inchiesta/2 - Dehoniane

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Avvenire 03/09/2012 Page : A26 APPUNTAMENTI IL "CENTONE" A CODOGNO Essere innamorati a un tempo dei Vangeli e di Virgilio. Proprio questo è capitato a Proba, colta matrona romana, poetessa e teologa che nel IV secolo scrisse il «Centone», componimento di argomento biblico, che racconta con la costruzione latina di Virgilio sia la storia di Israele, sia la vita di Gesù. L’opera, nella versione curata da Antonia Abbadini e Antonia Rizzi, sarà al centro dell’incontro promosso dalla biblioteca di Codogno questa sera alle 21, nell’ambito di "Oltre la copertina: a tu per tu con l’autore". Abbadini e Rizzi hanno realizzato il commento del poema, l’analisi del contesto storico, letterario e iconografico in cui essa si inquadra, oltre che la traduzione e la supervisione degli aspetti più strettamente filologico-letterari. (G.M.G.) DI ROBERTO FESTORAZZI a metodica del terrore, a Savo- na, dopo la Liberazione, fu tal- mente diffusa e generalizzata, che non si può far a meno di conside- rare che quella stagione, durata fino al 1947, rappresentò non soltanto la prova generale della tanto attesa rivo- luzione comunista, ma anche la fero- ce anticipazione della stagione del terrorismo che avrebbe insanguinato l’Italia negli anni Settanta. L inchiesta/2 La strategia della vendetta attuata fra il 1945 e il ’47 dagli ex partigiani a Savona e provincia si traduce persino in delitti efferati di intere famiglie LA STORIA 26 VENERDÌ 9 MARZO 2012 Copy Reduced to 67% from original to fit l DA Mur e nelle baracche di Auschwitz subito dopo la Liberazione, nel gennaio 1945 gli empi si potranno salv Copy Reduced to 56% from re millecinquecento fedeli pegnati per tutta la giornata in eghiera, adorazione e nell’ascolto loro presidente nazionale vatore Martinez, intervenuto anche a tavola rotonda sul tema isericordia e verità ncontreranno, giustizia e pace si ceranno (Sal 85)», insieme l’uom annu prob aggiu fra il nece ques rispo alle r

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Avvenire 03/09/2012 Page : A26

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IL CASO

Il COMMISSARIO SALEMI UCCISO DA «PISTOLA SILENZIOSA»ella primavera del 1946, quando giunse a Savona con l’incarico di indagaresui delitti del dopo-Liberazione, il commissario Amilcare Salemi si trovò

davanti un ostacolo insormontabile. Quattrocento ex partigiani comunisti sierano infiltrati nella polizia come "ausiliari", per cui risultava impossibilecondurre l’inchiesta sugli omicidi di matrice "rossa". Salemi tentò di iniziarel’opera di "decontaminazione" politica della Questura, introducendovi funzionaridi carriera. Indagò sull’eccidio di 38 prigionieri fascisti, massacrati nel maggio ’45 aCadibona, durante il loro trasferimento da Alessandria a Savona. Poi aprì fascicoli d’inchiesta sui delitti

della "pistola silenziosa", compiuti per mettere a tacere coloro che sapevanoqualcosa della strage di Cadibona. Salemi giunse a un passo della verità, tanto èvero che subito dopo il suo assassinio venne forzato il cassetto della sua scrivaniacontenente le risultanze delle sue indagini scrupolose. La "pistola silenziosa"fulminò il commissario, la sera del 16 novembre, nella sala ristorante dell’albergo"Genova", in pieno centro di Savona. Dell’omicidio del commissario Salemi siautoaccusò uno strano personaggio, Pietro Del Vento, che venne poi riconosciutocolpevole e condannato a trent’anni di reclusione. Del Vento, gravemente malatodi tubercolosi e affetto da disturbi mentali, era un povero disgraziato, dietro alquale si nascosero i veri mandanti ed esecutori dell’efferato gesto, così come dialtri delitti che insanguinarono Savona. Non ci fu un serial killer individuale, ma sitrattò di una complicità politico-criminale su vasta scala. (R.Fe.)

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APPUNTAMENTI

IL "CENTONE" A CODOGNO◆ Essere innamorati a un tempodei Vangeli e di Virgilio. Proprioquesto è capitato a Proba, coltamatrona romana, poetessa eteologa che nel IV secolo scrisseil «Centone», componimento diargomento biblico, che raccontacon la costruzione latina diVirgilio sia la storia di Israele, siala vita di Gesù. L’opera, nellaversione curata da AntoniaAbbadini e Antonia Rizzi, sarà alcentro dell’incontro promossodalla biblioteca di Codognoquesta sera alle 21, nell’ambito di"Oltre la copertina: a tu per tucon l’autore". Abbadini e Rizzihanno realizzato il commentodel poema, l’analisi del contestostorico, letterario e iconograficoin cui essa si inquadra, oltre chela traduzione e la supervisionedegli aspetti più strettamentefilologico-letterari. (G.M.G.)

DI ROBERTO FESTORAZZI

a metodica del terrore, a Savo-na, dopo la Liberazione, fu tal-mente diffusa e generalizzata,

che non si può far a meno di conside-rare che quella stagione, durata finoal 1947, rappresentò non soltanto laprova generale della tanto attesa rivo-luzione comunista, ma anche la fero-ce anticipazione della stagione delterrorismo che avrebbe insanguinatol’Italia negli anni Settanta. Quanto accadde nella provincia ligu-re è di una gravità eccezionale e non èmai stato interamente raccontato. U-na strage continua, che massacrò ivinti, i fascisti, colpendo tuttavia an-che esponenti della classe agiata,quegli odiati borghesi che rappresen-tavano l’ostacolo principale all’in-staurazione della dittatura del prole-tariato. Dalla pratica dell’omicidio dimassa, si passò a un certo punto all’a-zione contro bersagli individuali. So-no i cosiddetti delitti della "pistola si-lenziosa", dal nome della 7,65, di fab-bricazione inglese, usata dagli assas-sini, coperti dal Partito comunista,per ammazzare ex fascisti. Questi de-litti, iniziati nel dicembre 1945, conl’uccisione di un ex milite della Briga-ta Nera, Giuseppe Wingler, si conclu-sero solo la vigilia di Ferragosto del’47, quando vittima di "pistola silen-ziosa" fu un’ex ausiliaria repubblichi-na di 23 anni, Rosa Amodio. Senten-dosi vindici delle violenze fasciste, isicari rossi agirono un po’ come ac-cadde con la Volante Rossa a Milano.Solo che quando, la sera del 16 no-vembre 1946, nel mirino dei killer finìil commissario della locale Questura,Amilcare Salemi, che indagava suquegli omicidi, le istituzioni demo-cratiche si accorsero finalmente chesi era alzato troppo il tiro e che biso-gnava fermare quella spirale di vio-lenza che non risparmiava neppure iservitori dello Stato. Anche il Pci, finalmente, si mosse: co-me ha scritto un giornalista del quoti-diano La Stampa, Massimo Numa,autore del libro-inchiesta La stagionedel sangue (1992), la direzione delpartito inviò da Roma degli ispettori,nel tentativo estremo di «tenere sottocontrollo le "schegge impazzite"» eporre un freno alla lunga serie «di de-litti che sconcertava e intimoriva l’o-pinione pubblica». Ma si era oramainel 1948. I fatti di sangue accaduti neldopoguerra colpiscono per le moda-lità agghiaccianti con cui furonocommessi.

