Il lavoro atipico in Italia: caratteristiche, diffusione e...

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27 Il lavoro atipico in Italia: caratteristiche, diffusione e dinamica di Leonello Tronti e Francesca Ceccato Abstract Over the past years, non-standard, flexible employment contracts have gained in importance in many OECD countries. This has made it difficult for statisticians to apply standard classifications of working arrangements to measure and analyse la- bour market developments. The paper presents a new classification of atypical work- ing arrangements, developed by Istat, the Italian Statistical Institute. The paper also uses this classification to analyse the scenario of non-standard employment arrange- ments in the Italian labour market after Law no. 30/2003 (the so-called “Biagi Law”). It then quantifies both the level and main characteristics of atypical jobs in Italy in the benchmark year 2001, and their development between 1996 and 2003 in the private sector. The concluding remarks point out that the diffusion of non- standard employment in the Italian economy has been driven mostly by “partly atypi- cal” ones, despite the high number of temporary jobs and of jobs with limited social rights. 1. Introduzione. Il crescente ricorso al lavoro atipico e il problema della sua quantificazione La recente diffusione dei paradigmi organizzativi postfordisti nei sistemi produttivi delle economie avanzate si è accompagnata con la continua crea- zione di nuove forme contrattuali che hanno consentito un notevole amplia- Leonello Tronti, Dirigente di ricerca, Istat, e-mail: [email protected]. Francesca Ceccato, Colla- boratrice di ricerca, Istat, e-mail: [email protected]. Il contenuto del presente articolo è di sola responsabilità degli autori e non riflette (necessariamente) la posizione ufficiale dell’Istat.

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    Il lavoro atipico in Italia: caratteristiche, diffusione e dinamica di Leonello Tronti e Francesca Ceccato∗

    Abstract Over the past years, non-standard, flexible employment contracts have gained in

    importance in many OECD countries. This has made it difficult for statisticians to apply standard classifications of working arrangements to measure and analyse la-bour market developments. The paper presents a new classification of atypical work-ing arrangements, developed by Istat, the Italian Statistical Institute. The paper also uses this classification to analyse the scenario of non-standard employment arrange-ments in the Italian labour market after Law no. 30/2003 (the so-called “Biagi Law”). It then quantifies both the level and main characteristics of atypical jobs in Italy in the benchmark year 2001, and their development between 1996 and 2003 in the private sector. The concluding remarks point out that the diffusion of non-standard employment in the Italian economy has been driven mostly by “partly atypi-cal” ones, despite the high number of temporary jobs and of jobs with limited social rights.

    1. Introduzione. Il crescente ricorso al lavoro atipico e il problema della sua quantificazione

    La recente diffusione dei paradigmi organizzativi postfordisti nei sistemi

    produttivi delle economie avanzate si è accompagnata con la continua crea-zione di nuove forme contrattuali che hanno consentito un notevole amplia-

    ∗ Leonello Tronti, Dirigente di ricerca, Istat, e-mail: [email protected]. Francesca Ceccato, Colla-boratrice di ricerca, Istat, e-mail: [email protected]. Il contenuto del presente articolo è di sola responsabilità degli autori e non riflette (necessariamente) la posizione ufficiale dell’Istat.

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    mento delle tipologie di rapporto di lavoro, intendendo con questo termine le concrete modalità di effettuazione delle prestazioni lavorative. Le nuove for-me contrattuali sono generalmente caratterizzate da una più alta flessibilità e da una riduzione dei diritti sociali ad esse connessi.

    Così, se solo pochi anni fa l’elevato grado di omogeneità dei rapporti lavo-rativi consentiva a operatori ed esperti di usare definizioni relativamente sem-plici dei termini “impresa”, “occupazione dipendente” e “occupazione auto-noma” senza incorrere in errori concettuali e/o in quantificazioni errate, oggi invece, dati la crescente complessità dell’organizzazione dei sistemi produtti-vi, il continuo ampliamento delle forme contrattuali previste dalla normativa in materia di rapporti di lavoro e la crescente disparità nei diritti connessi alle varie forme di lavoro, emerge – in modo particolare per la statistica ufficiale – la necessità di rivedere le definizioni da adottare nella misurazione dell’occupazione, così come di prevedere nuovi schemi classificatori che con-sentano un approccio alla quantificazione più realistico e significativo.

    Questo articolo si propone pertanto tre obiettivi: i) anzitutto individuare e classificare l’elevato numero di rapporti di lavoro atipici previsti dalla norma-tiva italiana nel 2003; ii) in secondo luogo, misurare i livelli delle posizioni lavorative atipiche nel 2001, che per gli autori costituisce un anno di ben-chmark, in quanto caratterizzato da una più ampia disponibilità di informazio-ni (censimento dell’industria, studi di settore, altre fonti); iii) descrivere la di-namica delle posizioni di lavoro dipendente atipiche nel settore privato non agricolo dell’economia nel periodo 1996-2003.

    Il testo è organizzato come segue: il paragrafo 2 presenta una nuova classi-ficazione dei rapporti di lavoro atipici, chiarendo la sua posizione in relazione ai vari tentativi fatti nella stessa direzione a livello internazionale. Il paragrafo 3 contiene una prima applicazione di questo schema concettuale al mercato del lavoro italiano, che mostra di essere caratterizzato da 22 differenti contrat-ti di lavoro, i quali possono dare vita a 48 diverse forme atipiche di rapporto di lavoro. Nel paragrafo 4 si presenta un primo tentativo di quantificare tutte le posizioni lavorative atipiche presenti in Italia nel 2001 (anno di ben-chmark), secondo lo schema proposto e sulla base delle fonti disponibili. Nel paragrafo 5 si mostra la dinamica delle posizioni di lavoro atipiche nel perio-do 1996-2003, analizzata sulla base della principale fonte disponibile (la rile-vazione OROS dell’Istat, basata sugli archivi dei modelli DM10 dell’INPS). Infine, si riportano in appendice una sintetica esposizione delle nuove tipolo-gie contrattuali introdotte con la legge n. 30/2003 e il decreto legislativo n. 276/2003, e un primo esercizio di quantificazione dei contratti di inserimento (una delle nuove tipologie contrattuali), riferito al periodo marzo-dicembre 2004.

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    2. Una nuova classificazione dei rapporti di lavoro atipici

    Negli ultimi anni, non diversamente da quanto è accaduto in altri paesi a-vanzati, il mercato del lavoro italiano ha subito profondi cambiamenti che hanno comportato una modifica non solo nel livello dell’occupazione, ma an-che nella sua composizione. La crescente domanda di flessibilità da parte tan-to delle imprese quanto di alcuni segmenti dell’offerta di lavoro ha portato al-la diffusione dei rapporti di lavoro atipici. Nel tentativo di cogliere questi ra-pidi e rilevanti cambiamenti nella struttura del mercato del lavoro, un gruppo di ricercatori dell’Istat1 ha sviluppato una nuova classificazione dei rapporti di lavoro, ideata allo scopo di consentire il monitoraggio del numero e della qua-lità dei numerosi e crescenti rapporti di lavoro atipici2. La nuova classifica-zione è potenzialmente esaustiva e concettualmente semplice, così da soddi-sfare l’esigenza di una struttura concettuale comprensibile e capace di assicu-rare un approccio al tempo stesso analitico e flessibile alla misurazione stati-stica della nuova situazione segmentata del mercato del lavoro.

    La classificazione suggerita (Prospetto 1) si basa su di uno schema concet-tuale che raggruppa i differenti rapporti di lavoro secondo tre principali criteri o dimensioni: i) il carattere di stabilità del rapporto di lavoro (permanente o temporaneo); ii) il regime orario di lavoro (a tempo pieno o parziale); iii) e, infine, il riconoscimento (intero, ridotto o nullo) di diritti sociali derivante dal-la relazione lavorativa3. Secondo questi tre criteri, tutti i rapporti lavorativi possono essere univocamente collocati in una delle otto celle della griglia mo-strata nel Prospetto 1.

    1 Il gruppo di lavoro, coordinato da Leonello Tronti nel contesto del Rapporto annuale del 2001, oltre a Francesca Ceccato, comprendeva Manlio Calzaroni, Eleonora Cimino, Fabio Ra-piti e Roberta Rizzi. 2 Si veda Istat, 2002a e 2003. 3 I diritti da prendere in considerazione sono i diritti previdenziali, sindacali, di assemblea, di studio ecc. e gli altri diritti sociali, legalmente o convenzionalmente riconosciuti a tutti i lavora-tori assunti con contratto di lavoro standard. Quest’ultimo è identificato, per definizione, come un contratto regolare di impiego a tempo indeterminato e con un regime orario a tempo pieno. Naturalmente, poiché il riconoscimento di diritti sociali, secondo la nostra impostazione, viene valutato solo in termini relativi, attraverso il confronto con quelli associati ad un rapporto di lavoro standard, e visto che la portata dei diritti associati ad un rapporto di lavoro standard può essere diversa da paese a paese, la terza dimensione ha una base di valutazione che è specifica per ciascun paese. In ogni modo, una volta confrontati i diritti collegati ai rapporti di lavoro standard nazionali, l’approccio proposto consente di effettuare anche confronti internazionali significativi.

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    Prospetto 1 - Schema concettuale di classificazione dei rapporti di lavoro non standard

    Diritti sociali Stabilità del rapporto di lavoro Regime orario

    Pieni Ridotti o nulli

    Permanente Tempo pieno Tempo parziale

    Temporaneo Tempo pieno Tempo parziale

    L’analisi del prospetto evidenzia gli aspetti salienti della classificazione

    proposta: • Lo schema concettuale considera in primo luogo i rapporti di lavoro

    previsti dalla normativa (tipologie contrattuali), ma può anche essere utilizzato per identificare, più analiticamente, le differenti modalità di applicazione dei rapporti stessi: la stessa tipologia di contratto, infatti, può essere applicata con diverso regime orario o anche con diverse caratteristiche di stabilità.

    • Lo scopo dello schema non è quello di classificare le posizioni lavora-tive o gli occupati secondo la qualità intrinseca del ruolo organizzati-vo che ricoprono nell’impresa, ma è quello di classificare i rapporti di lavoro con riferimento alle loro caratteristiche immediate; da questo punto di vista, la nostra proposta è lontana dall’ispirazione della clas-sificazione della posizione nella professione (ICSE 93) proposta dall’ILO, o dai tentativi di una sua revisione (ad es. Greenwood-Hoffmann, 2002 e Hoffmann, 2002), anche se non riteniamo impro-babile che si possa riscontrare qualche corrispondenza tra specifici rapporti di lavoro e posizioni nella professione.

