GUSTARE L'ITALIA 11 - APRILE 2011
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SpecialeVinitaly
P e r i o d i c o d i c u l t u r a e n o g a s t r o n o m i c a e t u r i s m o
C o n i l p a t r o c i n i o d i
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Siamo presenti adAGRIFOODVERONA
(7 - 11 Aprile)Pad. C - Box 1c
Gustare l’Italia3
A partire da questo numero inizia a collaborare con Gustare l’Italia, in qualità di Direttore Re-
sponsabile, Alessandro Milani. Appassionato di storie, ha scritto e raccontato di sport, viaggi,
tradizioni e soprattutto di cibo, collaborando a radio e importanti case editrici italiane.
A lui un grande augurio di buon lavoro
Cino Tortorella - Direttore Editoriale
Auguri Italia! Ci uniamo a coloro che festeggiano il 150esimo compleanno del nostro Paese, e
invitiamo tutti a celebrare questa ricorrenza assaporando al massimo le sue eccellenze artisti-
che, paesaggistiche e, ovviamente, enogastronomiche.
L’augurio per il 2011 è di gustare l’Italia con le sue tradizioni, il suo territorio e le sue produzio-
ni di qualità più di quanto non avvenga oggi. Alcuni segnali ci avvertono infatti che qualcosa
non va, e che il nostro patrimonio comune non sta vivendo un periodo felice.
Questo numero di Gustare l’Italia vuole dare un contributo per migliorare le cose. Dal punto di
vista culturale si registra una crescente disaffezione verso le tradizioni popolari, che sono me-
no partecipate di un tempo e in alcuni casi rischiano di perdersi. Ecco dunque uno speciale
sulla Pasqua in Italia nel quale raccontiamo alcuni aspetti affascinanti e anche curiosi su come
vengono vissute le festività pasquali dal Nord al Sud della penisola.
Dal punto di vista economico, uno dei settori del made in Italy più famoso del mondo, quello
del vino, sta attraversando un momento contraddittorio: sempre più forte sul mercato estero,
con le esportazioni in continua crescita, sia nei mercati tradizionali, sia in quelli dei Paesi emer-
genti, e invece in calo in Italia.
I nostri connazionali consumano sempre meno il vino italiano. Come mai? È forse anche un
problema di comunicazione? Saranno questi i temi che affronterà Vinitaly, il Salone internazio-
nale del vino e dei distillati che ogni anno si tiene a Verona e che nel 2011 apre i battenti il 7
aprile. Noi abbiamo cercato di fornirvi qualche motivo in più per visitare la fiera presentando
alcuni itinerari gastronomici e culturali nella provincia di Verona.
E infine, ci giungono segnali preoccupanti dal punto di vista della salute e dell’alimentazione.
Pare infatti che i bambini italiani siano in Europa quelli con maggiori problemi di sovrappeso.
Qui, nella patria della dieta mediterranea, seguita e ammirata in tutto il mondo al punto da es-
sere presa come esempio da Michelle Obama nella lotta all’obesità infantile. Per questo moti-
vo la municipalità di New York, nella figura di Eric Goldstein, si è recata a Parma allo scopo di
studiare e riprodurre nella metropoli USA i metodi applicati dal sistema di refezione scolastica
della città ducale. Ce ne parla Giovanni Paolo Bernini, Assessore alle Politiche per l’Infanzia e
la Scuola del Comune di Parma. Sul tema dell’obesità infantile segnaliamo un importantissimo
convegno con medici e politici a confronto che si terrà l’11 aprile a Merine di Lecce.
Affinché i nostri figli seguano una corretta alimentazione occorre intervenire sull’educazione,
indicando loro esempi virtuosi di prodotti che siano al tempo stesso sani e di qualità. Come lo
sono quelli certificati con i marchi di garanzia. A partire da questo numero Gustare l’Italia pre-
senterà ogni mese un consorzio italiano di tutela e promozione: vini e alimenti “trasparenti” per
quanto riguarda la zona di provenienza, le fasi della lavorazione, la qualità e la tracciabilità.
Sarebbe un vero peccato festeggiare il compleanno dell’Italia con prodotti scadenti, magari
importati…
Alessandro Milani - Direttore Responsabile Edito
riale
4Gustare l’Italia
Som
mar
io a
prile
201
16 Intervista a... Giovanni Paolo Bernini (Assessore alle Politiche per l’infanzia e la Scuola del Comune di Parma)
9 ATTUALITA’
32 L’artigiano in cucina Le pentole di rame zincato: le Rolls Royce della cucina
10 Vinitaly, il salotto buono del vino italiano
14 Un mondo di sapori fuori Vinitaly
20 Il vino delle donne
35 IN TAVOLA
36 A tavola con le stelle La cena dell’ariete
43 INSERTO “Speciale Pasqua”
44 La Pasqua in Italia
52 La Pasqua a tavola
60 La colomba pasquale
62 Il dolce centro di Milano
27 IN CUCINA28 L’orto di Aprile Ravanelli - Fragole
Gustare l’Italia5
81 L’Abbacchio Romano IGP
87 RUBRICHE
88 Le lune di Gustare l’Italia “Dal Mago”
66 “Panem Nostrum cotidianum da nobis hodie”
70 Le “Città del Pane”
74 L’artigiano in tavola I decanter: un valido accessorio per gustare il vino
79 I CONSORZI80 I Consorzi di Tutela
94 Libri da mangiare
98 Indice ricette
Direttore Responsabile: Alessandro Milani - Direttore Editoriale: Cino Tortorella
Caporedattore: Raffaele Montagna - Art Director: Daniele Colzani
Segretaria di Redazione: Mara Guerrieri - Responsabile Diffusione: Roberto Zanutto
Grafica e impaginazione: Daniele Colzani - Giovanni Di Gregorio
Concessionaria pubblicità: Soltrade Communication - Via Mirabello, 10 - 00195 Roma
Responsabile Trattamento Dati Personali: Maurizio Villa
L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o
cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs 196/2003 scrivendo al Responsabile del Trattamento Dati Personali:
Soltrade Communication - Via Abbadesse, 20 - 20124 Milano
Contatti: [email protected] - www.gustarelitalia.it
Redazioni: Milano: Via Milanese, 5/11 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) - Roma: Via Mirabello, 18 - 00195 Roma -
Puglia: Via Trento, 10 - 70017 Putignano (BA) - Sicilia: Via Cannezio, 22 - 97100 Ragusa
Hanno collaborato a questo numero: Paolo Bonagura - Fabrizio Cimino - Alan Mieli - Roberto Mottadelli - Emiliano
Raccagni - Regina Zather - Foto cover: Lidia Montanari - Ente Autonomo Fiera Verona
Fotografi e Uffici Stampa: Lidia Montanari - Arsial Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura
del Lazio - Associazione Città del Pane - Biodiversità Arsial - Consorzio dell’Abbacchio Romano IGP - Ente Autonomo
Fiera Verona - Antichi Mestieri - AtemporaryStudio - Azienda Agricola Masciarelli - Hermitage Relais & Chateaux
In collaborazione con: Visibilia Pubblicità
© Riproduzione (anche parziale) vietata
Periodico di cultura enogastronomica e turismo - Anno 2 - Numero 11Aprile 2011 - Reg. Tribunale di Milano n° 201 del 14/04/2010
www.gustarelitalia.it
6Gustare l’Italia
di C
ino
To
rto
rella
Lo scorso mese di febbraio è giunto in visi-
ta a Parma Mr. Eric Goldstein, Direttore Gene-
rale del Dipartimento Educazione di New York,
per conoscere l’attività che svolge il Servizio
Mensa del Comune di Parma e porre le basi di
una fattiva collaborazione tra le due città.
La visita avrebbe dovuto avere un rilievo mag-
giore sui media perché è stato un avvenimento
di grande importanza che riguarda un problema
di estrema gravità, l’obesità infantile.
Ne parliamo con il Dr. Giovanni Paolo Berni-
ni, Assessore alle Politiche per l’Infanzia e la
Scuola del Comune di Parma.
Dr. Bernini, al termine della sua visita Mr.
Goldstein ha dichiarato “Anche noi possia-
mo insegnarvi qualcosa, ma sicuramente
abbiamo molto di più da imparare da voi”.
È un bel riconoscimento alle iniziative del
suo assessorato per promuovere il benesse-
re e i corretti stili di vita dei bambini della vo-
stra città.
Giovanni Paolo Bernini(Assessore alle Politiche per l’Infanzia
e la Scuola del Comune di Parma)
Inter
vista
a...
Indubbiamente. Pensare che chi si occupa
della ristorazione della mensa scolastica di una
città come New York, che distribuisce 860.000
pasti quotidiani, con una spesa di 425 milioni
di dollari l’anno, sia interessato alle iniziative di
un Comune dove vengono distribuiti “soltan-
to” 16.000 pasti giornalieri con una spesa di 10
milioni di euro annui, ci ha
riempito di orgoglio, an-
che perché l’illustre ospi-
te ha sottolineato il valore
dei nostri progetti, da lui
considerati un modello da
imitare.
È un riconoscimento
particolarmente impor-
tante in questo periodo
mentre si discute delle
iniziative della first lady
Michelle Obama contro
l’obesità infantile, un gra-
L’Assessore Giovanni Paolo Bernini
Gustare l’Italia7
vissimo problema che da anni affligge gli
Stati Uniti.
Il problema è molto serio anche in Italia; nel
2007 il Consiglio Nazionale delle Ricerche, do-
po un’accurata indagine è giunto alla conclu-
sione che i bambini italiani sono i più obesi
d’Europa. La situazione è grave al Nord, dove
un bambino su quattro è in sovrappeso o obe-
so, ma diventa drammatica al Sud, dove pure
è nata la dieta mediterranea.
Questi dati dovrebbero seriamente preoc-
cupare le famiglie, se si considerano i rischi
che corrono i piccoli obesi: dal diabete all’in-
farto, alle patologie di tipo respiratorio, ai di-
sturbi di carattere psicologico.
Eppure combattere questo pericolo non è
così difficile: basta che i bambini dedichino
del tempo all’attività fisica e soprat-
tutto seguano una corretta alimenta-
zione; ecco perché la scuola è molto
importante anche come aiuto per le
famiglie degli studenti.
Proprio questo nostro impegno ha
colpito favorevolmente Mr. Goldstein;
egli ha dichiarato che il livello di quali-
tà del servizio mensa del Comune è di
gran lunga superiore a quello raggiun-
to negli Stati Uniti, e non soltanto nelle
scuole statali ma anche in quelle pri-
vate. Ciò che l’ha colpito di più è che
l’80% dei cibi forniti quotidianamente
ai nostri bambini è di tipo biologico.
Le considerazioni dell’illustre ospite
americano premiano Parma e la ren-
dono un modello per una delle città
più importanti del mondo…
Deve però anche essere per noi uno
stimolo a migliorare ulteriormente un
servizio già eccellente perché molto
c’è ancora da fare.
Mr. Goldstein ha attraversato l’Atlantico
per venire a constatare quanto di buono sta-
te facendo per i piccoli scolari di Parma ed
esportarne il modello a New York.
Penso però che una visita alla vostra città
dovrebbero farla anche molti politici italiani
con responsabilità simile alle vostre anche in
Comuni molto importanti, per capire cosa si
deve fare per il bene dei nostri bambini.
Chiunque verrà sarà il benvenuto; noi conti-
nueremo a fare in modo che i nostri piccoli ri-
cevano pasti di altissima qualità ma, come ho
già detto, siamo coscienti che c’è ancora
molta strada da fare per educare soprattutto
le famiglie, e se la percorreremo insieme po-
tremo raggiungere più facilmente risultati im-
portanti per proteggere la salute e l’avvenire
dei nostri figli.
10Gustare l’Italia
di R
ob
erto
Mo
ttad
elli
Dal 1967 è il principale punto di riferimento
per il mondo del vino italiano. Non solo un mo-
mento fondamentale per grandi cantine e con-
sorzi di produttori, che ne approfittano per
presentare i loro gioielli enologici, ma anche
l’occasione ideale per fare il punto sull’anda-
mento di gusti e mercati, per riflettere sull’evo-
luzione della cultura del buon bere, nel nostro
Paese e nel mondo.
Stiamo parlando di Vinitaly, il Salone interna-
zionale del vino e dei distillati che ogni anno si
Vinitaly, il salotto buono del vino italiano
tiene a Verona: nel 2010 ha richia-
mato oltre 150.000 persone prove-
nienti da una cinquantina di Stati di-
versi, dall’Europa al Sudamerica.
Dati che fanno capire come, più
che una fiera di settore, Vinitaly sia
un vero e proprio evento. Se non
bastassero le fredde cifre, per ren-
dersene conto basterebbe dare
un’occhiata alle code agli ingressi
(e all’affanno dei giornalisti che ri-
chiedono gli accrediti stampa: un
termometro informale, ma assai ef-
ficace, per misurarne il successo).
I padiglioni mettono in mostra
stand sempre più curati sotto il pro-
filo dell’allestimento e dell’offerta in-
formativa, ospitano degustazioni e
workshop, conferenze e dibattiti a
tema con ospiti internazionali.
Il fascino del vino e la qualità delle
produzioni proposte, in primo luogo
di quelle italiane, sono le ragioni più
evidenti di questo successo
Non le uniche, però.
Se Vinitaly è sulla cresta dell’onda da oltre
quarant’anni, nonostante la nascita di altre fie-
re analoghe, è anche grazie alla sua capacità
di crescere, di rinnovarsi, di non rimanere mai
uguale a se stesso.
In un mondo in rapida trasformazione, gli or-
ganizzatori del Salone hanno compreso che
tutte le edizioni devono avere un carattere
specifico e che è importante proporre sempre
qualche miglioramento: vuoi per tenere il pas-
so dell’evoluzione tecnologica, pur senza per-
Gustare l’Italia11
dere il contatto con le tradizioni e le radici; vuoi
per provare ad anticipare le fluttuazioni delle
tendenze nazionali, europee e planetarie.
Insomma, ogni anno Vinitaly mette sotto la
lente d’ingrandimento un aspetto diverso del
“fenomeno-vino” e prova - spesso con ottimi
risultati - ad avvicinare il prodotto a un merca-
to che muta le proprie esigenze, un mercato
esposto a stimoli nuovi e che si fa sempre più
articolato e interconnesso.
Il 2009 ha visto l’inaugurazione del nuovo Pa-
diglione 1, che ha portato la superficie coperta
del quartiere fieristico a 150 mila metri quadra-
ti, e ha messo al centro del dibattito il rapporto
tra il mondo del vino e le problematiche am-
bientali e di tutela del territorio, inteso in tutti i
suoi aspetti.
Il 2010 ha segnato la svolta multimediale del-
la fiera e l’apertura totale al web, con l’inaugu-
razione di una piattaforma on-line per i giorna-
listi e con l’offerta di nuovi servizi via palmare
per gli operatori e i visitatori.
L’obiettivo del 2011?Comunicare e fare squadra
Date le premesse e le anticipazioni, c’è da
scommettere che quella che comincia il 7 apri-
le sarà ricordata da un lato come l’edizione
che confermerà le scelte di fondo del 2010, e
dall’altro come un momento fondamentale del
ripensamento del marketing e della comunica-
zione del vino, soprattutto di quello proposto
ai consumatori italiani.
I numeri dicono infatti che, a fronte di un ex-
port in netta crescita, nell’ultimo periodo il no-
stro vino ha conosciuto un periodo di flessione
sul mercato interno. Insomma, complici l’arri-
vo sugli scaffali di quantità sempre maggiori di
12Gustare l’Italia
bottiglie estere e un codice della strada sem-
pre più severo nei confronti di chi si concede
un bicchiere di troppo, gli italiani acquistano
sempre meno vino “nazionale”.
Ciò proprio mentre i consumatori d’oltre-
confine vanno scoprendo l’eccellenza dei
rossi e dei bianchi made in Italy, nei quali ri-
trovano un’eco della seduzione dei paesaggi
e della ricchezza enogastronomica del nostro
vecchio Stivale.
A Vinitaly 2011 le aziende italiane si misure-
ranno con la concorrenza straniera, come e
più degli anni passati.
Soprattutto, avranno modo di confrontarsi
tra loro e provare a disegnare una strategia
per rispondere a queste sfide, per riconqui-
stare un mercato interno che, al di là dei suc-
cessi delle esportazioni, continua a essere
fondamentale, sia economicamente, sia cul-
turalmente.
Data per assodata l’eccellenza dei nostri vi-
ni, è evidente che per tornare a crescere c’è
bisogno di comunicare meglio, di proporsi in
modo nuovo e più efficace.
Un percorso che difficilmente può essere in-
trapreso singolarmente dalle varie cantine,
ma che richiede un’azione comune, uno sfor-
zo coordinato nel quale è indispensabile la-
sciare da parte le rivalità di campanile.
Il Salone dovrà essere sfruttato come cata-
lizzatore di energie; va visto come unaprezio-
sa occasione per riflettere insieme a vantag-
gio di tutto il comparto.
Questo è l’anno giusto per cominciare a “fa-
re rete”: un’espressione che oggi va di moda
e spesso viene utilizzata a sproposito, ma
che in questo caso è decisamente efficace,
comunque la si interpreti.
Dopo aver segnato un prezioso gol in tra-
sferta, sarebbe davvero un delitto perdere in
casa perché si rinuncia a giocare di squadra.
Per maggiori informazioni sulla manifesta-
zione: www.vinitaly.com
14Gustare l’Italia
di E
mili
ano
Rac
cag
ni
Verona diventa “caput vini” quando, per
quattro giorni all’anno, dalla sua Fiera sem-
brano passare le sorti di un’intera stagione
enologica, nazionale e non.