il caso della strage della fami-glia Biamonti, agiati borghesidel quartiere savonese di Legi-

no, originari di Cogoleto, un centrodel Ponente genovese. Tutti stermina-ti: il capofamiglia, il capitano dellaCroce Rossa Domingo Biamonti, i-scritto al Partito fascista repubblica-no, la moglie, contessa Angiola Nasel-li Feo, la loro figlia, Angela Maria, epersino la domestica, Maria Madda-lena Nervo. La loro eliminazione fulegata a motivi di risentimento perso-nale, che si possono riassumere con iltermine "odio di classe". Tutto ebbeorigine con la sistemazione, in due lo-cali di villa Biamonti, della vedova diun partigiano, Andreina Ghione, cheaveva avuto la casa disastrata daibombardamenti. Dopo il 25 aprile’45, la donna, spalleggiata dal parti-giano Luigi Rossi "Toni", pretese di"allargarsi" occupando anche alcunilocali del piano nobile della villa. Do-mingo Biamonti andò a protestare inPrefettura per quello che riteneva fos-se un sopruso. Era il 14 maggio ’45. La

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sera stessa, un gruppo di partigiani,guidato dal Rossi, bussò alla porta dicasa Biamonti e prelevò i tre compo-nenti del nucleo famigliare, più la ca-meriera. La contessa, prima di lascia-re il suo domicilio, prese con sé unaborsa contenente molti gioielli e de-naro: borsa che gli fu subito sottrattadal partigiano Mario Bergamasco. I Biamonti furono dapprima rinchiusinel campo di prigionia di Legino, poiin quello di Segno. La notte tra il 18 eil 19 maggio, furono portati al cimite-ro di Zinola e fucilati. I corpi vennero

subito sepolti in una fossa del cam-posanto. Il fossore del cimitero, ob-bligato a intervenire per l’inumazio-ne clandestina, obiettò che sarebbestato meglio usare delle casse di le-gno. Gli fu risposto, in dialetto ligure:«Macché bare, così: come i cani». La villa di Legino venne depredata ditutto, dall’argenteria alla biancheria:mobili e indumenti furono trovatinelle case del Rossi e della Ghione.Al processo per questo odioso delit-to, Luigi Rossi fu condannato, neiprimi due gradi di giudizio, a 27 anni

di carcere, mentre il Bergamasco, as-solto in primo grado, fu condannatoalla stessa pena del Rossi in appello.Per depistare le indagini, gli esecuto-ri del delitto avevano piantato sullafossa dei Biamonti una finta lapidesulla quale era scritto il nome di unapersona inesistente: "Toso Luigi dianni 84". L’ex fossore del cimitero diZinola, Bruno Bruzzone, nel 1949riesumò i Biamonti. Raccontò che icorpi erano uniti tra loro. Ricorse aun’espressione cruda: «Hanno bolli-to insieme».

aso simile a quello dei Bia-monti, fu l’eccidio della fami-glia Turchi, in località cascina

Berta, nella frazione Ciatti, sulle colli-ne di Savona. Il capofamiglia, Flami-nio Turchi, operaio, allevava un greg-ge e con la moglie, Caterina Carlevari,coltivava come affittuario un vastoappezzamento di terra. La coppia a-veva tre figlie: Giuseppina, Pierina eMaria, tutte tra i 20 e i 25 anni. Due diloro frequentavano circoli fascisti e,nelle giornate dell’insurrezione, perrappresaglia, furono rapate. Il padre sirecò a protestare alla sede del Cln. Pertutta risposta, la notte del 13 maggio, icinque furono abbattuti a raffiche dimitra. Alcuni operai che lavoravanoalla stazione delle Funivie situata po-co sotto la cascina dei Turchi, udironole sventagliate, poi colpi isolati, infinelamenti come di un cane in agonia.Alle prime luci dell’alba, gli operai si i-nerpicarono lungo il sentiero chegiunge alla cascina Berta dove trova-rono quattro corpi privi di vita: nel-l’aia giaceva esanime anche il cane.Mancava all’appello la figlia minore,Maria. Mentre ancora speravano sifosse salvata, la trovarono poco di-stante: la ragazza, gravemente ferita,era riuscita a trascinarsi fino alla stra-da sottostante, ma era morta dissan-guata. Non meno raccapricciante il barbaroassassinio, avvenuto il 28 aprile ’45, diuna ragazza di neppure quattordicianni, Giuseppina Ghersi, colpevolesoltanto di aver aderito al Gruppofemminile fascista di Savona, e di averinviato a Mussolini un tema apologe-tico. Rinchiusa nel campo di prigioniadi Legino, la giovane fu dapprima vio-lentata, e quindi massacrata a calci;infine, mentre era agonizzante a terra,venne "finita" con un colpo di pistolaalla nuca da un partigiano di Bergeggi.Il suo corpo straziato, il primo di unafila di sette cadaveri, nelle ore seguen-ti fu esposto all’esterno del cimitero diZinola: il capo rasato era stato copertodi vernice antiruggine rossa.

a lunga scia di sangue continuòa macchiare Savona ancora permolto. Non solo i fascisti, o loro

simpatizzanti, finirono vittime dellaviolenza politica dei "vincitori". La se-ra del 10 novembre ’45, il dottor Fran-cesco Negro, 49 anni, ufficiale sanita-rio del Comune di Savona, stava re-candosi in bicicletta a trovare alcuniamici. Il medico, antifascista e sociali-sta, avendo compilato gli atti dei mor-ti ammazzati nelle vie della città, o alcimitero di Zinola, aveva più volte de-nunciato pubblicamente quei misfat-ti: «Neppure i fascisti si comportava-no così!». Verso le 20,30, Negro fu fer-mato da due individui armati e con ilviso coperto di fuliggine, che il medi-co poté comunque riconoscere. I duepersonaggi lo invitarono a scenderenel greto del fiume Letimbro, «per di-scutere». Negro si rifiutò e tentò di darsi alla fu-ga, ma fu raggiunto alle spalle e al-l’addome da due colpi di pistola.L’uomo, mentre gli aggressori si dile-guavano, riuscì a trascinarsi per qual-che metro chiedendo aiuto. Ricovera-to in gravissime condizioni all’ospe-dale San Paolo di Savona, morì l’indo-mani mattina. Prima di spirare, riferìai familiari i nomi dei suoi assassini. Iparenti, tuttavia, per paura, non han-no mai osato chiedere giustizia. Cosìun altro dei molti delitti è rimasto im-punito.

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(2, fine. La precedente puntata è uscita mercoledì 7 marzo)

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E la guerra civile fece vittime anche in BrianzaDI ROBERTO BERETTA

nche qui in Brianzahanno ammazzatoqualcuno». Nel suo

capolavoro lo ammette a malape-na, Eugenio Corti, che il «sanguedei vinti» versato dai partigianipossa aver sporcato anche la «bian-ca» Brianza. E infatti, nella parte fi-nale del monumentale Cavallo ros-so, là dove si affrontano le vendettepseudo-resistenziali nei dintornidel 25 aprile, il pur anticomunistaautore sembra concludere che glieffetti degli eccidi «rossi» giunseromitigati nella sua terra d’origine:«Certo ne hanno combinate di ognicolore – fa dire Corti a un suo pro-tagonista, riferendosi ai fascisti –,ed è giusto che i veri responsabilipaghino, che siano puniti. Ma chefiniscano massacrati tutti... Beh no.

