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III ANNO PLURILINGUISMO E MULTICULTURALITA' 2003-04 (Prof. L. Curti) CULTURE E LETTERATURE DEI PAESI DI LINGUA INGLESE (L-LIN 10) – I MODULO (25 ore) Under Eastern Eyes. The gaze from the other side on British imperialism. The module will examine the relationship between East and West through a historical macro-phenomenon which has extended throughout most of the twentieth century, namely, British (de)colonization. As a counterpoint to the best-known Western writers who have observed and described the relationship between the worlds which are/were implicated in this process, there is the gaze of the Other which is often an inextricable mixture of the two. These texts emblematically traverse contemporary languages and narratives, those of the modernist avant-garde as well as the more recent post-modern ones, to reconfigure notions of gender, race, and ethnicity. Under Eastern Eyes. Lo sguardo dall'altra parte Il corso si intitola “Under Eastern Eyes. Lo sguardo dall'altra parte" e tratta dell’imperialismo britannico nella narrativa tra moderno e postmoderno. Esso osserva i rapporti tra Oriente e Occidente attraverso un macrofenomeno storico che ha occupato gran parte del Novecento: la (de)colonizzazione britannica. I più famosi narratori e narratrici occidentali hanno osservato e descritto il rapporto tra mondi che vi era e vi è implicato, e ad essi fa da contrappunto lo sguardo che viene dall'altrove e che talvolta rappresenta una commistione inestricabile tra i due. Il corso si focalizza sullo studio di testi narrativi e poetici, visti attraverso il commento di saggi critici di Chambers, Loomba, Said, e Spivak, e accompagnati dalla visione di film che ne illustrano tematiche e linguaggi. La prima parte del corso (I modulo) si concentra sull’analisi delle tematiche e dei linguaggi di Kim di Rudyard Kipling e sulla lettura che ne danno Said e Suleri. Lo sguardo coloniale di Kipling non è semplicemente uno sguardo colonialista ma presenta molte ambiguità e contraddizioni che oggi ne permettono una lettura complessa e sfaccettata. Da un punto di vista temporale è il momento dell’imperialismo maturo ma anche della nascita dei movimenti di indipendenza che fanno presagire il tramonto dell’Impero che troviamo in molti libri occidentali degli inizi del secolo, tra cui Mrs Dalloway di V. Woolf (ma non si possono dimenticare Conrad o Forster). Ad esso si affianca lo sguardo dall’altra parte, nei racconti della scrittrice bengalese Mahasweti Devi che guardano all’India tribale oppressa e dimenticata dal governo post- indipendenza, così come lo era stata durante il dominio coloniale britannico. Siamo nell’India di oggi, ove le tracce del colonialismo sono ancora presenti e la nuova nazione (l’intero concetto di Stato/nazione) viene criticata per non aver saputo trovare forme di governo che rispondano ai bisogni del popolo indiano. Si leggono i racconti di Devi, The Hunt e Douloti. La poesia di Sujata Bhatt si pone obliquamente tra Oriente e Occidente, tra Europa e India, tra inglese e gujarati, una voce della diaspora indiana che spesso è voce multidiasporica. Lo stesso sguardo a metà, come si vedrà nella seconda parte, è quello di Zadie Smith che in

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III ANNO PLURILINGUISMO E MULTICULTURALITA' 2003-04

(Prof. L. Curti)

CULTURE E LETTERATURE DEI PAESI DI LINGUA INGLESE (L-LIN 10) – I MODULO (25 ore)

Under Eastern Eyes. The gaze from the other side on British imperialism.

The module will examine the relationship between East and West through a historical macro-phenomenon which has extended throughout most of the twentieth century, namely, British (de)colonization. As a counterpoint to the best-known Western writers who have observed and described the relationship between the worlds which are/were implicated in this process, there is the gaze of the Other which is often an inextricable mixture of the two. These texts emblematically traverse contemporary languages and narratives, those of the modernist avant-garde as well as the more recent post-modern ones, to reconfigure notions of gender, race, and ethnicity. Under Eastern Eyes. Lo sguardo dall'altra parte Il corso si intitola “Under Eastern Eyes. Lo sguardo dall'altra parte" e tratta dell’imperialismo britannico nella narrativa tra moderno e postmoderno. Esso osserva i rapporti tra Oriente e Occidente attraverso un macrofenomeno storico che ha occupato gran parte del Novecento: la (de)colonizzazione britannica. I più famosi narratori e narratrici occidentali hanno osservato e descritto il rapporto tra mondi che vi era e vi è implicato, e ad essi fa da contrappunto lo sguardo che viene dall'altrove e che talvolta rappresenta una commistione inestricabile tra i due. Il corso si focalizza sullo studio di testi narrativi e poetici, visti attraverso il commento di saggi critici di Chambers, Loomba, Said, e Spivak, e accompagnati dalla visione di film che ne illustrano tematiche e linguaggi. La prima parte del corso (I modulo) si concentra sull’analisi delle tematiche e dei linguaggi di Kim di Rudyard Kipling e sulla lettura che ne danno Said e Suleri. Lo sguardo coloniale di Kipling non è semplicemente uno sguardo colonialista ma presenta molte ambiguità e contraddizioni che oggi ne permettono una lettura complessa e sfaccettata. Da un punto di vista temporale è il momento dell’imperialismo maturo ma anche della nascita dei movimenti di indipendenza che fanno presagire il tramonto dell’Impero che troviamo in molti libri occidentali degli inizi del secolo, tra cui Mrs Dalloway di V. Woolf (ma non si possono dimenticare Conrad o Forster). Ad esso si affianca lo sguardo dall’altra parte, nei racconti della scrittrice bengalese Mahasweti Devi che guardano all’India tribale oppressa e dimenticata dal governo post-indipendenza, così come lo era stata durante il dominio coloniale britannico. Siamo nell’India di oggi, ove le tracce del colonialismo sono ancora presenti e la nuova nazione (l’intero concetto di Stato/nazione) viene criticata per non aver saputo trovare forme di governo che rispondano ai bisogni del popolo indiano. Si leggono i racconti di Devi, The Hunt e Douloti. La poesia di Sujata Bhatt si pone obliquamente tra Oriente e Occidente, tra Europa e India, tra inglese e gujarati, una voce della diaspora indiana che spesso è voce multidiasporica. Lo stesso sguardo a metà, come si vedrà nella seconda parte, è quello di Zadie Smith che in

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White Teeth ci parla del ‘ritorno’ degli ex-colonizzati verso il territorio metropolitano che era il centro dell’impero, con un rovesciamento inaspettato e insospettato. La seconda parte (II modulo) si volge con maggiore attenzione alla voce femminile. Si tratta della scrittura di donne che si muovono tra due o più culture e lingue, tra tradizione e innovazione, tra India coloniale e nuovo nazionalismo, tra appartenenza a- e autonomia da- l'identità indiana. Esse sono spesso protagoniste di una diaspora geografica ed etnica oltre che identitaria ma anche quando restano in India scrivono dell'importanza della ribellione alla soggezione della condizione femminile e scelgono l'inglese come lingua che permette loro di comunicare al di fuori della loro regione e della nazione, e di porsi come voce cosmopolita che richiami accanto alla tradizione nativa quella coloniale e post-coloniale. Tali tematiche saranno illustrate attraverso la poesia di Kamala Das e di Sujata Bhatt, e nei romanzi Clear Light of Day di Anita Desai, e White Teeth di Zadie Smith. Inoltre, si fa riferimento al ruolo cruciale delle donne nella resistenza al colonialismo, sempre taciuto, e all’attivismo in difesa delle risorse naturali di Arundhati Roy, Vandana Shiva e molte altre. Modalità didattiche: E' prevista una prova scritta che si svolgerà a fine corso e che consisterà in domande sul programma svolto. E' opzionale la produzione di una tesina o di un video, CD o altro. Sarà offerto un ciclo di film cui potranno essere riconosciuti crediti a scelta.

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Bibliografia • Rudyard Kipling, Kim, Harmondsworth, Penguin Modern Classics. • Mahasweta Devi, "The Hunt" e "Douloti", in Imaginary Maps - Three Stories, transl.

and intro. by G.C. Spivak, London/New York, Routledge, 1995. (Tr. it.: Mahasweta Devi, La preda, Torino, Einaudi, 2004)

• Desai, Anita, Clear Light of Day, London, Vintage, 2001 (1980). • Sujata Bhatt e Kamala Das, poesie scelte. • Zadie Smith, White Teeth, Harmondsworth, Penguin, 2001. • The Post-Colonial Question – Common Skies, Divided Horizons, ed. by I. Chambers

and L. Curti, London/N.Y., Routledge, 1998 (saggi di Trinh T. Minh-ha, I. Chambers, L. Curti, C. Hall, H. Kureishi) o, in alternativa, I. Chambers, Migrancy, Culture and Identity, London /New York, Routledge, 1994 (trad. italiana: Paesaggi migratori, Roma, Meltemi, 2003).

• Loomba, Ania, Colonialism/Postcolonialism, London/ N.Y., Routledge, 2001 (tr. it. Roma, Meltemi, 2001).

• Fanon, Frantz, Pelle nera maschere bianche – Il nero e l’altro, Milano, Marco Tropea, 1996 (particolarmente, cap. 5: “L’esperienza vissuta del Nero”)

• Said, Edward, Culture and Imperialism, London, Vintage, 1993 (Capp. 1 e 2) • Spivak, G. C., "Can the Subaltern Speak?", in Marxism and the Interpretation of

Culture, ed. by C. Nelson and L. Grossberg, Urbana, Illinois U.P.,1988 e “Woman in Difference” in Outside in the Teaching Machine, N.Y. & London, Routledge, 1993.

Bibliografia Integrativa (solo per gli studenti frequentanti, in relazione a crediti aggiuntivi) • Chow, Rey, Il sogno di Butterfly – Costellazioni postcoloniali, Roma, Meltemi, 2004,

capp. primo e ottavo (in relazione al convegno su “Donne e multiculturalismo). • Chow, Rey, Woman and Chinese Modernity – The Politics of Reading between West

and East, Minneapolis, Univ. Of Minnesota Press, 1991. (per il seminario sui film, Preface e Ch. 1, insieme a Hanif Kureishi, My Son the Fanatic)

• Mani, Lata, "Multiple Mediations", Feminist Review, 35. • Suleri, Sara, The Rhetoric of English India, Chicago and London, The Univ. Of Chicago Press,

1992. (“Cap. 4: “The adolescence of Kim”)

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La prima parte del corso si concentra sull'analisi delle tematiche e dei linguaggi di Kim di

Rudyard Kipling e sulla lettura che ne danno Edward Said, “The pleasures of

Imperialism”, in Culture and Imperialism e Sara Suleri, "The Adolescence of Kim" in The

Rhetoric of English India.