    • D’altro canto, la classificazione proposta non ha la pretesa di essere una sistemazione ex-post dei risultati di un’analisi dettagliata delle ri-cadute in termini di qualità dell’occupazione dei paradigmi organizza-tivi sviluppati nei sistemi produttivi post-fordisti (ad es. core vs. con-tingent workers, catene di subfornitura, modelli centro-periferia e si-mili); da questo punto di vista, il nostro lavoro è lontano anche dai tentativi fatti in quella direzione come quello proposto, per esempio, da Boyer (1994) o dall’OECD (2002); tuttavia, anche in questo caso, abbiamo motivo di ritenere che la classificazione sia utile per mettere in luce almeno alcuni degli aspetti organizzativi dei sistemi produttivi post-fordisti.

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    • Inoltre, poiché lo schema considera soltanto i contratti di lavoro rego-lari e non prevede, almeno in prima istanza, di costituire uno strumen-to di misurazione del livello di stress ad essi associati, la classifica-zione è diversa anche dai tentativi di classificare il lavoro precario, in-formale e irregolare (come, ad es., quello proposto nei lavori dell’ESOPE Network); anche se ci sembra che la nostra classificazio-ne, se associata ad altri elementi conoscitivi (ad esempio le retribu-zioni, la durata degli spell occupazionali, l’intensità del lavoro ecc.) potrebbe aggiungere utili elementi sistematici anche per questa finali-tà e, più in generale, per la classificazione della qualità del lavoro4.

    • Infine, va sottolineato che la classificazione proposta è molto sempli-ce e generale, e per questo può essere facilmente usata in primo luogo per quantificare il livello e la dinamica dei rapporti di lavoro atipici su base nazionale e quindi, una volta chiarite le differenze nell’entità dei diritti sociali associati al contratto standard tra i diversi paesi, anche per provvedere ad una misurazione comparata su base internazionale.

    3. Una prima applicazione: i rapporti di lavoro atipici in Italia

    Lo schema concettuale proposto, che raggruppa i diversi rapporti di lavoro secondo i tre criteri indicati (stabilità del rapporto di lavoro, regime orario e riconoscimento di diritti sociali), può essere usato per classificare i rapporti di lavoro atipici presenti in ogni mercato del lavoro, e quindi anche in quello ita-liano (Prospetto 2). Il tentativo di applicarlo al caso italiano rende evidente che esso può essere usato per classificare sia il lavoro dipendente che quello autonomo. Questa caratteristica risulta particolarmente significativa per una corretta rappresentazione del mercato del lavoro italiano, dove il lavoro auto-nomo da molto tempo svolge la funzione di tradizionale regolatore del volume di lavoro nelle fasi di recessione e di strumento per assicurare il giusto grado di flessibilità del lavoro. Molte posizioni lavorative che altrove sarebbero re-golate da rapporti di lavoro dipendente in Italia hanno assunto le forme del la-voro autonomo, e spesso ciò accade ancora oggi5. 4 Si vedano i lavori su questo tema presentati alla 17a International Conference of Labour Sta-tisticians (ILO, 2004) e ai due Joint Seminars UNECE-Eurostat-ILO sulla qualità del lavoro (UNECE-Eurostat-ILO, 2002 e 2005). 5 Anche per questa ragione, alcune tradizionali tipologie di lavoro non standard si sono svilup-pate solo recentemente e l’Italia è ancora in ritardo rispetto agli altri paesi nella loro applicazio-ne, come accade per il part-time e per il contratto a tempo determinato.

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    Tuttavia, l’applicazione senza qualificazioni della classificazione ai rap-porti di lavoro autonomo potrebbe essere motivo di critica dato che, per un lavoratore autonomo, un’occupazione non stabile e/o ad orario ridotto potreb-be essere il risultato di molti e diversi motivi (l’incertezza nella scelta profes-sionale, problemi di mercato, una temporanea preferenza personale ecc.), piut-tosto che il frutto di un accordo esplicito tra lavoratore e committente struttu-rato attraverso un regolare contratto. Per questa ragione, pur senza sottovalu-tare l’importanza di una misurazione delle occupazioni indipendenti tempora-nee e ad orario ridotto, abbiamo scelto di limitare la nostra analisi ai soli casi in cui la prestazione di lavoro non subordinato è regolata da uno specifico ac-cordo lavorativo, più o meno formalizzato, tra lavoratore e impresa: collabo-razione occasionale o collaborazione coordinata e continuativa, associazione in partecipazione, lavoro a progetto e lavoro accessorio.

    Inoltre, proseguendo nella classificazione dei rapporti di lavoro, è possibile notare che alcuni di loro appaiono atipici solo in riferimento ad alcune caratte-ristiche peculiari, come la locazione lavorativa, la durata o la diffusione rela-tivamente recente nell’ambito del mercato del lavoro italiano. Per questa ra-gione abbiamo ritenuto utile aggiungere ai tre principali un quarto criterio bi-nario di classificazione, denominato “grado di atipicità” (“atipico in senso stretto” o “parzialmente atipico”), che può permetterci di seguire più analiti-camente le caratteristiche e le trasformazioni nel corso del tempo dei rapporti di lavoro. Definiamo, pertanto, un rapporto di lavoro come “atipico in senso stretto” quando il tipo di contratto utilizzato è intrinsecamente diverso da quello standard (regolare, dipendente, a tempo pieno e durata indeterminata); mentre definiamo come “parzialmente atipico” un rapporto di lavoro regolato da un contratto molto vicino a quello standard, ma tuttavia caratterizzato da aspetti atipici nella prestazione lavorativa (luogo di lavoro, durata, ecc.)6.

    Per questo, abbiamo incluso nella classificazione tutti i rapporti di lavoro che sono caratterizzati da almeno una caratteristica di atipicità. Il Prospetto 2, che presenta i risultati del nostro esercizio con riferimento alla situazione del mercato del lavoro italiano dopo il decreto legislativo n. 276/20037, considera

    6 Il caso più importante tra i rapporti di lavoro parzialmente atipici è il part-time a tempo inde-terminato che, diversamente da quanto è avvenuto negli altri paesi europei, è stato introdotto in Italia solo recentemente (con la legge n. 463 del 1984), e ha cominciato ad avere una diffusione di un certo rilievo solo nell’ultimo decennio. 7 La legge n. 30/2003 e il decreto legislativo n. 276/2003 regolano e rivedono molti contratti di lavoro atipici. Tuttavia, a causa di alcune norme di gradualità e dei ritardi nella promulgazione dei decreti attuativi, gli effetti concreti della loro applicazione saranno per lo più osservabili solo a partire dal 2005.

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    tutti e quattro i criteri, essendo il quarto evidenziato dall’area a sfondo grigio (rapporti di lavoro parzialmente atipici). Il prospetto indica anche se il rappor-to di lavoro esaminato è di tipo dipendente o no (parasubordinato o autonomo).

    Prospetto 2 – Classificazione dei rapporti di lavoro atipici – Situazione nel 2004

    Diritti sociali (a) Pieni Ridotti (a)

    Stabilità del rapporto di lavoro

    Regime orario Dipendenti Dipendenti Autonomi (b)

    Permanente Tempo pieno Contratti di somministrazione (staff leasing)

    Lavoro a domicilio Telelavoro Interinale (c) Tempo parziale Interinale (c) o orario ridotto Contratto di solidarietà esterna

    Contratti di somministrazione (staff leasing)

    Lavoro intermittente Job sharing Part-time a tempo indeterminato Lavoro a domicilio Telelavoro Temporaneo Tempo pieno Contratto di formazione e lavoro Stage (d) Collaborazione coordinata e

    continuativa Contratto a tempo determinato Contratto di inserimento Collaborazione occasionale Interinale Associati in partecipazione

    Contratti di somministrazione (staff leasing) Lavoro a progetto

    Lavoro a domicilio temporaneo Apprendistato Lavoro stagionale Telelavoro a termine

    Tempo parziale o orario ridotto Contratto di formazione e lavoro Stage (d) Collaborazione coordinata e

    continuativa Contratto a tempo determinato Lavori socialmente utili Collaborazione occasionale Interinale Lavori di pubblica utilità Associati in partecipazione

    Contratti di somministrazione (staff leasing) Contratto di inserimento Lavoro a progetto

    Lavoro intermittente Piani di inserimento professionale Prestazioni accessorie

    Job sharing Lavoro a domicilio Apprendistato Lavoro stagionale Telelavoro In grigio sono evidenziati i rapporti di lavoro caratterizzati soltanto parzialmente da elementi di atipicità (ad esempio nella modalità di erogazione del lavoro, nell’orario di lavoro, nel carattere relativamente innovativo). (a) In questa classificazione i diritti sociali considerati si riferiscono esclusivamente all’area previdenziale. I diritti previ-denziali sono nulli nel caso dei lavori socialmente utili e di pubblica utilità. (b) Per i lavori autonomi la distinzione tra i rapporti di lavoro permanenti e temporanei è, ovviamente, una questione di fatto e non di diritto. (c) Si tratta di lavoratori che intrattengono un rapporto continuativo con l’agenzia interinale, che prevede anche la corre-sponsione di indennità nei periodi di inattività. (d) Per gli stage l’inclusione tra i dipendenti è arbitraria e segue una convenzione diffusa a livello internazionale, sebbene giuridicamente non siano da considerare rapporti di lavoro. Il SEC95 li considera come facenti parte nella produzione dei beni.

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    La classificazione identifica, nell’attuale regolazione del mercato del lavo-ro italiano, 22 diversi contratti di lavoro, che possono essere organizzati in ben 48 diversi rapporti di lavoro. Di questi, il nostro schema ne classifica 35 come strettamente atipici e i rimanenti 13 come parzialmente atipici8.

    Se si confronta questa situazione con quella precedente all’introduzione della nuova legge (si veda Istat, 2003) si evince che il numero dei contratti di lavoro non-standard è cresciuto di 8 tipologie (da 14 a 22), e il numero dei rapporti di lavoro atipici di 15 (da 33 a 48). La crescita è conseguenza dell’aumento considerevole delle tipologie di lavoro strettamente atipiche (da 20 a 35), mentre quelle parzialmente atipiche sono rimaste invariate (13).