È un’idea che proprio non mi va. Tupensi che ci si possa anche in Italiaridurre al livello dei russi e dei tede-schi? Noi non siamo così». E inveceanche i brianzoli «sono così» –sembra rispondere, a suon di pagi-ne, Norberto Bergna: un dirigenteindustriale di Seregno (Mb) che hadedicato molte energie alle ricer-che storiche locali sui caduti re-pubblichini e della cosiddetta«guerra civile» e che ora ne pubbli-ca il frutto cospicuo in Sconosciuti.Le "storie negate" di 200 vittime del-la guerra civile nella bassa Brianza(Bellavite, pp. 496, euro 23). Due-cento brianzoli morti, appunto:molti ammazzati tra l’8 settembre1943 e la Liberazione, in operazionicomunque di guerra e magari an-che lontani dalla loro terra natìa;militi della Guardia nazionale,squadristi delle Brigate nere, ex no-

tabili del fascismo. Ma non pochifigurano uccisi invece a freddo, fu-cilati in modo sommario, giustiziatida ignoti senza prove e per motiviindipendenti dalla guerra o dalladittatura. Il medico triestino FabioPortada, per esempio, venne assas-sinato per strada a Carate Brianzala sera del 14 marzo 1945 da unbandito in divisa, che gli rubò bici-cletta e orologio. Il maresciallo Giu-seppe Tempini, già cinquanta-seienne, fu ucciso a colpi di mitra il3 maggio 1945 a Lissone, dove eracomandante della stazione dei ca-rabinieri, da un partigiano che vo-leva vendicarsi di essere stato da luidenunciato anni prima per macel-lazione clandestina. A Meda l’ope-raio Michele La Ferla venne uccisotre giorni dopo la Liberazione, soloper l’accusa tutt’altro che provatadi essere stato una spia. Lo stesso

Corti nel suo best seller narra un e-pisodio da «triangolo rosso emilia-no», ma avvenuto proprio a BesanaBrianza, la cittadina patria delloscrittore; solo che lo fa concluderea lieto fine con la liberazione delprotagonista, mentre Bergna lo«corregge» perché ha scoperto chenon avvenne affatto così, anzi. Sitratta del caso di Adolfo Bertoglio(«Tavelli» nel romanzo storico), undirigente industriale di tessiturache probabilmente la famiglia Corticonosceva, visto che esercitavanola medesima attività. Bertoglio erafascista convinto, però in qualità disegretario del partito nella cittadinabrianzola di Renate aveva dimo-strato moderazione, chiudendo piùd’un occhio su ebrei rifugiati colà:tant’è vero che dopo il 25 aprilevenne fermato due volte dai parti-giani e rilasciato. Non fu così la ter-

za volta, il 13 maggio 1945, quandoil suo destino prese una trafila tri-stemente nota in altre regioni: l’in-terrogatorio, il trasferimento in au-to, l’esecuzione sommaria giustifi-cata con un falso tentativo di fuga.La verità venne ristabilita in unprocesso, risoltosi nel 1955 con lacondanna (subito amnistiata) deitre esecutori materiali dell’omici-dio; Bergna la racconta coi docu-menti, smentendo Corti, il quale haromanzato la storia narrando che ilfarmacista del paese, antifascista,fosse riuscito a convincere il capodel commando «rosso» a rilasciarel’ostaggio. Eh sì, anche la Brianzaebbe il suo «triangolo rosso» e laBesana di Eugenio Corti non puòvantarsi di essere stato l’unico pae-se a non aver versato il sanguenemmeno d’un fascista.

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inchiesta/2La strategia della vendetta attuatafra il 1945 e il ’47 dagli ex partigiani a Savona e provincia si traduce persinoin delitti efferati di intere famiglie

L’idea del poteree della violenza secondo Marramao

DI BENEDETTO IPPOLITO

el panorama odierno mol-ti filosofi stendono un velod’ignoranza sulle grandi

questioni. Per decenni è sembratoperfino che il «pensiero debole»soppiantasse ormai le forme tradi-zionali del sapere. Un merito indi-scutibile dell’ultimo libro di Giaco-mo Marramao, titolato emblemati-camente Contro il potere è chesembra andare, invece, proprio inuna direzione opposta. L’obiettivoè ripensare alcune categorie fonda-mentali dell’Occidente, aprendoun vero e proprio spartiacque, co-me avvenuto già in Dopo il Levia-tano (2000) e Passaggio a Occidente(2009). Lo scritto si concentra, difatto, unicamente sull’idea specifi-ca di "potere", termine magico emaledetto, tornato alla ribalta do-po la fine dei grandi castelli ideolo-gici del secolo scorso. Nel primocapitolo Marramao ne declina lecoordinate, ripercorrendo il diffici-le transito dalla "politica" alla "po-tenza". Un tratto, al contempo, ge-nealogico e archeologico che scru-ta la nascita filosofica e il consoli-damento pratico dell’ordine socia-le. La giustificazione ultima risiedenella costitutiva natura relazionaledel genere umano, che veicola laprogressiva codificazione culturaledella legge e dell’obbligazione.Marramao chiarisce, in tal senso,che «non si dà propriamente poli-tica se non come problema, se noncome domanda intorno alla condi-zione di legittimità del potere». Ilcomando, in effetti, è inseparabiledalla libertà individuale e dall’«as-servimento volontario dei soggetti».E tale meccanismo motiva il passag-gio graduale alla potenza, fino al-l’autorità. Mentre la forza bruta, ap-punto, esprime il dominio bestialedi alcuni individui su altri, la poten-za partorisce un differenziale uma-no incarnato poi dalla forma simbo-lica dell’autorità. Una composizionestratificata che spiega come, parten-do dal presupposto fattuale dell’agi-re, si produca, pian piano, la poten-za razionale, funzionale e rappre-sentativa delle istituzioni collettive.Nei seguenti capitoli Marramao o-rienta il confronto verso il pensatorebulgaro Elias Canetti e la scrittricerumena Herta Müller. Non si tratta,tuttavia, di riflessioni di supporto al-le proprie teorie. Il potere, infatti, èricondotto da Canetti al principio i-stintivo della forza animale, mentredalla Müller a connotati convenzio-nali che producono passività, vio-lenza e alienazione disumana. Mar-ramao, viceversa, preferisce rivol-gersi allo scenario post modernodando attenzione specifica alle me-tamorfosi che si stanno concreta-mente verificando. Il declino di ognistabilità e la fluidità dei processi glo-bali fa nascere, di fatto, un cortocir-cuito da cui è possibile uscire spoliti-cizzando il potere e recuperando ilsenso di una reale apertura alla"contingenza". Una riflessione cheapre interrogativi rilevanti. Ancorauna volta termini come uguaglianzae conflitto tornano d’attualità perscuotere le vacue sicurezze dell’im-perante relativismo contemporaneo.

