I had the touch. Canzoni rock che parlano dell'invecchiamento

20
www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ http://www.turindamsreview.unito.it 1 I had the touch. Canzoni rock che parlano dell’invecchiamento Jacopo Conti Quattro canzoni incise da “vecchie glorie” del rock (Beatles, Joni Mitchell, Rolling Stones e George Harrison) in anni recenti condividono l’uso di una piccola frase riguardante una non precisata “perdita di contatto”. Questo saggio analizza queste canzoni e le interpreta in un contesto musicale in cui questi artisti si considerano “vecchi”, non più “in contatto” con il pubblico, e come la musica veicoli questo messaggio. A mio padre e mia zia, che non sono potuti invecchiare Grow old along with me The best is yet to be John Lennon, Grow Old With Me (Milk and Honey, 1982) Stupisce non poco un elemento comune a quattro canzoni degli ultimi quindici anni di tre o quattro “vecchie glorie” del rock cosiddetto d’autore: i Beatles, Joni Mitchell, George Harrison e i Rolling Stones. I brani a cui si fa qui riferimento specifico sono Free As A Bird (The Beatles Anthology vol. 1, 1995), Stay In Touch (Taming The Tiger, 1998), Stuck Inside A Cloud (Brainwashed, 2002) e Losing My Touch (Forty Licks, 2002) 1 , mentre l’elemento in comune è la “perdita del contatto” o, cambiando la traduzione, del “tocco”. Non è strano che dei grandi nomi dell’industria della popular music riflettano nei loro lavori sulle proprie vicende personali, ma l’utilizzo degli stessi termini è quantomeno singolare e denota forse, come vedremo, un’ulteriore presa di posizione nei confronti mondo discografico moderno. Non va dimenticato, a premessa della lettura di questo articolo, che il rock è un genere musicale prepotentemente associato all’adolescenza e alla prima età adulta, mai alla maturità o alla vecchiaia. Si prenderanno in considerazione gli stessi elementi per quanto riguarda ogni singola canzone: qualche cenno riguardo il momento della carriera dell’esecutore/autore (in tutti e quattro i casi esecutore e autore coincidono), in un secondo momento se ne analizzeranno i testi (per ragioni di copyright, non sono stati trascritti i testi integralmente: si sono inserite solo le parti contenenti la frase presa in esame e si è cercato di

Transcript of I had the touch. Canzoni rock che parlano dell'invecchiamento

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 1

I had the touch. Canzoni rock che parlano dell’invecchiamento

Jacopo Conti

Quattro canzoni incise da “vecchie glorie” del rock (Beatles, Joni Mitchell, Rolling Stones e

George Harrison) in anni recenti condividono l’uso di una piccola frase riguardante una non

precisata “perdita di contatto”. Questo saggio analizza queste canzoni e le interpreta in un

contesto musicale in cui questi artisti si considerano “vecchi”, non più “in contatto” con il

pubblico, e come la musica veicoli questo messaggio.

A mio padre e mia zia,

che non sono potuti invecchiare

Grow old along with me The best is yet to be

John Lennon, Grow Old With Me (Milk and Honey, 1982)

Stupisce non poco un elemento comune a quattro canzoni degli ultimi quindici anni di tre o quattro

“vecchie glorie” del rock cosiddetto d’autore: i Beatles, Joni Mitchell, George Harrison e i Rolling

Stones. I brani a cui si fa qui riferimento specifico sono Free As A Bird (The Beatles Anthology vol.

1, 1995), Stay In Touch (Taming The Tiger, 1998), Stuck Inside A Cloud (Brainwashed, 2002) e

Losing My Touch (Forty Licks, 2002)1, mentre l’elemento in comune è la “perdita del contatto” o,

cambiando la traduzione, del “tocco”. Non è strano che dei grandi nomi dell’industria della popular

music riflettano nei loro lavori sulle proprie vicende personali, ma l’utilizzo degli stessi termini è

quantomeno singolare e denota forse, come vedremo, un’ulteriore presa di posizione nei confronti

mondo discografico moderno. Non va dimenticato, a premessa della lettura di questo articolo, che il

rock è un genere musicale prepotentemente associato all’adolescenza e alla prima età adulta, mai

alla maturità o alla vecchiaia. Si prenderanno in considerazione gli stessi elementi per quanto

riguarda ogni singola canzone: qualche cenno riguardo il momento della carriera

dell’esecutore/autore (in tutti e quattro i casi esecutore e autore coincidono), in un secondo

momento se ne analizzeranno i testi (per ragioni di copyright, non sono stati trascritti i testi

integralmente: si sono inserite solo le parti contenenti la frase presa in esame e si è cercato di

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 2

descrivere il resto), e nel terzo paragrafo si presenteranno brevemente aspetti musicali di base quali

velocità, tonalità, qualche elemento armonico e soprattutto i profili melodici delle frasi riguardanti il

«tocco/contatto», per valutare se, e in che modo, queste vengono messe in risalto (le trascrizioni

sono di chi scrive). Il paragrafo conclusivo riguarderà tutti e quattro i pezzi, mettendo insieme gli

elementi in comune e trattando un ultimo aspetto musicale – la strumentazione – che proporrà

l’interpretazione dei brani suggerita dal titolo.

LEGENDA DELLE ANNOTAZIONI MUSICALI

Per l’annotazione degli elementi musicali all’interno del presente articolo si utilizzeranno i seguenti caratteri:

• Nomi delle note singole in minuscolo senza le grazie («Sulle strofe viene tenuto un pedale di

do dal contrabbasso»).

• I nomi delle tonalità e delle aree armoniche vengono segnalati con la sola prima lettera

maiuscola («Fa lidio e Do ionico»).

• I nomi degli accordi vengono scritti interamente in maiuscolo; se non viene specificato nulla,

l’accordo è maggiore, come nel normale uso delle sigle («DO» indica l’accordo di do

maggiore, do-mi-sol; «DOm» sta per do minore, ossia do-mi♭-sol)2.

• Gli accordi costruiti su gradi della scala sono scritti in rilievo, quelli

maggiori e i minori (« � �♭ � » per indicare un accordo maggiore sul primo

grado, uno minore sul sesto, uno maggiore sul sesto abbassato e sul quinto: le frecce indicano il

movimento discendente del basso).