    Per un’analisi sintetica delle possibilità di impiego attualmente concesse nel mercato del lavoro italiano secondo la classificazione proposta, si possono commentare ad esempio i risultati dell’applicazione con riferimento all’incrocio della quarta dimensione (grado di atipicità) con le altre. In parti-colare, se si considerano i rapporti di lavoro che prevedono il pieno godimen-to dei diritti sociali, il Prospetto 2 mostra che:

    1) tra i rapporti di lavoro permanenti (con orario a tempo pieno o parzia-le), collochiamo il lavoro a domicilio (tradizionalmente, svolto da donne che eseguono a casa lavori di profilo non elevato) e il telelavo-ro (svolto da coloro che lavorano a casa o altrove usando un computer o una connessione on-line) tra i lavori parzialmente atipici, perché non-standard nel luogo in cui vengono erogati; mentre il lavoro inte-rinale e quello in regime di somministrazione, anche se su base per-manente (es. quando il contratto assicura comunque uno stipendio o un sussidio durante il periodo di inattività), sono classificati come strettamente atipici, a causa della natura intrinseca del contratto di la-voro;

    2) i rapporti di lavoro dipendente part-time sono classificati come par-zialmente atipici, soprattutto a causa della loro recente diffusione in Italia; mentre i contratti di solidarietà esterna (che prevedono la ridu-zione dell’orario di lavoro con l’intento di creare nuovi posti di lavo-ro), i contratti di lavoro intermittente (nuova tipologia che prevede la-voro “a chiamata” e discontinuo) e di lavoro ripartito (un singolo con-tratto stipulato dall’impresa con due o più lavoratori che sono mutua-

    8 Sebbene la nostra classificazione appaia ragionevolmente esaustiva, siamo convinti che il nu-mero totale dei rapporti di lavoro atipico può dipendere dai criteri di classificazione prescelti. Per esempio, il Prospetto 2 non considera ulteriori aspetti del lavoro non-standard, come lo svolgimento nelle cosiddette “unsocial hours” (turni notturni, nei fine settimana e nei periodi feriali), così come anche tutte le forme di lavoro informale.

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    mente responsabili dell’attività lavorativa), anche quando su base permanente, sono classificati come atipici in senso stretto, a causa della loro natura intrinseca;

    3) i rapporti di lavoro a tempo determinato (a regime sia full-time che part-time), i contratti di formazione e lavoro e di lavoro interinale so-no tutti classificati come atipici in senso stretto a causa della loro tipo-logia lontana da quella standard.

    Se si considerano, invece, i rapporti di lavoro con diritti sociali ridotti o nulli, il Prospetto 2 mostra che:

    a) i rapporti di lavoro temporanei con contratto di apprendistato sono classificati come parzialmente atipici perché l’apprendistato (seppure con contenuti e regole in continua evoluzione) costituisce un’istituzione tradizionale del mercato del lavoro italiano. D’altro la-to, i contratti di lavoro socialmente utile e di pubblica utilità, i piani di inserimento professionale (tesi all’incremento dell’occupazione nelle regioni del Sud o nelle aree svantaggiate), i nuovi contratti di inseri-mento (tesi all’inserimento dei più giovani nel mondo lavorativo e a sostituire i contratti di formazione e lavoro; nonché, al reinserimento di disoccupati con più di 50 anni) e i tirocini estivi di orientamento sono definiti atipici in senso stretto a causa della loro natura. Infine, i tirocini non retribuiti sono inclusi tra i rapporti di lavoro atipici (in senso stretto) perché, sebbene non retribuiti, essi sono convenzional-mente considerati dalle statistiche ufficiali come forme di lavoro che concorrono alla produzione del pil9;

    b) tra le attività di lavoro autonomo (basate su contratti o accordi di lavoro temporanei), le collaborazioni coordinate e continuative (lavoro parasu-bordinato), i contratti di lavoro a progetto, o anche le collaborazioni oc-casionali sono tutti definiti come rapporti atipici in senso stretto10; inol-

    9 I tirocini non pagati o stage non sono considerati attività lavorativa per la legge italiana (n. 451 del 1994, n. 196 del 1997 e n. 488 del 1999). Nonostante ciò, nella classificazione sono inclusi tra i rapporti di lavoro dipendente sulla base di quanto stabilisce il regolamento statistico internazionale SEC95, che li include tra le forme di lavoro impegnate nella produzione di beni per il mercato o di beni pubblici. Lo stesso vale per i contratti di pubblica utilità e quelli so-cialmente utili. 10 La legge n. 30/2003 e il decreto legislativo n. 276/2003, avendo profondamente rivisto le re-gole per l’attività autonoma, potrebbero produrre un effetto considerevole sul numero dei colla-boratori. Prima di questa modifica legislativa, i contratti di collaborazione coordinata e conti-nuativa od occasionale non avevano particolari vincoli per la loro applicazione. Per tale ragio-ne, sono stati utilizzati dai datori di lavoro per creare occupazione assimilabile a quella subor-dinata ma con un costo minore. La nuova normativa ha reso più vincolanti i requisiti per

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    tre, tra i lavori autonomi vengono considerati gli associati in parteci-pazione, i quali non partecipano come salariati ai costi fissi dell’impresa, ma percepiscono proventi in base ai suoi risultati eco-nomici. Questi rapporti di lavoro, previsti dal codice civile (art. 2549) possono regolare molte e diverse mansioni lavorative, ma individuano in ogni caso un contributo lavorativo necessario per l’attività econo-mica dell’azienda. Essi sono utilizzati comunemente, specialmente nel commercio, dove molti lavoratori percepiscono una retribuzione proporzionale all’andamento delle vendite.

    4. Una quantificazione dei rapporti di lavoro atipici in Italia nel 2001 secondo la nuova classificazione In base alla classificazione proposta nel paragrafo precedente, si tenta qui

    una prima quantificazione del livello del lavoro atipico nell’anno 2001 (anno di benchmark), ricorrendo all’utilizzo integrato delle principali fonti statisti-che a disposizione e delle informazioni ricavate dagli archivi amministrativi. Se si desidera quantificare il numero dei rapporti di lavoro atipici, infatti, non è possibile ricorrere ad una sola fonte statistica. La principale fonte sul merca-to del lavoro, la rilevazione sulle forze di lavoro, proprio perché interroga le famiglie e deve ovviamente farlo in modo campionario, può monitorare sola-mente grandi categorie di dipendenti part-time e a tempo determinato, mentre trascura completamente la disaggregazione tra le numerose tipologie di rap-porti di lavoro dipendente e autonomo, non consentendo di ottenere un quadro dettagliato del lavoro atipico11.

    La necessità di raccogliere informazione sulla diffusione di varie tipologie di lavoro atipico può essere, invece, almeno parzialmente soddisfatta tramite l’uso integrato di dati derivanti dalle indagini statistiche e dalle fonti ammini-strative. In particolare, alcuni archivi amministrativi sulle imprese possono

    l’utilizzo di questi tipi di contratto: i contratti di collaborazione coordinata e continuativa pos-sono essere offerti solo a membri di associazioni professionali o pensionati, mentre tutti gli altri possono essere assunti se il datore di lavoro definisce uno specifico progetto con una durata inferiore a 30 mesi (contratto a progetto). In aggiunta, le nuove leggi hanno inserito il lavoro accessorio, che regolarizza attività occasionali per non più di 30 ore nell’anno solare a cui se-gua una retribuzione non superiore complessivamente a 3 mila euro. 11 Va comunque notato che la nuova Rilevazione continua presenta un’accresciuta capacità di monitorare dal 2004 almeno le forme più diffuse di lavoro atipico, quali ad esempio le collabo-razioni continuative (si veda Istat, 2005).

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    essere utilizzati a questi scopi. Il valore di tali fonti rispetto alle indagini cam-pionarie sta nella loro ricchezza di informazione di dettaglio sui “fenomeni rari”, come anche nel vantaggio di non costituire un aggravio del carico stati-stico per le imprese. In Italia, l’uso dei dati amministrativi rende oggi possibi-le quantificare l’occupazione in termini di numero di posizioni lavorative per tipologia di rapporto di lavoro, mentre in futuro si delinea la possibilità di quantificare anche altre caratteristiche dell’occupazione, ad esempio il tempo lavorato, le retribuzioni e il costo del lavoro.

    Le informazioni che qui presentiamo sono ricavate principalmente dalla ri-levazione OROS (Occupazione, Retribuzioni e Oneri Sociali) dell’Istat, che si basa sull’archivio mensile delle posizioni contributive INPS relative ad im-prese attive con almeno un dipendente operanti nell’industria e nei servizi (circa 10 milioni di dipendenti e 1,2 milioni di posizioni contributive all’anno), ed esclude la pubblica amministrazione e i servizi alle famiglie12.

    Con riferimento a tali unità di rilevazione, l’indagine registra il numero di posizioni lavorative relative ai dipendenti che nel corso del trimestre di rife-rimento hanno percepito una retribuzione imponibile a fini previdenziali. La fonte INPS viene opportunamente combinata con le informazioni derivanti dalla rilevazione mensile sul lavoro e le retribuzioni nelle grandi imprese. L’utilizzo integrato di queste due fonti consente di ottenere il numero com-plessivo delle posizioni lavorative distinte per i diversi rapporti di lavoro, con un dettaglio che non può essere rilevato dalle tradizionali fonti sulle famiglie o sugli individui.

    Inoltre, per ottenere una quantificazione il più possibile esaustiva della dif-fusione del lavoro atipico nel 2001 (anche nelle forme del lavoro parasubordi-nato o autonomo e nei settori di attività economica non coperti dalla rileva-zione Oros), si sono utilizzate anche altre fonti: gli Studi di settore del Mini-stero dell’Economia e delle Finanze (2001), il Rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (2003) e altre ancora.

    12 Si tratta delle imprese operanti nelle attività economiche comprese nelle sezioni tra C e K della classificazione Nace Rev. 1. In dettaglio, le sezioni di attività economica coperte sono: C – Estrazione di minerali; D – Attività manifatturiere; E – Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua; F – Costruzioni; G – Commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa; H – Alberghi e ristoranti; I – Traspor-ti, magazzinaggio e comunicazioni; J – Intermediazione monetaria e finanziaria; K – Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed imprenditoriali.