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Giacomo MarramaoCONTRO IL POTERE

Bompiani. Pagine 160. Euro 10,00

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la recensione

rivelazioni

LA STORIAIN QUESTIONE

I giustizieridell’«odio di classe»

Pietro Del Vento

Amilcare Salemi

26VENERDÌ9 MARZO 2012

Fascista catturato dai partigiani a Savona nel 1945. Poco dopo sarà fucilato (da «Storia della guerra civile in Italia» di G.Pisanò)

Fra gli uccisi non solo i fascisti. Nei casi «eccellenti»viene usata una 7,65con silenziatore.Ultima a morire, il 14 agosto 1947, è una 23enne ex repubblichina

Avvenire 01/07/2012 Page : A27

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DI ANNA FOA

ubblicato negli Stati Uniti nel 2011e subito tradotto da Marsilio, que-sto libro (in uscita il 10 gennaio)

appartiene al genere delle memorie: me-morie della Shoah, dei campi ma anchedel ghetto di Lodz, dove l’autrice adole-scente fu rinchiusa a lungo prima delladeportazione. Memorie scritte a ses-santacinque anni dagli eventi, dopoun’intera vita passata negli Stati Uniti,dove ha insegnato in varie università.Poi, la scrittura dell’esperienza dellaShoah, con due altri libri che hanno pre-ceduto questo, nessuno dei quali tra-dotto in italiano, Dalle ceneri alla vita: imiei ricordi dell’Olocausto e Rumkovskie gli orfani di Lodz, un vibrante atto d’ac-cusa contro il presidente del Consiglio e-braico di Lodz, Mordechai Rumkovski. Lucille Eichengreen, all’epoca CeciliaLandau, è nata nel 1925 ad Amburgo dagenitori polacchi rifugiatisi in Germaniaall’inizio degli anni Venti per sfuggire aipogrom che imperversavano in Polonia.Con il 1933 e la presa del potere da par-te di Hitler cominciarono le persecuzio-ni anche per loro. Suo padre fu ucciso aDachau nel 1941 e lei, la madre e la so-rellina Karin furono deportate nel ghet-to di Lodz. Qui sua madre morì di sten-ti, mentre Karin fu deportata a Chelm-no e gassata. Deportata a sua volta adAuschwitz, poi a Newengamme e a Ber-gen Belsen, Cecilia fu invece fra i so-pravvissuti.Il libro è tutto al femminile: memorie didonne nel ghetto e nei campi, donne e-bree detenute ma anche kapò e fin don-ne delle Ss. Storie di dolore assoluto e disperanza e rinascita, di bambini assas-sinati, di vecchie avviate alla camera agas, ma anche di emozioni, atti di com-passione, coraggio. Sono brevi bozzetti,quasi ritratti, che descrivono personag-gi della vita di Amburgo, di Lodz, e poidi Auschwitz, Newengamme, BergenBelsen. C’è l’ultima conversazione conla madre morente, le amicizie con altreragazze, gli amori e il sesso imposto perottenere favori, per aiutare a sopravvi-vere.C’è la dottoressa Gisa, un’ebrea unghe-rese mandata a lavorare con Mengele. Esiccome i bambini non possono nasce-re nei campi, perché ogni donna sco-perta incinta dai nazisti viene uccisa im-mediatamente con il suo bambino - ecosì succede a quelle che riescono, na-scondendo la gravidanza, ad arrivare alparto - la dottoressa Gisa fa abortire dinascosto le donne incinte, per salvarealmeno la loro vita. Una storia terribile,che succedeva frequentemente nei cam-pi. Dopo la guerra, Gisa farà l’ostetrica aNew York: «Faccio nascere i bambini.Sento che, dopo Auschwitz, Dio mi de-ve queste vite; dei bambini sani; deibambini vivi». C’è Elisabeth Robert, unaSs, che compie gesti delicati di compas-

sione verso le detenute. C’è Dori, ragaz-za vivace ed esuberante che sopravviveal campo ma finisce chiusa in casa a NewYork, moglie di un ebreo ortodosso mol-to più vecchio di lei a cui era stata spo-sata per procura prima della guerra. Il linguaggio è piano, immediato, asso-lutamente spontaneo. Le sue riflessioni,l’autrice le affida diretta-mente ai suoi personaggi,quasi i loro ritratti conte-nessero in sé tutto quelloche c’è da dire. È come unalbum di fotografie, in cuisi legge attraverso l’im-magine, un’ immaginepresa direttamente dalvero, senza mediazioni osfumature. Anche l’autri-ce sembra mimetizzarsitra i suoi personaggi, lesue emozioni non hanno un rilievo par-ticolare, è un raccontarsi senza scavarenelle percezioni, nell’autobiografia. L’au-trice, in quanto donna che ha vissuto laShoah, è un personaggio come gli altriche affollano le sue pagine, e la sua ra-gione di scrivere è quella, non il deside-rio di rivelarsi nella scrittura. Lo stile sec-co ed essenziale ben corrisponde a que-sta mancanza di soggettività.Un libro che parla di donne nella Shoah,dunque un modo femminile di vedere enarrare la Shoah? Si può parlare di unmodo diverso di vivere l’orrore e la mor-te fra uomini e donne nell’esperienzadel campo di sterminio? O non è, que-st’esperienza di morte, la più egualitariadi tutte? È un problema su cui gli storicie soprattutto le storiche dibattono findagli anni Ottanta, con esiti contrastan-

ti. Ma non è vero, come spesso si dice,che le donne abbiano scritto poco dellaloro esperienza nei campi. Ad esempio,dei ventotto libri di memorie scritti da e-brei italiani negli anni Quaranta, cinqueerano di donne, che pubblicarono le lo-ro memorie del campo tra il 1946 e il1947: Liana Millu, Giuliana Tedeschi, Lu-

ciana Nissim, Frida Mi-sul e Alba Valech. Testistraordinari, in cui l’ele-mento che ne caratteriz-za al femminile la scrit-tura è l’attenzione al cor-po, al dolore del corpofemminile straziato e de-turpato, alla scomparsadel ciclo, alla perdita deicapelli, della bellezza, al-l’annullamento della lo-ro natura di donne, alla

maternità. Il testo della Eichengreen ha molti pun-ti di contatto con queste caratteristiche:la sessualità, la gravidanza, il rapportotra madre e figlia, l’amicizia e la solida-rietà fra donne, sono tutti temi che ri-troviamo in questo libro. Anche se nonè, il suo, un libro che nasca dalle feritedel corpo, bensì un libro che racconta ledonne e la loro esistenza nell’inferno deilager. Quasi a dire che, anche nella scrit-tura al femminile del lager, non esiste unmodo solo di scrivere e di raccontarsi.

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Lucille EichengreenLE DONNE E LA SHOAH

Ricordi dall’inferno dei LagerMarsilio. Pagine 154. Euro 14,00

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storiaE gli italiani vinti tornarono in nave dall’Etiopia

DI ANTONIO AIRÒ

na storia minore, quasi del tutto sconosciuta, rispetto aquella maggiore e drammatica della guerra mondiale.Inizia nel maggio 1941 con la sconfitta delle nostre

truppe in Etiopia e l’occupazione inglese di Addis Abeba segui-ta dall’ordine di evacuazione di tutti gli italiani dalla città. «Era-vamo alla fine dell’anno. Il mondo era in guerra e noi chiusidentro i recinti di filo spinato di un campo di concentramen-to», ricorda l’allora quindicenne Massimo Zamorani, poi gior-nalista con alle spalle una corposa carriera di inviato soprattut-to in Africa. Ma «l’ex bambino di allora», come si definisce, è iltestimone di una singolare e forse unica vicenda - mentre laguerra era in corso - : il trasferimento concordato tra il governoinglese e quello italiano ( «ma il nostro non intendeva dare ri-salto all’operazione») per il rimpatrio della popolazione civile -anziani, invalidi, donne, bambini e ragazzi non oltre 15 anni -«mediante un convoglio navale che avrebbe compiuto addirit-tura tre viaggi» circumnavigando l’Africa e compiendo ognivolta, tra andata e ritorno, 23 miglia marine con a bordo 2500profughi e 500 uomini di equipaggio. Quattro le navi "bianche" utilizzate, Saturnia, Vulcania, GiulioCesare e Caio Duilio, in una massiccia e delicata operazione

