridurne il rischio operatorio.

Chirurgo vascolare Responsabile progetto TAVI - Centro cardiologico Monzino

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7-13 febbraio 2012Nel Rapporto Smith Kline i primi risultati dell’in-dagine sull’attività di 23 Dipartimenti pilota

Prevenzione, fame con le risor-se. Le criticità fi nanziamenti, per-sonale e organizzazione ancora poco chiara

Tante parole e pochi fatti. La prevenzione in Ita-lia resta ancora al palo: risorse economiche col contagocce (non c’è nessuna Regione che rag-giunga la quota minima del 5% della spesa sa-nitaria), personale anziano e a basso tum over, organizzazione fai-da-te e scarsa ‘isibilità. 11 Rapporto Prevenzione 2011 della Fondazione Smith K]ine parla chiaro: i dipartimenti sono la cenerentola del Servizio sanitario nazionale. Basta leggere i primi risultati dell’indagine su 23 stmtture pilota (il 13,5% dei 173 dipartimenti italiani) condotta dall’Osservatorio italiano sulla prevenzione, lanciato nel 2010 dalla Fondazio-ne e dalla Società italiana di igiene (Siti). Un bilancio preliminare e ancora provvisorio, ma da cui emerge con chiarezza l’identikit di un dipartimento gravato da più di una debolezza In media, ogni centro è insento in una Asl con un Dg in carica da meno due anni e diretto da un medico igienista in carica da almeno sette anni; perlopiù privo di certifi cazione di qualità, è impegnato iii molti progetti - circa dieci - e at-tua molti interventi (31), perlopiù rivolti a gnippi non numerosissimi di popolazione. Decisa-mente più drammatico il capitolo fondi. «A fron-te di compiti che aumentano - denunciano gli esperti - diminuiscono gravemente le risorse, e in particolare quella più cruciale, ossia il per-sonale; che è segnalato come di età avanzata e a basso mm over». Il buon funzionamento dei servizi è dunque lasciato alla capacità e alla dedizione degli operatori. Perché i fi nan-ziamenti sono totalmente insuffi cienti ad affron-tare le grandi sfi de epidemiologiche di questo secolo: dalla cronicità alla non autosuffi cienza fi no alla genomica e alla medicina predittiva (si veda box). Pure la formazione è in sofferenza, proprio per l’assenza di tinanziamenti adeguati. Terzo aspetto critico, l’organizzazione. Man-ca una formale individuazione dei compiti; gli

interventi sono franimentati tra referenti diver-si, le competenze confl ise; i protocolli pochi e scarsamente condivisi. Se a tutto ciò si aggiun-ge il disorientamento legato al «vorticoso» tum over nella dirigenza gestionale e politica delle Asl, appare chiaro quanto siano aulue una pia-nifi cazione e una valutazione delle attività (fon-data su dati di salute, di gradimento, su audit e best practice).Barbara Gobbi Rosanna Magnano Manuela Perrone

7-13 febbraio 2012LIBERALIZZAZIONI/ Aperture in vista sul quo-rum - Le Regioni: un anno per la pianto orga-nica.

Farmacie caccia al tetto unico Federfarma sostenibili fi no a tre-mila aperture - Sempre guerra sui generici

Massimo tremila farmacie in più e un tetto unico con quorum a 3.500 abitanti, per una rete tara-ta sul rapporto di un presidio ogni 2800 cittadi-ni. E attorno a questa linea del Piave che dalla settimana scorsa i vertici Federfarma stanno cercando di accogliere consensi tra Governo e Parlamento, probabilmente con più d’una speranza di successo, visto che lo stesso mi-nistro della Salute, Renato Balduzzi, incontrato mercoledì scorso dai rappresentanti della cate-goria, si è detto possibilista su «aggiustamenti ragionevoli che consentano di mantenere l’o-biettivo di dare respiro al settore». Stesse aper-ture tra i membri della Commissione Industria del Senato, dove fi no a giovedi approderanno le richieste di modifi ca al DL. Sara Todaro

14-20 febbraio 2012

“Il patto solo se c’è confronto”

“Se un Patto deve essere, perché lo sia dav-vero dovete ascoltare anche noi che la Sanità la viviamo tutti i giorni sul campo”. Questa la

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richiesta corale dei rappresentanti di tutte le ca-tegorie del SSN per il nuovo Patto per la salute 2013-2015. E mentre le regioni sono pronte a sedersi al tavolo per mettere in fi la i contenu-ti del nuovo patto- in cui comunque dovranno trovare i meccanismi per contenere 8 miliardi di spesa, come prescritto dalla legge 111/2011- il ministro Renato Balduzzi dà indicazioni ag-giuntive rispetto all’indice su cui i governatori stanno lavorando. E afferma “…stiamo condi-videndo con le Regioni, ci sarà lo spazio per un piano nazionale per le fragilità e la non autosuffi cienza, al cui interno la domanda di ri-sorse economiche spero potrà trovare e troverà un’adeguata risposta”. La strada, secondo Bal-duzzi, sarebbe quella del consolidamento dei budget regionali, la ristrutturazione delle cure primarie e della residenzialità a diversi gradi, oltre che azioni nazionali come la messa a pun-to di un nuovo metodo per valutare le disabilità.A cura di Redazione Sanità