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    Tav. 1a - La diffusione dei rapporti di lavoro non-standard in Italia – Anno 2001(*) (posizioni lavorative, in valore assoluto)

    Diritti sociali

    Pieni Parziali o nulli Stabilità del rapporto di lavoro

    Regime orario

    Dipendenti Dipendenti Autonomi Permanenti Tempo

    pieno Lavoro a domicilio (b)

    19.129

    Telelavoro (c) 580.000 Tempo

    parziale Contratti di solidarietà esterna

    2

    Part-time (b) 893.972 Lavoro a domicilio

    (b) 4.086

    Temporanei Tempo pieno

    Contratti formazione lavoro (b)

    232.289 Associato in partecipazione (e)

    26.844

    A tempo determinato (b)

    351.245

    Lavoro interinale (a) 81.487 Lavoro a domicilio

    (b) 1.140 Apprendistato (b) 399.058

    Tempo parziale

    Contratto formazione e lavoro (b)

    28.016 Piani inserimento professionale (b)

    62.816 Collaborazione coordinata e continuativa (d)

    827.000

    Part-time (b) 136.376 Progetto socialmente utile (f)

    81.588

    Progetto di pubblica utilità (f)

    11.080

    Lavoro a domicilio (b)

    1.234 Apprendistato (b) 45.742

    Fonti: Istat, Conti Nazionali, 2001, 2004; Istat, Rilevazione Oros, 2001; Istat, 8° Censimento generale delle imprese industriali e dei servizi; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro, 2003; Ministero dell’Economia e delle Finanze, Studi di settore, 2001; Empirica 2000, ECaTT Final Report, 2000. (*) Valore medio annuo del 2001, dove non diversamente specificato. Posizioni lavorative parzialmente atipiche segnalate con sfondo grigio. Esse rappresentano quelle posizioni caratterizzate da almeno una mo-dalità atipica (es. nel modo in cui viene prestato il lavoro, nella durata non standard o nella locazione non standard del lavoro, nella recente introduzione nel mercato nazionale del lavoro etc.). (a) Elaborazione Istat su dati INPS. Il dato, pubblicato dall’Istat nel Rapporto annuale – La situazione del Paese nel 2002, si riferisce alle posizioni lavorative calcolate come unità equivalenti a tempo pieno nel 2001. Il processo di produzione del dato riferito al 2001 non consentiva di distinguere tra tempo ridotto e tempo pieno. (b) Istat, Conti Nazionali, Rilevazione Oros. I livelli di queste posizioni si riferiscono solo alle attività eco-nomiche comprese tra C e K della classificazione Nace Rev.1 (c) Le stime si riferiscono al 1999: Empirica 2000, ECaTT Final Report, Benchmarking progress on new ways of working and new forms of business across Europe, 2000. I telelavoratori regolari non possono esse-re distinti tra posizioni a tempo pieno e tempo parziale, né tra temporanei e permanenti. (d) L’8° Censimento generale dell’industria e dei servizi ha rilevato i collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co.) nel giorno 22 Ottobre 2001. I collaboratori non sono distinguibili tra tempo pieno e tempo par-ziale, o tra permanenti e temporanei. I livelli si riferiscono al totale economia. (e) Ministero dell’Economia e delle Finanze, Studi di settore, 2001. Gli associati in partecipazione non pos-sono essere distinti tra tempo pieno e tempo parziale. Il dato si riferisce all’anno d’imposta 2000. (f) Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro, 2003. I livelli si riferiscono al totale economia.

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    Le Tavole 1a e 1b, che mostrano i risultati della nostra quantificazione, pur presentando un quadro molto ampio e dettagliato, non possono tuttavia essere ancora considerate né esaustive né del tutto esenti dal rischio della presenza di duplicazioni13.

    Tav. 1b. - Posizioni di lavoro atipiche in Italia. Totali distinti per le diverse carat-teristiche – Anno 2001(*) (valori assoluti e percentuali) Posizioni di lavoro atipiche

    Valori assoluti Note Composizione percentuale

    Quota percentuale sul totale delle posizioni

    lavorative regolari

    A) Posizione nella professione Dipendente 2.929.260 77,4 11,9 Autonomo 853.844 22,6 3,5

    B) Stabilità del posto di lavoro Permanente 1.497.189 (c) 39,6 6,1 Temporaneo 2.285.915 (c) 60,4 9,3

    C) Regime orario Tempo pieno 1.691.192 (a) (c) (d) (e) 44,7 6,9 Tempo ridotto 2.091.912 (a) (c) (d) (e) 55,3 8,5

    D) Diritti sociali Pieni 2.328.976 61,6 9,5 Parziali o nulli 1.454.128 38,4 5,9

    E) Grado di atipicità Atipici in senso stretto 1.838.743 48,6 7,5 Parzialmente atipici 1.944.361 51,4 7,9

    TOTALE 3.783.104 100,0 15,4 Fonti e note: si veda la Tavola 1a. (*) si veda la Tavola 1a.

    Infatti, le posizioni lavorative rilevate appartenenti alle diverse tipologie

    contrattuali si riferiscono a coperture settoriali o dimensionali diverse a se-conda della fonte usata, solo in alcuni casi esaustive. In particolare: i) tutte le informazioni derivanti dagli archivi Oros riguardano solo le sezioni di attività economica da C a K della classificazione Nace Rev.1; ii) mentre quelle pro-venienti dal Rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del la-voro e dagli altri archivi INPS coprono l’intera economia; iii) inoltre, i dati ricavati dagli Studi di settore coprono un campione di imprese con un fattura-to annuo pro-capite minore di 5 milioni e 164 mila euro, indipendentemente dall’attività economica svolta. In secondo luogo, le stime disponibili sui tele-

    13 Le posizioni lavorative fino ad ora misurate sono quelle sottese dai seguenti contratti: con-tratto interinale, lavoro a domicilio, telelavoro, contratto di formazione e lavoro, contratti di solidarietà esterna, part-time, contratti a tempo determinato, apprendistato, collaborazioni coor-dinate e continuative, associati in partecipazione, contratti temporanei in lavori socialmente utili e di pubblica utilità, piani di inserimento professionale.

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    lavoratori “regolari” nel 1999, pubblicate da Empirica (2000) e basate su di una metodologia che non è possibile valutare, si riferiscono a persone che la-vorano almeno un giorno la settimana fuori dal luogo abituale di lavoro, a ca-sa o altrove, con l’utilizzo di computer e di connessioni on-line; queste posi-zioni possono, quindi, almeno in parte sovrapporsi a quelle classificate altrove e la nostra inclusione si fonda implicitamente sull’ipotesi che si tratti in tutti i casi di dipendenti regolati da rapporti di lavoro standard. Infine, nessuna fonte disponibile quantifica i lavoratori stagionali, gli stagisti e i collaboratori occa-sionali14.

    Nonostante questi limiti, che portano ad ipotizzare che i totali quantificati siano nel complesso sottostimati, la Tavola 1b mostra che il livello totale del lavoro non-standard in Italia nel 2001 ammonta a più di 3 milioni e 783 mila posizioni lavorative, ovvero a più del 15,4 per cento delle posizioni regolari totali rilevate nel 2001 dalla Contabilità Nazionale (24 milioni e 551 mila)15. Una stima prudente delle posizioni atipiche rilevate esclusivamente nei settori dell’industria e dei servizi privati supera i 3 milioni, e corrisponde ad un’incidenza del 19,2 per cento sul totale.

    Le posizioni di lavoro dipendente rappresentano la grande maggioranza tra quelle atipiche (2 milioni e 929 mila: 77,4 per cento), mentre il numero di quelle di lavoro autonomo o parasubordinato è molto più ridotto (circa 854 mila: 22,6 per cento)16.

    Considerando una dimensione alla volta, si può analizzare la distribuzione dei rapporti di lavoro non-standard secondo le diverse modalità previste dalla classificazione proposta. Se si considera la caratteristica della stabilità dell’occupazione, la maggioranza si concentra nelle posizioni temporanee (ol-tre 2 milioni e 285 mila, o 60,4 per cento sul totale dei contratti atipici). Se si guarda al regime orario, il livello dei lavoratori con contratto non-standard si divide abbastanza equamente tra le due alternative, anche se il numero dei la-voratori con regime orario ridotto supera i 2 milioni, mentre il gruppo dei full-timers ammonta a 1,7 milioni di posizioni lavorative (44,7 per cento)17. Se si

    14 I nuovi rapporti di lavoro regolati dalla legge n. 30/2003 potranno essere quantificati quando si disporrà dei dati relativi al 2004 o addirittura al 2005. 15 Per una valutazione generale della flessibilità di fatto del mercato del lavoro italiano, si tenga presente che l’Istat stima che circa 5,6 milioni di posizioni lavorative non regolari potrebbero essere aggiunte ai 24,5 milioni di posizioni regolari rilevate nel 2001. 16 Questa grande differenza è parzialmente dovuta alla difficoltà di ottenere informazioni sugli autonomi, in particolare sui collaboratori occasionali. 17 Questo livello è calcolato includendo tra il gruppo dei lavoratori a tempo ridotto tutti i colla-boratori rilevati.

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    considera il riconoscimento dei diritti sociali, la maggioranza si concentra nel-la categoria con pieno riconoscimento (61,6 per cento), che conta oltre 2,3 mi-lioni di posizioni lavorative; tuttavia, il numero di posizioni che godono di un riconoscimento soltanto parziale o addirittura nullo è comunque impressio-nante (1 milione e 454 mila: 38,4 per cento, 5,9 per cento sul totale delle posi-zioni lavorative regolari)18. Infine, se si valuta la natura dell’atipicità, i dati mostrano una certa ripartizione tra le posizioni strettamente atipiche (1 milio-ne e 838 mila: 48,6 per cento; 7,5 per cento sul totale delle posizioni regolari) e quelle parzialmente atipiche (1 milione e 944 mila: 51,4 per cento).