Si entra, si cammina di padiglione in padi-
glione, di stand in stand. Si percorre Vinitaly
in lungo e in largo, si assaggia, si discute.
Chi può, se la gode. Chi deve, cerca affari.
Difficile concentrarsi sul resto, a partire dalla
consapevolezza di trovarsi in una città ricca
di luoghi che meritano sicuramente di essere
visti. Non è il momento. E la provincia? Non
se ne parla nemmeno.
Eppure il territorio che gravita attorno al ca-
poluogo scaligero offre un concentrato di pa-
Un mondo di saporifuori Vinitaly
norami che mutano quasi di passo in passo,
con tradizioni custodite da una terra ricca di
storia, prodotti e sapori che ne rappresenta-
no il fiore all’occhiello. Frasi, queste ultime,
buone per tutte le stagioni e tutte le latitudini?
Vero, forse.
Ma un breve viaggio fuori dal cuore di Vero-
na può dare solide conferme a questa tesi e,
soprattutto, indicarci alcune vie che può valer
la pena percorrere.
Lo dicono la geografia e la storia.
Verona è terra centrale ma legata a doppio
filo con i suoi vicini, con i quali condivide pez-
zi di storia e di sapori. In città e provincia si
possono gustare un ottimo baccalà, apprez-
L’arena di Verona: ipotetico punto di partenza del nostro tour per le terre scaligere
Gustare l’Italia15
zare i tortelli o il risotto alla pilota e terminare
una cena con la sbrisolona.
Piatti di confine, adottati, ma in fondo ap-
partenenti a campanili pronti a vantare pater-
nità più certe e che i veronesi non considera-
no come propri.
Sono veronesi, tra l’altro, i piatti di riso, i
bolliti, il radicchio rosso, la soppressa, i mille
vini, le pesche, le sfogliatine di Villafranca, il
dolce pandoro.
Le tre animeLa vera essenza del territorio scaligero si
sprigiona non solo battendo le “Strade dei vi-
ni”, ma scoprendo quali altre forme ha preso
la tradizione contadina accanto al solido ap-
piglio della vite.
Quella della Bassa, con la sua campagna
più padana, risalendo poi la zona dei colli
morenici per tuffarsi nel Garda, fino ad arriva-
re in Lessinia, su quei monti che portano in
Trentino. Tre passaggi scanditi nettamente da
un cambio di terre, di altitudini, di possibilità
di coltivazione. In poche parole, di civiltà, sto-
ria, abitudini, tradizioni.
Una civiltà che oggi si esprime anche e so-
prattutto attraverso una delle agricolture più
ricche e moderne del Paese, la quale sa però
trovare ancora solidi punti di riferimento nelle
proprie radici.
Oltre a queste tre anime, diamo per scon-
tate due tappe che rappresentano i distretti
veronesi più legati alla vite e al vino: la Val-
policella che esprime re Amarone e la sua
corte, ma non solo. Qui nascono anche un
olio fragrante e ciliegie famose.
Poi Soave, meraviglioso borgo che anche il
più distratto dei turisti di passaggio in auto-
strada può scorgere, con le sue mura e il suo
tesoro di vigneti coltivati a Garganega, mate-
ria prima per uno dei vini bianchi bandiera
dell’intero Veneto.
Il radicchio di Verona IGP
Una veduta del castello di Soave: tipica fortezza del Medioevo
16Gustare l’Italia
Proseguiamo oltre, per cercare
tre percorsi che sanno esprimere
altrettante anime di questa ricca
provincia.
La Bassa e la tradizione del riso
Si parte quindi dalla Bassa, scen-
dendo da Verona per approdare a
Villafranca, che eleggiamo a capo-
luogo della prima tappa.
Nome ricordato in tutti i sussidiari d’Italia
per aver ospitato un passaggio chiave del Ri-
sorgimento, con l’armistizio del 1859 tra
Francia e Austria, questa cittadina occupa un
posto di rilievo nella provincia, fin dalla sua
fondazione.
Fu infatti voluta dal Comune scaligero alla
fine del XII secolo per creare un caposaldo
strategico, ma anche un importante mercato
agricolo.
Visitato il Castello duecentesco, ci si può
addentrare verso la Bassa, dove i vigneti fan-
no posto alla coltivazione che ha plasmato (e
sfamato) questa fetta di pianura per secoli.
A Isola della Scala e attorno a più di venti
comuni si snoda infatti la “Strada del Riso”.
“Vialone Nano”, per la precisione.
È la varietà regina di questo distretto, che
ne produce oltre la metà del totale nazionale.
Per nostra fortuna buona parte rimane qui,
dove decine di trattorie lo propongono con le
ricette della tradizione: con salsiccia o carne
di maiale (tastasàl), ma anche con asparagi,
radicchio, zucca, rane o pesce.
Un tempo tutto ruotava attorno a questa ri-
sorsa, che disegna il territorio fisicamente e
anche nella cultura, come testimoniano i nu-
merosi affreschi e dipinti raffiguranti tante fasi
della sua coltivazione ancora oggi visibili sul-
le pareti delle ville di campagna.
Un vero e proprio baluardo di civiltà, espres-
sa anche da quella sottile linea rappresentata
dal modo di cucinarlo.
A occidente, verso la Lombardia e poi il
Piemonte, è il burro a sposarsi col riso, prima
nella tostatura e poi nella fase di mantecatu-
ra, non prima di una lunga cottura nel brodo.
In Veneto, come anche nel vicino Mantova-
no, è più forte la tradizione di cottura che ri-
Il Castello di Villafranca
Gustare l’Italia17
corda il pilaf, con il liquido di cottura
aggiunto solo una volta all’inizio. Non
a caso, Venezia era la porta europea
all’Oriente e Verona ne rappresentava
in questo caso una delle estreme pro-
paggini verso Ovest.
Di terra e di lagoRipartiamo per dirigerci sicuri verso
il Garda di sponda veneta e fare sosta a Lazi-
se, con il suo castello e il porto lacustre che
sa di Serenissima.
Merita una tappa Bardolino: il nome ri-
chiama subito l’omonimo vino, ma questo
centro del basso lago è punto di riferimento
anche per altri incontri. A partire dalla Chie-
sa di San Severo con le sue forme romani-
che, o la vicina San Zeno, già documentata
in età carolingia.
Entrambe valgono una sosta, prima di la-
sciarsi guidare lungo i sentieri che si lasciano
alle spalle il lago per poggiarsi su colline col-
tivate a vite e ulivo, con quest’ultimo a dare
l’olio Garda Dop, che grazie al favorevole mi-
croclima locale si distingue e riempie poche e
preziose bottiglie.
A Cavaion Veronese, non a caso fieramen-
te proclamata Città dell’Olio, ne fanno a ra-
gione un vanto.
Ecco poi Rivoli, teatro nel 1797 di una bat-
taglia durante la prima campagna napoleoni-
ca, un evento che ha lasciato traccia anche
nelle tradizioni contadine: si dice che furono
proprio le milizie francesi a portare da queste
parti una particolare varietà di asparago, det-
to appunto di Rivoli, che si è perfettamente
acclimatato tra i terreni morenici della zona,
diventando di casa.
È ancora tempo per gustarsi il lago, magari
risalendo verso il confine con il Trentino, dove
alle pendici del Monte Baldo si specchia un
Garda fattosi stretto e dove si incontra una
cucina d’acqua dolce, nella quale si affaccia-
no prodotti dai vicini monti:
miele, tartufo e castagne (i fa-
mosi Marroni di San Zeno di
Montagna IGP).
Tra i pesci si distinguono il
carpione - particolare tipo di
salmonide che vive solo qui e
che ai tempi dei Dogi era rino-
matissimo, fritto, per le sue
carni delicate - il coregone, la
trota lacustre e l’alborella.
Il lungolago di Bardolino
Panorama di Bardolino
18Gustare l’Italia
Quest’ultimo piccolo pesce è alla base di
uno dei più interessanti prodotti dell’intero
Garda, l’àole salè, espressione dell’antico
modo di conservare il prodotto, in questo ca-
so in salamoia.
Vero segreto delle famiglie di pescatori del-
la zona, è oggi più che una rarità. Ma soprav-
vive: trovarlo e consumarlo alla griglia o come
condimento per la pasta è un’esperienza
davvero sorprendente.
La civiltà montanaÈ tempo di salire di quota per arrivare in
Lessinia. In questa valle di passaggio, di mal-
ghe e di piste che per secoli hanno assistito
al passare di genti e merci diretti in Trentino e
poi più a nord, sono i profumi di erbe di cam-
po a farsi sentire nell’aria ma anche nel latte
dei pascoli, alla base di caratteristici formag-
gi. Con il Monte Veronese, oggi Dop, in prima
fila. Prodotto in diverse tipologie, nella sua
versione più fresca è a base di latte vaccino
intero e caratterizzato dall’etichetta di colore
verde chiaro.
Vi è poi il Monte Veronese d’Allevo, prodot-
to con latte parzialmente scremato con sta-
gionatura minima di 90 giorni se da tavola
(Mezzano) o protratta anche per 6 mesi e fino
a 2 anni (Vecchio). La tipologia d’allevo mez-
zano si contraddistingue grazie all’etichetta
azzurra, mentre la versione più stagionata si
riconosce dall’etichetta nera.
Infine, esiste un’ulteriore tipologia, denomi-
nata Monte Veronese di Malga. L’origine di
questo formaggio si perde nella leggenda ed
è attribuita all’arrivo in queste valli della po-
polazione dei Cimbri che dalla Baviera e dal
Tirolo vi scesero come coloni alla fine del
Duecento su permesso dell’arcivescovo Bar-
tolomeo della Scala.
Fondarono 13 comunità, che ancora oggi
mantengono vivi gli usi di una vera e propria
enclave formata da otto Comuni. In particola-
re, nella piccola frazione di
Ljetzan-Giazza è ancora viva
la parlata di matrice alto-tede-
sca medioevale, la lingua dei
Cimbri che sopravvive nel Ve-
neto di oggi.
Un’occasione per conosce-
re questa parte di provincia, la
tradizionale “Festa del For-
maggio”, in programma il 30
maggio a Erbezzo. Oltre a Vi-
nitaly, ovviamente…
Forme di Monte Veronese DOP
La frazione di Ljetzan - Giazza
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Il vino delle donne
20Gustare l’Italia
di F
abri
zio
Cim
ino
La Majella, la seconda catena montuosa
d’Abruzzo, ha ispirato molti poeti, scrittori e
compositori. Aspra e imponente, sa essere
anche protettiva - ripara dai venti da ovest -
per chi vive alle sue pendici verso il mare.
Proprio qui si scopre un mondo fatto di
gente che è abituata al lavoro e ne fa un van-
to. Le operose valli della provincia di Chieti,
che dalle pendici della Majella vanno verso il
Mare Adriatico, sono davvero incantevoli e
ospitali.
Qui vive e lavora un’imprenditrice nel cam-
po della produzione del vino di qualità, Mari-
na Cvetic. Serba di Belgrado, è la vedova di
Gianni Masciarelli, uno dei più noti produttori
di vino in Abruzzo e famoso nel mondo.
Alla morte prematura del marito, Marina ha
rilevato l’azienda e la sta conducendo in modo
encomiabile. Gianni aveva già dato il nome
della moglie a una linea di vini di alta qualità
che vengono prodotti in
Abruzzo nelle vigne di
proprietà.
Oggi la vita di Marina
è fatta di aerei e canti-
ne, profumi intensi di
mosti e relazioni frene-
tiche, al fine di miglio-
rare la qualità e la no-
torietà di un prodotto
che deve essere per-
fetto, sempre al massi-
mo livello.
L’azienda si trova a
San Martino sulla Mar-
rucina, un paese di non
più di 1000 anime situato tra la Majella e
l’Adriatico. Qui abbiamo avuto il piacere di in-
contrarla.
Appena arrivati, in attesa di Marina, venia-
mo fatti accomodare in una sala dove trovia-
mo un interessante libro che racconta la vita
di Gianni Masciarelli.
Scopriamo così che Gianni si appassionò
all’attività vitivinicola grazie a suo nonno ma-
terno, Umberto il quale, duro di carattere ma
generoso, forgiò il nipote alla preziosa attività
di produrre vino.
Dopo gli studi universitari in economia,
Gianni fondò, insieme alla sorella Rossana,
l’Azienda Agricola Masciarelli.
Marina arriva dalla cantina e la incontriamo
nel suo ufficio dove mi racconta la sua storia.
Gentilissima, cortese, ma anche forte e osti-
nata, Marina ricorda le principali tappe della
sua giovane ma intensa vita.
Marina Cveticnella sua cantina
Gustare l’Italia21
Dopo un periodo di trasferimenti dalla Ser-
bia all’Austria fino ad arrivare in Germania, in-
contra Gianni Masciarelli in Croazia durante
una vacanza. Si innamorano e in breve tempo
decidono di sposarsi.
Marina si trasferisce in Abruzzo e inizia a
seguire il marito nell’attività di vignaiolo.
Mentre racconta, ricordando Gianni, spesso
si commuove. Si ritiene una donna fortunata
e questo è indice di ottimismo, qualità impre-
scindibile per un imprenditore di successo.
La lingua italiana e le nostre abitudini sono
uno scoglio che lei ha superato facilmente e
in fretta. Il marito, pur essendo per natura ac-
centratore e decisionista, comprese però le
qualità della moglie e le affidò alcune impor-
tanti mansioni commerciali.
Gianni, da grande amante delle cose belle,
acquistò anche un palazzo nobiliare sette-
centesco posto sul cucuzzolo di un paesino
vicino dal nome curioso, Casacanditella.
Il Castello di Semivicoli - questo il nome del
palazzo - venne ristrutturato con tecniche
biocompatibili e, grazie al gusto di Marina per
l’arredo d’epoca e per il design italiano, viene
riportato all’antico splendore.
Oggi è un relais aperto a chi vuole trovare
un luogo dove trascorrere una tranquilla va-
canza all’insegna della pace e della natura.
Una suggestiva veduta degli esterni del Castello di Semivicoli
22Gustare l’Italia
Nel 2008 purtroppo il grande lavoratore
Gianni scompare, all’età di 52 anni, lasciando
a Marina la totale responsabilità di una gran-
de azienda vinicola, oltre che dei tre figli.
Senza perdersi d’animo, Marina ha preso le
redini della Masciarelli, che può continuare il
suo viaggio.
È con questo spirito che Marina ci conduce
poi a visitare una delle vigne di Montepulcia-
no d’Abruzzo, il vitigno abruzzese per eccel-
lenza. Mi spiega che ogni pianta viene potata
e sarchiata in modo da produrre al massimo
due grappoli.
I filari sono ben tesi da strutture e cavi per-
fettamente ordinati e distanziati. Qui si punta
diritto alla qualità a scapito della quantità, se-
condo una politica davvero vincente, se si
pensa che l’Abruzzo è stata per decenni una
regione che produceva vino da taglio da de-
stinare a regioni d’Italia e d’Europa di mag-
gior fama vitivinicola.
I vini di punta della ditta Masciarelli sono il
“Villa Gemma” Montepulciano d’Abruzzo (ros-
so), il Cerasuolo (rosato) e il Trebbiano (bian-
co). L’idea di produrre anche vini di qualità al
di fuori del disciplinare DOC del luogo si è ri-
velata sicuramente vincente e consente oggi
di coltivare e vinificare uve che danno ottimi
IGT (Indicazione Geografica Tipica)
È il caso della linea lanciata da Gianni Ma-
sciarelli, “Marina Cvetic”, il vino delle donne.
Gustare l’Italia23
Il rapporto qualità/prezzo dei vini Mascia-
relli è davvero buono. Si produce vino fermo
da varie uve: il Montepulciano d’Abruzzo ri-
serva passato in barrique, il Merlot e il Caber-
net Sauvignon per i rossi; il Trebbiano e lo
Chardonnay per i bianchi.
Il Montepulciano riserva passato in barrique
è, a nostro parere, il migliore di tutta la linea: il
suo profumo intenso di amarena, il notevole
contributo in tannino, moderato dalle essenze
morbide della permanenza per 24 o 36 mesi in
piccole botti nuove, e la persistenza al gusto
rendono questo vino adattissimo a essere ab-
binato a piatti di carne e soprattutto ai formag-
gi pecorini abruzzesi, come quello tipico di
Marruci di Pizzoli, raro da reperire ma di un gu-
sto intenso e profondo.
Marina vuole farci visitare il Castello di Semi-
vicoli, ristrutturato dall’Architetto Di Zio, lo stes-
so che ha operato nel borgo di Sextantio (San-
to Stefano di Sessanio) in provincia dell’Aquila.
Un lussuoso relais che ha la capacità di in-
fondere pace e serenità già a prima vista.
La sala riunioni al piano terra, dove un tem-
po c’erano le cantine, è davvero accogliente.
Il frantoio ottocentesco con i palmenti prima
e le macine poi, utilizzato per produrre olio
extravergine di oliva e altri oli derivati, è stato
recuperato con tutti gli elementi meccanici
del tempo.
Le sale del primo piano, con la cucina rusti-
ca, la sala degustazione e la suite principale.
Il sottotetto con le altre camere, tutte arreda-
te con grande capacità dal gusto pratico e
moderno di Marina.
La suite più bella è quella del “granaio”,
una grande stanza piena di sole all’ultimo
piano del Castello, con la vista sulle vigne
che degradano verso il mare. Insomma, il Ca-
stello di Semivicoli è un posto dove ci si ac-
corge che il tempo si ferma, e l’aria che si re-
spira ritempra dallo stress.