nella quale furono coinvolte laCroce Rossa Internazionale e l’Or-dine di Malta, partita il 24 maggiodal porto somalo di Berbera e du-rata oltre un anno e mezzo. «Nonera mai successo che siano anda-te per mare navi con un carico dioltre 1000 bambini ciascuna»,scrive ora Zamorani rievocando adistanza di settant’anni «il mestoritorno degli italiani dal perdutoimpero coloniale». Se si eccettuaun libro degli anni ’60, ben prestodimenticato, la storia «che sem-bra una favola» di questi nostriconnazionali era rimasta presso-ché ignorata. Eppure tra i 30.000civili tirati fuori dai campi di con-centramento c’erano tra gli altriLuciano Violante, che non avevaancora un anno, Fabio RoversiMonaco, che sarebbe poi stato alungo rettore dell’università diBologna, e un compagno di scuo-la di Massimo («anzi il peggiore ditutta la scuola»): si chiamava UgoPrat e come Hugo Pratt sarebbedivenuto uno dei maggiori dise-gnatori di fumetti del mondo.Questi come tutti gli altri 15enninon avrebbero potuto imbarcarsi

se le madri non fossero arrivate a falsificare in qualche modo ledate di nascita dei figli trasformandoli in "children". Nel lasciare l’Impero per rientrare in Italia il viaggio in nave diquesti ragazzi cresciuti negli anni del consenso del regime, pre-vale in loro non il rimpianto ma la voglia di ritornare con un’I-talia vittoriosa. «Ho l’impressione che l’Africa sia mia. Mi sentoin colpa. Partendo mi sembra di disertare». Con questo senti-mento, gran parte di questi "ex bambini" avrebbero guardanoalla caduta del fascismo e all’8 settembre come a un momentodi "disfacimento folle" della nazione e la gran parte, a comin-ciare da Zamorani, si sarebbe arruolata nelle forze amate dellaRepubblica Sociale Italiana. «Hanno indossato l’uniforme inge-nuamente, convinti che il loro contributo sarebbe stato deter-minante ai fini della vittoria finale e qualcuno non è tornatomai più a casa.».

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Massimo Zamorani DALLE NAVI BIANCHE ALLA LINEA GOTICA

1941-1944

Mursia. Pagine 220. Euro 16,00

U

Hugo Pratt

Lucille Eichengreen

APPUNTAMENTI

CERONETTI A PRATO◆ A Prato è protagonista GuidoCeronetti con il suo «Teatro deiSensibili». L’appuntamento è peroggi alle 18 al Teatro Metastasiocon lo spettacolo «Ricariche dipoesia». Gli attori Luca Mauderi(Barùk), Elèni Molos (Dianira),Elena Ubertalli (Kundalini)porteranno in scena testi e canzonidel XX secolo e le «ballate» diCeronetti per teatranti di strada.

FOUAD ALLAM A CORTINA◆ Oggi per «Una montagna dilibri», la rassegna di incontri conl’autore di Cortina d’Ampezzoviene presentato il libro di KhaledFouad Allam, «L’islam spiegato aileghisti» (Piemme). PartecipanoPaolo Branca e Walter Mariotti.Alle 18, alla Sala della cultura delPalazzo delle poste di Cortina.

LIBRI

l titolo del libro è Creature. È unpo’ sciupato, ha perduto la co-pertina e non si legge quasi più il

nome dell’autore, ma sul primo fo-glio c’è una dedica a penna: «Per ituoi undici anni, ora che incomincia guardare la natura. Il papà». Chis-sà se una ragazzina di undici annidel 2012 amerebbe una simile lettu-ra ora che il computer occupa granparte delle sue ore libere. Da poco cisi è accorti che si può diventare di-pendenti da questo nostro compa-gno giornaliero, alla stessa manieradi un tossico o di un alcolista. Il li-bro era raccomandato allora comeuna buona lettura nelle scuole e og-gi mi sono divertita a ritrovare lesottolineature che a quella età avevofatto su molte pagine. La prima è lalode di San Francesco «laudatu si,mi Signore, cum tucte le tue creatu-re...» che immagino mio padre mi a-vesse fatto capire. Nella prima parte del volume dovesi descrivono le stelle, poi il sole, ilvento, la luna trovo un segno bendeciso sotto queste parole: «...le stel-le come occhi aperti sulla terra; inesse trema l’anima del cielo». Fu co-sì che guardando le notti chiare inmontagna vedevo anch’io la via lat-tea come il risultato di un grandefuoco che si era diviso in stelle pic-colissime mentre prendevano lacorsa nello spazio ad esse assegna-to. Avete mai visto nascere la lunaattraverso un bosco? Quelle paginemi raccontarono che saliva tuttarossa come presa dalla vergognaperché era in ritardo, ma poi impal-lidita spiava gli uomini dietro i ramidegli alberi. Il capitolo che raccontala vita del sole non ha nessun segno,non mi aveva impressionato, invecemolte righe a matita segnano la viadel vento. Quando scivola basso sul-l’erba o si alza d’improvviso ad a-sciugare i panni stesi, quando sca-valca le siepi e ride distruggendo itralci di rovo lungo lo stagno dove lerane lo salutano con un silenzio im-provviso. Ma c’è un altro vento,quello che gonfia le ali ai gabbiani,che alza le onde del mare e arrivacorrendo tra le case degli uomini e lìsi accorge di essere stanco e lasciache la pioggia, tenuta fino alloralontana, abbia la sua vittoria. Nella pagina 42 c’è la descrizionedelle nuvole. Ricordo con nostalgiale nuvole infuocate dei trionfali tra-monti di Roma quando le vedevoscendere la sera dietro la cupola diSan Pietro. La mia finestra dava sul-la vista meravigliosa di questa operasenza tempo dove i cirri a voltesembravano correre, accapigliarsi,fare torri e alzarsi come vulcani per-ché il vento di scirocco correva velo-ce per vincere la sua battaglia. Sot-tolineavo le righe, le pagine che rac-contavano la vita dei piccoli semidella frutta, dei fiori o il volo degliinsetti attorno ad una lampada ac-cesa dove anche i moscerini e lezanzare avevano una storia da rac-contare. Come il gamberetto e la suavita in fondo al mare o la notte deipiccoli uccelli che all’arrivo del buionascondevano la testa sotto l’ala, ein tal modo chiuse le finestre, si ad-dormentavano. Piccole cose di ungrande mondo da rispettare dove lasorpresa, la paura, la scoperta, l’at-tenzione, il silenzio e la luce dannoa chi vuole ascoltarli, la sicurezza dinon essere soli davanti alla vita, maaccompagnati dalle sorprese dell’u-niverso.

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I

religione

DI MAURIZIO SCHOEPFLIN

critto in greco, assai probabilmente daun ebreo osservante e assai colto diAlessandria d’Egitto, tra la fine del I

secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C., ilbiblico libro dellaSapienza si presentacome un’operadestinata a quei Giudeiche avevanodimenticato le antichee venerabili tradizionietiche e religiose deiloro padri per darsi auna vita moralmenterilassata. L’autore sirivolge a loro conl’intento di ricondurlisulla retta via checomporta il recuperodella fede autentica, l’abbandonodell’idolatria e dell’immoralità el’ammirazione per la gloriosa e luminosa

storia del popolo eletto. La prima parte dellibro, incentrata sul confronto tra la vitadell’uomo giusto e quella dell’empio, èdensa di riflessioni, di incitamenti, diesortazioni e di ammonimenti sui quali sisono soffermati attentamente Renzo

Lavatori e Luciano Sole,due sacerdoti docenti indiverse istituzioniaccademiche, ben notiper la loro ampiaproduzione libraria chetestimonia un vivointeresse per la lettura el’interpretazione dellaSacra Scrittura. I monitidell’autore sacro sonoindirizzati innanzituttoa coloro che hannoresponsabilitàpubbliche e governano i

popoli, ma riguardano chiunque vogliavivere un’esistenza illuminata dallasaggezza autentica che proviene da Dio.