14-20 febbraio 2012

Lea, ancora troppo ospedale

Vale il 47% della spesa- Piemonte, Veneto, Emilia e Toscana in regola

La strada verso la deospedalizzazione del SSN procede ancora a rilento. A riferirlo è il “rapporto nazionale di monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza” per gli anni 2007/209 pubblicato nei giorni scorsi dal ministero della salute. Lo sbilanciamento della spesa verso l’ospedale si fa ovviamente sentire sulle altre due grandi voci dell’assistenza: prevenzione e territorio

pagine a cura di M. Bartoloni, P. Del Bufalo

14-20 febbraio 2012

Le “Ombre” della relazione del-la commissione errori secondo il neonatologo ACP

Punti nascita: non è solo questioni di dimen-

sioni. I risultati della relazione sui punti nascita della commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, presentati nel dicembre scorso e ripresi negli articoli del Sole-24 Ore Sanità del 10-16 gennaio 2012, rispecchiano una realtà drammatica e in buo-na parte già nota agli addetti ai lavori. Sulla base del numero dei parti/ mese, del nume-ro di posti letto accreditati, dei medici e del-le ostetriche in organico, i punti nascita sono stati classifi cati in tre categorie: A, B e C. La categoriaA comprende le unità relativamen-te più piccole, quella B le unità di dimensioni mediograndi, e la C i presìdi maggiori. È stato segnalato, infatti, che su 92 punti nascita for-niti di terapia intensiva neonatale (Tin), ben 74 (l’80%!) sono ubicati in centri classifi cati nelle categorie A e B; nel testo questo dato è stato defi nito solo «strano». Pur tenendo conto che in parte il risultato si spiega col fatto che la metà delle strutture accreditate come III livello (un criterio adoperato per defi nire i centri dove è possibile praticare cure intensive neonatali) appartiene alla categoria B, ciò che non viene sottolineato adeguatamente è che i reparti di Tin non devono essere allocati negli ospedali piccoli e inadeguati per disponibilità di perso-nale e risorse. Analogamente ai risultati della relazione riguardanti dimensione e distribu-zione dei punti nascita, una recente indagine cui ha aderito l’85% dei centri di neonatologia italiani ha dimostratoche anche di reparti Tin ce ne sono, mediamente e rapportati ai volu-mi di attività, più al Sud che al Nord. Ma, a parità di volume di attività, nelle Tin del Sud la mortalità dei neonati altamente pretermine (cioè nati prima di 32 settimane compiute di gestazione) è circa 1,7 volte più alta di quella del Nord. Ne deriva che l’attenzione non va focalizzata solo sulle dimensioni dei centri, in quanto la soppressione e l’accorpamento di quelli piccoli potrebbe portare a un risparmio di spesa, senza però migliorare l’effi cacia e la qualità dell’assistenza.

Carlo Corchia Neonatologo Responsabile del gruppodi lavoro di neonatologia emembro del Comitato dir. naz.dell’Associazione culturale pediatri (Acp

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CIAO, PIETRO Improvvisamente, all’età di 48 anni, è venuto a mancare Pietro Bianco, infermiere che prestava la sua opera all’interno dell’U.O. di Malattie Infettive dell’ospedale “Moscati”. I colleghi lo ricordano con grande simpatia e commozione per alcune peculiarità del suo carattere, pronto ad infi ammarsi ed a spegnersi con altrettanta velocità. Ciao, Pietro,sarai sempre con noi.

Gli Infermieri dell’U.O.

1. "La parola a noi" pubblica - previa approvazione del Comitato di Redazione - ar-ticoli inerenti la professione infermieristica, la formazio-ne, la legislazione sanitaria, nonché tutto quanto concer-ne l'attività infermieristica.

2. Gli articoli dovranno essere inviati in duplice copia (car-tacea e su CD, oppure carta-cea e tramite e-mail), corre-dati eventualmente da foto, alla redazione.

3. Gli articoli dovranno essere corredati dal nome dell'auto-re, dalla qualifi ca professio-nale, dal nome dell'Ente di appartenenza.

4. Gli articoli devono essere completi di bibliografi a.

Le citazioni devono essere virgolettate e con carattere diverso dal resto del testo.

5. Il materiale inviato, anche se non pubblicato, non viene re-stituito.

NORME EDITORIALI

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“Gestione lesioni della cute e delle ferite complesse” (Wound Care)

Il Master si terrà nella sede dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma e nelle altre sedi in Italia coinvolte nella formazione, tra le quali il Collegio IPASVI di Taranto. Il Corso si rivolge agli operatori sanitari in pos-sesso della Laurea di primo livello di area sani-taria in Infermieristica, Ostetricia, Infermieristica Pediatrica, e diploma di scuola media superio-re quinquennale. Il professionista che ha con-seguito il titolo di Master in Gestione lesioni della cute e delle ferite com-plesse (Wound Care) è colui che può esercitare una competenza specifi -ca nell’area assistenziale clinica, nell’ambito della prevenzione e cura delle lesioni cutanee (disciplina nota nella letteratura inter-nazionale come “Wound care”, in Italia con il termine “vulnologia”) e dell’uso del-le medicazioni cosiddette “avanzate”, che può opera-re nei settori assistenziali, organizzativi e gestionali ove tali competenze sono ormai necessarie a realiz-zare un’assistenza sani-taria orientata al cliente, e impegnata nello sviluppo delle strutture e delle tec-nologie. Gli sbocchi professionali

MASTER UNIVERSITARIO PRIMO LIVELLOin fase di preparazione

possibili riguardano vari ambiti:responsabili dell’organizzazione, della con-sulenza e dell’assistenza ai pazienti con lesioni cutanee croniche all’interno dei servizi infer-mieristici aziendali;referenti di Unità Operativa per le problemati-che relative al wound care;responsabili e referenti negli ambulatori in-fermieristici vulnologici;referenti nelle ADI per le problematiche legate al wound care.

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