    In sintesi, nel mercato del lavoro italiano il lavoro atipico assume in larga prevalenza le forme delle varie tipologie di rapporti di lavoro dipendente a tempo determinato, spesso caratterizzate da orario di lavoro ridotto. D’altro lato, se si analizzano le posizioni di lavoro atipiche permanenti, si nota che la maggioranza è costituita da quelle parzialmente atipiche, una caratteristica che evidenzia la preferenza per il part-time o per modalità non-standard nella pre-stazione di lavori regolati da contratti standard (telelavoro, lavoro a domici-lio). Infine, anche se la numerosità delle posizioni atipiche in senso stretto è inferiore a quella delle posizioni parzialmente atipiche, e l’ammontare di quel-le che vedono riconosciuti in modo parziale o nullo i diritti sociali è anch’esso relativamente contenuto, le quote che caratterizzano i gruppi estremi della di-stribuzione dei lavori secondo la classificazione proposta appaiono di dimen-sioni indubbiamente allarmanti.

    5. La dinamica delle posizioni di lavoro atipiche tra il 1996 e il 2003 Per poter dare una misura di benchmark dei lavoratori coinvolti nelle cate-

    gorie del lavoro atipico si è dovuto ricorrere all’integrazione di molteplici fon-ti, poiché nessuna consente singolarmente di fornire una quantificazione con il dettaglio necessario. È tuttavia possibile seguire nel tempo se non l’intera po-polazione delle posizioni di lavoro atipiche, almeno la loro componente mag-giore, costituita dalle posizioni di lavoro dipendente nel settore privato non agricolo (ad esclusione dei servizi sociali e personali).

    Le informazioni per esaminare la dinamica nel tempo del lavoro atipico possono essere ricavate principalmente dalla rilevazione Oros (come già ri-

    18 Potrebbe essere utile ricordare che la quantificazione dei lavoratori con diritti sociali ridotti o nulli è sostanzialmente sottostimata a causa della mancanza di informazioni sui collaboratori occasionali.

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    portato nel paragrafo 4, relativamente alla costruzione del benchmark 2001). Per garantire la coerenza delle stime con le fonti statistiche ufficiali, la com-posizione percentuale delle posizioni lavorative atipiche ricavata dalla fonte Oros19, è stata applicata al totale delle posizioni lavorative dell’universo corri-spondente (dipendenti regolari del settore privato non agricolo) stimate nel quadro dei conti nazionali. In questo modo, l’evoluzione di alcune tipologie di lavoro atipico nel breve periodo 2002-2003, può essere messa a confronto con l’evoluzione media annua delle stesse tipologie nel settennio tra il 1996 e il 2003. Per valutare la significatività di questo esercizio si può notare che la quota delle posizioni lavorative monitorate attraverso la rilevazione Oros nell’anno di benchmark 2001 (posizioni dipendenti nelle sezioni da C a K) corrisponde al 75,3 per cento del totale delle posizioni lavorative atipiche di-pendenti e al 58,3 per cento del totale delle posizioni atipiche censite.

    Per completare il quadro evolutivo del lavoro atipico, il tassello mancante fondamentale è quello della dinamica delle posizioni relative ai collaboratori coordinati e continuativi, la cui quantificazione è al momento possibile con riferimento al 2001 (nei settori economici da C a K, pari a circa 540 mila20). Con la nuova disciplina introdotta dalla legge 30, che riduce l’utilizzo di tale forma contrattuale a particolari categorie di lavoratori e introduce il lavoro a progetto, diverrà ancora più difficile seguirne nel tempo l’evoluzione. Lo stes-so vale per le collaborazioni occasionali, fino ad ora non quantificabili da al-cuna fonte ufficiale, e per le quali è intervenuto un cambiamento normativo in termini di giornate lavorative e di compenso (lavoro occasionale), che ne mo-dificheranno l’utilizzo. Peraltro, oltre a risolvere la questione delle collabora-zioni, per pervenire ad una stima esaustiva dell’evoluzione del lavoro atipico, sarebbe necessario quantificare anche le posizioni lavorative atipiche presenti nell’agricoltura, silvicoltura e pesca (la legge 30 estende l’uso del part-time senza limiti anche al settore agricolo), nella pubblica amministrazione, nei servizi alle famiglie e negli altri servizi sociali e personali. Tuttavia, a questo fine si dispone per ora soltanto del dato relativo ai lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità, impegnati esclusivamente presso pubbliche amministra-

    19 La rilevazione Oros rilascia ufficialmente stime sulle retribuzioni, gli oneri sociali e il costo del lavoro per unità di lavoro equivalente a tempo pieno dal dicembre 2002 (Istat, 2002). Le stime ufficiali dell’occupazione dipendente di fonte Oros invece, previste per la fine del 2005, non sono state ancora pubblicate; i dati presentati in questo lavoro sono pertanto da considerarsi del tutto provvisori. 20 8° Censimento generale dell’industria e dei servizi del 2001.

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    zioni o enti pubblici economici, che occupavano oltre 80 mila posizioni nel 2001 e circa 66 mila nel 200221.

    L’analisi, limitata alle informazioni derivanti dalla rilevazione Oros, dei li-velli dell’occupazione dipendente negli anni 2002 e 2003 e dell’incremento medio annuo nei periodi 1996-2003 e 2002-2003, conferma la continua cre-scita dell’occupazione totale nei settori economici considerati. Allo stesso tempo, si evidenzia che l’incremento è stato trainato dalle posizioni lavorative dipendenti atipiche, ma con una decelerazione nel 2003 rispetto alla crescita media del periodo 1996-2003 (Grafico 1 e Tavola 2).

    Graf. 1 - La dinamica delle posizioni lavorative nei settori dell’industria e dei servizi privati (a) – Anni 1996-2003 (numeri indice, base 1996=100; per il periodo 1997-99, valori stimati per le posizioni lavorative non-standard sulla base del tasso di crescita medio annuo tra il 1996 e il 2000)

    90

    100

    110

    120

    130

    140

    150

    160

    1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

    Posizioni lavorative

    dipendenti atipiche

    Posizioni lavorative

    dipendenti in complesso

    indici 1996=100

    Fonte: Istat, Contabilità Nazionale e Rilevazione Oros. (a) Sezioni da C a K della classificazione Nace rev.1.

    Nel periodo 1996-2003, mentre le posizioni lavorative dipendenti in com-

    plesso sono cresciute di quasi 1,7 milioni, ad un tasso di crescita medio annuo del 2,5 per cento, le posizioni lavorative dipendenti atipiche hanno registrato 21 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto di monitoraggio e delle politiche so-ciali, 2003.

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    un incremento di 870 mila unità circa, secondo un tasso medio annuo del 6,4 per cento. In altri termini, il lavoro atipico ha contribuito per il 52 per cento al totale dei posti di lavoro creati nel periodo. Nel 2001 questa intensa crescita ha subito una frenata, come conseguenza dell’introduzione del credito d’imposta per l’assunzione del personale con forme di lavoro a tempo inde-terminato, in particolare nel Mezzogiorno22. Dopo il 2001, però, il nuovo go-verno ha reso i crediti sostanzialmente meno generosi, e i loro effetti si sono rapidamente dissolti.

    Nel 2003 il numero totale delle posizioni di lavoro dipendente è aumentato del 3 per cento rispetto al 2002, a fronte di una crescita media annua del 2,5 per cento nel periodo 1996-2003 (Tavola 2). L’incremento, ancora una volta, è stato trainato dalle posizioni di lavoro atipico (5,3 per cento), sebbene su li-velli di crescita inferiori rispetto al passato (6,4 per cento nel periodo 1996-2003). Anche le posizioni di lavoro standard sono cresciute del 2,4 per cento, rispetto alla media dell’1,5 per cento nel periodo 1996-2003. In termini asso-luti, nel 2003 le posizioni lavorative atipiche osservate hanno superato il livel-lo di 2 milioni e 460 mila unità (23,9 per cento dell’occupazione totale nei set-tori considerati), con un aumento di mezzo punto percentuale rispetto all’anno precedente (23,4 per cento).

    Tav. 2 - Posizioni lavorative dipendenti nell’industria e nei servizi privati (a) per natura del rapporto di lavoro – Anni 2002 – 2003 (valori assoluti e percentuali)

    2002 2003 RAPPORTI DI LAVORO Valore

    assoluto Composizione

    percentuale Valore assoluto Composizione

    percentuale

    Variazione percentuale 2002-2003

    Variazione percentuale media annua 1996-2003

    Standard 7.661.518 76,6 7.842.504 76,1 2,4 1,5 Atipici 2.337.327 23,4 2.460.101 23,9 5,3 6,4 In senso stretto 836.595 8,4 832.055 8,1 -0,5 2,3 Parzialmente 1.500.732 15,0 1.628.046 15,8 8,5 9,2 Totale 9.998.845 100,0 10.302.605 100,0 3,0 2,5 Fonte: Istat, Contabilità Nazionale e Rilevazione Oros; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rap-porto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro. (a) Sezioni da C a K della classificazione Nace rev.1.

    Complessivamente, nel periodo tra il 2002 e il 2003, all’espansione dell’area del lavoro atipico ha contribuito esclusivamente il lavoro “parzial-mente atipico”, cresciuto dell’8,5 per cento a fronte di una diminuzione dello 0,5 per cento del lavoro “atipico in senso stretto”, riconfermando la dinamica già evidenziata per l’anno precedente23. L’incremento delle posizioni atipiche

    22 Per un’analisi dettagliata sul credito d’imposta, si veda Cipollone e Guelfi (2003). 23 Istat (2004b).

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    tra il 2002 e il 2003 risulta lievemente inferiore all’incremento medio nel pe-riodo 1996-2003. Il rallentamento è causato soprattutto dalla riduzione dei rapporti di lavoro “atipici in senso stretto”, in particolare dal perdurante de-cremento (pari al 16,5 per cento) delle posizioni con contratto di formazione e lavoro e dei piani di inserimento professionale (pari al 74,8 per cento) (Tavola 3), già iniziato nel 2000.