La splendida suite detta “del granaio” con vista sui vigneti
24Gustare l’Italia
Nelle sale vengono anche organizzate alcu-
ne iniziative culturali. Marina è infatti anche
una donna molto sensibile al sociale, dalle at-
tività per i bambini delle scuole dei paesi vici-
ni ai corsi inerenti il mondo dell’agricoltura,
che nella valle è ancora il settore produttivo
prevalente.
Il Castello ospita molte manifestazioni cul-
turali e musicali, nonché servizi giornalistici di
moda, che sfruttano le caratteristiche sceno-
grafiche della location.
Marina riesce a realizzare le varie iniziative
nonostante tutte le difficoltà burocratiche che
incontra, come purtroppo spesso avviene in
Italia, lasciando incredula una persona che
gira il mondo come lei.
Tornati alla sede dell’azienda Masciarelli
iniziamo la visita alle cantine dove il vino sta
maturando. La prima sensazione è quella di
una pulizia perfetta, dai locali ai tini in legno
che contengono il vino. Anche la zona delle
cisterne in acciaio dà l’impressione di igiene
e di perfetta organizzazione.
Cerchiamo di testimoniarlo con qualche fo-
tografia, ma ciò che una fotografia non può
comunicare sono le sensazioni olfattive che
si percepiscono nella cantina delle barrique.
Il profumo del mosto frammisto a quello del
legno giovane delle piccole ma preziose bot-
ti di rovere è davvero inebriante. Viene voglia
di assaggiare il nettare che riposa per mesi
dentro questi scrigni che rilasciano profumi
ed essenze per conferire al vino quel sapore
inconfondibile.
Dai racconti di Marina emerge come l’amo-
re per il proprio lavoro, eseguito nella più to-
tale semplicità e naturalezza, permetta di ot-
tenere risultati eccellenti.
Marina imprenditrice, madre di tre figli, è
una persona che pretende molto da sé e dal-
le persone di fiducia alle quali delega molto,
ma si aspetta anche i risultati, che puntual-
mente arrivano.
Anche quest’anno la Cantina Masciarelli è
presente al Vinitaly, la rassegna vitivinicola
più importante al mondo.
Benagiano Pastifi cio srlCorso Italia 138-140/b - 70029 Santeramo in Colle (Ba)Tel. 080-3036036 - E-mail: [email protected] - Website: www.benagiano.it
L’amore per la qualitàIl rispetto per la tradizione
28Gustare l’Italia
di R
egin
a Z
athe
r
Il ravanello o rapanello (Raphanus sativus
radicula), varietà del rafano, è una radice in-
grossata con la polpa bianca.
L’etimologia fa derivare il nome dalla voce
greca raphanos e dal persiano antico rafe.
La coltivazione delle piante di ravanelli risale
agli antichi, ne parla lo scrittore latino Plinio
il Vecchio e lo attestano anche le civiltà egi-
zie, greche e cinesi.
Le varietà di ravanelli si contraddistinguo-
no secondo la forma e il colore: a radice ton-
da e rossa Cherry Belle e Saxa; a radice se-
milunga e bianca Candela di ghiaccio, sono
invece a radice lunga e rossa Candela di
fuoco, Torino, Tabasso.
Il ravanello è coltivato in tutt’Italia e, grazie
alle colture sviluppate in serra, si può trovare
sulle nostre tavole durante tutto l’anno.
I ravanelli
L’orto
di a
prile
La sua disponibilità in natura corrisponde al
periodo primaverile estivo; aprile e luglio so-
no i mesi migliori per la sua raccolta.
Il ravanello ha un buon contento di ferro, po-
tassio, fosforo, calcio e vitamina C. Il basso
contenuto calorico lo rende indicato nelle
diete. Il ravanello può stimolare l’appetito ma
è di difficile digestione.
I ravanelli si vendono a mazzetti e si consu-
mano freschissimi, sfrondando le foglioline; la
conservazione in frigorifero deve essere limita-
ta ad un paio di giorni per non farli avvizzire.
Il caratteristico sapore pungente può essere
attenuato con un semplice accorgimento: ba-
sta pulire i ravanelli, fare con un coltello un ta-
glio a forma di croce, lasciandoli attaccati dal-
la parte del gambo, e immergerli in una ciotola
con acqua fredda per circa mezz’ora.
Gustare l’Italia29
Ricett
e
“Ravanelli al burro per antipasto”
Ingredienti per 4 persone: 4 mazzetti di ravanelli - 50 g. di burro a temperatura ambiente - saleAttrezzatura: 1 coltello - 1 coltello arricciaburro - 4 coppette o ciotole - 4 piatti da antipastoTempo di preparazione: 5’Preparazione piatto: Eliminate solo le foglie sciupate dei ravanelli, lavateli e asciugateli be-ne. Disponeteli al centro dei quattro piatti. Rica-vate con l’apposito coltello dei riccioli di burro e deponeteli intorno ai ravanelli. Mettete nelle coppette del sale fino.Portate in tavola a ciascuno il piatto con i rava-nelli e la ciotola del sale; affinché i commensali possano gustarli rigirandoli prima nel sale e poi nel burro.Vino da accompagnare: Prosecco dei Colli Tre-vigiani (Veneto) o Bianco di Pitignano spumante (Toscana) o Cortese del Monferrato spumante (Piemonte) servito a 8°.
“Insalata risorgimentale”
Ingredienti per 4 persone: 3 mazzetti di ravanelli - 1 cespo di indivia ricciuta - 1 finocchio - 1 co-sta di sedano verde - 4 gherigli di noce sminuz-zati - 3 filetti d’alice - una manciata di olive ba-resi in salamoia - qualche cappero - mezza mela verde affettata sottilmente - 3 cucchiai d’olio extravergine d’oliva - 1 cucchiaio di ace-to bianco - sale e pepe bianco q.b.Attrezzatura: 1 coltello - 1 tagliere - 1 insalatiera - posate da insalataPreparazione piatto: pulite i ravanelli ed affetta-teli sottilmente. Lavate e asciugate bene l’insa-lata, spezzatela con le mani e mettetela nell’in-salatiera. Pulite e affettate sottilmente il finocchio e il sedano, uniteli con i ravanelli all’insalata.Tagliate a pezzettini le alici, lavate ed asciugate bene sia i capperi che le olive ed aggiungete il tutto alle verdure. Distribuite sopra la mela a fettine e i gherigli di noce.Fate sciogliere il sale con l’aceto, mettetelo sull’insalata, aggiungete l’olio e il pepe, mesco-late con cura se servite.Vino da accompagnare: quello del piatto princi-pale, se, invece, l’insalata è servita come entré si può accompagnare con un vino bianco sec-co o rosato
30Gustare l’Italia
Le fragole La fragola è una pianta erbacea perenne con
foglie trifolate e piccoli fiori bianchi, apparte-
nente al genere Fragaria. Quello che noi man-
giamo è un falso frutto, poiché il vero frutto del-
la pianta sono gli acheni ossia i semini gialli che
si vedono sulla superficie della fragola.
Anche se la fragola era conosciuta ed ap-
prezzata già dai nostri progenitori romani,
sembra che la sua coltivazione in Europa si
debba ad un ufficiale francese che, agli inizi
del Settecento, tornò dal Sud America con
una specie indigena di fragola, dalla quale de-
rivano le varietà coltivate oggi.
Ci sono più di venti specie e numerosi ibridi
e cultivar di fragole. Alcune varietà di fragole,
le unifere, danno frutti gros-
si una sola volta in autunno,
altre, invece, (varietà rifio-
renti) producono frutti più
piccoli dalla primavera fino
all’autunno.
Lo sviluppo delle coltiva-
zioni industriali, specie dei
cosiddetti “fragoloni”, tutta-
via ci consentono di aver
diverse specie di fragole
durante quasi tutto l’anno.
Nel Sud Italia le cultivar
più diffuse sono Chandler,
Pajaro, Tudla Miranda; nel
settentrione troviamo Mar-
molada, Elsanta, Idea, Ce-
sena, Dana, Gea, Honeoye
e Addie; la fragolina di Ne-
mi è, infine, famosa non so-
lo nei confini del Lazio.
Le fragole forniscono po-
chissime calorie ma sono
ricche di vitamine C, A e B, acidi organici, mu-
cillagine e zuccheri (fruttosio e saccarosio) e
pertanto possono essere concesse anche alle
persone affette da diabete.
Il loro elevato contenuto di sali minerali le
rende adatte anche agli anemici e linfatici. Uni-
ca eccezione al consumo di fragole è per chi è
predisposto ad allergie od orticarie.
E’ bene conservare le fragole per pochi gior-
ni nel frigorifero, badando a non schiacciarle e
a far circolare aria intorno all’involucro.
Al momento del consumo è preferibile non
lavarle con acqua corrente ma passarle deli-
catamente con un tovagliolo pulito o lavarle
con il vino bianco.
Gustare l’Italia31
Ricett
e
“Risotto rosa”
Ingredienti per 4 persone: 350 g di riso Arborio - 40 g di burro - 1 cipolla media tritata fine - 1/2 bicchiere di vino bianco - 1 l e ½ di brodo ve-getale -1 confezione di fragole - 70 ml di panna da cucina - ½ bicchierino di kirsch - poco par-migiano grattugiato - sale e pepe bianco q.b.Attrezzatura: 1 casseruola - 1 bollitore - tritatut-to - passaverdure - cucchiaio di legno - piatto da portata.Tempo di preparazione: 15’Tempo di cottura: 20’Preparazione piatto: lavate nel vino bianco le fragole, tenetene da parte tre e tagliatele a pez-zetti, passate le altre nel passaverdure.Portate a bollore il bro-do vegetale e mantene-telo caldo. Preparate il riso mettendo il burro nella casseruola e fate-lo sciogliere.Unite la cipolla tritata, fatela tostare mesco-lando bene, aggiungete il riso e poi sfumate con il vino bianco. Incorpo-rate il brodo caldo poco alla volta.Dopo circa 10’ incorporate la purea di fragole e proseguite la cottura. Regolate di sale e pepe. Quando il riso è cotto, togliete dal fuoco, ag-giungete il kirsch, la panna ed una spolverata di parmigiano.Mantecate bene e fate riposare per un minu-to. Versate sul piatto da portata, precedente-mente riscaldato, decorare con i pezzetti di fragole rimaste e servite.Vino da accompagnare: Reggiano Lambrusco Salamino rosato (Emilia Romagna) o Assisi ro-sato (Umbria) o Contea di Sclafani rosato (Sici-lia) servito a 12°.
“Profiterol alle fragole”
Ingredienti per 6 persone: 300 g di beignets già pronti - 250 g di fragole - 4 dl di panna monta-ta - 40 g di zucchero - 1 bicchierino di liquore alle fragole - vino bianco da cucina.Attrezzatura: 2 terrine - passaverdure - una ta-sca da tela da pasticcere con la bocchetta li-scia - piatto da portata per dolci.Tempo di preparazione: 20’Tempo di riposo: 20’Preparazione piatto: pulite le fragole e lavatele col vino bianco. Versatele nella terrina, aggiun-gete il liquore e fatele riposare per 20’. Sgoc-ciolatele e tenetene da parte sei.
Passate le altre al passaverdure, unite lo zuc-chero e mescolate bene per farlo sciogliere.Prendete i beignets, fate un foro sulla sommità di ciascuno. Riempite la tasca da pasticcere con la panna montata e imbottite per ¾ i bei-gnets, deponendoli nel piatto. Unite la panna rimasta al composto di fragole. Terminate di ri-empire i beignets e versate sopra tutta la purea di fragole. Decorate con le fragole rimaste e servite in tavola.Vino da accompagnare: Asti spumante (Pie-monte) o Alto Adige Sauvignon (Trentino Alto Adige) servito a 7 o Vin Santo del Chianti clas-sico (Toscana) servito a 12°.
Le pentole di rame zincato:le Rolls Royce della cucina
32Gustare l’Italia
di R
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Mo
ntag
naL’a
rtigia
no in
tavo
la
Gli acciai inossidabili - scoperti dall’ingle-
se Brearly nel 1913 e successivamente per-
fezionati fino agli anni Sessanta
del secolo scorso grazie al ra-
pido progresso della metallur-
gia - hanno scalzato tutto il
pentolame, d’alluminio e di rame
zincato, che faceva bella mostra di
sé nelle spaziose cucine d’anteguerra, op-
portunamente agganciato all’apposito
“appendirame” (si trattava di un telaio in
legno, fornito di numerosi ganci).
Con le pentole di rame venne messo
alla porta anche il “magnano o stagni-
no”, storico artigiano ambulante che ri-
parava le pentole con pezze di rame e
speciali chiodi e le ristagnava all’interno,
tanto che farle risplendere come nuove.
Attualmente è ancora opportuno, possibile,
conveniente cucinare con le pentole di rame?
Il rame è un metallo ad alta conducibilità ter-
mica ed elettrica (superato in tal senso solo
dall’argento); insieme a tante altre qualità -
non per niente è stato usato sempre, fin dagli
albori della civiltà - è batteriostatico, in grado,
cioè, di inibire la replicazione batterica.
Gli utensili da cucina in rame sono consi-
gliati per quelle ricette che necessitano di
giuste temperature e cotture piuttosto lente; il
rame, infatti, come d’altra parte la terracotta,
distribuisce il calore in modo omogeneo e
uniforme, permettendo una cottura tranquilla,
che non stressa i cibi, proteggendone vice-
versa il potere nutrizionale e mantenendone
le peculiarità organolettiche.
Tante sono quindi le indicazioni d’uso: i
paioli per la polenta; le teglie per le pizze, le
cecine, le focacce; le tortiere per la pastic-
ceria e la preparazione di creme e cioccola-
te; i tegami per i legumi, le verdure, i sughi e
quelli per la le carne.
Ovviamente è indispensabile che l’interno
venga stagnato, perché è lo stango e non il
rame - che si ossida facilmente - a essere
adatto al rapporto con gli alimenti.
Inoltre, il rame è ottimo da portare in tavola,
per servire direttamente le pietanze.
Una pentola di rame, dunque, è preziosa,
soprattutto se il metallo è pressoché puro e lo
spessore supera i due millimetri.
le Rolls Royce della cucinaGli acciai inossidabili - scoperti dall’ingle-
se Brearly nel 1913 e successivamente per-
fezionati fino agli anni Sessanta
pentolame, d’alluminio e di rame
zincato, che faceva bella mostra di
sé nelle spaziose cucine d’anteguerra, op-
portunamente agganciato all’apposito
“appendirame” (si trattava di un telaio in
legno, fornito di numerosi ganci).
Con le pentole di rame venne messo
“magnano o stagni-
, storico artigiano ambulante che ri-
parava le pentole con pezze di rame e
speciali chiodi e le ristagnava all’interno,
tanto che farle risplendere come nuove.
Attualmente è ancora opportuno, possibile,
conveniente cucinare con le pentole di rame?
Gli acciai inossidabili - scoperti dall’ingle-
se Brearly nel 1913 e successivamente per-
pentolame, d’alluminio e di rame
zincato, che faceva bella mostra di
sé nelle spaziose cucine d’anteguerra, op-
portunamente agganciato all’apposito
“appendirame” (si trattava di un telaio in
legno, fornito di numerosi ganci).
Con le pentole di rame venne messo
“magnano o stagni-
, storico artigiano ambulante che ri-
parava le pentole con pezze di rame e
speciali chiodi e le ristagnava all’interno,
tanto che farle risplendere come nuove.
Attualmente è ancora opportuno, possibile,
conveniente cucinare con le pentole di rame?
Gustare l’Italia33
Contrariamente al passato, non sono più
tanti gli artigiani che lavorano il rame e che
sanno farlo con la necessaria maestria.
Noi di “Gustare l’Italia” abbiamo scovato
un’impresa artigiana che fabbrica pentole
ancora alla “vecchia maniera” (e giustamen-
te se ne vanta), utilizzando tecniche e cono-
scenze antiche e che ritiene che la lavora-
zione manuale debba avere sempre il
sopravvento sulle macchine, pur moderne e
precise che siano.
Si tratta di “Antichi Mestieri”, una bottega
nata dall’ambizione e dalla testardaggine del
titolare, Mauro Agostini, il quale ha scom-
messo sulla qualità e sulla certezza che an-
che in un piccolo borgo come San Quirico,
nei pressi di Pescia, si potesse avviare un la-
voro apprezzato e riconosciuto dal mercato
dei consumatori.
Certo, l’inizio non deve essere stato facile,
ma la volontà di far riemergere antiche tradi-
zioni di lavoro, la passione per la creazione
di oggetti che abbiano valore nel tempo, la
consapevolezza di offrire prodotti, sì di nic-
chia, ma costantemente certificati per uso
alimentare, hanno portato l’azienda ai vertici
del mercato.
A tali intenzioni e annotazioni di princi-
pio hanno fatto seguito fatti concreti,
diretti a perseguire quella qualità ec-
cellente, che alla bottega viene una-
nimemente riconosciuta. Innanzitutto
la competenza diffusa e specifica
nella lavorazione del rame e l’utilizzo
di una sapienza artigianale, tramanda-
ta negli anni, unita a tecnologie e mac-
chinari di ultima generazione, nel rispet-
to, comunque, del principio che il
procedimento manuale ha la preminenza
sulla lavorazione meccanica.
Poi la scelta dei materiali, del rame e dello
stagno, che vengono utilizzati pressoché
puri e con notevoli spessori, adatti a reggere
anche lo stress di un uso professionale im-
portante e continuato.
Quindi la lavorazione, frutto delle espe-
rienze acquisite, che consiste principalmen-
te nella martellatura (non estetica, ma fun-
zionale alla stabilità e alla resistenza degli
oggetti), nella stagnatura (eseguita rigorosa-
mente in maniera manuale, da valenti mae-
stri) e la “pulimentatura” (effettuata con la
vetriola, un’erba capace di lucidare alla per-
fezione vetro e metalli).