Per questo, le parole contenute nel librodella Sapienza suonano particolarmenteaderenti anche alla situazione dell’uomo dioggi, desideroso di comprendere il sensodella propria vita, ma, spesso, abbagliatoda promesse ingannevoli. Lavatori e Sole,commentando con chiarezza e lucidità iltesto biblico, offrono al lettore la possibilitàdi cogliere la ricchezza degli insegnamentiin esso contenuti, che riguardanol’incompatibilità fra sapienza ed empietà,l’erroneo e mortifero modo di ragionaredell’empio, la tribolazione e la beatitudinedegli uomini giusti, il rapporto tra sterilità efecondità alla luce della pratica delle virtù,la morte precoce messa in relazione con lavera saggezza e con il progetto divino, lafelicità caduca e quella perenne, il giudiziodi Dio e lo splendore della sua sapienza. I protagonisti del testo sapienziale -affermano Lavatori e Sole - sono l’uomo eDio: il primo «colto nella concretezza dellasua realtà e verità, scoperto nella suacattiveria o nella sua bontà, vagliato nel suo

comportamentosciocco e iniquoo veritiero evaloroso»; ilsecondo presentecon la suasapienza e con ilsuo Spirito, conla sua giustizia econ il suo amore.Ma - avvertonogli autori - v’è anche un terzo protagonista,Gesù Cristo, al quale alcuni brani«rimandano quasi letteralmente»: sarà Luil’uomo perfettamente retto e sapiente, cheil Padre coronerà della gloria eterna.

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Renzo Lavatori e Luciano SoleEMPI E GIUSTI: QUALE SORTE?

Edizioni Dehoniane BolognaPagine 172. Euro 16,00

S

Nel 1941 gli inglesi conquistarono Addis Abeba e 2500 nostri concittadini, fra cui 1000 bambini, furono rimpatriati: fra loro c’erano Hugo Pratt e un piccolissimo Luciano Violante

Donne nelle baracche di Auschwitz subito dopo la Liberazione, nel gennaio 1945

27 SABATO7 GENNAIO 2012

Un libro di Renzo Lavatori e Luciano Sole esamina il libro biblico della Sapienza cogliendo la ricchezza e l’attualità del suo insegnamento: dall’esercizio delle virtù alla sofferenza dell’uomo giusto

di Maria Romana De Gasperi

Ieri &domani

Rileggere il Canticodelle creatureguardando la Via lattea

Shoah, tragediaal femminile

saggisticaUno studio di LucilleEichengreen,sopravvissuta ai lager di Auschwitz e Bergen-Belsen,racconta gli orroridell’Olocausto dal punto di vistadelle donne

Lettori (e scrittori) in altalena:e l’editoria religiosa sa parlare a tutti?

e statistiche ci presentano due sguardi rivoltia mondi opposti, quello del calo della lettura equello, contrario, della crescita della lettura (o

almeno dell’acquisto, perché alla lettura si potreb-be non arrivare) di libri "religiosi". La notizia ha il sa-pore di un qualcosa che si sta sgretolando una ge-nerazione via l’altra, tenendo bene innanzi che se u-na generazione parla attraverso i propri scrittori (ededitori), è anche vero che lo fa tramite i lettori. Che dialogo hanno oggi gli scrittori "religiosi" con iloro lettori? Non possono soddisfarci, come editori,le fortune dei classici e dei titoli di catalogo, oppurel’idea che "tutto sia contemporaneo" perché guar-dato con gli occhi dell’oggi, mentre invece occorre-rebbe ogni tanto domandarsi per quali lettori idea-li si pensano i libri, se solo per spiriti fini o per un

pubblico più ampio, per nicchie nascoste o avven-tori occasionali. Gli indici di lettura nascondono tra le righe i "non-lettori", che appaiono sempre più una legione connumeri preoccupanti. Anche il romanzo, forse il ge-nere più amato, perde lettori. Siamo dunque a un bi-vio: parlare ai contemporanei e ai "non-lettori", sot-to una spinta editoriale in altalena tra cauti procla-mi ("va tutto bene") e umiltà sospette ("potrebbeandare meglio, ma non ci lamentiamo")."Chi sei lettore?" è una vecchia domanda di CesareGarboli, sempre attuale (critico e domanda), che cipermette di entrare nei cataloghi degli editori reli-giosi, dove troviamo collane molti simili tra loro e traeditori, quasi si fosse stabilito, per convenzione, cheil lettore sia uno solo, con quelle caratteristiche ben

definite. Il passaggio è importante, perché tra chiscrive, chi legge e chi pubblica sembra che talvoltavi sia una interruzione. Manca, in sostanza, la sag-gistica "polemica", il "libro da dibattito", per cuispesso troviamo titoli nati per un lettore specialista(operazione corretta), oppure fiacco, poco incline aentrare in quella che si definiva, tempo fa, "la circo-lazione delle idee". Forse l’editoria religiosa dovrebbe operare - in mi-sura maggiore rispetto ad oggi - qualche apertura dicredito nei confronti di argomenti legati al dibatti-to contemporaneo, per avvicinarsi a un pubblicoche non legge solo teologia, ma politica, storia, scien-ze, letteratura. Sarà possibile?

Andrea Menetti© RIPRODUZIONE RISERVATA

La cura di RebeccalibriI bestseller della fede

«Gesù discendeagli inferi e salva le anime dei giustidell’Anticotestamento»,icona in San Salvatorein Chora(Istanbul).

Ma anche gli empi si potranno salvare?

Avvenire 11/18/2011 Page : A23

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Quando la fede riaccendei percorsi della speranzaDI STEFANIA CAREDDU

ue mani: una per tenere l’al-bero che cade e una per fa-vorire la crescita della fore-

sta che germoglia. Usa un’immagi-ne suggestiva fratel Enzo Biemmi,docente all’Istituto superiore discienze religiose di Verona e presi-dente dell’equipe europea dei ca-techeti, nel descrivere la sfida per laChiesa di oggi. Se da una parte oc-corre portare avanti la catechesi tra-dizionale, dall’altra è arrivato il mo-mento di impegnarsi nel «secondoannuncio». In quella cioè che vieneormai definita la «pastorale dei ri-comincianti», un tema su cui si erasoffermato anche il cardinale An-gelo Bagnasco, arcivescovo di Ge-nova e presidente della Cei: «NellaChiesa – aveva detto il porporatonella prolusione all’ultima Assem-blea generale – rami un tempo ri-gogliosi possono rinsecchire, ma,spunta una gemma, si affaccia unuomo il cui volto esprime unaprofonda fede in Dio, la storia siriaccende, i suoi cardini si smuovo-no, e tutto ricomincia».Sono moltissimi infatti i giovani esoprattutto gli adulti che, dopo averricevuto un’educazione cristiana edessersi allontanati dalla fede, sen-tono il bisogno di riavvicinarsi equando incrociano la comunità ec-clesiale manifestano la disponibi-lità a credere. In particolare se si tro-vano ad affrontare situazioni deli-cate. «L’esperienza dell’innamora-mento, la nascita di un figlio, unproblema di salute, un lutto: ci so-no snodi antropologici che fannoriaprire il "dossier della fede"», spie-ga Biemmi sottolineando che «peralcuni questo avviene nei passaggitradizionali dei Sacramenti, so-prattutto quelli richiesti per i figli,per altri nell’incontro e nel dialogoinformale perché sempre più spes-so cercatori e le cercatrici di Dio sitrovano al di fuori della parrocchia». Secondo il religioso, «per la stra-