FREE AS A BIRD

1. NOTE DI PRODUZIONE

La vicenda del pezzo pubblicato per primo (1995) è la più affascinante, nonché la più carica di

significati nostalgici. Tra il 1994 e il 1995 i tre Beatles ancora in vita pubblicarono la Beatles

Anthology, un’ampia raccolta3 contenente nuovo materiale dei Fab Four – essenzialmente

versioni demo, prime incisioni, esecuzioni dal vivo di lavori più o meno noti. Di tanto in tanto vi

sarebbero stati – e questo era l’elemento che ebbe maggiore risonanza presso i media – pezzi

inediti, i primi dallo scioglimento del 1970 (non solo out-takes degli anni Sessanta ma anche

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 3

canzoni registrate ex novo).

Naturalmente il problema, se

così lo si può definire, era

l’assenza di John Lennon; l’idea

fu quindi quella di lavorare a

una canzone lasciata incompiuta

dall’autore prima di essere

ucciso nel 1980. La scelta

ricadde su Free As A Bird; i tre

musicisti e il produttore Jeff Lynne lavorarono a partire da una registrazione su cassetta risalente,

stando al booklet del cd4, al 1977, provvista di una traccia singola (fatta con un normale

registratore portatile, insomma) contenente voce e pianoforte che comprendeva solo il chorus,

cui aggiunsero le voci di tutti e quattro, batteria, basso, chitarre acustiche, chitarra elettrica e

slide, una traccia di pianoforte aggiuntiva e una nuova sezione, il bridge, scritta appositamente

da McCartney, Harrison e Starr. La canzone che ne risultò è in forma chorus-bridge –

particolarmente cara ai Beatles5 – e presentava, per la terza volta da sempre, tutti e quattro i

musicisti come autori6. Che sia per le difficoltà tecniche incontrate all’inizio, dovute alla scarsa

qualità della registrazione originale (e alla non separazione delle tracce), per il trasporto emotivo

nel lavorare nuovamente a un pezzo incompleto dell’amico perso tragicamente, per l’essere

tornati di nuovo insieme dopo tanti anni in qualità di Beatles, o forse per tutte queste ragioni

sommate, tutti si dissero assolutamente soddisfatti del risultato finale; per constatare che le

interviste in cui McCartney, Harrison, Starr e Lynne non fossero così entusiastiche solo per

ragioni promozionali, si considerino le dichiarazioni dell’anno successivo riguardanti Real Love

(The Beatles Anthology Vol. 2, 1996), la seconda e ultima canzone con cui si confrontarono i

musicisti, in cui si afferma che la prima registrazione li coinvolse sia musicalmente che

personalmente molto di più, probabilmente perché Free As A Bird era un abbozzo su cui tutti

lavorarono, mentre Real Love era una canzone fatta e finita, cui furono aggiunti solo gli

strumenti. Se i loro entusiasmi fossero stati generati solo da motivi “commerciali”, avrebbero

decantato le lodi anche di Real Love.

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 4

2. TESTO

Whatever happened to The life that we once knew? Can we really live without each other? When did we lose the touch? It seemed to mean so much It always made me feel so free

I testi del chorus e del bridge sono stati scritti se non in momenti o da persone diversi, almeno con

intenzioni differenti. La prima parte è ricca di ripetizioni e molto vaga, nonché piuttosto ingenua (il

volo e le ali sono tra gli elementi più utilizzati nella retorica del pop-rock), per quanto breve;

probabilmente era solo una bozza che Lennon non sviluppò. La seconda (qui riportata), al contrario,

è molto precisa e si tinge nettamente di riflessi nostalgici, riferendosi molto chiaramente ad un solo

argomento, i tempi andati («The life that we once knew»). Si consideri inoltre che entrambe le

sezioni sono costituite da sei versi, ma mentre la prima contiene solo due verbi (secondo e quinto

verso), uno declinato al presente e l’altro al futuro, la seconda ha al suo interno sette verbi7 (più di

uno per verso), cinque dei quali declinati al passato e uno al presente.

In questo caso sembra più opportuno tradurre touch con «contatto» piuttosto che «tocco» a causa

del verso precedente – «Possiamo davvero vivere l’uno senza l’altro?» – e di conseguenza la frase

risulterebbe, parafrasata, «Quand’è che abbiamo interrotto i contatti?», alludendo forse alle vicende

personali dei quattro dopo la separazione. In questa ottica, è particolarmente significativo che sia

McCartney a cantare questo verso (nel bridge cantato da Harrison non è presente), colui in quale

fece causa agli altri componenti del gruppo nel 1970 ponendo ufficialmente fine alla vicenda

discografica della band8. Ma non va anche dimenticato che nel 1995 erano passato venticinque anni

dallo scioglimento del gruppo più famoso del mondo, durante i quali la popular music anglosassone

era passata attraverso momenti di cambiamento – il progressive rock, il punk, la disco, il reggae, la

world music, il rap, l’heavy metal, le nuove “beatlemanie” figlie di MTV verso artisti come Michael

Jackson, Madonna, Prince, U2, Duran Duran o Take That, e ancora l’irruzione del grunge nei primi

anni Novanta – che avevano al massimo coinvolto solo di striscio gli ex Beatles. Nel 1995 l’unico

nome che ancora garantiva vendite certe tra i tre ex sodali era quello di Paul McCartney, che però

aveva consolidato la sua fortunatissima carriera come songwriter di successo, mettendo da parte la

vena sperimentale e avanguardista che aveva caratterizzato la produzione dei Fab Four. Quel verso

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 5

si può quindi tingere di una malinconia nei confronti di un periodo, ormai lontano, in cui quasi ogni

loro nuovo disco era letteralmente in grado di cambiare le tecniche produttive del mercato

discografico.

3. Annotazioni di carattere musicale

Il pezzo è piuttosto lento, a 72 bpm, una velocità che un manuale di solfeggio da conservatorio

tradurrebbe con l’indicazione agogica Adagio. Il metro è di .