La durata di queste pentole di rame si può
dire illimitata, anche per la possibilità che “An-
tichi Mestieri” di San Quirico - Pescia offre di chia, ma costantemente certificati per uso
alimentare, hanno portato l’azienda ai vertici
A tali intenzioni e annotazioni di princi-
pio hanno fatto seguito fatti concreti,
diretti a perseguire quella qualità ec-
cellente, che alla bottega viene una-
nimemente riconosciuta. Innanzitutto
la competenza diffusa e specifica
nella lavorazione del rame e l’utilizzo
di una sapienza artigianale, tramanda-
ta negli anni, unita a tecnologie e mac-
chinari di ultima generazione, nel rispet-
to, comunque, del principio che il
procedimento manuale ha la preminenza
Poi la scelta dei materiali, del rame e dello
stagno, che vengono utilizzati pressoché
tichi Mestieri” di San Quirico - Pescia offre di alimentare, hanno portato l’azienda ai vertici
A tali intenzioni e annotazioni di princi-
pio hanno fatto seguito fatti concreti,
diretti a perseguire quella qualità ec-
di una sapienza artigianale, tramanda-
ta negli anni, unita a tecnologie e mac-
chinari di ultima generazione, nel rispet-
to, comunque, del principio che il
procedimento manuale ha la preminenza
Poi la scelta dei materiali, del rame e dello
stagno, che vengono utilizzati pressoché
34Gustare l’Italia
r istagnarne
più volte l’in-
terno, qualora ve-
nissero usate con continuità e oltre
misura.
Tortiere, teglie, padelle, paioli, tegami e
casseruole: sono questi i prodotti in catalo-
go, tutti proposti in una vasta gamma di mi-
sure, sia nei diametri, sia nelle altezze e tutti
certificati in conformità alle normative vigen-
ti come adatti per un uso alimentare.
Per informazioni: www.antichimestieri.com
“I consigli per pulire il rame”Molto spesso per pulire il rame è sufficiente una comune saponata, magari
unita a un pò d’ammoniaca.
Se tuttavia il cosiddetto “verderame” (ossido antiestetico e per di più molto tossico) è
piuttosto evidente, si può ricorrere all’acido muriatico, diluito al 20%, o al Sidol (a base
di ammoniaca), storico “puliscirame”.
I professionisti usano l’erba vetriola (Parietaria officinalis) detta anche “muraiola”, che
appartiene alla famiglia delle ortiche e, oltre ad avere proprietà diuretiche, sudorifere,
emollienti, depurative ed espettoranti - per le quali è molto usata in erboristeria e in far-
macia - viene usata per pulire l’interno di fiaschi e bottiglie (da qui il nome di erba vetrio-
la) e alcuni metalli, grazie al fatto che le sue foglie sono appiccicose.
Le nonne (che ne sapevano sempre una in più) facevano sciogliere del sale nell’aceto
e nel succo di limone e poi strofinavano abbondantemente le superfici da pulire con un
panno non abrasivo. Insistevano per
qualche tempo poiché l’ossido di ra-
me è relativamente resistente e, dove
non arrivavano con sale, limone e
aceto, utilizzavano alcool e talco op-
pure segatura.
Una volta terminato lo strofinio, era
sufficiente lavare e asciugare.
Se il colore del rame, a seguito del
trattamento, appariva opaco e spen-
to, provvedevano a lucidare con la
cenere della legna.
terno, qualora ve-
nissero usate con continuità e oltre
Tortiere, teglie, padelle, paioli, tegami e
casseruole: sono questi i prodotti in catalo-
go, tutti proposti in una vasta gamma di mi-
sure, sia nei diametri, sia nelle altezze e tutti
certificati in conformità alle normative vigen-
ti come adatti per un uso alimentare.
Per informazioni:
“I consigli per pulire il rame”“I consigli per pulire il rame”
terno, qualora ve-
nissero usate con continuità e oltre
Tortiere, teglie, padelle, paioli, tegami e
casseruole: sono questi i prodotti in catalo-
go, tutti proposti in una vasta gamma di mi-
sure, sia nei diametri, sia nelle altezze e tutti
certificati in conformità alle normative vigen-
ti come adatti per un uso alimentare.
Per informazioni: www.antichimestieri.com
“I consigli per pulire il rame”
L’erba vetriola
La cena dell’ariete
36Gustare l’Italia
di C
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le st
elle
L’Ariete è il primo segno dello Zodiaco;
secondo l’astrologia è un segno di fuoco,
perfetto dunque per chi si occupa di gastro-
nomia; il suo metallo è il ferro, le pietre pre-
ziose sono il diamante, il rubino, l’ametista; i
suoi colori: rosso vermiglio, il colore del san-
gue e di grandi vini.
Dall’Ariete prendono vita tutti i segni dello
Zodiaco e ha perciò in embrione le caratteri-
stiche di tutti gli altri. Per questo è visto come
il segno più inafferrabile, capace di dar luogo
a personalità assai diverse, ma con un carat-
tere deciso e battagliero; come l’animale che
li rappresenta tendono spesso ad affrontare
Il segno dei Pesci è iniziato il 21 marzo e terminerà il 20 aprile. Ai nati sotto questo segno dedi-
chiamo una fantastica cena ambientata all’”Hermitage Relais & Chateaux” di Breuil - Cervinia
la vita a testa bassa. Loro caratteristiche so-
no però anche la generosità, la sensibilità, il
coraggio, la curiosità continua di nuove emo-
zioni e nuovi traguardi; Ulisse certo doveva
essere un Ariete.
Sono poeti e sognatori, a volte occupati a
costruire castelli in aria, a inseguire chimere
ma spesso, con costanza e testardaggine,
capaci anche di trasformare in realtà le loro
fantasie e i loro progetti.
Doti principali sono la simpatia e la disponi-
bilità nell’aiutare chi ha bisogno; apparente-
mente distratti sono in realtà pronti ad agire
prima che qualcun altro abbia avuto il tempo
Gustare l’Italia37
di riflettere e con grande intuito apprendono
con facilità quando altri impiegano molto
tempo a realizzare ciò che sta accadendo.
Amano l’arte in ogni sua forma, con partico-
lare predilezione per la musica e la poesia.
Leali nell’amicizia, sono incostanti in amore
perché amano l’avventura, sono curiosi e alla
continua ricerca di nuove emozioni, nuove
sollecitazioni.
A tavola però sono per la tradizione, purché
sia di grande qualità ed eleganza; raramente
ricercano nuove esperienze, nuove sensazio-
ni. Ferrian Adrià non è certo il loro chef ideale,
e neppure Davide Oldani o Alain Ducasse,
geniali ma spesso imprevedibili.
Sono pronti invece a fare una anche lunga
deviazione per recarsi al “Pescatore” di Can-
neto sull’Oglio, o a Soriso, o a Milano in via
Montecuccoli per gustare le creazioni di Na-
dia Santini, di Luisa Valazza, di Nadia Moro-
ni… oggi li porteremo da un altro chef che
certamente non li deluderà: Roberto Pession
dell’“Hermitage” di Cervinia, tra le cime inne-
vate della Valle d’Aosta.
L’“Hermita-
ge” si trova un
po’ fuori dal
centro di Cervi-
nia, ai margini di
un boschetto di larici: la leg-
genda vuole che in una grotta
tra questi alberi si sia fermato
a riposare San Teodulo, duran-
te il viaggio intrapreso per por-
tare il verbo di Cristo agli infe-
deli, seguaci di pagani riti d r u i d i c i ;
gli infedeli erano gli svizzeri – ancora ignari di
essere svizzeri – che abitavano al di là dal
colle che mette in comunicazione il Breuil con
Zermatt.
All’ingresso dell’albergo un bassorilievo del
Santo in marmo bianco saluta gli ospiti; nella
hall, dove nel camino sempre acceso scop-
pietta un allegro fuoco, ci si sente subito in
una casa amica; l’ambiente è di una calda
eleganza.
Ogni cosa ci ricorda che siamo in Valle
d’Aosta, in ogni oggetto si sente l’orgoglio di
appartenere alla “petite pa-
trie”: le bamboline, i quadri,
le sculture in legno, i tappe-
ti, i mobili, il parquet del
XVII secolo recuperato da
una vecchia baita.
Ci siamo rivolti all’amico
Corrado Neyroz che è stato
il presidente dei Relais Cha-
teaux d’Italia; egli, pur es-
sendo nato sotto il segno
del Sagittario - è di ascen-
dente Ariete e perciò ha la
giusta sensibilità per creare
con lo chef Pession e Si-
mone Grange, perfetto
sommelier, la cena ideale
per gli Ariete.
38Gustare l’Italia
Corrado ha scelto la sera del 18 aprile per-
ché sarà una notte di luna piena e dalla lumi-
nosa sala da pranzo sarà visibile in tutta la
sua magia il Cervino, la più bella montagna
del mondo.
Le sorelle Mimì e Cicci, rispettivamente zia
e mamma di Corrado, hanno addobbato la
sala con tutte le sfumature del verde e del
rosso di buon augurio e con le scultu-
re dell’artigianato valdostano.
Sulle eleganti tovaglie di lino
sono pronti gli splendidi cali-
ci di Riedl con il delizioso
Perlé Ferrari che rallegrerà la
“tartare di trotella di monta-
gna” servita come “amuse bou-
che” in attesa dell’antipasto che da-
rà il via alla cena.
Gli ospiti, tutti rigorosamente
dell’Ariete, stanno prendendo posto ai
tavoli; tra questi riconosciamo Isabella
Ferrari (nata il 31 marzo) bella e lumi-
nosa, la deliziosa Nancy Brilli (10 apri-
le), Roberta Lanfranchi (7 aprile), Si-
mona Ventura (1 aprile) la cui bellezza
non accenna a sfiorire, la prosperosa
Marisa Laurito (19 aprile), la splendida
Giuliana De Sio (2 aprile), Lilli Gruber
(19 aprile), Irene Pivetti (4 aprile) e poi
ancora: Ezio Greggio, Andrea Giorda-
na, Terence Hill, Omar Sharif, Arrigo
Sacchi, Céline Dion, Corinne Cley, Ca-
therine Spaak e l’eternamente sorri-
dente Ronaldinho…
Ecco, ci sono tutti, il Perlé è già stato
sostituito dal Gewurtztraminer dei
Nussbaumer che da Terlano, in Alto
Adige, è arrivato fin quassù per ac-
compagnare il
“Foie Gras d’oca con spinaci novelli e scalogno confit”
anche se al centro della sala c’è un carrello
di altri straordinari antipasti con il quale si po-
trebbe compiere un percorso all’interno della
gastronomia della Vallée: prosciutto di Bos-
ses, salsiccia di Saint Marcel, “mocetta” (car-
ne di camoscio affumicata) di Valsavaranche,
sua magia il Cervino, la più bella montagna
Le sorelle Mimì e Cicci, rispettivamente zia
e mamma di Corrado, hanno addobbato la
sala con tutte le sfumature del verde e del
rosso di buon augurio e con le scultu-
re dell’artigianato valdostano.
Sulle eleganti tovaglie di lino
sono pronti gli splendidi cali-
ci di Riedl con il delizioso
che rallegrerà la
“tartare di trotella di monta-
“amuse bou-
in attesa dell’antipasto che da-
gastronomia della Vallée: prosciutto di Bos-
ses, salsiccia di Saint Marcel, “mocetta” (car-
ne di camoscio affumicata) di Valsavaranche,
Gustare l’Italia39
lardo di Arnad da gustare col burro
di Brissogne e il miele di Crepin…
Arriva però adesso in tavola il
“Risotto alla valdostanabianco e verde”
un piatto solare e beneaugurante,
come tutti quelli dove è presente il
riso; vi si avverte l’amore per la
propria terra, il rispetto per le se-
colari tradizioni di una regione che
regala generosamente fantastiche
materie prime.
Il risotto è realizzato con la fontina di Marco
Perron che, su all’alpe dominata dalla grande
roccia del Bric Carrè, continua a produrla co-
me centinaia di anni fa.
I Perron sono tra gli ultimi pastori a compie-
re con rigore il rito di una tradizione secolare:
la fontina è uno dei pochi formaggi che va
fatto col latte appena munto, entro due ore al
massimo dalla mungitura, così il latte riporta i
profumi dell’erba dei prati, sa di violette, di
genziane, di nigritella e degli altri mille fiori
dell’alpe.
All’“Hermitage” si può apprezzare in tutta la
sua piacevolezza perché la fontina non è un
formaggio facile da amare; se fosse una don-
na - ed è certamente un formaggio femmina
- apparterrebbe alla categoria di quelle che
sono all’apparenza prive di lusinghe ma che
poi ti fanno innamorare perdutamente: biso-
gna conoscerle, scoprirle, conquistarle.
Quale vino per accompagnare questo piatto
straordinario?
Il giro della Vallée senza muoversi dall’“Her-
mitage” continua in cantina dove, insieme ai
vini delle altre regioni d’Italia e d’Oltralpe
scelti con attenzione e competenza da Attilio
Neyroz, ci sono “tutte” le migliori bottiglie
della Valle d’Aosta: il Torrette di Saint Pierre,
Les Cretes di Aymavilles, lo Chambave Mu-
scadet e quelle dell’Institut Agricole Regional.
San Teodulo ha compiuto una faticaccia per
andare a convertire gli infedeli di oltre Cervi-
no, ma se non l’avesse fatto non ci sarebbero
oggi i preti svizzeri e i canonici che, dopo
aver fondato l’Ospizio del Gran San Bernar-
do, sono scesi a valle, a Saint Remy en Bas-
se, per fondarvi l’Institut Agricole Regional
che oggi produce vini eccezionali: dal Rayon
de Soleil al Pinot Gris di Nus, dal Petit Rouge,
al Gamay, al Rouge du Prieur.
40Gustare l’Italia
del Cervino a deliziare i palati con la sua pia-
cevolezza.
Gli illustri ospiti non fanno in tempo a rimet-
tersi dalla sorpresa che è già pronta un altra
delizia gastronomica; sta arrivando in tavola il
“Maialino da latte con mele renette al Calvados”
Nella scelta del vino da ab-
binare, il sommelier Grange
ha dato la sua preferenza al
“Tresor du Caveau”, una
perla assoluta che accom-
pagnerà in armonia il povero
maialino sacrificato in tene-
ra età per soddisfare i pec-
cati di gola dei vip.
Ormai la cena sta volgen-
do al termine in una atmo-
sfera di allegria; non resta
che gustare l’ultima portata,
il dessert che concluderà fe-
stosamente la serata:
Per il risotto è stato scelto il “Torret-
te” che Roberto Anselmet produce
ad Aymavilles, uno dei vini storici
della valle, un rosso intenso, forte,
profumato, di straordinario vigore,
ottenuto da un uvaggio dei migliori
vitigni che nascono dalle rocce della
Vallée, compreso il delizioso Petite
Rouge.
“Qui le boit, boit de la joie”, dice
sorridendo il maitre mentre lo mesce.
È davvero una scelta perfetta, così
come perfetta è la decisione di ac-
compagnare il prossimo piatto
“Filetto di rombo croccante,crema di castagne con purea
di castagne”
con il “Cervaro”, un bianco favoloso ottenu-
to da uve Chardonnay intorno al castello dei
Conti della Sala immerso nel verde sereno
della campagna umbra.
Le nozze tra il mare e i monti celebrate nella
creazione dello chef sono benedette ed esal-
tate da questo vino fragrante e morbido, pro-
fumato e avvolgente che dai colli dell’Umbria
ha risalito la penisola per arrivare fino ai piedi
Gustare l’Italia41
“Iles flottantes con arance caramellate”
Lo ha deciso la signorina Mimì da sempre
addetta alla scelta dei dolci e chi ha già tra-
scorso qualche giorno all’“Hermitage” lo sa
molto bene; è lei infatti che sovraintende alla
colazione del mattino, un trionfo di sapori e
profumi valdostani (strepitose, sublimi le mar-
mellate), è lei che può farvi gustare le delizio-
se madeleine, quelle rese famose dalla de-
scrizione che ne fa Marcel Proust nella
“Recherche”: conchigliette di pasta così gras-
samente sensuali sotto la loro veste a piega
severa e devota.
Lo stampo delle madeleine di Mimì è antico;
glielo ha lasciato in eredità mamma Letizia in-
sieme al segreto per renderle così gustose,
all’amore per la sua terra, all’arte della perfet-
ta ospitalità.
Le “Illes Flottantes” adempiono perfetta-
mente al compito di concludere la fantastica
cena, aiutate in ciò da un Asti de Miranda, al-
legro come le perline che giocano nel bic-
chiere quando viene versato.
Il plenilunio saluta gli ospiti che stanno per
lasciare l’”Hermitage”, ma qualcuno decide
saggiamente di restare; non sarà facile ritro-
vare un’altra notte incantata come questa.
Se poi a decidere saranno in due, la notte
sarà certo teneramente appassionata; i fortu-
nati ospiti potranno scegliere tra le camere
che danno sulle emozionanti vedute del Cer-
vino e delle Grandes Murailles, in molte delle
quali un caminetto acceso rende ancora più
romantica, se possibile, l’atmosfera.
Ci sarà sul comodino una bottiglia di un
grande vino da meditazione, il “Flappy”, un
nettare dal color d’ambra che l’attento so-
mellier avrà provveduto a far trovare in un
secchiello d’argento.
Accanto a due flûte di purissimo cristallo
una frase sulla quale meditare:
“Nessun mistero al di là del presente,
nessuna ricerca per l’impossibile ,
nessun’ombra dietro la gioia.