Dgrande maggioranza degli italiani ilsecondo annuncio è una declina-zione del primo annuncio». «Colo-ro che ci troviamo dinanzi – osser-va – non sono una tabula rasa, an-zi hanno delle conoscenze, spessone sanno fin troppo e male, hannodelle resistenze riguardo a discorsisulla Chiesa». È necessario dunque«aiutarli a disimparare, a liberare ilcampo dalle conoscenze prece-denti» impostando una «pastoralepiù leggera, meno organizzata, sen-za schemi prestabiliti». Anche per-ché non si può pensare «di metteretra parentesi il vissuto delle perso-ne, ma accettare che ricomincinoproprio a partire dalla loro storia».Il tutto in questo preciso contestoculturale e sociale. «Lungi da lettu-re catastrofiche né ingenue, l’indif-

ferenza alla fede, il vivere senza Dio– rileva Biemmi – non rappresenta-no una perdita di terreno, ma unanuova opportunità per la comunitàecclesiale: solo se ci si appoggia al-la cultura odierna la si può salvare».Ovviamente «il secondo annuncio»ai ricomincianti implica un «se-condo ascolto» da parte della Chie-sa che deve «rivedere se stessa, lasua capacità di essere comunità enon azienda». «Al di là degli sloganche rimbalzano, la pastorale – af-ferma il religioso – si sviluppa ba-sandosi sulla comunità credente,nel senso che tutto è teso a distri-buire servizi religiosi per personeche si suppone siano credenti,mentre la reale conversione mis-sionaria della parrocchia non è an-cora stata avviata». Per Biemmi però Un incontro di catechismo per adulti (foto Siciliani)

invece complessa perchési è spinti a purificare tutta“l’impalcatura” connessaalla odiernasacramentalizzazione,andando incontro forse auna diminuzione dipersone che vengono achiedere i Sacramenti».Come si possono«agganciare» quellepersone che siallontanano dalla Chiesa?Il verbo «agganciare» puòtrarre in inganno se lo siintende nel senso diattirare, avere tanta gente,le chiese piene. Con lapastorale deiricomincianti si puntasulla qualità più che sullaquantità e si punta sugliadulti. Anche il cosiddettocristianesimo popolare

può trarre in inganno. Unabuona occasione è quelladi creare all’interno delladiocesi un luogo dove ilsacerdote si mette inascolto delle persone, peresempio attraverso laconfessione o il semplicedialogo sulla propria vita.Si parte da questo dialogo,nel quale vengono portatea galla le sofferenze, idisagi, le ferite, oppure lesuperficiali motivazioniche hanno spinto lapersona a ricevere laprima Comunione o laCresima senzaconsapevolezza.E poi?A partire da questodialogo, che non siesaurisce in una sola volta,si può intraprendere il

cammino in prospettivacatecumenale, cioè diriappropriazione convintadella fede in quel Diocristiano che hacontinuato ad essere inrispettosa attesadell’accoglienza libera econsapevole da parte dellapersona. L’agganciamentoprosegue in un itinerarioscandito dal Vangelo: ci silascia accompagnare dalVangelo per far maturarela libertà della persona cheè chiamata a camminare, adecidersi; il ricominciantenon è lì per caso, pertradizione, ma è lì perchési sente toccato,scombussolato ed èorientato a mettersi incammino; il ricominciantenon è alla stregua dei

cristiani della domenica.Se non scatta ilcoinvolgimento dellapersona alla luce dellaParola di Dio, si costruiscesulla sabbia. E questocammino è proiettatoverso l’Eucaristia, verticedella vita cristiana. È ovvioche questa opera di«ricostruzione» dovrebbecoinvolgere un’équipe dipersone preparate, non èsufficiente il solosacerdote.Rapportarsi airicomincianti significarinnovare il modello diparrocchia?Sì, anzi si tratta dirichiamare alla parrocchiala sua genuina missione:annunciare il Vangelo esuscitare la libera rispostadell’interlocutore. Laparrocchia si rinnova se sirinnova l’azione pastorale!La pastorale deiricomincianti ha bisognodi un luogo, di una realtàfuori della parrocchia, mache si affianchi a essa omeglio ancora allecomunità di una zona o diuna diocesi. Il primoannuncio non sempre èfacile nelle ordinarieoccasioni che sipresentano in parrocchiaperché la gente viene persoddisfare le proprieesigenze (la parrocchiaalle volte è ridotta astazione di servizio) equella gente è certamentenella situazione tipica deiricomincianti, ma perricominciare occorre volerricominciare. È questo«volere» che in parrocchiasi fa fatica a far scattare.

Stefania Careddu© RIPRODUZIONE RISERVATA

Così il Vangelo torna a parlare alla vita

l’intervistaDon Vergano: «Chi si riavvicina manifesta la volontà di credere: una vera sfida perle nostre parrocchie. Puntare sulla qualità»

Il «secondo annuncio» narrato dai protagonistii piace moltissimo l’idea di un Diodiffuso nella vita; è molto diversa dal-l’immagine di Dio lontano e giudice

con cui sono stata educata: ad un Dio così mi pos-so anche affidare». È il messaggio che Maria Teresadi Padova si è vista recapitare via mail dalla sua a-mica «in ricerca», come lei impegnata in un percor-so di scrittura autobiografica. «Per riavviare alla fe-de persone che hanno preso distanza da esse pervarie ragioni, sento importante coltivare la compe-tenza della vita e della relazione: che sa esprimersicon il calore di un ascolto affettuoso, di un dialogovero, senza paura di comunicare i limiti e la ricchezzadi un’avventura che ci accomuna e che ha trovatonella fede senso, orientamento e speranza», rac-conta Maria Teresa che con la sua testimonianza harisvegliato nell’amica la voglia di ricominciare a cre-dere. Un’esperienza – raccolta da Enzo Biemmi nellibro «Il secondo annuncio» pubblicato dalle Edi-zioni Dehoniane (112 pagine, 9 euro) – che rappre-senta un esempio di «quello che succede e spesso

non si vede». E cioè che la pratica del «secondo an-nuncio» comincia a permeare il terreno dell’evan-gelizzazione, in modo informale o più tradizionale.All’interno, attorno e addirittura lontano dalle par-rocchie. L’incontro e la narrazione di sé, così come la pasto-rale battesimale con la proposta di un cammino suc-cessivo per genitori e figli dalla nascita ai sei anni ola lettura dei Salmi e l’adorazione eucaristica not-turna possono essere occasioni per far risuonare ilVangelo. A volte con il silenzio, altre fondendo mu-sica e preghiera. Come avviene un sabato al mese alcentro di Bologna nella parrocchia dove don Stefa-no ha pensato di offrire un’alternativa ai tanti gio-vani che frequentano i locali lì vicino, aprendo leporte della Chiesa dalle undici all’una di notte. «L’o-biettivo – spiega – è quello di offrire un tempo e u-no spazio di ascolto e di riflessione, senza chiederenulla in cambio, con l’unico desiderio che nell’es-senziale ogni giovane possa incontrare Cristo Si-gnore e lasciarsi affascinare da lui». E chi, incuriosi-