Il primo grado ( ) cui si fa riferimento è un La maggiore. La linea di basso su cui è costruita

l’impalcatura armonica dei chorus è discendente: |LA FA#m|FA MI| ( � �♭ � ). Utilizzando la

terminologia di Philip Tagg9, questo è un loop di accordi che viene ripetuto tre volte; la quarta volta

intervengono i cambi turnaround, che hanno la funzione di innescare la ripetizione successiva,

anch’essi comunque discendenti, con tanto di “ritardo” (il la all’interno del MIsus4 che risolve solo

nella seconda metà della battuta): |DO – LAm|MIsus4 MI| (♭ � �sus4 ). Il bridge è, al contrario,

costruito su una sequenza ascendente, quasi ripercorrendo gli accordi del chorus all’inverso, ed è

diviso in due parti uguali, con l’eccezione dell’ultimo accordo: ||: FA | RE7/fa# |SOL ||1. LA :||2. MI||

(♭ �7

/ �♭ � ( )). Allo stesso modo, la linea melodica corrispondente sale; la frase presa in

considerazione, «When did we lose the touch», è il verso iniziale della seconda metà, collocato sul

secondo ♭ : non è in una situazione di particolare rilievo, arrivando dopo una frase che si impenna

molto verso l’acuto, ma ha comunque un profilo ascendente molto evidente, con sei note in tutto. La

parola «touch», in quanto conclusiva del verso, è resa da McCartney come momento di distensione

(e fa rima con il successivo «much»; Esempio 1).

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 6

Esempio 1

Il bridge si contraddistingue inoltre per il fatto che è cantato da una voce solista (nel primo, intero,

da McCartney, nel secondo, solo le prime quattro battute, da Harrison), mentre nei chorus vi è la

presenza massiccia dei cori, sebbene la voce di Lennon sia in evidenza, soprattutto all’inizio. Non

dimentichiamoci che Lennon aveva scritto e suonato solo i chorus, ragion per cui si resero

necessarie le sovraincisioni dei cori per mascherare la scarsa qualità della registrazione originale,

mentre i bridge sono stati scritti nel 1995.

STAY IN TOUCH

1. NOTE DI PRODUZIONE

Con Turbulent Indigo Joni Mitchell ottenne due Grammy Awards (migliore disco pop vocale e

migliore copertina) e ottime recensioni. Ad esso seguì una raccolta di successi (il classico Best Of

che la casa discografica lancia per ridare luce ad “una stella in declino”) e, nel 1998, Taming The

Tiger. Gli intenti della cantautrice e degli editori sono palesi: mantenere la linea del precedente

successo. Oltre all’etichetta sul jewel box del cd che non lascia spazio ad alcun dubbio («The

anticipated follow-up to her double Grammy® Award-winning release, Turbulent Indigo…»), il

disco ha le medesime sonorità e lo stesso formato: autoritratto incorniciato dell’autrice in copertina,

colonna a sinistra di esso per nome di lei e titolo dell’album che parzialmente vanno a sovrapporsi

alla cornice (la cura dei particolari è inquietante) e, sul retro, un altro quadro, questa volta

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 7

raffigurante un paesaggio10. Come spesso accade, essendo un “seguito” di Turbulent Indigo, non fu

considerato all’altezza del predecessore. In realtà si sarebbero potuti stampare come un disco

doppio, tale è la somiglianza delle atmosfere dei due.

Taming The Tiger, però, aveva una caratteristica che lo

differenziava: era stato annunciato come l’ultimo disco di

inediti che Joni Mitchell avrebbe mai prodotto. Durante gli

ultimi anni della sua attività la cantautrice si era scagliata con

rabbia crescente contro le politiche delle case discografiche,

dicendosi ormai disinteressata a proseguire una carriera nella

quale non veniva più presa in considerazione, preferendo ad

essa la pittura; la realtà dei fatti fa quindi apparire un po’

bizzarre queste affermazioni, dal momento che nel giro di

pochissimo tempo Mitchell pubblicò altri due dischi prima di ritirarsi come annunciato. Al di là

delle considerazioni che si possono sviluppare riguardo la sua coerenza, è utile considerare questa

situazione per “leggere” Taming The Tiger nella sua interezza, e in particolare Stay In Touch (lett.

Rimaniamo in contatto).

2. TESTO

La canzone è composta semplicemente da due chorus, un bridge e immediatamente dopo un altro

chorus finale, come i più celebri standard jazz, cioè il cuore del songbook americano. Ogni chorus

termina con la ripetizione del titolo per tre volte, più un laconico «in touch» finale. (Si riproduce qui

solo il primo chorus).

This is really something People will be envious But our roles aren’t clear So we mustn’t rush Still We are burning brightly Clinging like fire to fuel I’m grinning like a fool Stay in touch We should stay in touch Oh, stay in touch In touch

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 8

In tutto il brano ci sono solo due frasi in prima persona singolare, una verso la fine del primo chorus

e l’altra alla fine del bridge. Sin dall’inizio è netta una distinzione tra «noi» e «loro» – coloro i quali

saranno «invidiosi» – ma di fatto tutto ruota intorno a «noi».

La prima strofa da sola potrebbe descrivere la relazione di due amanti di lunga data, in una

situazione che non è chiara nemmeno a loro, mentre la fine della seconda strofa («Till we build a

firm foundation») e soprattutto il bridge sembrano andare in un’altra direzione; in quest’altro caso

potrebbe allora trattarsi della relazione burrascosa della cantautrice con l’industria discografica,

evidentemente non solo di odio ma di amore/odio. La fine della terza strofa, di nuovo, sembra

cambiare ambito; le affermazioni contenute all’interno di essa sono «filosofiche» e riguardano la

vita in generale. I primi quattro versi di essa, inoltre, sono un elenco di cosa è giusto fare,

presentandosi indirettamente come critici nei confronti di ciò che in realtà viene fatto. Ricordare le

posizioni polemiche assunte nel periodo della scrittura della canzone e nel resto dell’album («Tire

skids and teeth marks/What happened to this place?/Lawyers and loan sharks/Are laying America to

waste»11), non solo nei confronti del mondo discografico ma anche a livello politico, ci fa supporre

che quest’ultima sia l’interpretazione più corretta per l’intera canzone.