Da un punto di vista temporale Kim si svolge nell'epoca dell'imperialismo maturo giunto al

suo apogeo ma anche della nascita dei movimenti di indipendenza che fanno presagire il

tramonto dell'Impero – tale fase in forma di premonizioni e timori si riflette in molti libri

occidentali degli inizi del secolo, tra cui Mrs Dalloway di V. Woolf (ma non si possono

dimenticare Conrad o Forster che esprimono sensi di colpa e descrivono ombre e limiti

dell'imperialismo).

Anche lo sguardo coloniale di Kipling non è semplicemente uno sguardo colonialista ma

presenta molte ambiguità e contraddizioni che oggi ne permettono una lettura complessa e

sfaccettata. Said li riconosce in minima misura (interdipendenza di colonizzato e

colonizzatore (?), grande letteratura, parla dall’interno dell’India diversamente da quanto

non faccia nel discorso su Conrad nel I e II capitolo, es p. 160e “the Native under control”)

ma gli rimprovera la persistenza dello stereotipo orientalista: "Kipling goes on with a

cinematic animation of the Indian sublime", nonostante che già Burke più di un secolo

prima aveva parlato dell'immaturità del sistema coloniale e del sublime indiano come

contenente l'elemento del terrore (la fascinazione subita da Kipling sembra escludere tale

elemento). Nell'intervallo c'è stato l'ammutinamento (1857) e la nascita dell'Indian

National Congress e del partito nazionalista e Kipling continua a dipingere un’India senza

tempo:

“… the India he wrote about was a timeless, unchanging and ‘essential’ locale, a place almost as much poetic as it is actual in geographical concreteness.” (p 162)

Sara Suleri al contrario legge in Kim 'la terrificante assenza di controllo e di scelta nella

macchina imperiale' e sottolinea l'ironia di Kipling nel rappresentare la struttura

dell'ideologia imperiale. Kim non è fuori dal gioco, 'he is the Game' e non può uscirne.

L'energia adolescenziale di Kim è attraversata dal senso di una perdita tragica ('what is

Kim? Who is Kim?), che diventano anche domande sulla colonizzazione: p 116.

"Much as Burke remains committed to a critique of a particular colonial practice rather tan colonialism itself, similarly Kipling is able to read the details of colonial loss without necessarily proceeding to a larger abnegation of the whole" (125)

A mio parere, egli vede 'the futility represented by Empire' (p 125) anche se gli è

impossibile trarne le conseguenze; donne e Lama fanno da contrappeso all'ideologia

coloniale anche se poi vi si adattano; importanza della donna nella parte finale e dell'amore

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tra Kim e il Lama ‘parable of male desire and of male separation' (Suleri, 120); giudizio

severo sull'istruzione coloniale che non può essere indipendente dal Game; il messaggero è

il messaggio che può solo fornire informazioni illeggibili come in seguito accadrà alle

Marabar caves.) ((Vedere il modo in cui sono rappresentati i rappresentanti ufficiali del

potere militare e religioso inglese. Il passaggio dallo sguardo di Kim a quello su Kim, da

colonizzato a colonizzatore. Le volute omissioni: di cosa è fatta l'istruzione coloniale di

Kim, la sostanza del'intreccio spionistico, l'ironia sull'uso capovolto dell'istruzione di Kim,

ben diverso da quello previsto dal Lama (jest), there are always two sides to things.

Competizione tra il narratore e il Lama su Kim, tra anglicismo e orientalismo.

Alla fine la questione del peso dell'uomo bianco è quella che più fa pendere la bilancia a

favore dela visione severa che Said esprime su Kipling.)

Ad esso si affianca lo sguardo dall'altra parte, nei racconti di Mahasweti Devi che

guardano all'India tribale oppressa e dimenticata dal governo post-indipendenza, così come

lo era stata durante il dominio coloniale britannico. Siamo nell'India di oggi, ove le tracce

del colonialismo sono ancora presenti e la nuova nazione (l'intero concetto di

Stato/nazione) viene criticata per non aver saputo trovare forme di governo che rispondano

ai bisogni del popolo indiano. Devi e Spivak portano questa critica a un punto estremo.

In The Hunt si fa riferimento alla condizione femminile, che riesce a parlare attraverso la

violenza, l'eliminazione del maschio predatore che si è fatto complice della nuova

oppressione che colonizza il lavoro e le risorse naturali degli indiani e nel contempo

prosegue l'antica discriminazione della donna trattata come oggetto passivo.

I testi utili per questa parte sono Said, Culture and Imperialism; Suleri, in The Rhetoric of

British India, Spivak, "Woman in Difference" in Outside in the Teaching Machine, e

"Introduction" a Imaginary Maps. (due citazioni da Duoloti)

Il problema della sati in "Can the Subaltern Speak?" di Spivak, e Lata Mani.

La seconda parte si volge con maggiore attenzione alla voce femminile del subcontinente

indiano. Si tratta della scrittura di donne che si muovono tra due o più culture e lingue, tra

tradizione e innovazione, tra India coloniale e nuovo nazionalismo, tra appartenenza a- e

autonomia da- l'identità indiana. Esse sono spesso protagoniste di una diaspora geografica

ed etnica oltre che identitaria ma anche quando restano in India scrivono dell'importanza

della ribellione alla soggezione della condizione femminile e scelgono l'inglese come

lingua che permette loro di comunicare al di fuori della loro regione e della nazione, e di

porsi come voce cosmopolita che richiami accanto alla tradizione nativa quella coloniale e

post-coloniale.

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Anita Desai in Clear Light of Day narra la storia di tre donne negli anni a cavallo della

conquista dell'indipendenza, toccando rispettivamente il tema del crudele rito del rogo

delle vedove, dell'emancipazione attraverso l'emigrazione e la fuga, dell'impegno nel

lavoro intellettuale; in quest'ultimo caso anche del diritto di scegliere la poesia inglese

accanto a quella urdu, di essere la custode di casa e famiglia pur trascendendole.

La poesia della keralese Kamala Das parla del suo corpo, del suo diritto alla parola, al

piacere, all'autonomia, ma tali accenti si ritrovano anche nella poesia multiculturale di

Bhatt.

Mahasweta Devi scrive a favore dei diritti delle popolazioni tribali, ma allo stesso tempo

ne illustra l'oppressione denunciando la soggezione del corpo femminile, la tortura in , lo

stupro in The Hunt, la prostituzione in Douloti. Intervento di Rey Chow al Convegno, oltre

a quello di Catherine Hall.

La poesia di Sujata Bhatt si era posta obliquamente tra Oriente e Occidente, tra Europa e

India, tra inglese e gujarati, una voce della diaspora indiana che spesso, e non solo nel suo

caso, è voce multidiasporica. Lo stesso sguardo a metà è quello di Zadie Smith che in

White Teeth ci parla dell'ex-colonizzato che torna nel centro dell'ex-Impero, con un

rovesciamento inaspettato e insospettato. The Empire Strikes Back è il felice titolo di un

volume del centro di Studi culturali di Birmingham.

Zadie Smith parla indirettamente come giovane scrittrice di successo dell'importanza che la

voce post-coloniale ha assunto nelle lettere inglesi, e direttamente del destino ancora

subordinato delle donne all'interno delle comunità di immigrati nella grande metropoli. In

ambedue i romanzi la vita delle donne dipende inevitabilmente dai coprotagonisti maschi

che quindi hanno un certo peso nei romanzi. Anche qui timidamente si fa avanti il tema

dell'omosessualità femminile che è presente in Fire di Deepa Mehta.

Accanto alle scritture, non mancano i riferimenti al ruolo cruciale delle donne nella

resistenza al colonialismo, sempre taciuto, e all'attivismo in difesa delle risorse naturali e

dei diritti conculcati, di Arundhati Roy, Vandana Shiva e molte altre (ved il recente Social

Forum a Bombay, resoconti giormalistici); continua insomma lo sfruttamento e la

depredazione della terra indiana, dela sua forza lavoro, delle sue risorse naturali, della sua

cultura agricola.

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Inizio del corso

Sujata Bhatt

Sujata Bhatt, nata ad Ahmenahabad (India) nel 1956, ha trascorso la prima infanzia a Poona, non lontano da Bombay, ed è emigrata al seguito del padre scienziato negli Stati Uniti, dove ha studiato dapprima nel Connecticut e poi alla Iowa University, venendo a contatto con la poesia inglese e americana ancora prima che con quella indiana. Ella vive attualmente in Germania con il marito Michael Augustin, giornalista e scrittore tedesco, e la figlia. Ha pubblicato varie raccolte di poesie che hanno ricevuto premi e riconoscimenti, a partire da Brunizem (1988). Sono seguite Monkey Shadows (1991), The Stinking Rose (1995), Augatora (2000), A Colour for Solitude (2002), e la raccolta antologica Point No Point (1997), tutte pubblicate da Carcanet Press, Londra. La poeta ha fatto la difficile scelta di scrivere in inglese, anche se il suo inglese è attraversato da frammenti delle lingue di origine, il gujarati e il maharashtra. Nella gran parte della sua produzione poetica, il tema della lingua, della coesistenza – spesso amara – tra la nuova e l’antica, si intreccia al motivo dell'esilio, del viaggio, delle (non) appartenenze, sempre cercate e sempre evase. La scrittura bilingue del poemetto ‘Search for My Tongue’ si offre quale argine al senso della perdita della lingua originaria e alla dolorosa coesistenza di identità e culture frantumate.

Mi chiedi cosa voglio dire quando dico che ho perso la lingua. Ti chiedo che faresti tu se avessi in bocca due lingue, e perdessi la prima, la madrelingua, mentre l’altra, la straniera, fosse ancora sconosciuta.

E ancora la lingua diventa materialità e rimanda alla trasmutazione tra corpo e scrittura:

Giorni in cui la lingua scappa via. Non riesco a trattenerla. E’ sfuggente come la coda della lucertola/ che cerco di afferrare, ma quella sfreccia lontano.

Ella sente di avere in bocca due lingue e di aver sputato quella nativa perché inutile, era marcita ma poi in sogno,

la lingua ricresce, il piccolo germoglio s’allunga, si irrora, rafforza le vene, s’avvinghia e si confonde con l’altra, in bocca si apre un bocciolo, un bocciolo che caccia via l’altra lingua. Ogni volta che penso di averla dimenticata, di aver perso la lingua materna mi sboccia di nuovo in bocca. Giorni che cerco di pensare in inglese: alzo lo sguardo/ (paylo kallo kagdo) (oodto oodti jai, huhvay jzaday pohchay) (ainee chanchma kaeek chay) il corvo ha qualcosa nel becco. Quando alzo lo sguardo/ penso:

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(aakash, suraj) e poi: cielo, sole.

In quest’ultima parte, il pensiero è condizionato dalla lingua e la lingua dal pensiero e così la natura del Connecticut diventa quella della natia Ahmenabad, il cielo riarso e asciutto prende il posto di quello ingombro di nuvole che stava descrivendo, l’assenza di pioggia, la sua minaccia, prende il sopravvento; talvolta è il tempestoso mare nordico, il tram di New Orleans, il ponte di Brooklyn che cancellano il luogo dell’origine – il cambiamento di lingua riflette o dirige le trasformazioni. Il tema dell’esilio si lega a quello della memoria in molte poesie, tra cui ‘Living with Train’ e ‘The One Who Goes Away’ :

Io sono quella che sempre se ne va. Mi chiedono a volte se sto cercando un posto in cui l’anima non vorrà più vagare un posto in cui fermarmi senza volere più partire.