to da quell’atmosfera «surreale» decide di entrare,rivela: «Accidenti, non me la ricordavo così bella laChiesa di San Bartolomeo... pochi ragazzi, immobi-li, seduti ai primi banchi; un trombettista nella can-toria dell’organo, piuttosto lontano dal prototipo dicatechista che avevo salvato nella mia memoria».Cecilia e Giuliana invece sono due catechiste delladiocesi di Verona dove è stato avviato un progettopastorale battesimale per le giovani coppie e i lorobimbi proprio per «dare priorità ai genitori, aiutan-doli a rivisitare la loro fede, a riattivarsi nel testimo-niarla in famiglia e a viverla con partecipazione nel-la comunità cristiana». «Per noi catechisti accom-pagnatori è stimolante ascoltare le domande dei ge-nitori: questi dubbi ci obbligano alla ricerca e ani-mano il lavoro di équipe», dice Cecilia. Un’altra con-seguenza positiva, aggiunge Giuliana, è che «la par-rocchia si sente stimolata a cercare nuove forme dipastorale per accogliere e accompagnare le famiglieche chiedono il battesimo». (S.Car.)

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Una veglia notturna (Siciliani)

emplice e allo stessotempo complessa,problematica. Don

Gian Carlo Vergano,teologo e parroco diBreme (provincia di Paviae diocesi di Vigevano),definisce così la pastoraledei ricomincianti, un temache ritiene centralenell’ottica della nuovaevangelizzazione. «Èsemplice – spiega – perchépone come pietra angolaredi tutta la pastorale ilprimo annuncio, cioèl’evangelizzazione toutcourt. Ed è sempliceperché si tratta diannunciare il Vangelo: daquesto annuncio lapersona può voler iniziare,in quanto il suo cuore silascia toccare da esso. È

S

Le esperienze di quantirimangono «sorpresi»dal nuovo incontro con Dio

Don Gian Carlo Vergano

ontinuare edapprofondire il dialogo

sui temi comuni e lacollaborazione concretanella promozione e nelladifesa dei valori cristiani inEuropa: sono i temi toccatinella visita compiuta inBielorussia dal 13 al 15novembre dal cardinaleKurt Koch, presidente delPontificio Consiglio perl’unità dei cristiani. Ilviaggio è avvenuto suinvito di Filaret,metropolita di Minsk eSlutsk e capo della Chiesaortodossa di Bielorussia,dipendente dal Patriarcatodi Mosca, per parteciparealla conferenzainternazionale sul tema

«Dialogo cattolico-ortodosso: valori eticicristiani come contributoper la vita sociale inEuropa». Il cardinale Kochha incontrato i vescovicattolici con cui haaffrontato la situazione deldialogo ecumenico ed hapresieduta l’Eucaristiadomenica scorsa nellaCattedrale di Minsk.Positivi anche i colloquiinsieme al metropolitaFilaret con il presidentedella Repubblica, AleksandrLukashenko, che haespresso la suasoddisfazione per i buonirapporti tra le dueconfessioni nel paese, invista di relazioni sempre

migliori. Il cardinale ha poivisitato l’Istituto diteologia dei santi Metodioe Cirillo che, pur facendoparte dell’Universitàstatale, è guidato dalmetropolita Filaret e chevede, tra i docenti e glistudenti, la presenza dientrambe le confessioni. Lapartecipazione al convegnoe la relazione del cardinaleKoch sulla situazione inEuropa, rileva il PontificioConsiglio per l’unità deicristiani, sottolinea il climapositivo dei rapporti tracattolici ed ortodossi, abeneficio dell’interapopolazione.

Fabrizio Mastrofini© RIPRODUZIONE RISERVATA

C TRIESTE. «Avete ricevuto il piùgrande dei talenti, quello della fede,non nascondetelo ma investitelo,diffondetelo, fatelo fruttare». Così si èespresso l’arcivescovo GiampaoloCrepaldi, vescovo di Trieste,commentando il passo del Vangelosulla parabola dei talenti, allaconclusione del XXX convegnoregionale di Rinnovamento nelloSpirito Santo tenutosi nel capoluogofriulano. L’accorato appellodell’arcivescovo è stato rivolto aglioltre millecinquecento fedeliimpegnati per tutta la giornata inpreghiera, adorazione e nell’ascoltodel loro presidente nazionaleSalvatore Martinez, intervenuto anchealla tavola rotonda sul tema«Misericordia e veritàs’incontreranno, giustizia e pace sibaceranno (Sal 85)», insieme

all’arcivescovo Crepaldi e alsegretario nazionale della Cisl,Raffaele Bonanni. Nel corsodell’incontro si è riflettuto sulla veritàche «deve partire dalla terra – haprecisato Martinez –, da ciò chesiamo, riscoprendo però i veri valorievangelici: l’amore, la vita, la sete digiustizia divina». Un concetto ripresoanche dall’arcivescovo Crepaldi: «Dionon può restare confinato nei recintiprivati ma va riportato al centro dellacollettività perché c’è il rischio chel’uomo annullando Dio finisca perannullare se stesso». «Uno deiproblemi che oggi viviamo – haaggiunto poi, Bonanni – è il distaccofra il politico ed il cittadino, per cuinecessita l’urgenza di rivitalizzarequesto rapporto per dare unarisposta più completa e soddisfacentealle reali esigenze della società».

MOLFETTA. Domani,vigilia della Solennità diCristo Re dell’Universo,alle 18.30 nella Cattedraledi Molfetta il vescovo diMolfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, Luigi Martellaordinerà presbiteroGianluca D’Amato. Ventiseianni il prossimo 25novembre, D’Amatoproviene dalla parrocchiaImmacolata di Terlizzi. Si èpreparato al ministero presbiterale prima nellacomunità del Seminario vescovile di Molfetta e poi alPontificio Seminario regionale di Molfetta. Ha svolto ilministero diaconale nella parrocchia San Giuseppe diGiovinazzo e, attualmente, nella Cattedrale e nelDuomo di Molfetta. Il novello sacerdote presiederà lasua prima Messa domani, alle 12 in Cattedrale e alle18.30 nella parrocchia Immacolata di Terlizzi.

Molfetta: domaniMartella ordina un nuovo prete

Pastorale dei ricomincianti: la riscoperta delle radici

le storie

VENERDÌ18 NOVEMBRE 2011 23

Trieste, il convegno RnS con Crepaldi Portare la Parola, il più grande talento

Bielorussia, il cardinale Koch da Filaretper il dialogo cattolico-ortodosso

«c’è una presa di coscienza e, no-nostante le resistenze, la direzionee è nitida». Forse manca una reale«traduzione nella pratica», ma «cisono germi, piccole esperienze chenon sono conosciute e pertanto po-co valorizzate». «Non dobbiamo farleva sul fatto che le persone cerchi-no o no, ciò che è determinante è ri-scoprire la preziosità di ciò che ab-biamo da offrire, un dono che è ca-pace di spiazzare», evidenzia il re-ligioso per il quale, prima delle esi-genze morali e delle nozioni che latradizione ha elaborato, «è tempodi seminare la buona notizia», ditornare ad annunciare l’«amore gra-tuito di Dio» e che «il Vangelo è fon-te di salvezza per la vita delle per-sone».

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