Ciò che interessa qui, però, è un altro punto: a giudicare dal testo, l’autrice sembra annoverarsi tra i

«saggi» cui fa riferimento nel secondo verso del bridge («during times like these/The wise are

influential»), dal momento che esso è disseminato di consigli che vengono presentati in prima

persona: «We mustn’t rush» (prima strofa), «We must loyal and wary/Not to give away too

much/Till we build a firm foundation» (seconda strofa), «We should just surrender/Let fate and

duty shape us» (terza strofa) e, naturalmente, la chiusura di ogni periodo, «We should stay in

touch». E la saggezza, inutile ricordarlo, è un attributo comunemente non associato alla gioventù;

nel 1998 Mitchell aveva 55 anni, una persona matura, non ancora “vecchia”. Ma sull’elemento

“vecchiaia” torneremo parlando dei suoni.

3. ANNOTAZIONI DI CARATTERE MUSICALE

La canzone è molto lenta, a circa 50 bpm (Largo o Lento come indicazione agogica), sebbene sia

molto arduo stabilire dei battiti regolari a causa degli spostamenti d’accento continui

dell’accompagnamento di chitarra (di base è in , ma spesso capita che a una battuta venga tolto o

aggiunto un ottavo, passando quindi in o in ) e del metro irregolare dei versi, tra l’altro

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 9

spezzettati in frasi musicali l’una diversa dall’altra e dall’assenza di una sezione ritmica. La

sensazione generale è di un’esecuzione in tempo rubato, con il canto e l’improvvisazione del sax a

dettare la scansione vera e propria.

La melodia è molto tortuosa, assecondando continuamente la metrica del testo, ragion per cui

nessun verso è uguale ad un altro. I finali di ogni chorus (quelli contenenti il titolo della canzone) si

distinguono chiaramente per due ragioni: [1] hanno lo stesso, brevissimo testo; [2] sono

caratterizzati da note lunghe e pause ampie della voce tra una ripetizione del refrain e l’altra,

mentre quelle del resto del chorus sono brevi e irregolari. Il bridge ha un disegno melodico più

lineare, tendenzialmente ascendente, e sull’ultimo «No doubt» si abbandona all’unico momento di

rilassato slancio verso l’acuto. Queste caratteristiche di combinazione tra testo e melodia fanno in

modo che le parti più immediatamente memorizzabili siano proprio il refrain del chorus e il finale

del bridge.

Il clima armonico si potrebbe definire bimodale, ove i due poli sarebbero Fa lidio e Do ionico; la

chitarra è in accordatura aperta12. L’armonia13 della prima parte del chorus è il loop di accordi �FA

– LAm – MIm – FA�, cui va aggiunto il Do che si può scorgere nei cambi tra un accordo e l’altro,

dato che Mitchell lascia risuonare le corde a vuoto. La seconda parte («Stay in touch») ha gli

accordi dell’introduzione, cioè una spola di accordi FA↔DO. L’unica parte in cui l’armonia ha una

“direzione” (ascendente) è il bridge, e questa caratteristica, unitamente agli aspetti melodici descritti

nel capoverso precedente, lo rendono il momento di “schiarita” del pezzo. Gli accordi di questa

sezione sono LAm�SIm�REm�MIm�FA, ripetuti per due volte, con il FA conclusivo a fare da

cerniera con il FA che dà inizio ad ogni strofa e l’ultimo «No doubt» sostenuto dal movimento

ascendente re�mi�fa del basso. La canzone termina su di un lungo accordo di Do maggiore.

STUCK INSIDE A CLOUD

1. NOTE DI PRODUZIONE

A un anno esatto dalla morte di George Harrison, nel novembre del 2002, venne pubblicato

Brainwashed, contenente gli ultimi lavori del chitarrista; molte delle canzoni in esso raccolte furono

terminate in studio dal figlio Dhani e dal produttore Jeff Lynne seguendo le indicazioni dell’ex

Beatle. Alcuni pezzi erano stati scritti molti anni prima, mentre altri sono stati ultimati

probabilmente a ridosso degli ultimi trattamenti di radioterapia cui Harrison fu sottoposto;

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 10

inevitabilmente, quindi, si può trovare qualche riferimento alla propria vicenda personale nei testi di

alcuni di essi.

Mentre la maggior parte delle canzoni riguarda

l’argomento prediletto da Harrison dalla metà degli

anni Sessanta in poi, la spiritualità, il brano Stuck

Inside A Cloud è chiaramente ispirato dalla sua lotta

contro il cancro al cervello; la qual cosa permetterebbe

di collocare la sua stesura tra la fine degli anni Novanta

e l’inizio del nuovo millennio. Datarne a grandi linee la

scrittura può esserci utile se non altro per sapere che

almeno il testo fu concepito dopo il progetto dell’Anthology, che fu portato avanti nel 1995-96. È

possibile, quindi, che l’espressione «losing touch» sia rimasta nella mente di Harrison, ma questa

non può che essere una congettura.

2. TESTO

La struttura della canzone è strofa-ritornello, senza bridge o altri elementi, con un testo un po’

diverso per gli ultimi ritornelli:

Never slept so little Never smoked so much Lost my concentration I could Even lose my touch

Data la brevità dei versi, questa canzone è, tra le quattro, la più criptica da decifrare, perché priva di

particolari e colma di immagini sfuggenti. Vi sono però alcuni versi che permettono di identificare

la tematica della canzone: mentre chi canta sa di essere bloccato in una situazione tra la vita e la

morte («incastrato in una nuvola»), la metafora che viene utilizzata per chiudere i primi quattro

versi è proprio quella della perdita del contatto con il mondo (o del tocco; magari, in questo caso

come in quello dei Rolling Stones, da intendersi in senso chitarristico), mentre la medesima

posizione nelle strofe successive è occupata da un’invocazione a Dio («The only thing that matters

to me is to/Touch your lotus feet»; come si è detto la spiritualità, segnatamente orientale, è forse

l’argomento più presente nelle canzoni di Harrison) e da una rassegnata quanto cruda affermazione

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 11

(«I wish I had the answer to give don’t/Even have the cure»). Il pianto disperato di cui si parla nel

ritornello («Crying out loud») rimane drammaticamente inascoltato, forse a rappresentare la

solitudine interiore nell’affrontare la malattia («Only I can hear me»)14. Più difficile identificare la

seconda persona («you») cui si fa riferimento nell’ultimo ritornello: forse Dio, in una richiesta di

non essere lasciato solo, o forse la moglie Olivia.