    Tav. 3 - Posizioni lavorative con contratti di lavoro atipici utilizzate nell’industria e nei servizi privati (a) per regime orario e stabilità del rapporto di lavoro - Anno 2003 e periodo 1996-2003 (variazioni percentuali)

    Variazione percentuale 2002-2003 Variazione percentuale media annua 1996-2003

    Regime orario Regime orario GRADO DI ATIPICITA’ TIPOLOGIE DI CONTRATTO Tempo pieno Tempo parziale Totale Tempo pieno Tempo parziale Totale

    TOTALE DEI RAPPORTI DI LAVORO ATIPICO IN SENSO STRETTO Interinale (b) (b) 13,5 (c) (c) (c) Solidarietà esterna (d) 104,6 104,6 (d) 57,1 57,1 A tempo determinato 3,0 10,5 5,0 6,1 6,5 6,2 Contratto formazione lavoro -17,6 -8,4 -16,5 -9,4 -3,6 -8,8 Piani di inserimento professionale (d) -74,8 -74,8 (d) (c) (c) PARZIALMENTE ATIPICO Lavoro a domicilio -8,4 -22,8 -12,2 -6,5 -10,5 -7,6 Part time - 12,3 12,3 - 10,1 10,1 Apprendistato 6,1 -8,1 1,1 4,7 23,6 8,4 Totale (e) 5,3 6,4 di cui PERMANENTI ATIPICO IN SENSO STRETTO Interinale (b) (b) (e) (b) (b) (c) Solidarietà esterna (d) 104,6 104,6 (c) 57,1 57,1 PARZIALMENTE ATIPICO Lavoro a domicilio -0,4 -17,1 -4,6 -6,3 -9,2 -7,0 Part time - 12,3 12,3 - 10,1 10,1 Totale (e) 12,0 9,5 di cui TEMPORANEI ATIPICO IN SENSO STRETTO Interinale (b) (b) 13,5 (c) (c) (c) A tempo determinato 3,0 10,5 5,0 6,1 6,5 6,2 Contratto formazione lavoro -17,6 -8,4 -16,5 -9,4 -3,6 -8,8 Piani di inserimento professionale (d) -74,8 -74,8 (d) (c) (c) PARZIALMENTE ATIPICO Lavoro a domicilio -55,3 -47,9 -52,4 -9,7 -17,5 -13,7 Apprendistato 6,1 -8,1 1,1 4,7 23,6 8,4 Totale (e) -0,1 4,1 Fonte: Istat, Contabilità Nazionale e Rilevazione Oros; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rap-porto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro (a) Sezioni da C a K della classificazione Nace Rev.1. (b) Variazione non calcolabile poiché posizioni lavorative non ripartibili per modalità dell’orario di lavoro. (c) Variazione non calcolabile poiché nel 1996 le tipologie di contratto non erano ancora state regolamentate. (d) Modalità non prevista dal contratto. (e) La variazione del totale include anche le posizioni interinali non ripartibili per orario di lavoro.

    I rapporti atipici “permanenti” sono cresciuti, nel 2003, del 12 per cento; confermando la tendenza crescente già rilevata in passato, il part-time ha trai-

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    nato l’aumento con un incremento pari al 12,3 per cento. I rapporti “tempora-nei”, invece, nel 2003 sono diminuiti dello 0,1 per cento, per effetto della ri-duzione delle posizioni con contratto di formazione e lavoro (16,5 per cento), dei piani di inserimento professionale (74,8 per cento) e delle posizioni di la-voro a domicilio (52,4 per cento), come pure del contestuale rallentamento nelle posizioni di apprendistato (1,1 per cento, confrontato con 8,4 per cento in media annua nel periodo 1996-2003, tavola 3), che complessivamente han-no più che bilanciato l’aumento nelle posizioni regolate con contratti interinali (13,5 per cento) e a tempo determinato (5 per cento).

    Sebbene i rapporti di lavoro atipico permanenti siano ancora cresciuti (di-versamente da quanto è accaduto per quelli temporanei), analizzandoli in det-taglio si ha la conferma che l’“atipicizzazione” del lavoro dipendente in Italia non è tanto passata per l’introduzione di tipologie contrattuali “atipiche in senso stretto” (che pure hanno assunto dimensioni di grande rilevo), quanto piuttosto tramite lo sviluppo delle forme contrattuali “parzialmente atipiche”, caratterizzate soprattutto da una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro. Questo risultato è confermato dalla crescita complessiva dei rapporti di lavoro permanenti “parzialmente atipici” tra il 2002 e il 2003 (8,5 per cento), dovuta all’aumento delle posizioni lavorative con contratti di lavoro part-time, già e-videnziato in tutto il periodo 1996-2003 (10,9 per cento) (Tavola 4).

    Tav. 4 - Posizioni lavorative dipendenti nell’industria e nei servizi privati (a) per grado di atipicità, regime orario e stabilità del rapporto di lavoro – Anno 2003 e periodo 1996-2003 (variazioni percentuali) GRADO DI ATIPICITA’ Regime orario Stabilità del rapporto di la-voro Totale

    Tempo Pieno Tempo Parziale Permanente Temporaneo VARIAZIONI PERCENTUALI 2002-2003

    Atipico -0,9 8,7 12,0 -0,1 5,3 (b) In senso stretto -4,4 4,0 104,6 -0,6 -0,5 (b) Parzialmente 5,3 9,3 12,0 0,8 8,5

    VARIAZIONI PERCENTUALI MEDIE ANNUE 1996 - 2003 Atipico 0,6 10,1 9,5 4,1 6,4 (b) In senso stretto -1,0 4,8 57,1 2,3 2,3 (b) Parzialmente 3,8 10,9 9,5 8,2 9,2 Fonte: Istat, Contabilità Nazionale e Rilevazione Oros; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Pia-no Nazionale d’azione per l’occupazione 2004. (a) Sezioni da C a K della classificazione Nace Rev.1. (b) La variazione del totale include anche le posizioni interinali non ripartibili per orario di lavoro.

    Distinguendo i rapporti in base al regime orario emerge infatti, nel com-plesso, una crescente propensione verso quelli a orario ridotto (+8,7 per cento

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    tra il 2002 e il 2003), piuttosto che verso i rapporti a orario pieno (-0,9 per cento tra il 2002 e il 2003)24. In particolare, la crescita più rapida si verifica per i rapporti di lavoro “parzialmente atipici” ad orario ridotto (+9,3 per cento tra il 2002 e il 2003) e la diminuzione maggiore tra quelli “atipici in senso stretto” a tempo pieno (-4,4 per cento). L’apporto maggiore è attribuibile, nel primo caso, alla crescita del part-time e, nel secondo, alla diminuzione dei contratti di formazione e lavoro a tempo pieno e dei piani di inserimento pro-fessionale (Tavole 3 e 5). Tav. 5 - Posizioni lavorative dipendenti nell’industria e nei servizi privati (a) per grado di atipicità, regime orario e stabilità del rapporto di lavoro – Anno 2003

    Regime orario GRADO DI ATIPICITA’ TIPOLOGIE DI CONTRATTO Tempo pieno Tempo parziale Totale TOTALE DEI RAPPORTI DI LAVORO ATIPICO IN SENSO STRETTO Interinale (b) (b) 113.547 Solidarietà esterna (c) 614 614 A tempo determinato 376.392 149.330 525.722 Contratto formazione lavoro 167.175 23.111 190.286 Piani di inserimento professionale (c) 1.886 1.886 PARZIALMENTE ATIPICO Lavoro a domicilio 16.031 4.902 20.934 Part time - 1.143.170 1.143.170 Apprendistato 316.718 147.224 463.942 Totale (d) 2.460.101 di cui PERMANENTI ATIPICO IN SENSO STRETTO Interinale (b) (b) (…) Solidarietà esterna (c) 614 614 PARZIALMENTE ATIPICO Lavoro a domicilio 15.258 4.336 19.594 Part time - 1.143.170 1.143.170 Totale (d) 1.163.378 di cui TEMPORANEI ATIPICO IN SENSO STRETTO Interinale (b) (b) 113.547 A tempo determinato 376.392 149.330 525.722 Contratto formazione lavoro 167.175 23.111 190.286 Piani di inserimento professionale (c) 1.886 1.886 PARZIALMENTE ATIPICO Lavoro a domicilio 774 566 1.340 Apprendistato 316.718 147.224 463.942 Totale (d) 1.296.723 Fonte: Istat, Contabilità Nazionale e Rilevazione Oros; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto di monito-raggio sulle politiche occupazionali e del lavoro. (a) Sezioni da C a K della classificazione Nace Rev.1. (b) Variazione non calcolabile poiché posizioni lavorative non ripartibili per modalità dell’orario di lavoro. (c) Modalità non prevista dal contratto. (d) La variazione del totale include anche le posizioni interinali non ripartibili per orario di lavoro.

    24 L’interpretazione di queste dinamiche risente tuttavia dell’assenza dal calcolo dei lavoratori interinali, attualmente caratterizzati dall’impossibilità di essere distinti tra le due modalità di orario sulla base delle fonti a disposizione.

  • 48

    (....) Valore non disponibile, ma di piccolo ammontare.

    6. Conclusioni Il lavoro dimostra la grande rilevanza che riveste un’attenta misurazione

    dei livelli e delle dinamiche del lavoro atipico per la comprensione dell’evoluzione recente non meno che del mutamento strutturale del mercato del lavoro italiano. Secondo le stime qui proposte, basate sull’integrazione tra fonti statistiche e fonti amministrative e organizzate secondo una classifica-zione originale dei rapporti di lavoro atipici, nel 2001 le posizioni di lavoro atipico costituivano più del 15 per cento del totale delle posizioni regolari e, nel settore privato non agricolo dell’economia, le forme atipiche di lavoro di-pendente si sono moltiplicate nel settennio 1996-2003 al ritmo annuo del 6,4 per cento, contribuendo per più del 52 per cento alla crescita occupazionale totale.

    La classificazione proposta consente anzitutto di monitorare l’evoluzione normativa delle forme di lavoro – in particolare di quella legata alla legge n. 30/2003 e al decreto legislativo n. 276/2003 – e quindi di misurare le dimen-sioni fondamentali del lavoro atipico, quali la stabilità dei rapporti di lavoro, la caratterizzazione del regime orario e l’entitlement dei lavoratori ai diritti sociali e previdenziali. Secondo quanto evidenziato nell’articolo, nel 2001 2,3 milioni di posizioni lavorative regolari (pari al 9,3 per cento del totale) erano inquadrate da contratti di lavoro a termine, 2,1 milioni (8,5 per cento) da con-tratti a orario ridotto e 1,5 milioni (5,9 per cento) da posizioni lavorative cui erano associati diritti previdenziali ridotti o nulli.