La visione persistente della natura, fondamentale nel ricordo del paese nativo – lussureggiante nei colori, profumi, fiori, erbe, animali (pavone, elefante, rinoceronti) – non di rado si accompagna a quella della natura nordica dei paesi di approdo. Ci sono altri motivi poetici: la famiglia, la mitologia orientale accanto a quella occidentale, il rapporto tra poesia e arti figurative, in particolare pittura e fotografia, ma sempre presente è l’immagine della donna, la sua fisicità e il suo corpo, e in particolare dell'ispirazione poetica al femminile. In questa direzione vanno le prime due poesie, ‘Udaylee’, che dipinge la ghettizzazione del femminile, e ‘Muliebritas’, il delicato ritratto della ‘ragazza dallo sterco’ che rimanda ironicamente ad altre rappresentazioni idealizzate del femminile. L’ironia è presente anche altrove. In ‘Sujata: The First Disciple of Buddha’, l’invocazione alla Musa che apre la raccolta subisce un ironico rovesciamento: la musa in questo caso maschile, il Dio Buddha, ha bisogno di essere nutrito, pulito e accudito prima di concedere l’ispirazione. Altrove l’ironia si eseercita nei confronti della visione turistica dell’India, come nella brevissima ‘Hey’ qui inclusa. Il linguaggio poetico risente fortemente della giustapposizione tra lingue e mondi diversi, e spesso, pur essendo molto legato ai ritmi della lingua parlata, si richiama a tecniche e immagini dei linguaggi visuali. La sua vicinanza alla pittrice tedesca Paula Moderson-Becker (cui è dedicata l'ultima raccolta A Colour for Solitude) e alla scultrice Clara Westhoff, moglie di Rilke, crea un rapporto tra tre donne preceduto, in alcune delle sue prime poesie, da quello più personale con sua madre e sua figlia, come in ‘Kalika’. O, ancora all’indietro, con sua madre e di questa con la propria madre. Il riferimento a momenti importanti della storia indiana, come, ad esempio, la divisione tra India e Pakistan in ‘Partition’ o lo straziante ricordo della tragedia di Bhopal in ‘3 November 1984’ si intreccia sempre alla memoria personale. Da queste poesie emerge il ritratto di una donna sospesa tra memoria e presente, tra Oriente e Occidente, tra antiche e nuove culture. Le poesie qui proposte sono inedite in Italia, con l’eccezione di ‘Udaylee’ e ‘Muliebrity’ la cui traduzione è apparsa su Lo Straniero (n.19, gennaio 2002) e di ‘Search for my Tongue’ che è apparsa in una versione diversa su Linea d’Ombra, n.92, 1994. Di quest’ultimo poemetto viene qui riportata solo una delle tre parti per questioni di spazio. Le traduzioni sono di Paola Splendore.

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ELENCO DELLE POESIE da Brunizem (1988): Udaylee Muliebrity (Muliebritas) Hey Search for My Tongue (In cerca della lingua) da Monkey Shadows (1991): 5. Understanding The Ramayana (Capire il Ramayana) da The Stinking Rose (1995): The One Who Goes Away (Quella che se ne va) The Stinking Rose (La rosa malodorosa) Da Augatora (2000): 8. Partition (Partizione) Il viaggio della lingua altrove I linguaggi letterari ci riportano al problema della lingua, che come si è già detto è strettamente intrecciato a nazioni e discipline. Ci sono le indigene che pur rimanendo a casa (colonia o ex-colonia che sia) scelgono di scrivere nella lingua del colonizzatore e parlano nella voce ibrida di chi sta tra Oriente e Occidente e tra due o più culture, come Anita Desai, autrice indiana di cui il canone occidentale si è appropriato, e la marocchina Fatema Mernissi, che si muove tra mondo arabo e francese, e che tuttavia sceglie di scrivere i suoi libri in inglese.1 Uguale scelta fa Maria Abbebù Viarengo, di madre etiopica e padre piemontese, che è cresciuta fra tre lingue, oromo, italiano e dialetto piemontese, e sceglie di scrivere la sua autobiografia in inglese. Abbebù Viarengo presenta un mondo frammentato, memorie confuse in cui entrano schegge di tante lingue che si estendono poi a usi, costumi, culture:

I have inside me fragments of many languages: Oromo, Amharic, Tigrin, English, Arabic, of gestures, tastes, religions, perfumes, costumes, feasts, sounds, music, looks, faces, places, spaces, silences.”2

Ci sono anche le immigrate di seconda e terza generazione, nate nel paese straniero, ma eredi di una memoria culturale indiretta, come Zadie Smith, la giovane autrice londinese di origine anglo-giamaicana, che ha avuto recentemente grande notorietà. Esse sono lontane dalla madre patria per molti aspetti, ma, come Smith ricorda a noi, suoi lettori bianchi:

… the brothers will race towards the future only to find they more and more eloquently express their past, that place where they have just been. Because this is the other thing about immigrants (‘fugees, émigrés, travellers) they cannot escape their history any more than you yourself

1 Citare. )"…women dreamed of trespassing all the time… (pp 1-2), "Our house gate was a definite hudud, or frontier, because you needed permission to step in and out" (22) Nel suo recente volume, Sheherezade Goes West, Mernissi descrive l'importanza del racconto per le donne islamiche: il diritto alla parola è diritto alla vita, mezzo di sopravvivenza (l’importanza del racconto).

2 Maria Abbebù Viarengo, “Scirscir’n demna. Extracts From an Autobiography’, Wasafiri no. 31 (Spring 2000), p. 21.

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can lose your shadow. (Zadie Smith, White Teeth, Penguin, 2001, p. 466).

Salman Rushdie e il Commonwealth, la differenza tra immigrati che hanno cambiato il volto della madre patria e coloro che sono rimasti a casa. Spivak

La poetessa indiana Sujata Bhatt ha fatto la difficile scelta di scrivere in inglese,

anche se il suo inglese è attraversato da frammenti delle lingue di origine, il gujarati e il maharashtra. Nella gran parte della sua produzione poetica, il tema della lingua, della coesistenza – spesso amara – tra la nuova e l’antica, si intreccia al motivo dell'esilio, del viaggio, delle (non) appartenenze, sempre cercate e sempre evase.

La scrittura bilingue del poemetto ‘Search for My Tongue’ si offre quale argine al senso della perdita della lingua originaria e alla dolorosa coesistenza di identità e culture frantumate.

You ask me what I mean By saying I have lost my tongue. I ask you, what would you do If you had two tongues in your mouth, and lost the first one, the mother tongue, and could not really know the other, the foreign tongue... (Mi chiedi cosa voglio dire quando dico che ho perso la lingua. Ti chiedo che faresti tu se avessi in bocca due lingue, e perdessi la prima, la madrelingua, mentre l’altra, la straniera, fosse ancora sconosciuta.)

E ancora la lingua diventa materialità e rimanda alla trasmutazione tra corpo e

scrittura: Days my tongue slips away. I can’t hold on to my tongue. It’s slippery like the lizard’s tail I try to grasp But the lizard darts away.

(Giorni in cui la lingua scappa via. Non riesco a trattenerla. E’ sfuggente come la coda della lucertola/ che cerco di afferrare, ma quella sfreccia lontano.)

Ella sente di avere in bocca due lingue e di aver sputato quella nativa perché inutile, era

marcita e morta, cadavere nella bocca – ma poi in sogno … it grows back, a stump of a shoot grows longer, grows moist, grows strong veins,

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it ties the other tongue in knots, the bud opens, the bud opens in my mouth, it pushes the other tongue aside. Everytime I think I’ve forgotten, I think I’ve lost the mother tongue, it blossoms out of my mouth. Days I try to think in English: I look up, (paylo kallo kagdo) (oodto oodti jai, huhvay jzaday pohchay) (ainee chanchma kaeek chay) the crow has something in his beak. When I look up I think: (aakash, suraj) and then: sky, sun. (la lingua ricresce, il piccolo germoglio s’allunga, si irrora, rafforza le vene, s’avvinghia e si confonde con l’altra, in bocca si apre un bocciolo, un bocciolo che caccia via l’altra lingua. Ogni volta che penso di averla dimenticata, di aver perso la lingua materna mi sboccia di nuovo in bocca. Giorni che cerco di pensare in inglese: alzo lo sguardo/ (paylo kallo kagdo) (oodto oodti jai, huhvay jzaday pohchay) (ainee chanchma kaeek chay) il corvo ha qualcosa nel becco. Quando alzo lo sguardo/ penso: (aakash, suraj) e poi: cielo, sole.)

In quest’ultima parte, il pensiero è condizionato dalla lingua e la lingua dal

pensiero e così la natura del Connecticut diventa quella della natia Ahmenabad, il cielo riarso e asciutto prende il posto di quello ingombro di nuvole che stava descrivendo, l’assenza di pioggia, la sua minaccia prende il sopravvento; talvolta è il tempestoso mare nordico, il tram di New Orleans, il ponte di Brooklyn che cancellano il luogo dell’origine – il cambiamento di lingua riflette o dirige le trasformazioni.

Il tema dell’esilio si lega a quello della memoria in molte poesie, tra cui ‘Living with Train’ e ‘The One Who Goes Away’ :

Io sono quella che sempre se ne va. Mi chiedono a volte se sto cercando un posto in cui l’anima non vorrà più vagare un posto in cui fermarmi senza volere più partire.

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Prima di lei Kamala Das aveva con rabbia difeso il suo diritto di adoperare la lingua del

colonizzatore, come lingua sua: Dont write in English, they cried, English Is not your mother tongue. Why not leave me alone, critics, friends, visiting cousins, everyone of you? Let me speak in any language I like. The language I speak becomes mine, its distortions, its queernesses all mine, mine alone.

(Kamala Das, “An Introduction”, Poems 1951-60, p. 12)

Precedentemente aveva parlato del suo fluttuare tra lingue diverse

I speak three languages, write / in two, dream in one. e anche della politica e del potere diventate parole di una filastrocca:

I dont know politics but I know the names of those in power and can repeat them like days of week or names of months, beginning with Nerhu. I am Indian, brown and born in Malabar." ('An Introduction')

La scrittura femminile si è da vari decenni consapevolmente posta contro la funzione “anestetica” del canone e al di fuori delle forme della tradizione letteraria istituzionale. Dapprima spezzando i confini rigidi tra discipline, poi muovendosi tra lingue e culture diverse, dando voce al proprio corpo, corpo carnale e corpo della scrittura, liminalità tra generi e genere, oggetto e soggetto a un tempo.