Quest’amore fra me e te
è semplice come un canto” .
(Rabindranath Tagore)
44Gustare l’Italia
“Pasqua tanto desiata in un giorno è pas-
sata” recita il proverbio, che sottolinea la
lunga attesa quaresimale che precede il
giorno della festività liturgica più importante
della religione cristiana.
La nota etimologia del termine, per la qua-
le la Pasqua è un “passaggio”, del Mar Ros-
so per gli Ebrei guidati da Mosè e poi dalla
vita terrena a quella celeste per il Cristo ri-
sorto, ben si addice anche a un’interpreta-
zione laica della festa.
La Pasqua è infatti anche il passaggio dai
sacrifici della Quaresima alla festa (anche
dei sapori) della tavola domenicale, ma non
solo: passaggio dalla cucina dell’inverno a
quella della primavera, con le sue primizie, e
di A
less
and
ro M
ilani
La Pasqua in Italia- perché no - anche a un periodo nel quale
si esce di più per una gita o per un pranzo
fuori casa, alla ricerca di nuovi sapori e di
nuove mete. Un detto ben più noto non reci-
ta infatti “Natale con i tuoi, Pasqua con chi
vuoi”?
Nel periodo pasquale, soprattutto in anni
come questo nei quali la domenica di festa
cade alla fine di aprile, anche il clima invo-
glia a scoprire itinerari inediti nel gusto e nel-
le tradizioni del nostro Paese.
I rituali legati alla Pasqua - che non com-
prendono soltanto la domenica della Resur-
rezione di Cristo, ma iniziano spesso già da
quella precedente, la Domenica delle Palme,
e durano a volte per tutta la Settimana San-
Gustare l’Italia45
ta - interessano l’Italia intera, da Nord a Sud e
si intrecciano a tradizioni e cerimonie locali.
Immaginando di poterci spostare lungo la
Penisola come su uno scacchiere, proviamo
a vedere quali sarebbero le “mosse” migliori
per gustare almeno alcune - impossibile rac-
contarle tutte! - delle celebrazioni tradizio-
nali legate a questa festività.
La Domenica delle PalmeIl nostro itinerario virtuale parte dalla Cala-
bria e subito rivela il legame tra sacro e pro-
fano e un’ulteriore interpretazione del signi-
ficato della Pasqua come passaggio.
Una tradizione che da qualche tempo pur-
troppo si è persa e che una volonterosa as-
sociazione locale sta cercando di ravvivare è
quella di Scalea, in provincia di Cosenza.
Qui, durante la Domenica delle Palme, si
poteva assistere a una processione di pe-
scatori che portavano sulla spiaggia, per of-
frirli a tutti i presenti, i primi pesci della nuo-
va stagione di pesca. Lo facevano legando i
pesci a grossi rami di ulivo (le “palme”).
Anche trascurando il legame tra il Cristo e
il pesce, uno dei simboli più ricorrenti
nell’iconografia cristiana, appare evi-
dente come per un paese tradizional-
mente votato all’economia di mare, il
rito segni il passaggio da un periodo di
ristrettezze a uno di festa, con il ritorno
all’attività dei pescatori e all’abbon-
danza di cibo.
Dal mare alla montagna, ma sempre
restando al Sud: un’altra processione
che merita di essere vista la domenica
precedente la Pasqua si svolge a Gan-
gi, in provincia di Palermo, nella ma-
gnifica cornice delle Madonie.
Qui le dieci confraternite del paese
organizzano quasi una sfilata di palme
decorate. Recuperate dieci grandi pal-
me sul litorale - c’è la tradizione di ac-
quistarle a Cefalù - le si intreccia e le si
decora in vari modi, sfruttando la frutta
e i fiori che ormai in questa stagione
sbocciano numerosi.
Processione pasquale a Gangi
46Gustare l’Italia
Giovedì SantoPer il giorno dell’Ultima Cena, nel quale
per i cristiani si celebra l’istituzione dell’Eu-
carestia, ci spostiamo in Umbria, in una del-
le località dove l’atmosfera di devozione e
preghiera è ben presente in tutto il corso
dell’anno, Assisi.
Qui infatti è in uso fin dal Medioevo la ce-
rimonia della Scavigliazione, che avviene
all’interno del Duomo: alla statua che rap-
presenta il Cristo crocefisso vengono tolti i
chiodi e il corpo, deposto dalla croce, viene
disposto su una sorta di lettiga, con la quale
viene successivamente condotto alla Basili-
ca di San Francesco.
Il Venerdì Santo il corpo di Cristo viene
raggiunto dalla processione notturna che
porta alla basilica anche la statua dell’Addo-
lorata, che rappresenta la Madonna che cer-
ca di recuperare il corpo del figlio.
Una volta giunte alla basilica, le due statue
vengono riportate in Duomo per i riti della
Pasqua.
Le processioni, che avvengono appunto di
notte, sono rese ancora più suggestive dal
fatto che sono illuminate dal fuoco delle tor-
ce e dai canti di laude - alcuni dei quali risa-
lenti al Trecento - dei fedeli delle confrater-
nite religiose.
In Puglia il Giovedì Santo è celebrato in
modo particolarmente sentito a Taranto, do-
ve la processione dei Perdoni apre i riti della
Settimana Santa; è infatti soltanto la prima
delle tre processioni che si svolgono in città
nei giorni che precedono la Pasqua. Il po-
meriggio del giovedì i fedeli delle confrater-
nite, a due a due, si recano in visita ai Sepol-
cri, con un ritmo lento che deve significare
fatica e penitenza.
La sera tra giovedì e venerdì avviene la
processione dell’Addolorata, mentre la sera
successiva vengono celebrati i Misteri, cioè
gli episodi principali della Passione di Cristo.
Di origine antica, le celebrazioni della Setti-
mana Santa sono ancora molto partecipate,
al punto che il privilegio di guidare la proces-
Una suggestiva immagine della statua del Cristo crocifisso utilizzato per la “Scavigliazione”
Gustare l’Italia47
sione, che spetta al Troccolante, cioè colui
che regge il troccolo di legno, viene ancora
oggi assegnato mediante un’asta.
Venerdì SantoSpostiamoci di pochi chilometri dalla Pu-
glia e per il Venerdì Santo scegliamo la Basi-
licata, in particolare il piccolo centro di Bari-
le, in provincia di Potenza.
Qui si svolge fin dal Seicento una straordi-
naria Via Crucis, che da un lato conferma la
forte devozione e partecipazione del popolo
lucano, e dall’altra rivela un’ennesima com-
presenza di sacro e profano nelle celebra-
zioni pasquali.
Avviene infatti in questo borgo una della
più spettacolari processioni della Passione
del Cristo, con un corteo che si snoda per
oltre 5 chilometri e nel quale a fianco dei
personaggi delle vicende evangeliche ne
compaiono altri legati alle tradizioni del terri-
torio, tra i quali il Moro e la Zingara (alla qua-
le per questo giorno vengono affidati i moni-
li d’oro di tutte le donne del paese).
Altrettanto spettacolare è la Processione
del Cristo morto che si tiene sull’isola di
Procida, nello splendido Golfo di Napoli.
Nota anche come processione dei Misteri,
è di antichissima tradizione e nasce dalla
presenza sul territorio di numerose confra-
ternite e dalla religiosità degli abitanti, che
preparano i riti della Settimana Santa prati-
camente per tutto l’anno.
Similmente a quanto av-
viene nei centri dalla forte
tradizione carnevalesca, an-
che a Procida spesso le per-
sone lavorano per mesi per
realizzare ogni volta sculture
di mirabile fattura e una pro-
cessione all’altezza.
L’organizzazione spetta al-
la Confraternita dei Turchini,
così chiamati per il loro man-
La processione dei “Misteri” di Taranto
La storica “via Crucis” di Barile
48Gustare l’Italia
tello azzurro portato sopra la veste bianca. Il
rituale inizia alle sette del mattino partendo
dall’Abbazia di San Michele Arcangelo.
La processione viene aperta da uno squil-
lo di tromba seguito da tre colpi di tamburo,
secondo un ritmo che accompagnerà tutta
la durata dell’evento.
Sfilano quindi i Misteri (rappresentazioni in
cartapesta o legno di personaggi ed episodi
della Bibbia), i Misteri fissi (che raffigurano i
momenti salienti della Via Crucis), quindi i
bambini del paese vestiti a lutto, chiamati gli
“angeli tristi”, le statue della Madonna e del
Cristo morto. La processione termina in
piazza Marina Grande.
Domenica di PasquaNel giorno che la liturgia vuole di
silenzio per Gesù Cristo non ancora
risorto, il sabato, le celebrazioni si
fanno meno diffuse e anche meno
spettacolari.
La domenica la festa può quindi
esplodere in celebrazioni molto fe-
stose. Il verbo esplodere non è qui
usato a caso, ma fa riferimento a
quanto accade a Firenze.
Se siete in cerca di un’occasione
per visitare il capoluogo toscano e
le sue splendide ricchezze artisti-
che, il giorno di Pasqua potrebbe
essere l’ideale, e vi imbattereste
anche in una celebrazione unica nel
suo genere, lo scoppio del carro,
legata a una tradizione storico-leg-
gendaria che risale nientedimeno
che alle Crociate.
Si narra infatti che Goffredo di
Buglione premiò con tre pietre del
Sacro Sepolcro il crociato che per
primo salì sulle mura di Gerusalemme, nel
1097: il fiorentino Pazzino, della nobile fami-
glia dei Pazzi. Rientrato in città nacque
l’usanza, il sabato che precede la Pasqua, di
distribuire a tutti i fiorentini il fuoco santo,
creato dallo sfregamento proprio delle tre
pietre del Sepolcro che fu di Gesù.
Passata quasi indenne attraverso le vicis-
situdini della famiglia dei Pazzi, la cerimonia
si svolge oggi nella mattinata di domenica e
consiste nella distribuzione del fuoco santo
in modo molto particolare: un carro, carico
di fuochi d’artificio, chiamato dai fiorentini
“Brindellone”, viene trainato da buoi e posto
davanti al Duomo.
Lo “scoppio del carro” di Firenze
Gustare l’Italia49
Un filo di ferro lo collega all’altare maggio-
re; quando l’arcivescovo inizia a intonare il
Gloria viene lanciata la colombina, un picco-
lo razzo dalle sembianze di una colomba,
che corre sul filo fino a raggiungere i fuochi
sul carro, i quali iniziano ad accendersi ed
esplodere, avvolgendo la piazza e i fedeli in
una nube di fumo e scintille festose.
Altrettanto spettacolare è quanto si ha oc-
casione di vedere a Sulmona, in provincia
de L’Aquila, con la cosiddetta processione
della Madonna che scappa.
Una statua della Vergine viene portata a
braccia dalla Chiesa di Santa Maria della
Tomba verso la piazza del Mercato, dove la
attende quella del Cristo risorto.
Inizialmente la Madonna procede lenta-
mente e veste il lutto, ma non appena si ac-
corge del Figlio risorto inizia a correre e gli
va incontro in tutta fretta; nella corsa perde
per strada il velo nero e il fazzoletto e al loro
posto appaiono il vestito verde simbolo di
festa e una rosa rossa, mentre vengono lan-
ciate in volo alcune colombe.
Iniziano quindi a suonare
le campane per tutta la città
invitando alla gioia.
Se avete scelto di trascor-
re la Pasqua al mare della
Sardegna, potete ritrovare
cerimonie simili, nelle quali
la Madonna incontra il figlio
risorto, anche in molti centri
dell’isola: tra le cerimonie
più famose ci sono quelle di
Oliena e Orgosolo, entram-
be in provincia di Nuoro,
con straordinari cortei in co-
stume, e Sassari.
Nell’altra isola maggiore, la Sicilia, l’arche-
tipo dell’incontro tra la Madonna e il Cristo
risorto si unisce al tema della lotta tra Bene
e Male in rappresentazioni quasi teatrali.
Le più rinomate sono quelle che si svolgo-
no a Adrano, in provincia di Catania e a
Prizzi, vicino a Palermo.
La processione della “Madonna che scappa”
Una processione sarda de “S’Incontru”
50Gustare l’Italia
Nel primo le celebrazioni della Setti-
mana Santa hanno il loro culmine nel-
la Diavolata, o, come la chiamano i si-
ciliani, Li Diavulazzi di Pasqua: alcuni
uomini vestiti da diavoli, per l’esattez-
za Belzebù, Astarot e Lucifero, insie-
me alla Morte cercano di convincere
l’Umanità, interpretata da una bambi-
na, a unirsi a loro, perché Cristo è
morto; contro di essi combatte l’Ar-
cangelo Michele, che alla fine ha la meglio su
Lucifero.
Secondo un copione che prende spunto
dal poema “La resurrezione”, scritto a fine
Settecento dal poeta locale Don Laudani, se-
gue poi l’Angelicata, che celebra l’incontro
tra la Madonna e il figlio risorto.
Sono gli stessi i protagonisti dell’“Abballu
de li Diavuli” che si tiene nel pomeriggio della
domenica di Pasqua a Prizzi: gruppi di perso-
ne vestite da diavoli rossi, accompagnati dal-
la Morte vestita di giallo, percorrono le strade
del paese, durante la processione delle sta-
tue della Vergine e del Cristo risorto, cercan-
do di spaventare e catturare più persone pos-
sibili e condurle all’Inferno.
Il luogo di tormento è in realtà un’osteria
dove i “dannati” bevono e offrono da bere e
non possono uscire se non quando, al termi-
ne della processione, intercede per loro diret-
tamente la Madonna, la quale invierà alcuni
angeli a liberarli.
Anche al Nord le celebrazioni del giorno di
festa attingono da tradizioni antichissime e
da riti di passaggio di origine contadina. So-
no ancora sentiti laddove l’economia rurale
Un momento della rappresentazione dell’“Abballu de li Diavuli” di Prizzi
“Li Diavulazzi” di Adrano
Gustare l’Italia51
è tuttora forte o scomparsa da meno tempo.
È il caso di Bormio, la perla della Valtellina,
nei monti della Lombardia.
Qui si svolgono i “Pasquali”: un tempo le-
gati alla benedizione di cinque agnellini, uno
per ogni rione del paese, rappresentavano la
richiesta di benedizione da parte degli agri-
coltori e dei pastori per una buona annata.
Oggi gli agnellini, vivi e agghindati a festa,
ci sono ancora, ma essendosi persa la tradi-
zione contadina, ciò che porta avanti il rito è
la sfilata dei grandi carri allegorici a tema
pasquale o comunque religioso allestiti ogni
volta in modo diverso dagli abitanti dei rioni,
che alla loro realizzazione iniziano a lavorare
già in pieno inverno.
I carri vengono condotti per le
vie di Bormio dai paesani vestiti da
pastori; una volti giunti nella piazza
principale vengono benedetti e si
premia il migliore.
Lunedì dell’AngeloAncor più che nel giorno di Pa-
squa, usanza vuole che sia il gior-
no successivo, Pasquetta, quello
deputato alla classica gita fuo-
ri porta. Il nome è legato all’ap-
parizione dell’Angelo che an-
nuncia alle donne giunte al
sepolcro che Cristo è risorto.
Alcuni fanno però risalire
l’usanza della scampagnata a
un altro episodio biblico: dopo
la resurrezione, Gesù apparve
infatti a due apostoli in cammi-
no verso Emmaus, fuori le mu-
ra di Gerusalemme.
Ciò viene letto come un invito a uscire dalla
città, magari per un pranzo in compagnia.
Non mancano però altre celebrazioni reli-
giose. Una che in particolare ricorda ancora
una volta la commistione tra cerimonie reli-
giose cristiane e preesistenti riti pagani di
passaggio si svolge a Calimera, in provincia
di Lecce.
All’interno della chiesetta di San Vito, ap-
pena fuori dal borgo, c’è un masso calcareo
con un foro al centro: il rituale prevede che
le persone debbano passarvi all’interno con
tutto il corpo per ottenere prosperità per
l’anno che viene.
I “Pasquali” di Bormio
Il masso calcareo di Calimera
52Gustare l’Italia
Se la Quaresima è stata un periodo di sa-
crifici alimentari, è normale che la maggior
parte dei piatti tipicamente pasquali sia rap-
presentata da dolci.
Ognuno con le sue caratteristiche legate al-
la tradizione locale. In tutta Italia sono ormai
diffusi dolci di fattura industriale come la co-
lomba e il dolce a forma di agnello, ma la Pe-
nisola vanta una straordinaria varietà di dolci
di Pasqua.
Come per le celebrazioni più spettacolari,
anche per i dolci che festeggiano la Pasqua
sulla tavola, il Sud vanta maggiore ricchezza,
ma anche nelle regioni settentrionali esistono
piatti tipici legati alla Settimana Santa.
Sono due i dolci più noti a livello nazionale
che nascono dalla tradizione pasquale e so-
no tipici di due regioni dove - come abbiamo
visto - le feste sono davvero ricche e sentite,
la Campania e la Sicilia. Il primo è infatti la
pastiera napoletana.
Si pensa che la sua origine sia addirittura
più antica di quella della Pasqua stessa, e
che la pastiera fosse preparata in occasione
di alcuni riti pagani legati all’arrivo della pri-
mavera (ancora una volta il “passaggio”) e
sia passata poi nella cultura cristiana a glo-
rificare sulla tavola la festività pasquale. I
suoi ingredienti principali sono la ricotta, le
uova, le spezie (soprattutto la cannella), i
La Pasqua a tavola
di A
less
and
ro M
ilani
Gustare l’Italia53
canditi e il grano bollito, ma il suo nome ri-
corda che un tempo al posto del grano veni-
va utilizzata (e in alcune zone ancora oggi si
usa) la pasta cotta.