    Viene infine considerata una quarta dimensione analitica, il “grado di ati-picità” del rapporto di lavoro (“atipico in senso stretto” o “parzialmente atipi-co”), che ci permette di seguire più analiticamente le caratteristiche e le tra-sformazioni nel corso del tempo dei rapporti di lavoro. Un rapporto di lavoro viene definito “atipico in senso stretto” quando il tipo di contratto utilizzato è intrinsecamente diverso da quello standard (regolare, dipendente, a tempo pieno e durata indeterminata), “parzialmente atipico” quando è regolato da un contratto vicino a quello standard, ma tuttavia caratterizzato da aspetti atipici nella prestazione lavorativa (luogo di lavoro, durata, ecc.). Con l’utilizzo di quest’ultimo criterio è possibile notare che l’“atipicizzazione” del lavoro di-pendente in Italia non è tanto passata per l’introduzione di tipologie contrat-tuali “atipiche in senso stretto” (che pure hanno assunto dimensioni di assolu-to rilievo, che non si può evitare di definire allarmanti almeno in considera-zione dei problemi previdenziali che esse porranno in futuro), quanto piuttosto tramite lo sviluppo delle forme contrattuali “parzialmente atipiche”, caratte-rizzate soprattutto da una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro. Tale ten-

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    denza, che ha caratterizzato l’intero periodo 1996-2003, si riscontra anche nel periodo più recente.

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  • 50

    ISTAT (2004b), Rapporto annuale – La situazione del Paese nel 2003, Istat, Roma. ISTAT (2004c), La misura dell’occupazione non regolare nelle stime di contabilità

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  • 51

    Appendice I. Le nuove tipologie lavorative introdotte dalla legge 30 del 2003 (D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, attuativo della delega conferita con L. 14 febbraio 2003, n. 30)

    Le tipologie di lavoro introdotte o revisionate riguardano: Lavoro intermittente Con il contratto di lavoro intermittente il lavoratore si pone a disposizione di un

    datore di lavoro, che lo può utilizzare per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo esigenze individuate dai contratti collettivi o, in mancanza, con decreto ministeriale. In via sperimentale esso può essere concluso con disoccupati con meno di 25 anni o con più di 45 anni di età, ovvero iscritti nelle liste di mobilità e di collocamento. Il contratto può essere sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato.

    Il lavoratore può assumere o meno l’obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro:

    - nel caso di assunzione dell’obbligo il lavoratore percepisce una indennità di disponibilità mensile (divisibile in quote orarie) la cui misura è determinata dai con-tratti collettivi, e che comunque non può essere inferiore a quella stabilita con decreto ministeriale; in caso di rifiuto ingiustificato a rispondere alla chiamata, il lavoratore è esposto alla risoluzione del contratto, alla restituzione di quota dell’indennità e ad un congruo risarcimento del danno. Nel periodo in cui effettua la prestazione, il lavorato-re percepirà la relativa retribuzione;

    - nel caso di assenza di obbligo, il lavoratore è libero di rispondere o meno alla chiamata e non ha diritto ad alcuna indennità. Egli percepirà peraltro la retribuzione nel periodo in cui effettua la prestazione lavorativa.

    Il lavoratore non deve ricevere, per i periodi lavorati (e dunque previo adeguato riproporzionamento), un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto ad un lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte. Duran-te i periodi di non lavoro, invece, egli non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai la-voratori subordinati, salvo l’eventuale indennità di disponibilità.

    Job sharing o lavoro ripartito Con il contratto di lavoro ripartito due lavoratori assumono in solido

    l’adempimento di un’unica e identica obbligazione lavorativa. Salvo diverse intese con il datore di lavoro, i lavoratori hanno la facoltà di determinare discrezionalmente e in qualsiasi momento sostituzioni tra loro, ma ciascuno resta sempre direttamente responsabile dell’intera prestazione. Sempre salvo diversa intesa, le dimissioni o il licenziamento di uno dei coobbligati comportano l’estinzione dell’intero vincolo con-trattuale.

  • 52

    Si tratta di un contratto di lavoro subordinato, le cui obbligazioni contributive e assicurative gravanti sul datore sono quelle del lavoro a tempo parziale.

    Il datore di lavoro, non sapendo con certezza come i due lavoratori si ripartiranno il tempo di lavoro, determinerà la retribuzione e i relativi contributi su base presunti-va, demandando a un secondo momento il conguaglio. Ciascuno dei due lavoratori ha diritto a ricevere un trattamento economico e normativo che non deve essere comples-sivamente meno favorevole di quello spettante al lavoratore di pari livello a parità di mansioni

    Contratto di inserimento Esso prevede l’inserimento nel mercato del lavoro di giovani lavoratori, ovvero il

    reinserimento di quei soggetti che sono stati espulsi nell’ambito dei processi di rior-ganizzazione; i soggetti “attivi” sono enti pubblici economici, imprese o loro consor-zi, gruppi di imprese, associazioni professionali, socio-culturali, sportive, fondazioni, enti di ricerca, pubblici e privati, organizzazioni e associazioni di categoria. Sono e-sclusi i liberi professionisti.

    È rivolto a giovani in età tra i 18 e 29 anni, ai disoccupati di lunga durata da 29 a 32 anni (riduzione contributiva se disoccupati da più di 12 mesi), ai lavoratori con più di 50 anni di età che siano privi di un posto di lavoro (riduzione contributiva), a quelli che desiderano riprendere un’attività lavorativa e che non hanno lavorato per almeno due anni (riduzione contributiva), alle donne di qualsiasi età residenti in un’area geo-grafica in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cen-to quello maschile (riduzione contributiva, ma necessario il decreto sulle zone), alle persone affette da un grave handicap fisico, mentale o psichico (riduzione contributiva).

    Il contratto di inserimento è un contratto a tempo determinato, di durata compresa tra i 9 e i 18 mesi (36 nel caso di lavoratori portatori di handicap), e si fonda su un progetto individuale di adattamento delle competenze possedute dal lavoratore a un determinato contesto lavorativo (da definirsi secondo modalità determinate dai con-tratti collettivi o, in mancanza, con decreto ministeriale). L’inquadramento del lavora-tore può essere inferiore per non più di due livelli rispetto a quello previsto dal con-tratto collettivo per i lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualifi-cazioni corrispondenti a quelle per le quali è preordinato il progetto individuale.

    Si prevede che il contratto di inserimento lavorativo o Cil sostituirà il contratto di formazione e lavoro o Cfl, per il quale saranno aboliti gli sgravi contributivi e pertan-to sarà sempre meno adottato dagli operatori. Il contratto Cil assume delle similitudini con il contratto di apprendistato, ma a differenza di quest’ultimo, il contratto Cil è ca-ratterizzato da minori momenti formativi.

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    Regime di somministrazione (staff leasing e interinale) Il contratto di somministrazione è concluso tra un soggetto (detto utilizzatore) e

    un’impresa di somministrazione regolarmente autorizzata. In forza di tale contratto, l’impresa somministratrice fornisce all’utilizzatore lavoratori, da essa assunti con con-tratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato, che per tutta la durata svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione ed il controllo dell’utilizzatore.

    Il contratto di somministrazione può essere a tempo indeterminato (solo nei casi indicati dalla legge: servizi di consulenza ed assistenza nel settore informatico, ge-stione dei call-center, casi di attività di marketing ed analisi di mercato etc.; ovvero nei casi ulteriori individuati dai contratti collettivi) o a tempo determinato (sempre che vi siano particolari ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sosti-tutivo, anche se riferibili all’attività ordinaria dell’utilizzatore). Esso deve essere sti-pulato in forma scritta e deve contenere tutti gli elementi richiesti; in caso contrario il contratto stesso è nullo e il lavoratore è considerato dipendente dell’impresa utilizza-trice. Stessa sanzione è prevista quando la somministrazione avviene al di fuori dei casi consentiti.

    Il lavoratore, qualora sia assunto a tempo indeterminato dall’impresa di sommini-strazione, nei periodi in cui non effettua la prestazione resta a disposizione di quest’ultima e percepisce un’indennità di disponibilità mensile (divisibile in quote orarie).

    In ogni caso il lavoratore ha diritto ad un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte.

    La novità principale riguardante il lavoro interinale, invece, è data dalla normativa a cui si deve ricorrere per disciplinare i contratti, ovvero quella dei contratti di lavoro a tempo determinato (D.Lgs.368/01) o indeterminato (codice civile e leggi speciali), evitando altre possibili interpretazioni della riforma del 2001 a danno del lavoro interinale.

    Il regime contributivo segue quello del lavoro interinale per entrambe le tipologie contrattuali.

    Collaborazione coordinata e continuativa La nuova norma prevede che la collaborazione coordinata e continuativa o

    co.co.co. sia possibile solo per particolari categorie di lavoratori, mentre per i restanti sarà necessaria la presenza di un progetto a termine.

    Il contratto co.co.co., ovvero di lavoro autonomo, è applicabile ai soli liberi pro-fessionisti iscritti agli albi professionali e ai pensionati di vecchiaia in relazione a qualsiasi tipo di attività. Tale rapporto continua ad essere utilizzato dalle Pubbliche amministrazioni, alle quali non si applica la disciplina sul lavoro a progetto. Come prima, ricorrendone i requisiti, vi è la possibilità di stipulare rapporti a tempo inde-terminato.

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    Lavoro a progetto Il contratto di lavoro a progetto, anch’esso di lavoro autonomo, prevede

    l’inserimento in uno specifico progetto e deve essere finalizzato al raggiungimento di un risultato al termine dello stesso. Se il risultato è ottenuto in minor tempo il com-penso stabilito non cambia. Impossibile stabilire una durata indeterminata.

    Il reddito è assimilato, a fini fiscali, a quello di lavoro dipendente. Esiste l’obbligo di iscrizione, a fini previdenziali, alla Gestione separata del lavoro autonomo dell’Inps. È prevista una tutela, prima inesistente, per la malattia e la maternità.

    È applicabile ad eccezione di: agenti di commercio, prestazioni occasionali (fino a 30 giorni con compenso inferiore a 5 mila euro nell’anno da ciascun committente), professioni intellettuali per le quali è prevista l’iscrizione all’albo, attività di collabo-razione coordinata e continuativa resa e utilizzata a fini istituzionali in favore di asso-ciazioni e società sportive dilettantistiche, attività rese in qualità di amministratore o sindaco di società, partecipazione a collegi e commissioni, attività di collaborazione rese a soggetti che godono della pensione di vecchiaia.