Le voci critiche femminili hanno spesso adoperato accenti e toni della creatività, la poesia e le narrazioni sono state attraversate dalla Storia o da storie subalterne e ufficiose, Angela Carter e Jeanette Winterson, Toni Morrison e Leslie Silko, Mahasweta Devi, Sujata Bhatt e Kamala Das, Simone Lazaroo, Sally Morgan e Jeanette Turner Hospital, Trinh T. Minh-ha e Gloria Anzaldùa, Tsitsi Dangarembga e Bessie Head, Maria Abbebù Viarengo e Nassera Chora.. Esse parlano tra le righe, unendo lingue diverse, identità multiple, negli interstizi della nazione e delle discipline. Anche quando parlano all’interno di uno stesso confine nazionale, parlano in uno spazio ibrido che lo ravalica, cle le colloca diversamente. Abitano bordi e frontiere, spazi intermedi, zone indistinte tra l’umano e l’animale, il naturale e il soprannaturale, il bello e l’orrido, tra il sé e molti altri sé. Esse parlano unendo corpo e scrittura, la scrittrice che ha teorizzato e praticato questa vicinanza è Hélène Cixous in opere che eludono definizioni di genere narrativo. "Il corpo testuale femminile è sempre infinito, senza confini, comincia da ogni parte, e quando finisce, ricomincia daccapo.” La voce della subalterna è una voce fluttuante, espressione di diaspore geografiche, etniche e identitarie, che a lungo è rimasta fuori dai canoni delle discipline per il mancato rispetto delle partizioni rigide tra generi letterari, scritture codificate, prosa e poesia, critica e narrazione, realtà e finzione. Ma anche ai margini di culture e nazioni diverse.3

3 Nel suo saggio dell’86, “Can the Subaltern Speak?” (Può la subalterna parlare?), Spivak osserva che la donna subalterna è doppiamente cancellata, nella storiografia coloniale come nei resoconti delle lotte di indipendenza e di resistenza anticoloniale, ed esorta a combattere contro il silenzio, altrimenti ella rimarrà muta come è

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Tra tutte vorrei ricordarne alcune: Trinh T. Minh-ha , cineasta e influente scrittrice femminista, attraversa linguaggi e media diversi. Le sue sceneggiature sono di per sé un incontro di poesia, analisi antropologica e racconto; i suoi film sul Senegal e sul Vietnam sono incontro tra immagini e scrittura, linguaggi di avanguardia e denuncia anticoloniale, i suoi libri sono invasi da inquadrature dai suoi film, come i film dalla sua scrittura. Nel titolo del suo film Surname Viet: Given Name Nam (1989), ella si riferisce ironicamente all’identificazione della donna con la nazione.

La scrittura femminile per lei è carne linguistica, materia organica, ‘scrittura nutriente’ (nourricriture), un flusso di vita, di parole che lentamente scorre lungo le pagine’: ‘This keeping-alive and life-giving water exists simultaneously as the writer’s ink, the mother’s milk, the woman’s blood and menstruation.’ (p. 38?) Elizabeth Grosz ha sottolineato che il corpo femminile è stato costruito non solo come assenza, mancanza ma anche come flusso informe, liquido incontrollabile, che sborda e insozza, quelle liquidità che gli uomi espellono dala proria auto-rappresentazione, e di questa immagine Luce Irigaray si è appropriata per la propria poetica del femminile.

Body fluids flow, they seep, they infiltrate; their control is a matter of vigilance never guaranteed … they betray a certain irreducible materiality … assert the priority of the body over subjectivity … the irreducible specificity of particular bodies. (Grosz, p. 194)

La scrittura della chicana Gloria Anzaldùa mescola inglese e spagnolo, prosa e poesia nel suo libro dal doppio titolo, Borderlands\La Frontera e si muove in una zona ibrida tra cultura messicana, statunitense e spagnola. Ella lega il corpo femminile alla scrittura con immagini più terrestri, riferendosi alla sua vita nella Terra di confine come chicana, lesbica, scrittrice. La scrittura è come una spina di cactus conficcata nella pelle. Più si tenta di toglierla, più va in profondità. E’ un vampiro che succhia sangue dal corpo con un flusso incessante.

This vampire which is my talent does not suffer other suitors. Daily I court it, offer my neck to its teeth. This is the sacrifice that the act of creation requires, a blood sacrifice.… 4

La poeta Kamala Das si muove tra prosa e poesia, scrive in due lingue indiane (malayàlam e

inglese), le sue parole sbordano dalla poesia in lunghi versi che spesso diventano prosa, e riappaiono poi nei racconti e nella sua autobiografia; quest'ultima, oggetto di grande scandalo, sfida apertamente la legge della veridicità. I critici, pochi nel mondo occidentale, si sono accaniti sulla storia piccante del suo matrimonio aperto, oscillante sulla soglia della promiscuità e della bisessualità, e sulle contraddizioni tra le versioni in prosa e in poesia. Tra l’altro va notato che le vicende narrate trovano riscontro in episodi della mitologia indiana – e questo non ne esclude la verità.5

La sua voce poetica è attraversata dal desiderio complesso di un corpo dell’amato/a, di un ‘tu’ senza identità (con frequenti richiami al suo passato madrilineare), la sua ricerca di intimità ( P.P. Raveendran) è un esercizio politico e ideologico. “

avvenuto nella contesa sulla sati tra tradizionalismo indù e imperialismo britannico. Alla domanda del titolo, la risposta molto controversa era no. 4 Ibid., p. 75. 5 Anche la donna indiana che diviene sati, e cioè che decide più o meno volontariamente di bruciare sull pira funeraria del marito, è una re-enactment dela vicenda di sati, la moglie casta, del dio Siva, che per vendicare il marito decide di morire ma non bruciato. Solo che nel riadattamento dal mito la moglie irata diventa corpo sacrificale, quel corpo che è stato al centro della contrapposizione tra tradizionalismo indù e colonialismo britannico all'inizio del'Ottocento.

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I am a freak. It is only to save my face I flaunt at times, a grand, flamboyant lust.” (The Freaks) “There was a time when our lusts were like multicoloured flags of no particular country.” (Convicts) In An Introduction , di fronte al diniego dell’amore, parla del suo corpo schiacciato:

... When I asked for love, not knowing what else to ask For, he drew a youth of sixteen into the Bedroom and closed the door. He did not beat me But my sad woman-body felt so beaten. The weight of my breast and womb crushed me. I shrank pitifully. Then I wore a shirt and my Brother's trousers, cut my hair short and ignored all of My womanliness. Dress in saris, be girl, Be wife, they said. Be embroiderer, be cook, Be a quarreller with servants. Fit in. Oh, Belong, cried the categorisers. (P.7)

(Kamala Das, from "An Introduction," 1965.) Ho citato prima Das per la presenza prepotente del corpo nella sua poesia, con questi ultimi accenti ella ci ricorda l'importanza nella scrittura femminile del corpo, della sua estraneità e ribellione al potere. Ma prima e parallelamente a questo momento trionfale c'è la lunga storia della soggezione al potere, della presenza del corpo torturato in Toni Morrison e Mahasweta Devi, che spesso della lunga e alterna storia del rogo rituale delle vedove in India, dell'imposizione del velo per le donne islamiche. Djebar parla del corpo ‘rivelato’ delle donne sottoposte a tortura durante la rivoluzione (“Alcune di loro si sono trovate con il sesso colpito dale scariche elettriche, scorticato dalla tortura”6), e così ha fatto la scrittrice bengalese Mahasweta Devi, che attraverso il corpo femminile dilaniato narra la storia del Bengala, delle sue oppressioni e ribellioni, della subalterna come oggetto; infine Toni Morrison in Beloved legge nel corpo martoriato di Sethe la storia della schiavitù, corpo ‘istoriato’. Nel racconto Draupadi, durante le lotte rivoluzionarie, l’eroina è catturata e ferocemente torturata. Il suo corpo violato e deturpato viene usato da lei come denuncia contro colui che ha ordinato la tortura; da bersaglio inerme diviene arma di attacco:

Draupadi stands before him, naked. Thigh and pubic hair matted with dry blood. Two breasts, two wounds. … Draupadi’s black body comes even closer. Draupadi shakes with an indomitable laughter that Senayak simply cannot understand. (Devi,1987: 196).

Questo è il momento in cui la leadership maschile arretra, il momento in cui Dopdi, fino

ad allora revolutionaria accanto a marito, comincia ad agire per se stessa. In tutte queste occasioni, persino nell'atto di diventare sati, il corpo della subalterna, soggetto e violentato

dal potere, diventa testimonianza e rivendicazione, ribellione e appropriazione. (Il caso del

velo, donna algerina, Fanon, Djebar, e soprattutto Mernissi.)

6 Ibid.

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Anita Desai Nata nel 1932 a Mussoorie, da padre bengalese e madre tedesca, cresce e studia a

Delhi, sposata con 4 figli. La sua narrativa viene definita introspettiva, impressionistica, mondo emotivo

femminile, in parte ispirata allo stream of consciousness di Woolf (Bim e Tara). Ella cita Woolf: ‘il genio non nasce da persone che faticano, non istruite, servili’ e

questo è ciò che le donne sono state in Asia per molte tempo. Si parla per lei dell’influsso dell’esistenzialismo ma richiamerei l’attenzione più

sull’importanza del simbolismo: il tempo, il giardino delle rose, i ciottoli, immagini legate alla casa (il pozzo, la

balaustra ecc); rumore, musica, silenzio; gli uccelli (e altri animali: gatto, cane, mucca, cavallo, api), soprattutto la casa a rappresentare il silenzio dei propri spazi interiori.

A.D. lotta per trovare una voce tra realimo morale e estetizzazione mitologica, una voce che leghi un glorioso passato indiano (pre-britanico, pre-coloniale e un presente postcoloniale decaduto e certamente meno romanticizzabile. Alla fine subordina la propria immaginazione poetica e mitica alla sua visione morale, penso piuttosto che sia un’altalena e che infine il registro mitico per le donne. Emily Dickinson più che Jane Austen.

La memoria: le due epigrafi CLD is about time ‘as a destroyer, as a preserver’, sul suo effetto sulle persone. La struttura a cuspide: I e IV parte il presente;II e III: la memoria tra adolescenza e

fanciullezza ma con costanti accavallamenti e incursioni tra le varie dimensioni temporali.