3. ANNOTAZIONI DI CARATTERE MUSICALE

La velocità del pezzo è a 98 bpm (Andante, magari con qualche altro aggettivo), ed è in .

Ogni frase, come si è visto composta da poche sillabe, copre due battute, sia nelle strofe che nel

ritornello. I versi che chiudono ogni strofa (cioè proprio «Lose my touch» nella prima) sono

caratterizzati da una nota un po’ più lunga delle altre (con un piccolo melisma sulle ultime sillabe) e

in generale da un piccolo movimento verso l’alto, per cui si può dire che, insieme all’ultima parola

di ogni ritornello («Cloud» prima, «Heart» dopo; Esempio 2), svettino su tutto il resto.

Esempio 2

Questo pezzo che non ha un hook, né un ritornello tale da essere facilmente cantabile al primo

ascolto.

Le strofe sono accompagnate da una spola DO↔FA suonata tre volte che chiude con REm – SOL. I

ritornelli invece sono caratterizzati da un movimento discendente del basso FA�MIm�REm�DO e

da una chiusura relativamente “stagnante”, priva di direzionalità (REm – LAm – FA).

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 12

LOSING MY TOUCH

Figura 1. Vignetta di Jeff Stahler del 1997 riportata in BILL WYMAN, Rolling with the Stones,

Mondadori, Milano 2002, p. 501

1. NOTE DI PRODUZIONE

Nel 2002 i Rolling Stones festeggiarono il quarantennale della loro carriera pubblicando una

raccolta dei loro singoli, Forty Licks, contenente, come facilmente desumibile dal titolo, quaranta

canzoni in totale: 36 successi e 4 inediti, uno dei quali, Don’t Stop, fu anche a sua volta singolo e

venne molto trasmesso da MTV. Non era certo la prima volta che veniva pubblicata una raccolta di

successi del gruppo15, ma forse in quel caso si era approfittato dell’anniversario anche per

conquistare il pubblico dei più giovani, dopo diversi anni di tour praticamente ininterrotto e di

assenza di singoli pubblicati. A seguito dell’uscita del disco, la band intraprese l’ennesimo,

ciclopico tour mondiale16: “la più grande rock ‘n’ roll band del mondo” doveva essere all’altezza di

se stessa.

2. TESTO

Tra i quattro inediti vi è un pezzo di Keith Richards17 intitolato Losing My Touch che si allontana

molto dalle atmosfere energiche del resto della raccolta. La canzone è in forma strofa-ritornello; tra

il quarto e il quinto ritornello c’è un solo di chitarra acustica, sul giro armonico della strofa. Questo

è il semplice ritornello:

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 13

I'm losing my touch, yeah Losing my touch Losing my touch baby, way too much Baby, get me out of here It should be clear

La descrizione nelle strofe sembra riguardare qualcosa di non divertente che accade («It ain’t

funny/How things happen»)18, che inaspettatamente sposta tutto «in avanti», senza che però vi sia

una reazione da parte del soggetto, che al contrario non fa altro che «sedersi» e «aspettare». Nella

seconda strofa parrebbe che ci sia qualcosa di importante (tale da giustificare le «occhiate nervose»)

che viene tenuta nascosta («in a lockdown») all’interessato

(«tutti parlano sussurrando/ Nessuno vuole emettere un

suono»). Dopodiché giunge il ritornello, in cui il cantante

ammette di stare perdendo il suo «tocco» o il «contatto». Le

due strofe successive continuano a mantenere la prima

persona, con il soggetto che dice di entrare di soppiatto nella

casa della «baby» a cui si rivolge (Richards non rinuncia alle

retoriche da blues e rock ‘n’ roll) e di non aver bisogno di

molto tempo per raccattare le proprie cose e il proprio

passaporto; evidentemente si sta preparando una partenza, quasi certamente dopo un avvenimento

spiacevole – che giustificherebbe l’entrata in casa dal retro e il fatto che la donna a cui si rivolge sta

tenendo d’occhio la porta. Le interpretazioni che si possono dare di questo testo sono relativamente

poche per la seconda parte – il protagonista se ne vuole andare – mentre c’è un po’ più di incertezza

sulle prime due: potrebbero descrivere i momenti di attesa prima di sapere una diagnosi riguardante

qualcosa di particolarmente grave (un problema di salute che sopraggiunge in un momento in cui la

vita sembrava essersi sistemata, il personale che parla sottovoce e che fatica a mascherare il

nervosismo, per non farsi sentire dal paziente seduto, il silenzio forzato che circonda la situazione:

saputa la notizia, il protagonista decide di scappare), oppure la presa di coscienza da parte

dell’autore di non essere più un ragazzino (e la decisione di scappare), oppure una banale sbronza

(quindi tutte le descrizioni sarebbero dal punto di vista distorto di un ubriaco, magari in un

momento di tristezza ingrandito dall’alcool; la voce tendente al parlato di Richards suggerirebbe

questa soluzione)19. Ciò che è innegabile è la sensazione di inadeguatezza che sta sopraggiungendo

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 14

in chi canta, manifestata con la formula «I’m losing my touch», ripetuta numerose volte lungo tutto

lo svolgimento del brano.

3. ANNOTAZIONI DI CARATTERE MUSICALE

Anche questo pezzo, come i primi due, è molto lento (62 bpm circa, Larghetto) e in .

Nelle strofe viene privilegiato un uso della voce tra il parlato e il sussurrato, e l’andamento

melodico è estremamente irregolare (Esempio 3). Le poche note che si potrebbero trascrivere

coprono comunque l’estensione di una quinta. Sia qui che nei ritornelli le pause tra un verso e

l’altro sono molto lunghe, ma siccome il profilo melodico di questi ultimi è chiaramente ascendente

(con melisma discendente su ogni «touch» conclusivo Esempio 4), riconosciamo chiaramente la

frase che dà anche il titolo al pezzo, che peraltro viene enunciata spessissimo.

Sulle strofe viene tenuto un pedale di do dal contrabbasso, mentre accenni di chitarra acustica,

pedal steel guitar e pianoforte ci fanno intuire che si stanno facendo i cambi di una spola

DO6/9↔FA(sus9)

/do (si è usato il verbo “intuire” perché il silenzio pervade tutta la registrazione, tutti

gli strumenti suonano molto poco). La fissità del pedale viene, nei ritornelli, interrotta dal

movimento omofonico del contrabbasso (sostenuto dal pianoforte) e della voce, proprio sullo hook

«Losing my touch», tramutando la spola nel loop �|DO DO/mi | SOL SOL/re SOL/mi SOL |�. Dalla

stasi delle strofe al movimento circolare del ritornello, qui è il basso a rinfrescare l’atmosfera e a

sottolineare il testo.

Esempio 3

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 15

Esempio 4

«THIS IS NOT HI-TECH». I SUONI E UNA POSSIBILE INTERPRETAZIONE

Ricapitolando: i brani presi in considerazione sono tutti lenti (tra i 50 e i 100 bpm) e nella

strumentazione comprendono chitarra acustica molto in risalto nel mixaggio, batteria acustica,

basso (con l’eccezione di Joni Mitchell, per cui non c’è sezione ritmica; contrabbasso per i Rolling

Stones), pianoforte (elettrico, dal suono poco invadente, in Stuck Inside a Cloud). Solo nel caso di

Joni Mitchell sono presenti tastiere elettroniche, le quali però impiegano dei pad molto soffusi, privi

di attacco, a sostegno della chitarra acustica, come anche la pedal steel guitar nel pezzo di Keith

Richards; gli strumenti solisti (la chitarra elettrica di Harrison, acustica per i Rolling Stones,

sassofono per Mitchell) hanno tutti suoni puliti, controllati; nel caso della chitarra elettrica dei

Beatles il suono è sporcato da una distorsione, e il registro acuto del solo aiuta a far «spiccare» il

suono sugli altri, ma il grande controllo della vibrazione delle corde di Harrison, esperto di chitarra

slide hawaiana, evita la presenza di feedback o altri rumori “collaterali”. L’impressione generale

che può suscitare l’ascolto del pezzo dei Rolling Stones è quella di un piccolo complesso jazz da

night club anni Cinquanta o Sessanta (batteria suonata con le spazzole, contrabbasso, tutti gli

strumenti suonano poco, accennando solo accordi o piccole frasi), mentre per il pezzo di Harrison

entra in gioco un elemento, apparentemente marginale, che però è un segnale anche per l’ascoltatore

più distratto (magari non cosciente del perché): sui ritornelli, si sente chiaramente un sitar20 che

suona il primo accordo del giro, invadendo poi con i caratteristici ronzii l’ambiente armonico,

probabilmente insieme all’immancabile tambura a sostegno. Questo elemento, in ambito rock, non

può che far venire alla mente il periodo psichedelico del 1965-68.

Un altro elemento importante che accomuna tutti e quattro i pezzi è lo stile interpretativo del

cantato: in ognuno dei casi trattati la vocalità è sommessa, senza una particolare spinta del

diaframma. In tutte le canzoni qui prese in esame il volume non è mai “alto”, compresa la voce, la

quale sembra quasi sussurrare di perdere il contatto con l’ascoltatore.

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 16

Forse, però, sono gli strumenti che non ci sono a dirci di più di queste registrazioni.

I’m going to make a record something like twenty years ago. Just like a rock ‘n’ roll band making a record. We had real saxes, real guitars, real pianos, real drums; real people

playing real songs21.

I still do it the same as we did thirty years ago or even forty years ago; it’s still in the old school of music or, you know, in Sixties or Seventies way of doing stuff. It’s not hi-tech, and it’s not rap or techno or whatever version of it… I used acoustic guitars, played by people, into microphones, on the tape22.

Le parole di George Harrison appena citate sono estremamente significative. Certo, né lui né gli

altri artisti qui presi in considerazione si sarebbero sognati di incidere, negli anni Ottanta, Novanta o

oggi, un disco come all’inizio della propria carriera (due tracce, magari in mono, tutto in diretta o

con poche sovraincisioni, nessun effetto digitale ecc.); si tenga presente, inoltre, che nel disco Cloud

Nine (1987), per il quale faceva promozione nel momento in cui rilasciò la prima delle due

dichiarazioni, si sente un massiccio uso (ma non invasivo, non chiaramente riconoscibile dai non

esperti) del vocoder, ossia il “raddrizzatore” vocale artificiale molto in auge negli anni Ottanta (e

sempre di più in questo ultimo decennio), per dare un effetto di compattezza ai cori e ad alcune

sezioni strumentali (si ascoltino attentamente i sax e i cori di Got My Mind Set On You: sembrano

tutt’altro che reali…).

Ciò di cui parla Harrison non riguarda l’uso di tutti i trucchi del mestiere possibili per far suonare al

meglio una registrazione23; la «old school of music» a cui fa riferimento è quella che non ha

bisogno di un campionatore per fare musica. Le «vere canzoni» non sono quelle che nascono dalla

riproduzione in loop di una base tratta dal disco di qualcun altro24, in cui basta premere un tasto e la

base è fatta. Il pensiero «la musica vera è quella prodotta con il sudore della fronte, non con i suoni

preconfezionati di un computer» è diffusissimo tra gli appassionati “medi” di musica rock; per

quale motivo un pensiero come questo non dovrebbe essere anche nelle menti di musicisti così

importanti? Si tenga ben presente tutto ciò: in nessuno di questi brani è presente un campionamento,

una batteria elettronica, un rap o uno scratch.

Il riferimento che viene fatto nel titolo di questo articolo è a una canzone di Peter Gabriel tratta dal

suo quarto disco (1982) il cui titolo originale è I have the touch. Nel testo del bridge Gabriel canta

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 17

«Give me the things I understand», ossia «dammi le cose che riesco a capire»: coniugare il verbo al

passato, in questo caso, vuole sottolineare come – forse – la perdita di contatto è riferita anche a una

incomprensione nei confronti di alcune delle ultime mode musicali da parte dei musicisti qui trattati

(in particolare, questa posizione sembra particolarmente evidente in George Harrison e Joni

Mitchell)25.

L’idea che il «touch» di cui si è parlato in questo articolo sia, a ben guardare, il contatto con il

pubblico o con il mondo discografico è simile a quella secondo cui Dinosaur (THRAK, 1995) dei

King Crimson sia un modo, da parte del gruppo, di autodefinirsi “dinosauro” del rock26, e si è

cercato di fornire dei dati a sostegno di questa. Si tenga comunque presente il fatto che questi artisti

hanno mantenuto un loro (folto) pubblico negli anni e che, probabilmente, questa sorta di

“straniamento” rispetto al mondo musicale è rivolto principalmente alla discografia più attenta al

mercato giovanile: contrariamente a quanto insinuato da Harrison, esistono ancora gruppi di grande

successo commerciale che suonano per intero nei loro dischi senza ricorrere a campionamenti; molti

di questi, anzi, si dedicano esclusivamente alla musica acustica27. Sempre in questa ottica, si

tengano presente i numerosi artisti che, negli ultimi anni, hanno pubblicato raccolte di

reinterpretazioni di classici altrui o propri, come Rod Stewart, James Taylor o Sting. Non hanno

(ancora) scritto brani in cui affermano di «perdere il contatto» con il pubblico o il «tocco» in senso

musicale, ma di certo questo è il sintomo di uno sguardo – più che legittimamente, certo – rivolto al

passato.

Un’ultima, piccola annotazione di carattere linguistico: in tutti i casi appena trattati, dal momento

che siamo nell’ambito popular, sarebbe da molti considerato fuori luogo parlare di “tardo stile”…

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 18

BIBLIOGRAFIA

FRANCO FABBRI, Il suono in cui viviamo, Il Saggiatore, Milano 2008 (terza edizione).

SIMON FRITH, Il rock è finito. miti giovanili e seduzioni commerciali nella musica pop, EDT, Torino 1990 (ed. orig. Music for pleasure, Routledge, New York 1988).

GEORGE HARRISON, I Me Mine, Rizzoli, Ginevra-Milano 2002 (ed. orig. I Me Mine, Simon & Shuster, New York 1980)

MARK LEWISOHN, La grande storia dei Beatles, Giunti, Firenze 1996.

BRIAN ROBINSON, Somebody is Digging My Bones: King Crimson's 'Dinasaur' as (post)Progressive

Historiography, in Kevin Holm-Hudson (a cura di), Progressive Rock Reconsidered, Routledge, New York & London 2002, pp. 221-42

PHILIP TAGG, Everyday Tonality. towards a tonal theory of what most people hear, The Mass Media Scholars’ Press Inc., New York & Montral 2009 (ed. italiana La tonalità di tutti i giorni. armonia,

modalità, tonalità nella popular music: un manuale, Il Saggiatore, Milano 2011).

RIFERIMENTI DISCOGRAFICI

BEATLES, The, Rubber Soul, EMI 0777 7 46440 2 0, 1965

– , Revolver, EMI PMCQ 31510, 1966 (con Tomorrow Never Knows).

– , Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, EMI 0777 7 46442 2 8, 1967 (con Good Morning, Good

Morning).

– , Magical Mystery Tour, EMI C2 0 777 48062 2 0, 1967 (con Flying).

– , The Beatles, EMI 7243 4 96895 2 7, 1968 (con Piggies e Blackbird).

– , Let It Be, EMI 0777 7 46447 2 3, 1970 (con Dig It e Maggie Mae)

– , The Beatles Anthology 1, EMI 7243 8 34445 2 6, 1995 (con Free As A Bird).

– , The Beatles Anthology 2, EMI 7243 8 34448 2 3, 1996 (con Real Love).

HARRISON, George, All Things Must Pass, EMI Parlophone 7243 550474 2 9, 1970.

HARRISON, George (& Friends), Concert For Bangladesh, EMI , 1971.

HARRISON, George, Living In The Material World, EMI LITMW 1, 1973.

– , Dark Horse, EMI CDP 7980792, 1974.

– , Somewhere In England, Parlophone 7243 5 94235 2 4, 1981 (con All Those Years Ago).

– , Cloud Nine, Parlophone 7243 5 94237 2 2, 1987 (con Got My Mind Set On You).

– , Brainwashed, EMI 7243 5 43747 0 8, 2002 (con Stuck Inside A Cloud).

– , The Dark Horse Years 1976-1992, Parlophone GHBOX 1, 2004 (con il DVD eponimo).

KING CRIMSON, THRAK, Discipline Global Mobile, KCCDY 1 7243 8 40313 2 9 (con Dinosaur).

LENNON, John, John Lennon/Plastic Ono, EMI 7243 5 28740 2 6, 1970.

– , Imagine, EMI 7243 5 24858 2 6, 1971.

MITCHELL, Joni, Turbulent Indigo, Reprise Records 9362-45786-2, 1994.

– , Taming The Tiger, Reprise Records 9362-46451-2, 1998 (con Stay In touch e No Apologies).

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 19

ROLLING STONES, The, Forty Licks, Virgin 724381337820, 2002 (con Losing My Touch).

– , A Bigger Bang, Virgin 0094633799424, 2005 (con This Place Is Empty).

1 L’ordine in cui le canzoni vengono presentate è quello supposto cronologico di composizione (per questa ragione si è collocata prima la canzone di Harrison rispetto a quella dei Rolling Stones, anche se Brainwashed è uscito nel novembre 2002 mentre Forty Licks è stato pubblicato in ottobre).

2 Per ulteriori specificazioni, cfr. Philip Tagg, Everyday Tonality. Towards a tonal theory of what most people hear, The Mass Media Scholars’ Press Inc., New York & Montral 2009, pp. 139-158.

3 Si tratta di tre dischi doppi, un grosso volume di memorie con ampia documentazione fotografica e otto videocassette, poi riedite in dvd.