    Lavoro occasionale È il rapporto di lavoro a progetto con una durata complessiva non superiore a tren-

    ta giorni nel corso dell’anno solare con uno stesso committente e che sia compensato con un corrispettivo non superiore a 5 mila euro. A tale rapporto non si applica la di-sciplina del lavoro a progetto.

    Prestazione di lavoro accessorio Si intendono per tali attività lavorative di natura occasionale, quelle rese da lavo-

    ratori a rischio di esclusione sociale, o non ancora entrati nel mercato del lavoro, o in procinto di uscirne (disoccupati da oltre un anno, casalinghe, studenti, pensionati, di-sabili e soggetti in comunità di recupero, lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia nei sei mesi dopo la perdita del lavoro). Nell’ambito di tali atti-vità rientrano i lavori domestici a carattere straordinario, l’assistenza domiciliare ai bambini e agli anziani, alle persone ammalate o portatrici di handicap, l’insegnamento privato supplementare, i piccoli lavori di giardinaggio o pulizia e manutenzione di e-difici e monumenti, la realizzazione di manifestazioni sociali sportive, culturali o cari-tatevoli, la collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svol-gimento di lavori di emergenza o di solidarietà.

    La durata non deve essere superiore a 30 ore in un anno solare e il compenso non superiore a 3 mila euro nel corso dell’anno solare, anche se con più committenti.

    Il pagamento avviene attraverso “buoni” di 7,5 euro ciascuno acquistati dal datore di lavoro da rivendite autorizzate. Di tale cifra 5,8 euro saranno corrisposte al presta-tore di lavoro dal rivenditore, 0,2 euro al rivenditore, e la restante cifra servirà al ri-venditore per versare i contributi previdenziali all’Inps (1 euro) e quelli assicurativi

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    all’Inail (0,5 euro). Le prestazioni accessorie sono caratterizzate, pertanto, da un re-gime di sottocontribuzione: l’ammontare dei contributi corrisponde ad una aliquota del 13,3 per cento, per la quale il lavoratore guadagna l’ingresso alla gestione separata dei parasubordinati (la cui quota di computo sarà pari, a regime, al 20 per cento). Vi è un regime di esenzione fiscale dei compensi a beneficio del prestatore, che non perde-rebbe inoltre l’eventuale status amministrativo di disoccupato.

    Apprendistato (tre tipologie) - Apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazio-

    ne: si applica in tutti i settori, rivolto a giovani o adolescenti con più di 15 anni di età; prevede istruzione-formazione ed è finalizzato al conseguimento di una qualifica pro-fessionale; ha una durata massima di 3 anni; garantisce attività formative congrue al conseguimento della qualifica (la regolazione dei profili formativi è rimessa alle re-gioni).

    - Apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e la acquisizione di competenze di base, trasver-sali e tecnico-professionali: prevede un tutor aziendale e 120 ore di formazione inter-na o esterna all’azienda; si applica in tutti i settori; è rivolto a giovani da 18 a 29 anni di età (17 se in possesso di una qualifica professionale); ha una durata compresa tra i 2 e i 6 anni (questa forma di apprendistato ricalca la precedente innalzando il limite massimo di età, da 24 a 29, e ampliando la durata del contratto, da 18 mesi-4 anni a 2-6 anni).

    - Apprendistato per ottenere un diploma di istruzione secondaria o universita-rio e di alta formazione o un titolo di specializzazione tecnica superiore (ancora tutto da sperimentare); si applica in tutti i settori, rivolto a giovani da 18 a 29 anni di età (17 se in possesso di una qualifica professionale); la disciplina e la durata sono rimes-se alle Regioni.

    Tirocinio estivo di orientamento È un nuovo strumento (Art.60) che potrebbe dare una più appropriata veste giuri-

    dica al fenomeno dei “lavori estivi” dei giovani studenti, che fino ad ora si sono tra-dotti con un incremento di contratti di apprendistato tra giugno e settembre (intorno al 4,5 per cento dello stock medio degli apprendisti; si veda il Rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro del Ministero del Lavoro, 2003/2) .

    Part-time Il suo utilizzo viene esteso senza limiti al settore agricolo. È consentito lo svolgi-

    mento di lavoro supplementare senza alcun limite particolare anche ai lavoratori as-sunti con contratto a termine. È eliminato il diritto al consolidamento del lavoro sup-plementare svolto in modo non occasionale.

  • 56

    Attraverso le clausole flessibili è possibile variare la sola distribuzione dell’orario settimanale; con le clausole elastiche è possibile aumentare il numero di giornate di lavoro in caso di part-time verticale. Per entrambe le ipotesi è stato ridotto a due gior-ni il tempo per il preavviso di licenziamento ma è stato soppresso il diritto al ripensa-mento del lavoratore.

    La flessibilità della prestazione con clausole elastiche o flessibili è possibile anche senza applicare il contratto collettivo.

  • 57

    Appendice II. Le caratteristiche dei contratti di inserimento. Un primo tentativo di quantificazione

    Il contratto di inserimento o CIL, disciplinato dalla legge 30 del 2003, nel febbraio

    2004 è stato oggetto di un accordo interconfederale finalizzato a garantire una prima fase di applicazione di questo nuovo istituto giuridico, la cui efficacia sarà solo transi-toria e sussidiaria rispetto alla contrattazione collettiva, territoriale e aziendale. Per attuare tale normativa, l’INPS ha previsto le modalità operative per la fruizione prati-ca dei benefici (Circolare INPS n. 51 del 16 marzo 2004), che si distinguono per natu-ra del datore di lavoro (imprese, imprese del settore commerciale e turistico con meno di 15 dipendenti, imprese artigiane, datori di lavoro non aventi natura di impresa), u-bicazione territoriale (Centro-nord, Mezzogiorno) e tipologia dei soggetti ammessi ai CIL (cfr. Appendice I).

    L’indagine Oros dell’Istat rileva il fenomeno dei CIL in tutte le sue modalità. La disponibilità dei dati mensili, riferiti alle imprese del settore privato non agricolo (set-tori economici da C a K dell’Ateco’02), consente dal mese di marzo 2004 di avere un quadro puntuale. Nel periodo compreso tra marzo 2004 e dicembre 2004, il loro uti-lizzo si è incrementato rapidamente (Tavola A1), raggiungendo nel mese di dicembre quasi 19 mila dipendenti. In media annua, i CIL ammontano a poco più di 7 mila. Tra tutte le nuove tipologie contrattuali, il CIL è stato identificato come un sostituto del contratto di formazione e lavoro, o CFL, per il quale decadranno gli sgravi contributi-vi previsti dalla legge anche se, in un periodo transitorio, continuano a valere i CFL autorizzati fino al 23 ottobre 2003. Tuttavia, la diminuzione dei CFL non è interamen-te attribuibile all’inserimento della forma contrattuale dei CIL, infatti era già evidente a partire dal 2000. Tav. A1 – Contratti di inserimento e di formazione e lavoro nel settore privato non agricolo (a) – Marzo-Dicembre 2004 (valori assoluti) MESI 2004 Contratti di inserimento Contratti di formazione e lavoro

    Marzo 531 131.476 Aprile 1.954 122.010 Maggio 3.855 121.148 Giugno 5.808 114.026 Luglio 7.851 106.618 Agosto 8.858 100.764 Settembre 10.602 88.882 Ottobre 13.790 83.551 Novembre 16.588 75.566 Dicembre 18.975 69.215 Fonte: Istat, Rilevazione Oros, dati provvisori (a) Sezioni da C a K della classificazione Nace rev.1.

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    La legge 30 ha esteso l’utilizzo del part-time anche ai CIL, come anche alle varie tipologie di apprendistato, purché la scelta dell’articolazione di orario non sia di osta-colo alle finalità formative dei contratti. L’orario ridotto rappresenta il 15,5 per cento dei CIL in media nel 2004 (Tavola A2).

    Se analizzati per tipologia dei soggetti ammessi ai CIL, i giovani con età compresa tra i 18 e i 29 anni di età rappresentano oltre il 60 per cento dei lavoratori assunti con il CIL, sebbene per essi non sia previsto uno sgravio economico per il datore di lavo-ro25; i lavoratori con più di 50 anni di età che sono privi di un posto di lavoro (14,3 per cento) e le donne di qualsiasi età residenti in una area geografica in cui vi siano particolari condizioni di disoccupazione femminile26 (11,3 per cento) identificano le altre due tipologie più utilizzate. Tav. A2 – Contratti di inserimento nel settore privato non agricolo (a) per tipo-logia di soggetti ammessi e tempo di lavoro (full-time, part-time) – I trimestre 2004 – IV trimestre 2004 (valori assoluti e composizione percentuale) Tipologia di soggetti ammessi ai CIL Totale

    Giovani con età 18-29

    Disoccupati età 29-32

    Lavoratori con età 50 e oltre

    Assunti presso esercizi con attività interrotta da 2 anni

    Donne Handicap

    VALORI ASSOLUTI I trim 2004 136 6 21 9 4 1 177 II trim 2004 2212 280 658 301 374 48 3872 III trim 2004 5464 553 1334 613 991 148 9104 IV trim 2004 10198 889 2205 966 1947 246 16451 Media 2004 4502 432 1055 472 829 111 7401

    COMPOSIZIONE PERCENTUALE SUL TOTALE Media 2004 60,8 5,8 14,2 6,4 11,2 1,5 100,0

    COMPOSIZIONE PERCENTUALE PER TEMPO DI LAVORO Full-time 91,5 81,9 83,2 68,2 61,7 63,9 84,5 Part-time 8,5 18,1 16,8 31,8 38,3 36,1 15,5 Fonte: Istat, Rilevazione Oros, dati provvisori (a)Sezioni da C a K della classificazione Nace rev.1.

    25 L’opportunità dell’impresa stipulando un contratto CIL è quello di poter inquadrare il lavora-tore fino a due livelli al di sotto delle categorie relative alla mansione. 26 Sono ammesse ai CIL donne di qualsiasi età residenti in aree geografiche in cui il tasso di occupazione femminile, determinato con apposito decreto del Ministero del lavoro e delle poli-tiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sia inferiore almeno del 20 per cento a quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile.