I bambini mangiano di meno a pasto se lasciati liberi di servirsi da soli?

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I bambini mangiano di meno a pasto se lasciati liberi di servirsi da soli? Savage JS, Haisfield L, Fisher JO, Marini M and Birch LL Do children eat less at meals when allowed to serve themselves? Am J clin Nutr 2012; 96:36-43 Background Linee guida pediatriche favoriscono la pratica di far scegliere al bambino la quantità di alimento da mangiare per promuovere l’autonomia e l’autoregolazione al pasto, favorendo in questo modo anche le abilità sociali e motorie al momento del pasto. Tuttavia, gli effetti di questa pratica non sono pienamente conosciuti Scopi Esaminare le differenze individuali sull’intake energetico in bambini di 3-5 anni ai quali è stata offerta la possibilità di servirsi da soli durante il pranzo. Metodi Sono stati arruolati 63 bambini di 3-5 anni Ad ogni bambino veniva offerta una ciotola contenete 400gr di maccheroni al formaggio durante il pasto di mezzogiorno. Alcuni bambini mangiavano direttamente dalla ciotola; altri bambini avevano l’opportunità di servirsi da soli mettendo nel proprio piatto la quantità voluta da una ciotola contenente lo stesso tipo e quantità di pasta. Sono stati esaminati due gruppi di bambini in due differenti condizioni ambientali: 23 bambini in un setting di “laboratorio”, dove il consumo del pasto avveniva in una stanza attrezzata all’interno della struttura universitaria dove lavorano i ricercatori; e 47 bambini all’interno della mensa dell’edificio scolastico frequentato abitualmente. Le istruzioni per i bambini erano a) Prendere tanta pasta quanto volevano b) Mangiare tanto o poco secondo il loro volere c) Servirsi tante volte quanto volevano d) Non condividere cibo con gli altri bambini Inoltre, i bambini venivano informati dell’approssimarsi della fine del pasto. Veniva misurata, infine, la quantità di pasta consumata da ogni bambino così come il consumo degli altri cibi serviti durante il pasto. Risultati L’intake di pasta, e più in generale, dei cibi offerti al pasto, non variavano tra i bambini che mangiavano direttamente dalla ciotola rispetto a quelli che si servivano dalla ciotola al piatto. Non era presente una correlazione tra la possibilità di servirsi da soli e l’intake energetico complessivo, mentre erano presenti differenze comportamentali individuali che favorivano un eccesso di introduzione della pasta. Inoltre non vi era correlazione tra peso del bambino o altri cibi assunti durante il pasto (frutta, verdura, latte) e quantità di pasta servita nel piatto. Conclusioni Il bambino che si serve da solo non mangia di meno rispetto al bambino a cui è stato offerto una porzione abbondante. Il self service a tavola non è un approccio che può andare bene per tutti i bambini. Alcuni bambini hanno bisogno di una guida e di imparare una corretta scelta delle quantità di cibo.

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I bambini mangiano di meno a pasto se lasciati liberi di servirsi da soli?

Savage JS, Haisfield L, Fisher JO, Marini M and Birch LL Do children eat less at meals when allowed to serve themselves? Am J clin Nutr 2012; 96:36-43

Background Linee guida pediatriche favoriscono la pratica di far scegliere al bambino la quantità di alimento da mangiare per promuovere l’autonomia e l’autoregolazione al pasto, favorendo in questo modo anche le abilità sociali e motorie al momento del pasto. Tuttavia, gli effetti di questa pratica non sono pienamente conosciuti Scopi Esaminare le differenze individuali sull’intake energetico in bambini di 3-5 anni ai quali è stata offerta la possibilità di servirsi da soli durante il pranzo. Metodi Sono stati arruolati 63 bambini di 3-5 anni Ad ogni bambino veniva offerta una ciotola contenete 400gr di maccheroni al formaggio durante il pasto di mezzogiorno. Alcuni bambini mangiavano direttamente dalla ciotola; altri bambini avevano l’opportunità di servirsi da soli mettendo nel proprio piatto la quantità voluta da una ciotola contenente lo stesso tipo e quantità di pasta. Sono stati esaminati due gruppi di bambini in due differenti condizioni ambientali: 23 bambini in un setting di “laboratorio”, dove il consumo del pasto avveniva in una stanza attrezzata all’interno della struttura universitaria dove lavorano i ricercatori; e 47 bambini all’interno della mensa dell’edificio scolastico frequentato abitualmente. Le istruzioni per i bambini erano

a) Prendere tanta pasta quanto volevano b) Mangiare tanto o poco secondo il loro volere c) Servirsi tante volte quanto volevano d) Non condividere cibo con gli altri bambini

Inoltre, i bambini venivano informati dell’approssimarsi della fine del pasto. Veniva misurata, infine, la quantità di pasta consumata da ogni bambino così come il consumo degli altri cibi serviti durante il pasto. Risultati L’intake di pasta, e più in generale, dei cibi offerti al pasto, non variavano tra i bambini che mangiavano direttamente dalla ciotola rispetto a quelli che si servivano dalla ciotola al piatto. Non era presente una correlazione tra la possibilità di servirsi da soli e l’intake energetico complessivo, mentre erano presenti differenze comportamentali individuali che favorivano un eccesso di introduzione della pasta. Inoltre non vi era correlazione tra peso del bambino o altri cibi assunti durante il pasto (frutta, verdura, latte) e quantità di pasta servita nel piatto. Conclusioni Il bambino che si serve da solo non mangia di meno rispetto al bambino a cui è stato offerto una porzione abbondante. Il self service a tavola non è un approccio che può andare bene per tutti i bambini. Alcuni bambini hanno bisogno di una guida e di imparare una corretta scelta delle quantità di cibo.

Commento Il bambino nasce, così sembra, con la capacità di sentire fame e sazietà. Noi pediatri siamo sempre impegnati a spiegare al genitore come riconoscere i segnali di sazietà e di fame che arrivano dal proprio cucciolo fin dai primi mesi di vita [figura]. Anche linee guida autorevoli indicano di utilizzare il principio di responsabilità: al genitore la responsabilità di scegliere la qualità del cibo, al bambino (già dai primi mesi di vita) la responsabilità di scegliere la quantità di cibo [Kleinmann RE (ed). Pediatric Nutrition Handbook. 4th ed. 1999 Elk Grove, Village, Illinois. American Academy of Pediatrics]. Sembra, tuttavia, che questa capacità ad autoregolarsi, ad una certa età e per alcuni bambini più “responsivi” di altri alle quantità di cibo nel piatto, non sia più vera. Potremmo dire che il nostro corpo non è saggio, in altre parole non siamo in grado di alimentarci in modo da far fronte correttamente alle richieste di nutrienti necessari per il nostro organismo. Già negli anni ’20 del secolo scorso si stava costruendo la teoria del “wisdom of the body”, in cui le preferenze verso particolari cibi e quantità di nutrienti avrebbero dovuto riflettere quello “speciale appetito” non insegnato, ma naturale, necessario al nostro corpo per migliorare le proprie possibilità di sopravvivenza. La cosiddetta “saggezza del corpo”, per cui la preferenza dei cibi nei primi anni di vita risulta innata e non imparata, con una predilezione per cibi nutrienti contenenti quantità equilibrate di carboidrati, grassi, proteine e micronutrienti. Clara Davis, la portavoce di questa teoria decisamente affascinante, pensava ad un unicum evolutivo nelle diverse specie animali, uomo compreso, dove l’istinto gioca un ruolo fondamentale [Davis CM. 1928. Self-selection of diets by newly weaned infants. Am J Dis Child 36: 651-79]. La Davis osservò il comportamento alimentare di un gruppo di bambini nell’età della seconda infanzia al momento dei pasti, lasciati liberi di scegliere qualsiasi alimento tra quelli presenti sulla tavola riccamente imbandita. L’indagine pose in rilievo che i bambini, alla fine del periodo di osservazione, avevano avuto una crescita regolare e si erano autoregolati nella scelta dei nutrienti. In altre parole, i bambini lasciati liberi di scegliere seguivano un corretto regime alimentare scegliendo giuste quantità di carboidrati, proteine e grassi. Tuttavia la Davis nella sua esperienza (antica ormai di ottant’anni) non considerò alcuni bias come il fatto che i piatti offerti ai bambini erano tutti senza aggiunte di sapori o sale mentre oggi la dieta occidentale è ricchissima in calorie, sale, zuccheri, grassi e troppo povera in fibre e carboidrati complessi proprio per aumentarne l’appetibilità [Story M, Brown JE 1987. Do young children instinctively know what to eat? The study of Clara Davis revisited. N Eng J Med 316: 103-6]. Inoltre, la dieta nella quasi totalità dei bambini dai 2 ai 19 anni segue questa cattiva prassi mentre il solo 1% dei bambini segue correttamente le linee guida dietetiche [Muñoz KA, Krebs-Smith SM, Ballare-Barbash R, Cleveland LE. 1997. Food intakes of US children and adolescents compared with recommendations. Pediatrics 100: 323-29]. Nell’esperienza della Davis i piatti erano forniti da personale specializzato, mentre nella pratica di tutti i giorni sono i genitori a proporre i cibi: la disponibilità di alimenti di cattiva qualità offerti dai genitori può favorire non solo una cattiva nutrizione ma anche una educazione a preferire questo tipo di alimenti nei piccoli unendo così tutta famiglia in una alimentazione dannosa per la salute [Pliner P, Pelchat ML. Similarities in food preferences between children and their siblings and parents. Appetite 1986; 7: 333-42].

Figura: “Grazie mamma, ma non ho più fame!”

Ormai i nostri bambini (e noi con loro) hanno perso il riconoscimento della propria sazietà attraverso il consumo di TV [ecco un altro bel lavoro della Birch: qui]. Le capacità di regolazione spontanea del proprio appetito vengono perse o modificate già al secondo-terzo anno di vita. Tutto questo succede perché la nostra specie da decine di migliaia di anni ha scelto l’apprendimento come principale istinto: è l’apprendimento la nostra natura. L’uomo è un animale culturale e la nostra cultura, questo speciale ambiente in cui siamo immersi e che ci siamo costruiti con le nostre mani è radicato in noi come se facesse parte dei nostri cromosomi. Cultura che, almeno in molti aspetti dell’alimentazione occidentale, non rispetta l’uomo. Messaggio conclusivo La famiglia necessita di informazioni (anticipatory advices) riguardo l’alimentazione da parte del pediatra. Ma questa azione deve essere affiancata, in alcune famiglie, ad una attività specifica di counseling.