4 Booklet di The Beatles Anthology 1, a cura di Mark Lewisohn, EMI 7243 8 34445 2 6, 1995, p. 4.

5 Cfr. Franco Fabbri, Il Suono In Cui Viviamo, Il Saggiatore, Milano 2008, pp. 155-196.

6 I precedenti ufficiali furono lo strumentale – l’unico del gruppo – Flying (Magical Mystery Tour, 1967) e Dig It (Let It

Be, 1970), una jam cantata di cui furono pubblicati solo pochi secondi. Maggie Mae (Let It Be, 1970) era invece un brano tradizionale, solo arrangiato dal gruppo. L’Anthology Vol. 2 (1996) svelò l’esistenza di un ulteriore pezzo strumentale registrato durante le sessioni per Rubber Soul (1965) spartanamente intitolato 12-Bar Original, anch’esso a firma di tutti e quattro.

7 Made e il servile can sono contati come un tutt’uno con i verbi che reggono (mean e feel).

8 Se la fine del quartetto fu sancita, dal punto di vista legale, dalla causa intentata da McCartney, dal punto di vista mediatico ciò avvenne con una sua dichiarazione alla stampa datata 10 aprile 1970 (Mark Lewisohn, La grande storia

dei Beatles, Giunti, Firenze 1996, p. 349). McCartney, tra l’altro, nel periodo immediatamente successivo lo scioglimento dei Beatles si dimostrò il più restio a suonare nei dischi degli ex sodali: mentre Starr suonò la batteria in John Lennon/Plastic Ono (1970) di Lennon e All Things Must Pass (1970), Concert For Bangladesh (1971), Living In

The Material World (1973) e Dark Horse (1974) di Harrison, che a sua volta suonò in Imagine (1971) di Lennon, McCartney scrisse e suonò per il solo Starr, a causa dei rapporti tesi con gli altri due. Collaborò per la prima volta con Harrison solo nel 1981, facendo i cori per All Those Years Ago (Somewhere In England, 1981), il cui testo è dedicato alla memoria di Lennon.

9 P. Tagg, Everyday Tonality, cit. Cfr. in particolare pp. 199-240.

10 Entrambi i libretti contengono i testi delle canzoni, ma ça va sans dir: essendo Joni Mitchell una cantautrice “impegnata”, è necessario che ci siano.

11 È il ritornello di No Apologies, che precede di tre tracce Stay In Touch. In realtà le canzoni che fanno esplicito riferimento alla situazione politica contemporanea sono sempre frequenti nella produzione di Joni Mitchell.

12 Per Joni Mitchell è quasi la norma, specialmente se l’accordatura è insolita. In questo caso, è in Do maggiore aperto, con le due corde più gravi intonate su due do ad un’ottava di distanza, risuonando in maniera piuttosto invasiva.

13 Per quanto annotabile: anche gli arpeggi e gli accordi di passaggio sono soggetti a cambiamenti frequenti dovuti all’interpretazione. Qui si trascrive l’impalcatura generica.

www.turindamsreview.unito.it

___________________________________________________________________________________________________________

http://www.turindamsreview.unito.it 20

14 Si sottolinea interiore: la famiglia gli rimase sempre vicinissima. Se si vuole collegare il verso a questo significato, è forse da interpretare come «unica persona a combattere con la malattia».

15 Senza contare i dischi dal vivo, furono pubblicate ben ventitre (!) raccolte ufficiali del gruppo, ma mai che racchiudessero tutta la loro produzione come in questo caso.

16 Dal settembre 2002 al novembre 2003, con due pause nel dicembre 2002 e nel maggio 2003, per un totale di 117 concerti.

17 Ciò significa che, seppure sia registrato a nome Jagger/Richards, è stato scritto interamente da Richards: Jagger, tra l’altro, non vi fa nessun coro, né suona l’armonica o la chitarra ritmica

18 Può al contrario essere divertente notare che un pezzo cantato da Richards nel disco successivo del gruppo intitolato This Place Is Empty (A Bigger Bang, 2005), anch’essa una ballad acustica, presenta come frase iniziale di ogni ritornello proprio l’opposto di quella scritta qui: «It’s funny how things go around/It’s crazy but it’s true».

19 Data la fama di Keith Richards, né la prima né la seconda opzione escluderebbero la terza.

20 Non accreditato nel booklet, stranamente.

21 Dvd di The Dark Horse Years 1976-1992, Parlophone GHBOX 1, 2004, [0:28].

22 Dvd aggiunto all’edizione speciale di Brainwashed, EMI 7243 5 43747 0 8, 2002, [1:44].

23 Sarebbe contraddittorio: è stata proprio la sua generazione (e i Beatles in particolare) ad aver dato un input fortissimo alle innovazioni in quel campo.

24 Questo elemento va sottolineato: in Tomorrow Never Knows (Revolver, 1966), i Beatles usarono – forse per primi nel loro ambito – i loop e i campionamenti, ma si trattava di pattern ritmici e suoni di vario genere che effettivamente erano stati suonati dai quattro e dai tecnici di studio, non presi in prestito da altri dischi. Gli unici suoni pre-registrati che possiamo sentire nei dischi dei Beatles sono il finto pubblico in tutto il disco Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967) e gli animali in esso presenti (Good Morning, Good Morning…) e nel White Album (Piggies, Blackbird…).

25 Harrison dimostrò di non avere particolare simpatia per la popular music a lui contemporanea neanche nella sua autobiografia, scritta nel 1979, indicando come alcuni elementi dei nuovi chitarristi lo infastidissero: per esempio, parlando del bending (la tecnica chitarristica con cui la mano sinistra piega le corde lungo il manico per far loro raggiungere note più alte) affermava (la frase tra parentesi è carica di ironia): «Quando si suona la chitarra blues, si tratta di spingere la corda come puoi e provare, a orecchio, a ottenere il tono giusto (sapete, la maggior parte dei chitarristi odierni non ha assolutamente orecchio per il tono, e sembra che questo non abbia più importanza)». George Harrison, I Me Mine, Rizzoli, Ginevra-Milano 2002, p. 56.

26 Cfr. Brian Robinson, Somebody is Digging My Bones: King Crimson's 'Dinasaur' as (post)Progressive

Historiography, in Kevin Holm-Hudson (a cura di), Progressive Rock Reconsidered, Routledge, New York 2002, pp. 221-42.

27 Va però sottolineato che un interesse per la musica esclusivamente acustica è rinato nel mercato mainstream a cavallo tra il XX e il XXI secolo, e non al tempo delle dichiarazioni di Harrison.