La nuova e la vecchia Delhi: la prima costruita dagli inglesi, la seconda non cambia, decade solamente, tutti se ne vanno, a Nuova Delhi, in Inghilterra, Canada, il Medio Oriente. '(p 5)

La vecchia musica americana: Cole Porter, Bing Crosby, fox trot e quicksteps Baba ha paura del silenzio, sente sempre musica degli anni 40 fortissima; poi c'è la musica del Dr Biswas (Mozart, Brahms), e infine il canto di Mulk cui viene dato il permesso di celebrare il compleanno del suo guru. Gli strumenti, tabla, tanpura, e la voce di Mulk che cerca la melodia, l'accordo: 179-80; la scena finale è di armonia, parte di un disegno ricamato su una tela, la voce di Mulk li lega tutti in u quadro

"as perfectly composed as a Moghul miniature of a garden scene by night, peopled with lovers, princes and musicians at play."

poi canta il guru ed evoca tristezza, passione e frustrazione, la voce dell'esperienza

del dolore, della sconfitta e la delusione. Così la casa contiene loro tutti con le loro diversità, le loro radici, che nascono dalla

stessa terra, 'the same secret darkness'. 182 il gelato sintetico, the icy pink sweetness, the syntetic sweet pinkness (20) la paura della luce abbagliante dell'Oriente, l'efficienza dell'occidente (21) , l'idealizzazione da parte di Bakul della tradizione ((35), anche la storia del vecchio

Misra che, per una profezia, invece di andare in Inghilterra è andato in Birmania. Le mogli tornano tutte a casa, le sorelle lavorano e mantengono i fratelli.

Il corso di storia, la morte di Gandhi, la vedova: 104 e 108 e 111, the cow, I POETI: T.S.Eliot, 41, la presenza dei fantasmi, Byron, Tennyson, Swinburne ma la

vera lingua della poesia è l'urdu, 47 e 55

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E' ancora Byron che troviamo nel romanzo di Anita Desai, oltre a T.S. Eliot, e, solo accennati, Swinburne, Tennyson, D.H. Lawrence. Byron e il poeta urdu Iqbal contrapposti sono l'animus dello stretto legame tra Bimla e suo fratello Raja, e in seguito del loro distacco.

Prima li aveva uniti il grande amore per la letteratura inglese: He brought home volumes of Tennyson and Swinburne and lent them to Bim to read. No one in their family had studied literature before. Now she and Raja fell upon it with a kind of hunger, as if it were the missing elements in their lives at last made available, and devoured it with an appetite … Bim remembered that when she heard Raja read aloud to her from Byron … and tell her the story of Byron’s fight for Greek independence and his death in Greece as a hero and poet. ‘Like you,’ Bim murmured… (54 e 55)

I ragazzi a scuola lo chiamano Lord Byron, spesso abbreviato in Lord. Ma il giovane Raja era stato sempre diviso tra la letteratura inglese allo Hindu College e la poesia urdu conosciuta nel giardino del vicino e ricco padrone di casa, il mussulmano Hyder Ali, figura paterna cruciale nella sua formazione intellettuale e culturale. Al fratello, gravemente malato, Bim legge Byron, cui però lui contrappone la poesia urdu. A Bim gli accenti sembrano molto simili – la coppa, il vino, la stella, le ceneri e le rose – e chiede al fratello “Are you going to be an Urdu poet when you grow up, Raja?” (50) La malattia nasce da questa spaccatura, e si risolve quando egli parte per Hyderabad, dopo la partizione tra India e Pakistan, un evento che spacca in due la nazione, il legame tra i due, la vita di ciascun individuo.

“That summer was certainly one of them – the summer of ’47 – …For everyone in India… For every Hindu and Muslim. In India and in Pakistan …The city was in flames that summer…” (p. 43-4).

Alla fine la riconciliazione avviene in Bim, al suono di un cantore tradizionale che le ricorda il poeta così importante nella sua formazione, T.S.Eliot e non Byron: "Time the destroyer is time the preserver", ma le parole del canto sono i versi del poeta urdu Iqbal.

.Iqbal. l'altalena tra Byron e Iqbal. Bim non ama il sentimentalismo della poesia urdu, le ragazze scoprono la lett rosa femminile e Florence Nightingale e Joan of Arc (but

not Tara), e poco prima di mettersi i pantaloni scoprono il misto di east and west nei libri di Raja, 131.

Il libro finisce con Iqbal:

Your world is the world of fish and fowl. My world is the cry at dawn. … In your world I am subjected and constrained, but over my world You have dominion.

1947: the fires burning in the city every night (43 e 44), la spaccatura, 52.

Although it was shadow and dark, Bim could see as well as by the clear light of day

that she felt only love and yearning for them all, and if there were hurts, these

gashes and wounds in her side that bled, then it was only because her love was

imperfect and did not encompass them thoroughly enough … (165)

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Nothing's is over, ever (174)

They sat in silence then, the three of them, for now there seemed no need to say another word. Everything had been said at last, cleared out of the way finally. There was nothing left in the way of a barrier or shadow, only the clear light pouring down from the sun. They might be floating in the light – it was as vast as the ocean, but clear, without colour or substance or form. … they floated in it. They found the courage, after all, to float in it………" (177)

Il melting pot di White Teeth, Gurinder Chadha, elezioni postwar, Monsoon Wedding, Lion in the Desert (4hrs)

‘What’s past is prologue’ (The Tempest, Act II, scene 1) … the brothers will race towards the future only to find they more and more eloquently express their past, that place where they have just been. Because this is the other thing about immigrants (‘fugees, émigrés, travellers) they cannot escape their history any more than you yourself can lose your shadow.

I denti sono usati come metafora per questo concetto del passato e dei canali che lo legano al presente, nei sottotitoli delle prime tre parti (radici, corona, problemi di dentizione, canini, ecc) e nel testo varie volte. Una sola volta per un ricordo della feroce contrapposizione razzista che ha diviso colonizzati e colonizzatori. Di nuovo si tratta di una caccia:

Clean white teeth are not always wise, now are they? Par exemplum: when I was in the Congo, the only way I could identify the nigger was by the whiteness of his teeth, if you see what I mean. Horrid business. Dark as buggery, it was. And they died because of it, you see? Poor bastards. Or rather I survived, to look at it in another way. … Those are the split decisions you make in war. See a flash of white and bang! (Zadie Smith, White Teeth) For twelve years men run the hunt. Then comes the women's turn. It's Jani Parab. Like the men they too go out with bow and arrow. They run in forest and hill. They kill… they picnic together… They do exactly what the men do. Once in twelve years. ……………………………………………………………… Mary laughed and held him, laid him on the ground. Tehsildar is laughing, Mary lifts the machete, lowers it, lifts, lowers. … … The spring festival fires are scattered in the distance. Mary is not afraid, she fears no animal as she walks, watching the railway line in the dark, by starlight. Today all the mundane blood-conditioned fears of the wild quadruped are gone because she has killed the biggest beast. (M. Devi, The Hunt)

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Fermandoci ancora sulla soglia del libro, sulle epigrafi alle varie parti: I la casualità degli eventi (Forster sarà citato, e Coleridge a p. 58); II guardi ancora a dov’eri o dove sei ora? (di chi è il bhangra? vedi e interviste di Chadha, di chi è oggi il cricket? Vedi Lagaan) III è possibile spezzare il legame tra causa ed effetto? IV ‘fundamental, fundamentalism, a kiss is still a kiss’: il fondamentalismo dell’amore. Diviso in 4 parti, sempre tra due date:

– la metropoli multietnica è squallida e tentacolare ma offre la salvezza ad Archie (ironia, il viaggio through Willesden Green dopo il matrimonio, alternanza di classi e caste); ved. Catherine Hall. Archie, l'inglese tra gli anni settanta e la II guerra mondiale, una diade ripresa nel finale, quando riincontrerà il medico al servizio dei nazisti come rappresentante di una multinazionale della chimica; l'inglese, un fallito decadente (dopo la guerra la società non ha trovato un uso per lui e ora fa il cameriere nel ristorante di un parente), sposato alla giovane giamaicana Clara Bowden e amico di un musulmano di origine bengalese Samad a sua volta sposato con la ventenne Alsana Begun: i due uomini si erano conosciuti durante la guerra e si sono poi ritrovati al’arrivo di Samad in GB nel 1973. La storia di Clara, di Alsana, di Neena, tutte e tre cresciute in famiglie religiose (74-5 e p 76 e 78. cit. ) La guerra, Mangal Pande, p 86 e 99-100, cit.; il confronto tra le due etnie. La moglie di Samad non è ancora nata, il cibo inglese, gli inglesi non conoscono l’India,

…if ever you hear anyone speak of the East… hold your judgment. … Because that land they call “India” goes by a thousand names and is populated by millions, and if youthink you have found two men tha same amongst that multitude, then you are mistaken. It is merely a trick of the moonlight.

– Samad tra il presente in Inghilterra (le tentazioni occidentali, il senso di colpa successivo

che manda Magid in Bengala) e l'ammutinamento del 1857: il suo antenato, il sepoy Mangal Pande, eroe (259) o uno che non sapeva sparare? il secondo che non sapeva sparare o che non voleva uccidere, secondo Archie ma Samad dice che è tutta propaganda inglese. p 193 (l’importanza delle radici secondo Samad, ma i denti talvolta cadono perché c’è qualcosa che è marcito nelle radici), 198 (i riots, Alsana piange per coloro che sarann uccisi dopo la morte di Indira Ghandi, racconto di Kamala Das)

– Irie, figlia di Archie e Clara la ragazza senza denti, cresce, in una scuola radicale inglese e a contatto con i Chalfen, intellettuali radicali inglesi, che si impadroniscono di Millat e di Irie (ma anche loro erano ex-emigranti, terza generazione dalla Germania e Polonia, Chalfenovsky). Le tre donne si coalizzano in difesa: 344, Neena ci va con Maxine, i pregiudizi. Clara ci va e si vanta del suo nonno biancastro: p. 354, una bugia più falsa dei suoi denti:

…it was probably Captain Charlie Durham. He taught my grandmother all she knew. A good English educatin. Lord knows, I can’t think who else it coud be.” …. “That was a downright lie. False as her own white teeth.

e poi il romanzo mette le cose a posto. The root canals di Irie, sua nonna Ambrosia e il capitano Durham, un grande amore.

It is not that … he doesn't love her (oh, he loves her; just as the English loved India and Africa and Ireland; it is the love that is the problem,

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people treat their lovers badly)" (361) Albero genealogico 339. Ambrosia Bowden e il capitano Charley 'Whitey' Durham, da cui nasce Hortense la nonna di Irie durante il terremoto di Kingston. Il melting pot:i discorsi tra Samad e Archie, i continui scontri e conflitti culturali (cibo), ma soprattutto le scuole in cui si confrontano le più svariate culture, al di sopra del razzismo spicciolo, (pp. 326-7); il terrore della sparizione, della diluizione atraverso i matrimoni misti, che porta alla dissoluzione della razza, della cultura attraverso i nomi. pp. 406,407

You teach them but they do not listen because they have the ‘Public Enemy’ music on at full blast. You show them the road and they take the bloody path to the Inns of Court. You guide them and they run from your grasp to a Chester sports centre. … The one I send home comes out a pukka Englishman, white suited, silly wig lawyer. The one I keep here is fully paid-up green bow-tie-wearing fundamentalisi terrorist. … And then you begin to give up the very idea of belonging. Suddenly this thing, this belonging, it seems like some long, dirty lie…

E Irie potrebbe dirgli: se li potessi riportare indetro alla fonte del fiume, all’inizio della storia, in patria.. ma sarebbe inutile come correre dietro alla propria ombra.. E poi il finale, che non è mai la fine della storia, “like the independence of India or Jamaica … the end is simply the beginning of an even longer story.” (p. 540) partendo da Fire (scena teatrale e poi l’incendio), parlare di sati e velo: Alloula, Parte finale Palermo (4hrs) con altre slides, Suleri, citazioni (Misionari, Burke) Altra pratica violenta è il sati, antico rito indiano che sembrerebbe solo un retaggio pre-coloniale. Fu proibito dagli inglesi nel 1829 e poi dal governo indiano nel 1988 in seguito a una sua recrudescenza nel moderno Rajastan.7 Da tutti collegato alle sacre scritture e alla tradizione, è stato variamente interpretato come coercizione brutale e barbarica, atto di violenza legato a meschini interessi finanziari, o, alternativamente, come esempio di eroismo femminile, modo di onorare il sacro vincolo del matrimonio, propensione delle donne al ruolo sacrificale. Secondo Gayatri Spivak, l’atteggiamento britannico difronte al sati si iscrive nell’ambito della violenza epistemica da lei così definita:

7 Nella storia che sembrerebbe così lineare si annidano contraddizioni, giravolte, cambiamenti di idea: basti pensare che gli stessi inglesi, prima di proibirlo nel '29, lo avevano legalizzato nel 1813, riconoscendolo in parte come rito autentico legato alla tradizione purchè ci fosse il consenso della vedova (di qui gli interrogatori alla donna terrorizzata in punto di morte). O anche all'atteggiamento contraddittorio delle autorità che si mossero tardi e male dopo il suicidio coatto della diciottenne Roop Kanwar, permettendo, 13 giorni dopo il rito, una commemorazione cui presero parte 300.000 persone, tra cui vari rappresentanti ufficiali.

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The clearest available example of such epistemic violence is the remotely orchestrated, far-flung and heterogeneous project to constitute the colonial subject as Other. This project is also the asymmetrical obliteration of the trace of that Other in its precarious Subjectivity.8 Il salto del sati dal privato al pubblico si rapporta al passaggio da una presenza britannica mercantile e commerciale, spesso imbevuta di miti orientalistici di autenticità, a una territoriale e amministrativa, per la quale il rituale dell’autoimmolazione della vedova non è più superstizione ma crimine, rendendola in tal modo una questione di legge e ordine. Come osserva Spivak, la gravità del sati sta nel fatto che era ideologicamente descritto come ‘ricompensa’ dall’induismo, così come la gravità dell’imperialismo era nel definirsi ‘missione sociale’: ‘white men protect brown women from brown men’. In ambedue i casi la donna rimane un oggetto. Lata Mani, la maggiore studiosa del campo, nota che le donne al rogo sono rappresentate o come eroine, o come patetiche vittime, negando loro la possibilità di una soggettività mutevole, contraddittoria, incoerente. Anche i discorsi salvifici – che siano coloniali o nazionalisti o femministi – hanno limitato la sua autonomia, descrivendola come oggetto da salvare. “For the most part, all three have constructed the Indian woman not as someone who acts, but as someone who is acted upon. 9 Malek Alloula, in Le Harem Colonial, ha raccolto ed esaminato le cartoline francesi di donne algerine, mettendo in evidenza lo sguardo voyeuristico coloniale e, in un certo senso, rimandando la cartolina al mittente.10 Lata Mani, pur notando che, nel caso del sati, all'esibizione del corpo femminile si accompagna la sua dissoluzione, e che la ‘violenza epistemica’ di Spivak è accompagnata da una concreta pratica violenta, sottolinea che i resoconti ottocenteschi da parte di funzionari coloniali e missionari sono esemplari del discorso coloniale e non esenti dallo sguardo voyeuristico di cui parla Alloula (vengono descritti corpi giovani e belli che si dissolvono, ignorando la concretezza del dolore, persino nel caso recente di Roop Kenwar). Ma pur attraverso le distorsioni, emerge la persona che si vuole annientare, con le sue contraddizioni e cambiamenti di idea, l’alternarsi di coraggio indotto e terrore, docilità e ribellione, l’accettazione rassegnata e la fuga disperata. "There is no space from which the sexed subaltern subject can speak" aveva concluso Spivak nel saggio sul sati. Questo mio discorso al contrario si è volutamente richiamato a voci, scritture e corpi del soggetto subalterno sessuato. A mio parere la riappropriazione o il rifiuto del velo da parte delle donne è parte di una storia attiva e in costante mutamento e riadattamento. Sarebbe impossibile in questa sede riferire della letteratura e del dibattito femminile e femminista su quest’argomento. Anche il corpo torturato e annientato, come l'inconscio nero evocato da Fanon, riesce a parlare, e non solo attraverso la scrittura redentrice di Morrison, Mahasweta Devi, o lo studio attento e cauto di studiose quali Spivak e Lata Mani. Non vorrei dover fare una scelta drastica tra due posizioni ma piuttosto concludere con le parole di Assia Djebar, ‘… corpi prigionieri ma anime più che mai in movimento’. A questo punto bisogna chiedersi che cos'è il canone letterario inglese? Durante la colonizzazione, come veicolo dell’autorità, era passato attraverso processi di negoziazioni e adattamenti ed era stato soggetto poi di fasi alterne di rigetto e appropriazione, a influssi di ritorno che non possono non riflettersi sul canone originario, confronto epistemico su cui ho potuto solo da alcuni esempi recenti.

8 G. C. Spivak, "Can the Subaltern Speak?", in Marxism and the Interpretation of Culture, Urbana and Chicago, Illinois University Press, 1988, pp. 180. 9 L. Mani, "Cultural Theory, Colonial Texts: Reading Eyewitness accounts of Widow Burning", in L. Grossberg et al (eds), Cultural Studies, London and New York, Routledge,1992, p. 397. 10 M. Alloula, Le Harem Colonial: Images d’un sous-érotisme, Genève-Paris, Editions Slatkine, 1981.

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L'unicità e il monolinguismo del canone inglese durante l'impero si contrappone alla molteplicità e al plurilinguismo della letteratura indiana e sin dall’inizi c’è stata la messa in ombra dei canoni letterari indiani. In India la situazione era stata sempre frammentaria, e durante la decolonizzazione lo è diventato ancora di più.11 Il fantasma dell’altro era stato presente, sin dagli inizi dell’Impero nei grandi della letteratura inglese, in Burke, Carlyle, Macaulay, per non parlare dei romanzi di Dickens, Thacheray, Trollope, George Eliot, e naturalmente Kipling e persino Woolf, tutti impigliati in quelle che Spivak definisce ‘muddled narratives’ imperiali.12 Infine and not least, esso, come la lingua inglese, è ora abitato dalle voci dell'ex-colonizzato. Il canone letterario britannico è trasformato dalla presenza e dalla voce degli immigrati, e non è più lo stesso. Soyinka, Rushdie, Ghosh, Armah e Achebe, Lamming e Harris hanno cambiato e trasformato la geografia della narrativa inglese in modo sostanziale.

The English language ceased to be the sole possession of the English some time ago. Perhaps 'Commonwealth literature' was invented to delay the day when we rough beasts actually slouch into Bethlehem. In which case, it's time to admit that the centre cannot hold.13

Ma che cos’è il canone di cui fanno parte? Si tratta ormai di una appartenenza difficile da definire. Per loro, Said parla di “contrapuntal ‘figures whose writing travels across temporal, cultural and ideological boundaries in unforeseen ways to emerge as part of a new ensemble along with later history and subsequent art..” 14. La questione delle lingua segue percorsi analoghi. La lingua inglese per l'India – mosaico di lingue e di etnicità – è stato il principale strumento nella centralizzazine dello stato coloniale. La sua preminenza burocratica e letteraria è aumentata nella fase postcoloniale, sovrapponendosi alla griglia delle lingue regionali e dei dialetti locali. Ahmad nota l’incapacità della nazione di affrontare qualcosa di diverso per confrontarlo con la complessità della nostra società da ciò che abbiamo ereditato dala borghesia europea.15 La English-speaking India è sofisticata abbastanza nella sua

11 Aijaz Ahmad, in un suo libro molto polemico sulla nozione del ‘testo del terzo mondo’, descrive la situazione di frammentazione e divisione nell’attuale istruzione superiore in India, dove i Dpt di Inglese (i più potenti) rimangono completamente separati da quelli di Indù, Sanscrito, Bengali, Tamil ecc. che a loro volta sono separati tra loro. Egli parla della difficoltà di affermare una letteratura indiana ridpetti ai Third World texts, e cioè i testi degli immigrati. "It is in the metropolitan country… that a literary text is first designated a Third World text, levelled into an archive of other such texts, and then globaly redistributed with that aura atached to it" (Aijaz Ahmad, In Theory – Classes, Nations, Literatures, London and NY, Verso, 1992), è importante demistificare la categoria TWT come un controcanone che – alla pari di qualsisi canone, dominante o emergente – non esiste prima della sua costruzione. Major literary traditions, Bengali, Tamil, Hindi, Malayalami, e molti altri solo in India, rimangono del tutto sconosciuti. 12 Spivak sull'importanza di decostruire il nome India, paragone tra Woolf e Devi. 13 In S. Rushdie, Imaginary Homelands – Essays and Criticism 1981-1991, London, Granta Books, 1991, p. 70. 14 Said, Reflections on Exile, and Other Essays, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 2001, p. 186 15 The enlarged uses of English in India and …in virtually all the ex-colonial countries in Asia and Africa are connected with the consolidation … of the bourgeois classes in these countries, including its middle strata, especially the modern petty

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padronanza dell'inglese da avere i suoi scrittori, editori, e un ricco mercato interno per i libri inglesi. L'inglese è solo una delle lingue indiane, pure è la lingua dell'integrazione nazionale e della classe media. (Gli scrittori indiani in inglese vivono in India al contrario delle caraibiche, e sono rappresentative dell'India sia in patria che all'estero, rafforzando il legame con gli immigrati nelle metropoli occidentali. L'Hindi rimane la lingua dei media e della cultura popolare, ma un archivio delle letterature indiane si può fare solo in inglese, e un romanzo ragionale può entrarvi solo se tradotto o riassunto in inglese. Per tutti questo argomenti conclusivi, non posso non richiamarmi al lavoro critico di Bhabha, Said e Spivak che hanno fondato le loro riflessioni sui testi di quel canone che è stato tanta parte della loro formazione. Non posso tacere l’importanza del libro della giovane studiosa Sara Suleri, The Rhetoric of British India, che per me è stato un’importante ispirazione. (Chatterjee, Said, p. 348) Suleri insiste su una definizione di nazione che non risalga alla divisione tra colonizzatore e colonizzato, descrivendo l’inscindibilità della culture del colonizzato e del colonizzatore, l’impossibilità del binarismo e sottolineando la ‘mobilità fantasmatica’ con cui le linee di demarcazione si intersecano.16 Su questo punto importanti Ray Chow e Said, che insiste sull’interdipendenza dei territori culturali sui quali hanno convissuto e si sono combattuti colonizzatori e colonizzati, ‘attraverso proiezioni, geografie, narrative e storie tra loro antagoniste’, è l’essenza stessa del mondo negli ultimi cento anni”. (Said, Culture and Imperialism, p. 17)

Filmografia I seminario – Kim (Victor Saville); My Beautiful Launderette (Stephen Frears); Mississipi Masala (Mira Nair) Lagaan (Ashutosh Gowariker); Heat and Dust II seminario My Son the Fanatic (Udayan Prayad); East is East (D. O’Donnell, 1999);Monsoon Wedding (Mira Nair); Fire (Deepa Mehta);White Teeth (BBC); I’m British but … (Gurinder Chadha) ) Lezioni introduttive TRA 600 E 900: VICENDE COMPLESSE; LE TRACCE NELL'OGGI (CITAZIONE DA HALL) LA COLPA DEL MARINAIO CROGIOLO MULTIETNICO L'INGLESE COME LINGUA DI CUI CI SI APPROPRIA APPARTENENZA O NO. LE DONNE.