Chi contende alla pastiera la palma del più
famoso dolce di origine pasquale è la cas-
sata siciliana.
Oggi viene prodotta ed è godibile per tutto
l’anno, ma un tempo mangiarla rappresenta-
va un vero e proprio rito, con il quale si supe-
rava il periodo quaresimale, fatto di dura asti-
nenza e digiuno.
Il dolce, diffuso in tutta la regione, è origi-
nario di Palermo e in qualche modo condivi-
de con il capoluogo siculo alcune caratteristi-
che ed eredità culturali: il termine cassata
deriva infatti dall’arabo quas’at, dal nome
della grande ciotola dove veniva preparata, e
riporta al periodo della dominazione sarace-
na; le decorazioni del dolce sono tipicamente
barocche, come molte delle straordinarie bel-
lezze architettoniche palermitane, mentre tra
gli ingredienti non mancano i prodotti tipici
della regione, tra i quali l’arancia candita, la
ricotta e la pasta di mandorle.
Meno noti nel resto del Paese ma sicura-
mente conosciuti e apprezzati nelle loro re-
gioni sono altri dolci tipicamente pasquali.
Sempre restando in Sicilia, ora che la cassata
non viene più preparata soltanto per la Pa-
squa, il dolce che si lega maggiormente a
questa festività è la coddura (o cuddhura),
una grande torta tonda che prevede al suo in-
terno la presenza di uova con il guscio (sem-
pre in numero dispari).
È tradizione che siano le giovani donne a
prepararla e a donarla, il giorno di Pasqua, ai
propri fidanzati.
La pastiera napoletana La cassata siciliana
La “cuddhura” siciliana
54Gustare l’Italia
Ritornando sulla Penisola, un altro dolce
di antica tradizione lo si trova in Calabria:
sono le nepicelle, la ricetta delle quali è di
origine araba, come dimostrano anche gli
ingredienti: fichi, spezie, noci, mandorle,
cioccolato e scorza di agrumi.
E il tour gastronomico lungo le dolci ricet-
te pasquali potrebbe proseguire a lungo,
passando dalle scarcelle pugliesi alla pizza
dolce e alla pigna dolce laziali, alla casadi-
na sarda, alla schiacciata toscana e arrivare
all’estremo lembo nordorientale dell’Italia,
nelle province di Gorizia e Trieste, dove la
Pasqua viene festeggiata anche preparando
(e mangiando) la pinza, dolce semplice (a
vedersi più che a prepararsi!) di antica origi-
ne contadina.
L’uovo di PasquaCi siamo soffermati sui dolci, peraltro trala-
sciando quelli che ormai vantano anche una
produzione industriale (come la colomba) e
tante altre ricette locali spesso con una radi-
cata tradizione sul territorio, ma sulla tavola
di Pasqua non mancano i piatti salati, anzi.
Tra le carni la fanno ovviamente da padrone
il capretto e l’agnello, che riportano immedia-
tamente alla Bibbia, con gli agnelli offerti in
sacrificio dagli Ebrei, e poi con la figura di
Cristo, cioè l’“agnello di Dio”.
Capretto e agnello, animali ancora una
volta legati alla cultura contadina e pastora-
le, ma dalle carni non semplici da cucinare e
dai sapori forti, decisi, che spesso contra-
stano con l’appiattimento del gusto al quale
ci hanno purtroppo abituato certi prodotti
alimentari. Ma il vero protagonista di tutta la
cucina di Pasqua, da Nord a Sud della Peni-
sola, è senza dubbio l’uovo.
Le “nepicelle” calabresiLa “schiacciata” toscanaLa “schiacciata” toscana
Gustare l’Italia55
L’uovo è da sempre simbolo della nascita,
e ancora di più di ritorno alla vita. Nei riti
precristiani di molte civiltà antiche l’uovo
rappresentava proprio la sacralità della vita
e la fertilità.
Già nell’Antico Egitto era in uso scambiar-
si uova decorate il giorno dell’equinozio di
primavera. Anche Greci, Romani e Persiani
prevedevano rituali con le uova.
Normale immaginare che quando nell’area
del Mediterraneo si diffuse il Cristianesimo
la trasposizione di questa simbologia nella
figura di Cristo, che risor-
ge, torna alla vita, abbia
fatto dell’uovo un ele-
mento - e alimento - le-
gato alla Pasqua.
Oggi che la festività pa-
squale viene annunciata
prima dai grandi ipermer-
cati che dai pulpiti delle
chiese o dall’arrivo della
primavera, appare evidente
come la tradizione dell’uo-
vo abbia anche risvolti ma-
teriali e commerciali, con le
uova di cioccolato.
Diffuse in molti Paesi d’Europa solo negli
ultimi decenni, si ricollegano però a una tra-
dizione antichissima di regalare o scambiar-
si uova, non di cioccolato ma dipinte o de-
corate, dapprima come si è detto per le
feste di primavera e poi per la Pasqua.
Una testimonianza certa di questo costu-
me risale addirittura al XIII secolo, quando
Edoardo I d’Inghilterra fece annotare tra le
sue spese la preparazione di 450 uova d’oro
decorate da regalare per Pasqua.
Oggi le uova di cioccolato prevedono la
sorpresa, che riporta alla concezione dell’uo-
vo come simbolo del sacro ma anche del
mistero. Anche se spesso la “rivelazione”
La torta pasqualina
degli ovetti regalati ai bambini lascia alquan-
to a desiderare…
Ma non è certo soltanto nella sua variante
dolce che l’uovo diventa l’indiscusso re del-
la tavola pasquale. Le principali ricette della
festa lo prevedono infatti come ingrediente
principale.
La più nota è sicuramente la torta pa-
squalina. Piatto di origine genovese, è ormai
diffuso in tutta Italia e preparato tutto l’anno,
ma il nome stesso ne rivela la vocazione a
celebrare la festa pasquale.
Presente già nella cucina ligure del XV se-
colo, è una torta salata ideale per le gite
fuori porta, in quanto può essere mangiata
anche fredda
A base di uova, ricotta e bietole (ma esi-
stono varianti regionali che utilizzano car-
ciofi e spinaci), vuole la tradizione che deb-
ba contenere 33 strati di sfoglia, tanti
quanti gli anni di vita terrena di Cristo.
Forse ancora più corposa è la torta salata
pasquale che si cucina in Campania, il casa-
tiello. Qui le uova vengono addirittura poste
sulla sua superficie, quasi a rappresentare
un cesto che serve a trasportarle
56Gustare l’Italia
Il cesto in questione è in realtà un impasto
che incorpora anche formaggi, salumi e strut-
to, fattori che ne fanno un piatto unico perfet-
to per la merenda all’aperto di Pasquetta.
Sorte simile tocca alla sguta, il bastone di
pane calabrese nel quale le uova a crudo
vengono cotte insieme all’impasto del pane.
Dolce ma più spesso salata, è uno dei simbo-
li della cucina di Pasqua in buona parte della
regione.
Un’altra torta salata dal sapore tutto pa-
squale è la crescia marchigiana, preparata
con il parmigiano, il pecorino e soprattutto le
uova sode benedette del giorno di Pasqua.
A differenza della torta pasqualina, che da
sola potrebbe fare pasto - o merenda a un
pic nic - la crescia si sposa alla perfezione
con i tanti salumi tipici delle Marche e all’ab-
binamento con un bianco importante come
il Verdicchio.
Se avete deciso di trascorrere le vacanze di
Pasqua nelle Marche, il consiglio è quello di
passare per Urbania, nella provincia di Pesa-
ro e Urbino.
Scoprirete che, duran-
te le feste pasquali, in
Italia con le uova non
solo si cucina ma è an-
che possibile giocare.
A Urbania si svolge in-
fatti una vera e propria
battaglia a suon di uova.
Attenzione, non vengo-
no lanciate; il gioco del
“Punta e Cul” consiste
Il “casatiello” napoletano
La “sguta” calabrese
La “crescia” marchigiana
Gustare l’Italia57
nel colpire, prima con la testa (punta) e poi
con il fondo (cul) del proprio uovo quello de-
gli avversari, cercando di uscirne indenni e
riportarlo a casa intatto.
Una manifestazione dalla dinamica simile,
il “Ponta e Cül” si svolge anche a Fiorenzuo-
la d’Arda, in provincia di Piacenza, sempre
nel giorno di Pasqua. Attività tutte legate al-
le uova rendono meta visitata anche il borgo
appenninico di Tredozio, in provincia di For-
lì. Qui ha luogo un vero e proprio Palio
dell’uovo, con gare di abilità e giochi nel
contesto di una sagra che consacra l’uovo
come il vero protagonista della Pasqua.
Scontri con le uova per colpire quelle degli
avversari hanno luogo anche in Alto Adige,
ma restando nelle regioni del Nord Italia, la
palma del gioco più originale fatto con le uo-
va non può non essere assegnata al “Truc”.
A Cividale del Friuli, e qui soltanto, il gior-
no di Pasqua, fin dal Settecento si pratica
infatti questo gioco che non ha eguali: viene
allestito un rialzo di sabbia ovale, quasi un
circuito, con un punto di partenza posto più
in alto e il resto digradante, dove è posizio-
nata una tegola (cop).
I concorrenti, muniti di uova sode colorate
(rigorosamente di gallina), devono far scen-
dere le proprie (con l’obbligo di toccare il
cop e senza dare loro una spinta) al fine di
toccare quelle altrui eliminandole dalla gara.
Chi viene toccato deve pagare pegno per ri-
scattare il proprio uovo e tornare in gioco.
Un tempo pratica assai diffusa nelle aie e
nei cortili cividalesi, da qualche anno è stata
ravvivata grazie ad alcune associazioni loca-
li e oggi il giorno di Pasqua non è raro vede-
re giovani e anziani che si ci-
mentano nel “Truc”.
Attorno al gioco, adesso co-
me un tempo, sono sorte ma-
nifestazioni anche artistiche, e
il solo fatto di trovare metodi
naturali per colorare le uova
ha portato a creazioni di pre-
gevole fattura… e anche nuo-
ve ricette; facendo cuocere le
uova in un panno con le erbe o
Un momento del gioco del “Punta e Cul”
Una fase di gioco del “Truc”
58Gustare l’Italia
gli altri ingredienti necessari per tingere il gu-
scio delle uova per il “Truc”, si è infatti trova-
to anche il modo per insaporirle in modo tal-
volta insolito.
Per una pratica che ritorna in auge, un’altra
che non ha mai avuto grossa fortuna in Italia,
e che in questo caso non ha nulla a che ve-
dere con le uova. Si tratta del cosiddetto
“presepe di Pasqua”.
Non sappiamo ancora quali siano stati i
motivi che spinsero la Controriforma della
Chiesa cattolica verso un’affermazione netta
della rappresentazione della Natività rispetto
a quella di altri episodi neotestamentari.
Di certo c’è il fatto che già nel Quattrocento,
a Napoli - e in quale altro posto altrimenti? -
era viva una tradizione presepiale legata agli
eventi pasquali.
Cultura che oggi è quasi completamente
scomparsa ma che fino all’inizio del Novecen-
to vantava appassionati e figurinari.
In effetti, pensandoci bene, oltre a una mag-
giore importanza liturgica, quanto narrato dai
Vangeli della vita di Gesù nei suoi ultimi giorni
si presta a raffigurazioni ancora più varie e
spettacolari rispetto all’evento natale.
Basti considerare che questi presepi di Pa-
squa, chiamati anche “Sepolcri a personag-
gi”, comprendevano la Via Crucis, l’Ultima
Cena, Gesù che prega nell’orto del Getsema-
ni e poi centurioni romani, Barabba e Pilato…
tutti episodi che hanno avuto un’enorme va-
lorizzazione nella storia dell’arte.
Ovviamente gli artigiani facevano a gara
per abbellire con le proprie opere le chiese
più importanti del capoluogo campano, ma
non mancava una produzione destinata alla
rappresentazione domestica della Passione,
proprio come accadeva - e accade tuttora -
per quella della Natività.
E chissà cosa avrebbe fatto la creatività
partenopea negli ultimi anni, avendo la pos-
sibilità di inserire i personaggi dell’attualità
non come semplici spettatori della nascita di
Gesù, ma magari come suoi aguzzini sul
Calvario…
L’apparizione di Gesù Risorto a Tommaso nel presepe di Pasqua di Fossò
La colomba pasquale
60Gustare l’Italia
di A
lan
Mie
li
Una cosa è sicura: la colomba è un dol-
ce lombardo. Nessuno ha la certezza circa la
sua origine, sulla quale sono sorte numerose
leggende, ma in tutte le varianti si torna sem-
pre in terra di Lombardia, al massimo con un
pizzico di Irlanda.
Che un pane a forma di colomba - o di un
volatile simile - fosse in uso presso i Romani,
e ancora prima mangiato da Greci ed Egizi,
non è messo in discussione, ma il collega-
mento del dolce che noi conosciamo alla Pa-
squa pare sia faccenda medievale.
Una prima leggenda lo fa nascere a Pavia,
in età longobarda, nel 572.
Pare infatti che alla vigilia di Pasqua, il re
Alboino, conquistata faticosamente la città
dopo tre anni di assedio, fosse deciso a ra-
derla al suolo passando per le armi tutti gli
abitanti; il suo cavallo, imbizzarritosi, si sa-
rebbe però rifiutato di entrare nella cerchia
delle mura fino a quando un anziano pastic-
ciere donò (o fece donare a 12 giovani fan-
ciulle) al sovrano 12 dolci a forma di colomba
in segno di sottomissione dei pavesi.
Solo a quel punto l’animale tornò tranquillo
e Alboino, colpito da quello che gli sembrò un
segno divino, decise di risparmiare la città e i
suoi abitanti.
Un’altra storia - sempre pavese, sempre in
età longobarda - ci racconta della visita del
monaco irlandese Colombano alla regina Teo-
dolinda, a pochi giorni dalla Pasqua; la sovra-
na, volendo rendergli onore, fece preparare
piatti a base di carne, che il monaco rifiutò per
Gustare l’Italia61
osservare la penitenza quare-
simale. Visto però che Teodo-
linda si era offesa, San Colom-
bano chiese di poter benedire
le carni, che si trasformarono
in dolci a forma di colomba.
C’è invece chi fa nascere la
colomba pasquale qualche
secolo più avanti, nel XII: se-
condo questa leggenda, du-
rante la battaglia di Legnano
tre colombe si posarono sui
vessilli delle truppe lombarde
che combattevano il Barba-
rossa. Viste come portatrici di
buoni auspici, furono loro de-
dicati dolci che ne riprendeva-
no la forma.
Molto più prosaicamente, la
colomba come la apprezzia-
mo oggi è nata nei primi de-
cenni del Novecento quando
alla Motta, la nota industria dolciaria - ancora
una volta lombarda, per la precisione milane-
se - si pensò a come utilizzare anche per fe-
steggiare la Pasqua i costosi macchinari usa-
ti per il panettone.
E, ottimizzando ancor di più le risorse, la di-
rezione suggerì ai maestri pasticcieri di utiliz-
zare anche una pasta simile a quella usata
per preparare il dolce meneghino. Nacque
così la colomba Motta, rimasta per molti anni
la più nota e apprezzata in Italia, anche grazie
a vincenti campagne pubblicitarie.
Anche dopo il successo del prodotto indu-
striale, la colomba continua a essere prepa-
rata in modi diversi, da centinaia di artigiani in
tutta Italia, non soltanto in Lombardia.
Così quello che in tutto il mondo è un sim-
bolo di pace, nel nostro Paese continua a es-
sere anche il dolce tipico della principale fe-
sta cattolica di primavera.
Il dolce centro di Milano
62Gustare l’Italia
di A
less
and
ro M
ilani
Se si attraversa piazza San Babila alle pri-
me luci della mattina Milano sembra quasi
irreale, silenziosa, vuota; le poche persone
che si incontrano per strada si conoscono e
si salutano.
Sotto i portici di via Borgogna, pochi metri
dopo la Casa della Cultura si può assistere
anchea quello che in città è ormai un mezzo
miracolo: sentire il profumo delle brioches
appena sfornate.
Se si segue questo miraggio olfattivo si ar-
riva in un posto dove la meraviglia non si fer-
ma certo a cornetti e croissant. Siamo infat-
ti alla Pasticceria Bastianello, attiva, come
ricorda il suo stesso marchio, dal 1950.
Verso le 8 è già un via vai continuo di
clienti, la maggior parte dei quali habitué, e
si capisce che, anche senza bisogno di es-
sere sedotti dal profumo mattutino, in molti
l’hanno eletto a locale d’eccellenza.
Qui incontriamo il direttore, Marco Serra, e
proviamo a chiedergli la ricetta di questo
successo.
Un segreto vero e proprio non c’è, ma ci sono
due fattori fondamentali, che ritengo siano validi
per qualsiasi professione: il primo è sicuramen-
te lo spirito di squadra che esiste nella nostra
pasticceria (che dà lavoro a quasi 40 persone,
ndr), l’altro è l’amore per il nostro lavoro, per ciò
che facciamo.
Gustare l’Italia63
E poi ci sono le motivazioni legate alle scelte
di Bastianello. Anzitutto il fatto di puntare sulla
qualità. Non è una frase banale: qui davvero
ogni singolo ingrediente viene scelto accurata-
mente, perché solo la somma di prodotti d’ec-
cellenza permette un certo tipo di risultati.
Niente nasce dal caso, dal cacao al latte, dal
burro alle nocciole, dai canditi alla miscela di
caffè, per arrivare all’acqua e allo spumante,
che abbiamo deciso di “marchiare” con il no-
stro nome.
E poi presumo ci sia un grande pasticciere…
Esatto, noi siamo un team affiatatissimo che
lavora attorno a un grande artista, la vera e
propria mente creativa del gruppo, che è Nico-
la Gervasio. Quanto si diceva prima sull’amore
per ciò che si fa trova in lui la massima espres-
64Gustare l’Italia
sione. Gervasio ha sempre idee nuove, sta
sempre creando; quasi sta male se non lo fa.
In lui professionalità e fantasia vanno di pari
passo. Anche quando prende spunto da dolci
tradizionali, li reinterpreta a modo suo, non
sono mai una “copiatura”.
Da voi viene tutto prodotto artigianalmen-
te, giusto?
Tutto quanto viene prodotto da noi è artigia-
nale, ed è per questo, e per l’utilizzo di mate-
rie di primissima scelta, che il rapporto quali-
tà/prezzo è così alto.
Dietro ogni prodotto e ogni singolo gesto ci
sono professionalità e lavoro, e questo ha un
suo prezzo, ma ciò che si offre è sicuramente
di altissimo livello.
Una colomba artigianale e una industriale
hanno un profumo e un sapore completa-
mente differenti, quasi non sono più lo stes-
so prodotto.
Crede che la gente apprezzi la vostra scel-
ta di puntare sulla qualità?
Io credo proprio di sì. Un tempo
le persone forse non capivano la
filosofia di Bastianello di creare
sempre prodotti nuovi e di optare
per una maggiore qualità a fronte
di un prezzo superiore.
Oggi invece la nostra clientela è
disposta a spendere di più ma ri-
cevere in cambio un prodotto di
qualità assoluta. La gente è atten-
ta a ciò che mangia, sa ricono-
scere ciò che è buono e ciò che
lo è di meno. E poi il lavoro arti-
gianale offre anche al cliente delle
possibilità in più.
Per esempio?
Per esempio adesso, per Pa-
squa, le uova di cioccolato, che sono tutte
prodotte nel nostro laboratorio, possono es-
sere personalizzate completamente, dalla
decorazione di glassa al tessuto con il quale
possono essere rivestite, fino alle dimensioni
e alla sorpresa da inserire all’interno.
È capitato che qualcuno dei nostri clienti ci
abbia chiesto di mettere dentro le uova alcu-
ni gioielli…
A proposito della Pasqua: noi di “Gustare
l’Italia” le abbiamo dedicato ampio spazio in
questo numero, compresa la copertina (con
l’uovo realizzato proprio dalla pasticceria
Bastianello). È una festa ancora sentita?
Meno se la si confronta al Natale, ma co-
munque è ancora molto sentita. Forse cam-
biano i tempi dell’attesa della festa.
Mentre il periodo natalizio inizia molto pre-
sto e dura per un mese e anche più, sembra
quasi che a Pasqua tutti si ricordino della fe-
sta all’ultimo momento, e si lavora molto so-
prattutto negli ultimi giorni.
È un peccato, soprattutto per i clienti che
Gustare l’Italia65
non possiamo soddisfare, perché non è det-
to che un dolce appena sfornato sia nella
condizione ottimale per essere consumato Il
giorno stesso.
Ogni tipo di prodotto ha bisogno dei suoi
tempi, ma la gente oggi spesso va di fretta.
Noi cerchiamo intanto di portarci avanti, alle-
stendo prima i locali.
Anzitutto con creazioni originali, che cam-
biano di anno in anno, dedicate principal-
mente ai bambini, dalle uova ai cestini con gli
ovetti e i pulcini alle riproduzioni dei perso-
naggi dei cartoni animati di cioccolato.
La Pasqua è infatti ancora una festa sentita
dai bambini, e anche da chi, come me e il pa-
sticciere Gervasio, si ricorda ancora dei gio-
chi pasquali di quando si era piccoli.
Anche gli adulti possono però trovare da
noi uova per tutti i gusti, anche confezionate
cone tessuti pregiati, pronte per diventare re-
gali di alta classe
A fianco della pasticceria avete ormai cre-
ato anche tutta un’altra serie di servizi per il
pubblico…
Da quando siamo in via Borgogna, cioè da
una decina d’anni, abbiamo allargato la no-
stra offerta, che oggi è rappresentata da un
bar, un servizio di catering, aperitivi e ricevi-
menti per feste di laurea.
Stiamo anche pensando di esportare il no-
stro marchio in altri Paesi europei, ma il cuo-
re di Bastianello è e sarà sempre la pasticce-
ria. Tutto ruota attorno a essa, e anche per
noi nulla è confrontabile al piacere di arrivare
qui la mattina presto e fare colazione con un
caffè e una brioche appena sfornata, guar-
dando Milano che si sveglia.
Beh, questo ci rallegra…se anche chi ci la-
vora non riesce a resistere al profumo del
forno mattutino, come potremmo restare in-
differenti noi?
“Panem Nostrumcotidianum da nobis hodie”
66Gustare l’Italia
Per millenni il pane è stato il fondamento
dell’alimentazione umana. È sinonimo di cibo
e a esso si accompagna qualsiasi altra pie-
tanza (non a caso, in questo senso, si usa la
parola companatico, cumpanaticum).
Il pane, più di qualsiasi altro alimento, sazia
la fame, dà energia e si pone, anche in senso
simbolico, come ricompensa del duro lavoro
umano (“d’ora in avanti lavorerai col sudore
della fronte”).
Per i cristiani (cattolici e ortodossi, non per i
protestanti) è il simbolo dell’eucarestia, il sa-
cramento istituito direttamente da Cristo nel
corso dell’Ultima Cena, nel momento in cui lo
distribuì ai suoi discepoli. Ma anche nell’Anti-
co Testamento il pane era ritenuto un dono di
di R
affa
ele
Mo
ntag
na
Dio; infatti Dio stesso parla di sé proprio at-
traverso il pane: al popolo ebraico che marcia
nel deserto dona la manna come testimo-
nianza della sua considerazione.
Nella Bibbia sta scritto che “non di solo pa-
ne vive l’uomo, ma di ogni parola che esce
dalla bocca di Dio”, per dire che proprio co-
me il pane (ma più di esso) Dio è indispensa-
bile alla vita. Gesù Cristo, attraverso il “Padre
Nostro” (la più bella e significativa preghiera
cristiana), ci insegna a domandare il “pane
quotidiano”, quello indispensabile alla vita.
Anzi, Cristo stesso è pane (“prendete e
mangiatene tutti, questo è il mio corpo,...”) e
attraverso questo pane è possibile superare
anche la morte e vivere in amicizia con Dio e
Gustare l’Italia67
nella sua grazia (“chi mangia questo pane vi-
vrà per sempre”).
Già dalla preistoria il pane veniva preparato
macinando rozzamente dei cereali, impastan-
doli con acqua e cuocendoli su delle pietre
arroventate; tale tipo di pane non lievitato (az-
zimo) è uno dei primi citati nella storia e fu
usato dagli Ebrei in fuga dall’Egitto.
Attorno alla metà del terzo millennio a.C.
proprio gli Egiziani scoprirono la fermentazio-
ne (fenomeno diverso dalla lievitazione), che
dona al pane un odore più piacevole di quello
azzimo e una certa, relativa sofficità.
Successivamente, i Greci sperimentarono
con successo l’aggiunta di latte, olio, miele
ed erbette aromatiche e conferirono al pane
l’importanza di elemento basilare dell’alimen-
tazione; furono i primi a panificare di notte
per avere il pane fresco al mattino!
Il pane non fu (e non è) prodotto solo con
farina di frumento, tipica dell’area mediterra-
nea, ma, in base alle diverse latitudini e lon-
gitudini, anche con farine di segale, avena,
mais, riso, patata, miglio, sesamo; alcuni tipi
di pane non sembrano rientrare nella conce-
zione che noi italiani abbiamo del pane stes-
so, in quanto non per tutti sono possibili la
lievitazione e la fermentazione.
Fino a cinquant’anni fa, quantomeno nell’Ita-
lia rurale, tradizionalmente, ogni casa posse-
deva un proprio forno, che serviva per cuoce-
re il pane necessario al fabbisogno familiare;
e un mobile, tra tutti, spiccava per la sua im-
portanza: la “madia”, una sorta di alta cassa-
panca, sul cui piano superiore, sotto un co-
perchio ribaltabile, s’impastava, appunto, il
pane, che, dopo cotto, veniva riposto al suo
interno, ben sistemato dentro i cassetti ai
quali si accedeva attraverso due sportelli po-
sti in basso.
In quest’ultimo mezzo secolo la produzione
del pane si è evoluta non poco e nei Paesi
occidentali si è addirittura notevolmente raffi-
nata, tanto che ormai, per ogni “companati-
co”, esiste il corrispondente “tipo” di pane, la
cui qualità dipende sostanzialmente dal ge-
nere di molitura (procedimento con il quale si
separano con cura tutti i componenti della
macinazione stessa) e dal lievito usato (quello
“di birra” per le produzioni industriali e quello
“naturale”, adoperato quasi esclusivamente
in ambito domestico, perché provoca una lie-
vitazione lenta, ma presenta pani di qualità
decisamente superiore).
I forni, come si chiamavano un tempo le ri-
vendite di pane, si sono trasformati in negozi
eleganti, nei quali si può soddisfare qualsiasi
sfizio, considerata la varietà tipologica di arti-
coli sfornati.
Se avessimo ancora a
disposizione la vec-
chia “madia”, do-
vremmo riempirla
con una vasta
gamma di prodotti
utili a soddisfare
ogni possibile acco-
stamento.
Se avessimo ancora a
disposizione la vec-
chia “madia”, do-
vremmo riempirla
con una vasta
gamma di prodotti
utili a soddisfare
ogni possibile acco-
L’arte della panificazione in Egitto
68Gustare l’Italia
PANE NOSTRO - Matvejevic PredragPane nostro è il frutto di vent’anni di lavoro. Quella del pane è una gran-
de storia, ricca di sapienza e di poesia, d’arte e di fede. Abbraccia l’in-
tera storia dell’umanità; dal giorno lontano in cui i nostri antenati si stu-
pirono per la simmetria dei chicchi sulla spiga fino a oggi, quando
miliardi di esseri umani ancora soffrono la fame e sognano il pane, men-
tre altri lo consumano e lo sprecano nell’abbondanza. Sulle rive del Me-
diterraneo, dalla Mesopotamia alle tavole del mondo intero, il pane è
stato il sigillo della cultura. Ha accompagnato - anche nella forma della
galletta, della focaccia e del biscotto - viaggiatori, pellegrini, marinai. Si
è ritrovato al centro di dispute sanguinose e interminabili: le guerre per
procacciarsi il cibo, ma anche le lunghe controversie sul pane - lievitato oppure azzimo - da usare
per la comunione. Perché il pane è anche un simbolo, al centro del rito eucaristico. E lo si ritrova,
nelle sue mille varietà, in molte opere d’arte, dall’antico Egitto alla pop art.
Edizione: Garzanti - Pagine: 232 - Prezzo: € 18,60
A questo proposito, il Panificio “Colombo &
Marzoli”, che a Varese rifornisce diversi negozi
di vendita, consiglia una “carta del pane” che
ci piace qui sintetizzare allo scopo di allargare
sempre più una cultura gastronomica impron-
tata anche sulla raffinatezza del gusto e del
sapore negli abbinamenti.
La “carta del pane”, dunque, ci suggerisce:
• per crostini e tartine - salmone e caviale:
carré bianco in cassetta classico; carré bianco
al burro a forma di cuore, fiore, esagono, ton-
do; carré integrale in cassetta classico; carré
integrale a forma di cuore, fiore, esagono, ton-
do; carré alle olive in cassetta classico;
• per ostriche e salumi
(speck, bresaola, salami di
cacciagione): pane di segale
in filoni o ciambelle;
• per il fois gras: pan brio-
ches; carré al burro;
• per i formaggi: filoncini alle
noci; filoncini alle noci ed
all’uvetta; carré alle noci in
cassetta classica o a forma di
cuore, fiore, esagono, tondo;
• per i salumi: filoncini fran-
cesi con farina biologica; fi-
loncini di grano duro con farina biologica;
• per la prima colazione: pane in cassetta
di farine miste, nocciole, albicocche secche;
pan brioches;
• per i pasti quotidiani: panini mignon al
latte, di soia, alle olive, alle noci; panini ai
semi di papavero, sesamo e misti; aurora e
barchette di grano duro al latte; pane al latte
con forme diverse; quadrucci francesi;
• pane da tenere per ogni evenienza: pa-
gnotta pugliese da chilo e/o da mezzo; pa-
gnotta e filone francese da chilo e/o da mez-
zo; filoni di grano duro; ciabatta al latte;
ciabatta integrale.
Le “Città del Pane”
70Gustare l’Italia
di P
aolo
Bo
nag
ura
“Quando uno ha fame o si ribella,
o fugge o muore”. Questa dura af-
fermazione ha accompagnato le re-
centi rivolte della fame in Medio
Oriente.
A saziar la fame sembra rimasto,
come nei secoli passati, l’alimento
base, l’affetto sincero, il punto di ri-
ferimento per la dieta mediterranea:
il pane.
Ma il simbolo del pane ha valori
ben più profondi. Il pane è stato ed
è simbolo di povertà, amicizia, pace
e condivisione ma, soprattutto, di
sacralità (pensiamo alla tradizione
dei pani votivi e alla feste collegate
come quella del “covo” a Campo-
cavallo, carro ricoperto di spighe
che riproduce ogni anno un simbolo
di fede diverso).
Tuttora, nei diversi Paesi del mon-
do, il pane viene lavorato secondo
le tradizioni del luogo, che conferi-
scono a ogni territorio una tipicità di
panificazione unica e distintiva.
In Italia esiste una rete di 45 co-
muni che stimola la diffusione della cultura del
pane, tutela la qualità dei pani, promuove la
valorizzazione delle risorse ambientali, pae-
saggistiche, artistiche e storiche dei territori
che hanno la tradizione dell’arte bianca: l’as-
sociazione Città del Pane.
La pala del fornaio per simbolo, la fetta di
pane a forma di Italia per obiettivo. Tutela del
prodotto e promozione del territorio.
La prima passa dalla difesa delle 200 spe-
cialità di pane (metà delle quali iscritte nell’elen-
co del Ministero delle Politiche Agricole, dove
spiccano il “pane di Altamura DOP”, “il pane di
Matera IGP”, “la coppia ferrarese IGP” e “il pa-
ne casareccio di Genzano di Roma IGP”) attra-
verso campagne per l’inserimento della dicitu-
ra “pane fresco artigianale” (acqua, farina,
sale e lievitazione di una notte) sulle etichette
(rispetto al pane conservato con antiossidanti
ed emulsionanti che sta conquistando la gran-
de distribuzione).
La promozione si manifesta nell’organizza-
zione di eventi quali “Pane nostrum” a Seni-
gallia, “Pane in piazza” a Corciano, la “Festa
del pane tradizionale” a Pellegrino Parmense,
la “Festa del pane” di Altopascio (dove nel
Gustare l’Italia71
medioevo i Cavalieri del Tau servivano il pane
ai pellegrini in sosta lungo la via Francigena)
e quelle di Altomonte, Cantiano, Gonnosfa-
nadiga, Genzano di Roma e Savigliano.
Quest’ultima è ogni anno scenario della ce-
rimonia dello scambio dei pani tra i popoli, in-
teso come scambio tra culture, identità. Ma
anche come elemento di integrazione inter-
culturale, come il recente progetto di creazio-
ne di un forno in piazza ad Avigliana, dove
poter cuocere i pani delle diverse etnie resi-
denti sul territorio, con particolare riferimento
alle donne.
Donne che in passato preparavano il pane
in casa, lo cuocevano nel forno pubblico, re-
cuperavano gli avanzi in intingoli che rappre-
sentano la storia della nostra cucina; donne
che oggi, nelle panetterie, fanno le commes-
se lasciando l’odore della farina nei laborato-
ri agli uomini.
Già, il rapporto fra donne e pane è frutto di
diverse lievitazioni. Lievitazione naturale ma
anche sociale, con i laboratori di panificazione
per bambini pronti a
diplomarsi “scultori
del pane”, con i per-
corsi di educazione
alimentare e di lotta
all’obesità infantile
come il “Processo al-
la merendina” per una riscoperta della salubri-
tà della merenda di un tempo, con i concorsi
didattici “I bambini raccontano il pane” e i “I
bambini colorano il pane”.
Lievitazione culturale ma anche turistica,
sulle rotte del “pan turismo” attraverso visite ai
forni accesi, itinerari culturali tra i forni diffusi
(a Maiolo), mostre nei Musei del Pane (ad Al-
tomonte, Cerchiara di Calabria, Sant’Angelo
Lodigiano, Maiolo, Borore, Villaurbana, Sale-
mi e nel futuro Museo Officina del pane a Pel-
legrino Parmense).
Lievitazioni di qualità che corrispondono a
pani di qualità, elementi di cultura materiale
trainante per i nostri territori.
Per informazioni: www.cittadelpane.it
L’unità d’italia è stata costruita anche a tavolaed è ben rappresentata dai prodotti tipici:
auspichiamo una filiera agricola tutta italiana.S P A Z I O E V E N T I - M I L A N O
L’unità d’italia è stata costruita anche a tavolaed è ben rappresentata dai prodotti tipici:
auspichiamo una filiera agricola tutta italiana.
Grafica di Daniele Colzani
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
P e r i o d i c o d i c u l t u r a e n o g a s t r o n o m i c a e t u r i s m o
www.gustarelitalia.it
L’unità d’Italiaè stata costruita
anche a tavolaed è rappresentatadai prodotti tipici:
auspichiamo una filieraagroalimentare
tutta italiana.