Vari tipi di colonizzazione; Le tappe della decolonizzazione; le tracce dell-impero: Mrs Dalloway; C Hall; White Teeth; Desai; Lazaroo appartenenza e lingua - im possibilita di distinguere

il senso di colpa: Dalloway 2 lezioni; HD; BD; Gikandi; Zuleri

bourgeoisie located in the professions and in state apparatuses." (75) L'india ha la più numerosa classe media professionale tra tutti i paesi che hanno guadagnato l'indipendenza dopo la II guerra mond, 16 “… colonial facts are vertiginous: they lack a recognizable cultural plot; they frequently fail to cohere around the master-myth that proclaim static lines of demarcation between imperial power and disempowered culture, between colonizer and colonized. Instead they move with a ghostly mobility to suggest how highly unsetling an economy of complicity and guilt is in operation between each actor on the colonial stage." (p. 3)

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Tra 600 e 900: vicende complesse; le varie fasi indiane: East India Company: sfruttamento commerciale e pur tuttavia in parte meno intrusivo: dal 1765 EIC concluse il movimento dal commercio al dominio legislativo e diritto di esigere tasse nel Bengali, Bihar e Orissa (vittorie in battaglie dal 1756); avevano trovato una popolazione enorme, economia fiorente, istituzioni politiche sviluppate ma non centralizzate e prive di organizzazione verticale; per creare risorse le tasse erano essenziali per comprare le preziose materie prime e merci indiane da esportare; rapporto tra potere e conoscenza: importanza di codificare, enumerare, classificare. Tentativo basato sulla necessaria complicità del nativo, perciò misto di paura e ansietà nell'affrontare l'ignoto, il mistero, il sublime. Misto di riformismo e sfruttamento: razionalità verso la madre patria, dialogo su leggi e istruzione verso la classe media indigena e rapporto di forza con le masse colonizzate. Punti di vista discordanti. In complesso un dominio limitato all'esazione delle tasse su basi locali, che non aveva interesse a intervenire nei processi sociali tra il 1780 e il 1833; solo dopo il 1857 centralizzazione legislativa, logica dei mercati internazionali, ecc Si dice che l'abolizione del sati nel 1829 segnalò l'insorgere di un colonialismo 'anglicista' modernizzante diverso da quello 'orientalista' che era affascinato dalla 'indianità', ma bisogna tenere presente le diverse componenti coloniali(funzionari individuali, missionari ecc che erano parte dello stato ma non coincidevano con esso). Anche la volontà di sapere non era solo strumentale. “Knowledge of Indian people, philosophy, history, language, literature, and culture produced in the context of colonialism was neither synonimous with the the project of ruling nor extricable from it.” (Lata Mani, Contentious Traditions, p.14) Ultima lezione Le popolazioni tribali dell'India sono un sesto della pop totale, preesistenti alle incursione dei popoli che parlavano ariano, tracce negli antichi poemi epici, nell'800 si è dovuto lottare per far passare una legge sulla possibilità per una vedova di risposarsi, ma nelle tribù Austric e dravisiane era già un uso. C'è solo tradizione orale, no sense of property, una cultura parallela a quella mainstream senza nessun punto di incontro. Quelle che si sono convertite

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all'agricoltura sopravvivono, le altre che vivono di caccia e dei frutti della foresta si estinguono, tutti i progetti delle dighe e quelli industriali sono contro di loro. Hanno contribuito alla lotta per l'indipendenza ma a scuola imparano tutto su Ghandi, dove sono i loro eroi? Spivak e Devi ne vogliono parlare. Non sono parte delle decolonizzazione pure ne hanno pagato il prezzo. Ciò che è accaduto per i nativi americani si ripete per loro. Sopravvivenza del bonded labor system (introdotto dagli inglesi) a dispetto della legge nel 1976. Combatto anche per la loro unità oltre che per il loro riconoscimento come cittadini dell'India moderna. richiamiamo Mohanti che raccomanda che, all'interno della descrizione della condizione femminile, bisogna guardare alle contraddizioni,le resistenze, le sfide, i tentativi di sovvertire quella condizione; le donne non vanno mai descritte solo come vittime, analisi di Maria Mies sulle merlettaie di Narsapur, India; evitare la presunzione di universalità nella posizione subordinata dela donna nella società; anche se le donne si possono unire in una lotta (donne indiane di diversa classe religione e casta unite contro la brutalità poliziesca). Anche questo è uno dei mali di una visione globale. E' proprio contro questa globalizzazione che si batte Roy in “La pace ribelle” che vuole passare sopra i bisogni delle popolazioni locali, il globalismo è di chi comanda non di chi è sottoposto; si globalizza il mercato non la libera circolazione delle popolazioni; la femminista occidentale non deve mai porsi come soggetto di fronte alla donna del terzo mondo; è questo che Spivak intendeva quando diceva cha la subalterna non può parlare, e quando assieme ad altre studiose indiane fa la distinzione tra la nazione indiana e le popolazioni tribali che del passaggio tra colonialismo e post non si sono accorte, e qui di nuovo ci assiste Roy con le sue battaglie. L'antropomorfismo denunciato da Kristeva e Cixous diventa l'etnocentrismo di certe analisi femministe che nel costituire la periferia costituiscono se stesse come centro; bisogna evitare di dire: 'non possono rappresentare se stesse, vanno rappresentate'. In Third World Women and the Politics of Feminism, ed. by C. Mohanti et al) Spivak definisce ‘muddled narratives’ imperiali. Spivak sull'importanza di decostruire il nome India, paragone tra Woolf e Devi.

Mrs Dalloway’s London is supported by the name and the implicit concept-metaphor ‘Empire’ from below, the socially invested cartography of bonded labour in Douloti is animated and supported by the space of decolonization and the implicit presupposition ‘Nation’ from above. Spivak, “Woman in Difference”, Outside in the Teaching Machine, 78 On the very first page we read, “In Palamu, the communities of Nagesias

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and Parhaias are small. The bigger comunities are Bhuyians, Dusads, Dhobis, Ganjus, Oraons, Mundas.” … the word ‘India’ is sometimes a lid on an immense and equally unacknowledged subaltern heterogeneity. Mahasweta releases that heterogeneity, restoring some of its historical and geographical nomenclature. (Ibid., 79)

Nella metropoli postcoloniale si aggira il sottoproletariato migrante mentre l’artista postcoloniale Devi si attarda nella postcolonialità ma nello spazio della differenza esistente su terreno decolonizzato. L’importanza dello spazio rurale rispetto a quello urbano. Non si può continuare a stare zitte perché la nazione è un bene intoccabile, l’indipendenza una conquista che si è pagata molto cara (Assia Djebar parla del silenzio delle donne algerine dopo l’indipendenza) La colonizzazione: India and Empire. La decolonizzazione: Nation (socialismo, democrazia,diritti civili, di cittadinanza, ecc) and India. La dicotomia si ripropone, il capovolgimento continua a lasciare fuoriil subalterno. Mrs dalloway (Empire), Douloti (nation) Dire India significa mettere il coperchio su una complessa eterogeneità, ignorare la colonizzazione interna. Al miracoloso nome ‘cittadino’ si sostituisce ‘bond slave’:

– All Munabar’s work is Crook’s work – I am his bondslave (kamiya). – You are his kamiya? – I am his bonded laborer (seokia). – His seokia? – I am his bonded worker (beth-begar). – Hey, what are you? Kamiya, seokia, or beth-begar. – I am his chattel slave. Come come, write everything down. Write and get in your car, buzz

off to town, and I stay behind in the jungle. Each in his own place. (p. 20) La famiglia nucleo base dell’accesso alla collettività diventa qui accesso alla condizione di schiavitù; spossessamento del lavoro=schiavitù ereditaria. Douloti descrive una cartografia dello spazio schiavizzato al cui cenro c’è il corpo femminile che diventa pegno del prestito, il bordello come la fabbrica. Woman’s Body s the Last Instance, It Is Elsewhere

Filling the entire Indian peninsula from the oceans to the Himalayas, here lies bonded labor spread-eagled, kamiya-whore Douloto Nagesia’s tormented corpse, putrefied with venereal disease, having vomited up all the blood in its dessiccated lungs. Today, on the 15th of August, Douloti has left no room at all in the India of people like Mohan for planting the standard of the Independence flag. What will Mohan do now? Douloti is al over India. (p. 93)

Il colonialismo, pur dopo la sua fine, ha lasciato lunghe ombre dietro di sé, come dice Arundhati Roy in un saggio recente:

A cinquant’anni dall’Indipendenza, l’India lotta ancora con l’eredità del colonialismo, ancora sussulta per “l’offesa culturale”. Come cittadini ci sentiamo ancora costretti a “confutare” la definizione che il mondo dei

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bianchi dà di noi.17

17 Arundhati Roy, Guerra è pace, Milano, TEA, p. 164.

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Bibliografia Integrativa (per gli studenti frequentanti) • Chow, Rey, Ethics after Idealism: Theory-Culture-Ethnicity-Reading, Indiana U.P.,

1998. (Intro., Ch. 1, Issues of Pedagogy in Multiculturalim, Ch. 5, The Dream of a Butterfly) (tr. It. Roma, Meltemi, 2004)

• Chow, Rey, Woman and Chinese Modernity – The Politics of Reading between West and East, Minneapolis, Univ. Of Minnesota Press, 1991. (per i film Preface e Ch. 1)

• Mani, Lata, "Multiple Mediations", Feminist Review, 35. • Spivak, G. C., "Can the Subaltern Speak?", in Marxism and the Interpretation of Culture, ed. by

C. Nelson and L. Grossberg, Urbana, Illinois U.P.,1988 e “Woman in Difference” in Outside in the Teaching Machine, N.Y. & London, Routledge, 1993.

• Said, Edward, Culture and Imperialism, London, Vintage, 1993 (Chapters One and Two, particularly “The Native under Control”)

• Suleri, Sara, The Rhetoric of English India, Chicago and London, The Univ. Of Chicago Press, 1992. (“Cap. 4: “The adolescence of Kim”)

• Chambers, Iain, Migrancy, Culture and Identity, London /New York, Routledge, 1994 (trad. italiana Meltemi, 2003).

• Curti, Lidia e A.M. Cimitile (a cura di) Figurazioni fantasmatiche, Napoli, EDISU, 1999 (saggi scelti).

• Derrida, Jacques e Anne Dufourmantelle, Sull’ospitalità, trad. di Idolina Landolfi, Milano, Baldini & Castoldi, 2000.

• Trinh, T. Minha, Woman Native Other, Bloomington and Indianapolis, Indiana University Press.

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Rey Chow lavora su teoria e studi culturali, su cinema e letteratura, du Cina ed Europa. Ci ha allertato dall’inizio sui pericoli delle moderne teorie sul rapporto tra cinema e spettatore, o tra testo e lettore, che spesso si fermano sulla complessità dello sguardo occidentale dominante sia pure allo scopo di decostruirlo, giustapponendo in realtà alla divisione ocidente-oriente quella tra chi vede e chi è visto, occhio attivo e spettacolo passivo. (dove sono le fantasie dell’Est?), in “Visuality, Modernity and Primitive Passions” (Chow, 1995) Rispondere alla domanda chi vede chi,e come? As contemporary critical discourse becomes increasingly sensitive to the wide-ranging implications of the term ‘other,’ one major problem that surfaces is finding ways to articulate subjectivities that are, in the course of their participation in the dominant culture, ‘othered’ and marginalized... ‘seeing’ carries with it the connotation of a demarcation of ontological boundaries between ‘self’ and ‘other’, whether racial, social or sexual. ...the most difficult questions surrounding the demarcation of boundaries implied by ‘seeing’ have to do... (with) who is seeing whom, and how? What are the power relationships between the ‘subject’ and ‘object’ of the culturally determined ‘eye’? (Rey Chow, Woman and Chinese modernity – The Politics of Reading between West and East, 3) The clearest available example of such epistemic violence is the remotely orchestrated, far-flung and heterogeneous project to constitute colonial subject as Other. This project is also the asymmetrical obliteration of the trace of that Other in its precarious Subjectivity. (Gayatri C. Spivak, "Can the Subaltern Speak?") La violenza sta nel costituire il soggetto coloniale come altro, e nel cancellare la traccia La violenza sta nel costituire il soggetto coloniale come altro, e nel cancellare la traccia della sua precaria soggettività. Di questo si rende colpevole il pensiero più illuminato (non si può parlare per l’altro). L’esempio del rogo della sati (tre volte subalterna: donna, povera, indiana) per la quale parlano la legge indù e la codicazione britannica di quella legge. It is through image and fantasy – those orders that figure transgressively on the borders of history and the unconscious – that Fanon most profoundly evokes the colonial condition. … It is not the Colonialist self or the colonized Other, but the disturbance in-between that constitutes the figure of colonial otherness… (Homi Bhabha) Bhabha sottolinea l’importanza dell’inconscio nella costituzione delll’altro (Immagine e fantasia) e lo spazio tra’ sé e altro, tra colonizzatore e colonizzato, che altrove chiamerà ‘terzo spazio’. Sopravvivenza della dicotomia.

Knowledge of Indian people, philosophy, history, language, literature, and culture produced in the context of colonialism was neither synonymous with the project of ruling nor extricable from it. Likewise, the endeavours of individual European officials or missionaries are neither reducible to the interests of the state nor entirely autonomous from it. … Two of the issues raised here …: the variegated and differential workings of colonialism and the importance of disaggregating and specifying the domains of its effects. (Lata Mani, Contentious Traditions, p.14) Oltre a Mani, ne parla Suleri, Said (la mappa del video). “In other words, genuine cultural translation is possible only when we move beyond the seemingly infinite but actually reductive permutations of the two terms – East and West, original and

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translation – and instead see both as full, materialist, and most likely equally corrupt, equally decadent participants in contemporary world culture.” (R. Chow, Primitive Passions, p 195) …”ignorare o sminuire le esperienze, parzialmente coincidenti, di occidentali e orientali, ignorare o sminuire l’interdipendenza dei territori culturali sui quali hanno convissuto e si sono combattuti colonizzatori e colonizzati, attraverso proiezioni, geografie, narrative e storie tra loro antagoniste, significa farsi sfuggire l’essenza stessa del mondo negli ultimi cento anni”. (Said, Culture and Imperialism, p. 17) In “Overlapping territories, intertwined histories”, Said parla del contrappunto tra colonizzati e colonizzatori, tra arte e letteratura (il romanzo) e storia imperiale.

"For colonial facts are vertiginous: they lack a recognizable cultural plot; they frequently fail to cohere around the master-myth that proclaims static lines of demarcation between imperial power and disempowered culture, beween colonizer and colonized. Instead they move with a ghostly mobility to suggest how highly unsettling an economy of complicity and guilt is in operation between each actor on the colonial stage… it demands to be read against the grain of the rhetoric of binarism … The necessary inimacies that obtain between ruler and ruled create a counterculture nt always explicable in terms of an allegory of otherness… ." (Sara Suleri, The Rhetoric of English India, p 3)

Mobilità fantasmatica, contro il binarismo. Clean white teeth are not always wise, now are they? Par exemplum: when I was in the Congo, the only way I could identify the nigger was by the whiteness of his teeth, if you see what I mean. Horrid business. Dark as buggery, it was. And they died because of it, you see? Poor bastards. Or rather I survived, to look at it in another way. … Those are the split decisions you make in war. See a flash of white and bang! (Zadie Smith, White Teeth) For twelve years men run the hunt. Then comes the women's turn. It's Jani Parab. Like the men they too go out with bow and arrow. They run in forest and hill. They kill… they picnic together… They do exactly what the men do. Once in twelve years. ……………………………………………………………… Mary laughed and held him, laid him on the ground. Tehsildar is laughing, Mary lifts the machete, lowers it, lifts, lowers. … … The spring festival fires are scattered in the distance. Mary is not afraid, she fears no animal as she walks, watching the railway line in the dark, by starlight. Today all the mundane blood-conditioned fears of the wild quadruped are gone because she has killed the biggest beast. (M. Devi, The Hunt) As contemporary critical discourse becomes increasingly sensitive to the wide-ranging implications of the term ‘other,’ one major problem that surfaces is finding ways to articulate subjectivities that are, in the course of their participation in the dominant culture, ‘othered’ and marginalized... ‘seeing’ carries with it the connotation of a demarcation of ontological boundaries between ‘self’ and ‘other’, whether racial, social or sexual. .. the most difficult questions surrounding the demarcation of boundaries implied by ‘seeing’ have to do... (with) who is seeing whom, and how? What are the power relationships between the ‘subject’ and ‘object’ of the culturally determined‘eye’?

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(Rey Chow, Woman and Chinese modernity – The Politics of Reading between West and East)

Per i film. Il problema dell’altro riferito al punto di vista visuale, centralità dell’occhio nella visione prospettica occidentale.

“Sporco negro!” o semplicemente “Toh! Un negro”.Facevo ingresso nel mondo, preoccupato di trovare un senso alle cose, con l’animo pieno del desiderio di essere all’origine del mondo, ed ecco che mi scoprivo oggetto in mezzo ad altri oggetti.

(Frantz Fanon, Pelle nera maschere bianche) – Il

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III ANNO PLURILINGUISMO E MULTICULTURALITA' (Prof. L. Curti)

LETTERATURA INGLESE DI GENERE E I 'WOMEN STUDIES'

II Modulo (25 ore) Female Fabulations in Contemporary Anglophone Literatures: the case of India The module deals with the writings of some women critics and novelists who move among different cultures and within a diaspora that reflects divisions involving racial and geographical differences as well as identity splits. Such divisions are at the centre of the works by Zora Neale Hurston, Jane Bowles, Toni Morrison, Octavia Butler that will be the object of an analysis exploring the metaphor of the porous frontier between inside and outside, the I and the other, in the context of diverse styles and genres. Affabulazioni del femminile nella narrativa anglofona contemporanea Il modulo intende esplorare la metafora del confine, quella frontiera porosa tra dentro e fuori, tra io e l’altra/o, tra linguaggi e generi diversi nella scrittura sia creativa che critica di alcune autrici che si pongono nella zona ambigua tra moderno e postmoderno. Si tratta di donne che si muovono tra due o più culture, protagoniste di una diaspora non solo geografica ed etnica ma anche identitaria. Identità divise sono al centro dei romanzi di Zora Neale Hurston, Jane Bowles, Toni Morrison, Octavia Butler, che saranno analizzati alla luce di alcuni saggi della critica femminista odierna. Modalità didattiche: E' prevista una prova scritta che si svolgerà a fine corso e che consisterà in domande sul programma svolto. E' opzionale la produzione di una tesina o di un video, CD o altro. Sarà oferto un ciclo di film, relativo alle tematiche del corso, cui potranno essere riconosciuti crediti a scelta. Bibliografia

• Bowles, Jane, Two Serious Ladies, London, Virago. Arhundati Roy • Butler, Octavia, Dawn, New York, Warner Books. Anita Desai • Morrison, Tony, Beloved, London, Picador oppure Winterson, Jane, Sexing the

Cherry, London, Vintage. • Curti, L., Female Stories, Female Bodies, London, Macmillan. • Kristeva, J., Poteri dell’orrore, Milano, Spirali. Saggi dalle dispense: • Modernismo e postmodernismo (a cura di L. Curti e M. Vitale), Napoli, Opera Univ.,

1986 (Woolf, Irigaray)

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• Figurazioni fantasmatiche, a cura di L. Curti e A.M. Cimitile, Napoli, Edisu, 1999. (Braidotti, Bronfen, Haraway, Cixous)

Bibliografia integrativa • Belsey, Catherine and Jane Moore (eds), The Feminist Reader – Essays in Gender and

the Politics of Literary Criticism, London, Macmillan, 1989. • Cixous, Hélène & Catherine Clément, The Newly-Born Woman, Manchester U.P. (o La

jeune née, Paris, Union Gènèrale d’Editions, 1975, per chi legga il francese). • Freeman, B. C., The Feminine Sublime, London & Berkeley, California U. P., 1995. • Irigaray, Lucy, Questo sesso che non è un sesso, Milano, Feltrinelli. • Haraway, D., Simians, Cyborgs, and Women: the Reinvention of Nature, London and

N.Y., Routledge (in particolare, “The Cyborg Manifesto” e “Situated Knowledges”). • Storia della civiltà letteraria inglese, vol. III, Torino, UTET, 1996 (Cap. XI:

Femminismo, postmoderno e romanzo di L. Curti, III vol.). Filmografia Orlando (Sally Potter) The Crying Game (Neil Jordan) M Butterfly (David Cronenberg) Looking for Langston (Isaac Julian) Beloved (Jonathan Demme) Strange Days (Kathryn Bigelow) Reassemblage (Trinh T. Minh-ha; sceneggiatura in Trinh T. M., Framer Framed, London, Routledge, 1992.)