Il decanter: un validoaccessorio per gustare il vino
74Gustare l’Italia
di R
affa
ele
Mo
ntag
naL’a
rtigia
no in
tavo
la
Decanter della serie “Vinocchio”
74Gustare l’Italia
Tempo fa (non diciamo quanto!), ancor
giovane e non uso a centellinare ogni aspetto
della vita, un vecchio amico m’insegnò, con-
trariamente a quanto io pensassi, che il vino
non si beve, ma si “gusta”, che non conta la
quantità bevuta, ma la qualità gustata e il
tempo (abbondante) di degustazione.
La miglior degustazione - mi disse - può
avvenire soltanto dopo una corretta “ossige-
nazione”, inframmezzando un adeguato ar-
co di tempo tra la stappatura della bottiglia
e l’assaggio; il vino è un frutto “vivo” della
terra, lavorata con passione e fatica ed è
perciò consigliabile, per rispetto, “farlo re-
spirare”.
La degustazione, quand’è ben praticata,
diventa arte.
Ed è per questo che ci si gio-
va di un accessorio - il decan-
ter - capace di esaltare tutte
le virtù, le caratteristiche
proprie del vino, al di là dei
tipi di uva e vitigno, delle
tecniche di vinificazione
e di invecchiamento:
il decanter dà
modo di
poter ser-
vire il vi-
no in maniera ottimale e funzionale alla mi-
glior degustazione possibile.
Stappare, quindi, la bottiglia e “scaraffare”
il vino, versandolo nel decanter, diventa una
manovra fondamentale foriera di una corret-
ta degustazione; in tal modo il vino si “ossi-
gena” e diffonde tutta la sua fragranza, per-
mettendo di percepire il suo bouquet di
sensazioni aromatiche e profumate.
Il decanter si usa soprattutto per i
vini rossi e, comunque, per tutti i
vini “invecchiati” e ben struttu-
rati, quelli che generano fra-
granze profumate, vistose e
accentuate.
I vini bianchi e i rossi gio-
vani, frizzanti, non hanno
bisogno di decantazione,
ma possono, tuttavia,
nel decanter, essere ap-
poggiati su una base
colorata, contenente
ghiaccio
t r i -
Gustare l’Italia75
tato, per essere rinfre-
scati).
Se non avessi-
mo timore di esage-
rare potremmo dire che
ogni vino ha un suo de-
canter; in ogni caso, biso-
gna preferire quelli in cristal-
lo ed evitare qualsiasi altro
materiale (acciaio, peltro, ra-
me zincato, ceramica e
terracotta) che non
faccia trasparire la
luce; sembra, in-
fatti, che sia pro-
prio la luce (solo
per il tempo di de-
cantazione, cioè, al
massimo qualche ora)
a rendere il vino vivace
ed espressivo.
Come per i bicchieri, il cristallo dev’essere
relativamente sottile e puro, in modo che
possa far apprezzare subito il colore e le di-
verse sfumature che il vino presenta.
Per quel che concerne le forme, si va dalle
più “canoniche” alle più strane e originali: con
o senza manico, tozzi e panciuti, bassi e al-
lungati, con l’imboccatura tagliata o reclinata;
una volta avuto riguardo per una base relati-
vamente larga, atta a incrementare
il processo di “ossigenazio-
ne” e un collo stretto che
consenta una facile mesci-
ta, gli unici limiti sembra-
no essere quelli
Decanter“Alavin” con base
refrigerante
Particolare della base refrigerante “Alavin”
dell’inventiva e del-
la genialità.
Il mercato dei decanter è abbastanza dif-
fuso, sicché è facile reperirli nei negozi che
commercializzano arredi e complementi per
la tavola.
Vi suggeriamo, tuttavia, quelli prodotti da
“Italesse”, un’azienda triestina, giovane e di-
namica che trae la sua produzione dall’espe-
rienza che il titolare ha acquisito nel variegato
mondo della ristorazione.
76Gustare l’Italia
Supportoper asciugatura“Vinocchiodrop”
Decanter della serie “Alchemy”
tano sempre più attenti, curiosi
e sensibili alle proposte che il
mercato presenta.
Le linee di decanter “Alchemy”,
“Alavin” e “Vinocchio”, con i loro re-
lativi supporti per l’asciugatura, sor-
prendono e meravigliano per l’eleganza,
la pulizia, la rigorosità delle forme e la mo-
dernità dei colori.
Esse vengono richieste e utilizzate nelle
più importanti degustazioni internazionali,
in quanto rappresentano la sintesi ottimale
di forme, materiali e tecnologie, finalizzata
a procurare il massimo piacere possibile a
chi della degustazione fa professione o se
ne interessa per passione.
Per info: www.italesse.it
Con precisione, sensibilità e passione
“artigianale” sono nate, così, diverse
collezioni di articoli (tra i quali i de-
canter), tutte create da designer
italiani e realizzate con mate-
riali innovativi.
La filosofia e la politica aziendale - che
hanno cercato e trovato un filo conduttore,
un legame, tra i diversi accessori per “gusta-
re” il vino - attraverso la sintesi costante tra
stilisti, nuove tecnologie e selezione dei ma-
teriali, hanno ottenuto, attualmente, un esito
eccezionale: quello, cioè, di far vivere gli og-
getti al di là della loro funzione.
La tecnologia “xtreme” (brevetto Italesse)
- diretta a conferire alla pasta di vetro una
notevole resistenza, al fine di scongiurare
nefaste rotture - e il “policrystal” (brevetto
Italesse), materiale policarbonato che assi-
cura una straordinaria resistenza e una lumi-
nosa brillantezza, pongono “Italesse” ai ver-
tici dei produttori di accessori destinati a
coloro che consumano buoni vini e che risul-
per asciugatura“Vinocchiodrop”
Per info: www.italesse.itwww.italesse.it
80Gustare l’Italia
di A
lan
Mie
li
Come accennato
nell’editoriale, a partire
da questo numero
“Gustare l’Italia” dedi-
cherà una rubrica a un
prodotto italiano di
qualità certificata.
Dal vino alle carni, dagli
ortaggi alla frutta esistono già forme di tute-
la delle produzioni d’eccellenza, ratificate
con il conferimento di un marchio.
Dal D.O.P., la denominazione di origine
protetta, all’I.G.P. (indicazione geografica
protetta) per i prodotti alimentari tipici al
D.O.C. (denominazione di origine controlla-
ta), D.O.C.G. (per quelli di origine controllata
e garantita) e I.G.T. (indicazione geografica
tipica) per vini e distillati.
I Consorzi di Tuteladei prodotti tipici
Ovviamente i singoli produttori possono
fregiarsi di questi marchi per i loro alimenti
e i loro vini, ma chi tutela e promuove que-
sti prodotti sono i consorzi.
“Gustare l’Italia” vuole a sua volta valo-
rizzare il lavoro di queste realtà, sostenen-
do produzioni che siano di assoluta garanzia
per il consumatore.
Grazie al disciplinare di produzione, oltre
alla conformità alle leggi italiane ed europee,
chi acquista i prodotti a marchio di denomi-
nazione è sicuro che essi
nascono da un territorio
preciso, con il quale in-
trattengono un lega-
me indissolubile e
che sono tracciabili in
ogni fase della loro la-
vorazione.
I privati che si riuniscono
in consorzio hanno anche modo di “fare re-
te” tra loro per diffondere la conoscenza e
l’informazione sul proprio prodotto, ma an-
che per combattere in modo efficace le con-
traffazioni e promuovere una cultura alimen-
tare del buon mangiare e del buon bere.
Al tempo stesso unirsi in consorzio signifi-
ca inoltre offrire al consumatore l’occasione
di trasformarsi in turista e visitare un territo-
rio dove alle eccellenze enogastronomiche
si affiancano anche quelle storiche, artisti-
che e naturalistiche.
Insomma, un’occasione in più per “gustare
l’Italia”!
nazione è sicuro che essi
nascono da un territorio
preciso, con il quale in-
ogni fase della loro la-
I privati che si riuniscono
Come accennato
nell’editoriale, a partire
prodotto italiano di
Dal vino alle carni, dagli
fregiarsi di questi marchi per i loro alimenti
do produzioni che siano di assoluta garanzia
per il consumatore.
Gustare l’Italia81
Nel nostro speciale dedicato alle tradizioni
di Pasqua abbiamo detto che tra le carni più
utilizzate per il pranzo domenicale predomina-
no il capretto e l’agnello.
A Roma, e più in generale nel Lazio questa
tradizione culinaria, legata alla figura di Cristo
visto come agnello di Dio che si offre in sacri-
ficio per l’umanità, è ancora molto sentita, al-
meno a tavola.
Da secoli il periodo primaverile, e in partico-
lare la festa per la Resurrezione di Cristo, sono
considerati l’occasione ideale per macellare gli
agnelli. Anzi, in alcuni casi era l’unico momen-
to dell’anno nel quale ciò era consentito ai pa-
stori, i quali altrimenti potevano macellare sol-
tanto ovini adulti.
Gli agnelli da latte scelti per essere sacrifica-
ti sulle tavole dei laziali sono detti abbacchi.
L’Abbacchio Romano IGPAbbacchio ha un’etimologia controversa.
Sembra certo faccia riferimento al vocabolo
latino baculum, che significa bastone.
Da qui partono diverse interpretazioni del
termine: c’è chi lo collega al fatto che gli
agnelli vengono legati a un palo, un bastone
per non farli scappare, quindi si trovano ad ba-
culum, vicino a un bastone; altri si rifanno al
baculum quale strumento con il quale gli
agnelli venivano uccisi, che venivano quindi
“abbacchiati” (che oggi si usa anche per indi-
care una persona mesta e triste, proprio come
se stesse per essere condotta al macello).
Comunque lo si legga, il vocabolo è ormai
indissolubilmente legato alla tradizione gastro-
nomica laziale di Pasqua.
Affinché questa tradizione non si risolva in
una brutta esperienza - anche a livello econo-
L’abbacchio allo scottadito: il tipico piatto della cucina “romana”
82Gustare l’Italia
mico - il consiglio è quello di rivolgersi a quegli
allevatori e macellai che aderiscono al “Con-
sorzio di Tutela IGP Abbacchio Romano”.
Molte delle carni che nelle settimane prece-
denti la Pasqua compaiono miracolosamente
in grande quantità, nelle macellerie come negli
ipermercati, spesso non sono di agnello da
latte oppure provengono dall’estero (addirittu-
ra dalla Nuova Zelanda).
Il vero abbacchio romano proviene soltanto
da quegli allevatori che rispettano tutte le nor-
me previste dal Disciplinare del consorzio.
Quello dell’“Abbacchio Romano IGP” è un
consorzio giovane: dopo aver ottenuto il rico-
noscimento formale soltanto nel giugno del
2009, è stato ufficialmente istituito nell’agosto
dello stesso anno.
Al 31/12/2010 le aziende assoggettate alla
certificazione IGP erano 220, con oltre 45.000
capi certificati. Attualmente sono iscritti al
Consorzio oltre 80 allevatori e 10 tra macella-
tori e porzionatori.
Gli attori della filiera che possono aderire al
Consorzio sono infatti gli allevatori, tra i quali il
presidente del
Consorzio, Be-
nedetto Toc-
chi, i macella-
tori, i porzionatori
e i confezionatori.
La zona di produzio-
ne dell’“Abbacchio Ro-
mano IGP” comprende tutto
il territorio laziale, il quale, gra-
zie alla natura dei rilievi (vi si trovano
colline e monti calcarei e vulcanici), al li-
vello annuale delle precipitazioni e a una tem-
peratura media annuale variabile compresa tra
i 13 e i 16°C, offre condizioni ottimali per l’al-
levamento ovino di qualità.
Qui gli abbacchi, cioè gli agnelli da latte,
vengono nutriti con latte materno, con la pos-
sibilità dell’integrazione al pascolo con alimen-
ti naturali ed essenze spontanee, escludendo
in modo assoluto (anche per l’alimentazione
delle madri) l’utilizzo di sostanze di sintesi e
geneticamente modificati (OGM).
Non solo. Oltre alle forzature alimentari, gli
agnelli e le “pecore madri” non
sono soggetti nemmeno a stress
ambientali o sofisticazioni ormo-
nali finalizzate a un incremento
della produzione.
L’attenzione nei confronti degli
animali è tale che durante il pe-
riodo estivo si pratica la tradizio-
nale monticazione: le pecore e
gli agnelli vengono portati in al-
tura, di modo che da un lato
possano sfuggire alla calura esti-
va, e dall’altro che le pecore si
nutrano di foraggio fresco.
Non tutte le razze possono fre-
giarsi della denominazione di
“Abbacchio Romano IGP”, che è
infatti riservata esclusivamente
agli agnelli di entrambi i sessi na-
presidente del
Consorzio, Be-
nedetto Toc-
chi, i macella-
tori, i porzionatori
e i confezionatori.
La zona di produzio-
Abbacchio Ro-
comprende tutto
il territorio laziale, il quale, gra-
zie alla natura dei rilievi (vi si trovano
colline e monti calcarei e vulcanici), al li-
presidente del
Consorzio, Be-
nedetto Toc-
chi, i macella-
tori, i porzionatori
e i confezionatori.
La zona di produzio-
Abbacchio Ro-
comprende tutto
il territorio laziale, il quale, gra-
zie alla natura dei rilievi (vi si trovano
Gustare l’Italia83
ti e allevati allo stato brado e
semibrado, di razza Sarda,
Comisana, Massese, Meri-
nizzata italiana, e la pregiata
Sopravissana.
Se risulta sicuramente diffi-
cile per il consumatore verifi-
care che la carne che stanno
per acquistare provenga da
una delle razze citate, lo è
meno il riconoscerle dalle ca-
ratteristiche visibili della car-
ne stessa: quella dell’Abbac-
chio Romano si presenta
rosa chiaro di colore, con il
grasso di copertura bianco,
una tessitura fine, una consistenza compatta e
leggermente infiltrata di grasso.
Il suo sapore è delicato, e sprigiona gli odo-
ri tipici di una carne giovane e fresca. La pre-
senza di grasso, sia di copertura, sia infiltrato
è decisamente scarsa.
La carne viene commercializzata in tagli dif-
ferenti (intero, mezzena, spalla e coscio, co-
stolette, testa e coratella).
Una volta la carne d’agnello era consumata
quasi esclusivamente dalle persone dei ceti
popolari, che peraltro le rendevano onore cu-
cinando anche le interiora.
I nobili la trascuravano a favore di quella di
altri animali, su tutti il capretto, con qualche
eccezione eccellente; per Giovenale, per
esempio, l’agnello giovanissimo era: “il più te-
nero del gregge, vergine d’erba, più di latte ri-
pieno che di sangue”.
Da qualche tempo l’abbacchio è invece
molto apprezzato anche da chef rinomati, che
hanno inventato nuovi modi per cucinarlo, af-
fiancandoli a quelli più tradizionali.
Noi abbiamo chiesto qualche consiglio a
Severino Gaiezza, chef dell’“Enoteca Regio-
nale Palatium”, che ci ha regalato tre ricette di
piatti gustosissimi rigorosamente a base di
Abbacchio Romano IGP.
Il contrassegno del ConsorzioLa carne di Abbacchio Romano deve essere immessa al consumo provvista di contrassegno, costituito dal logo, a garanzia dell’origine e dell’identificazione del prodotto.Il logo è costituito da un quadrato composto da tre linee colorate (una verde, una bianca e una rossa), interrotto in alto da una linea ondulata rossa che si collega a un ovale rosso, contenente una testa di agnello stilizzata.In basso il perimetro è interrotto dalla scritta a caratteri maiuscoli rossi I.G.P. in basso, all’inter-no del perimetro quadrato, è riportata l’indicazione del prodotto “ABBACCHIO” in caratteri ma-iuscoli di colore giallo, e “ROMANO” a caratteri maiuscoli di colore rosso.
84Gustare l’Italia
Ricett
e
Ingredienti per 6 persone: 600 gr di cosciotto d’Abbacchio Roma-no IGP - 200 gr di pane raffermo - 200 gr di pecorino romano DOP - un uovo (si consigliano uova biologiche San Bartolomeo) - 30 gr di mentuccia romana - olio ex-travergine della Sabina DOP - no-ce moscata q.b. - sale q.b. - pe-pe q.b.
Preparazione: disossare il co-sciotto, tritare e aggiungere il pa-ne raffermo, i cubetti di pecorino romano, l’uo-vo, il trito di mentuccia, il sale, il pepe e la noce moscata. Confezionare le polpettine e friggerle nell’olio extravergine.
Ingredienti per la cicoria di contorno: 500 gr di cicoria di campo - 500 gr di brodo di carcasse di cosciotto d’abbacchio - un cucchiaio di con-centrato di pomodoro - un filetto d’acciuga sot-to sale dissalata - olio extravergine della Sabina DOP - uno spicchio d’aglio di Proceno - scaglie
Primo piatto: “Gnocchi di semolino alla romana con ragout d’abbacchio di Sopravissana e chips di carciofi di Ladi-spoli”
Ingredienti per 6 persone
Per gli gnocchi: 1 l di latte della Centrale del latte di Roma- 300 gr di semolino - 250 gr di pecorino di Picinisco - 6 tuorli d’uovo - 150 gr di olio extravergine d’oliva di Canino DOP - no-ce moscata q.b. - sale q.b.
Preparazione gnocchi: far bollire il latte con l’olio, sale e noce moscata, aggiungere il se-molino e cuocere per 5 minuti.
Togliere dal fuoco e aggiungere il pecorino e i tuorli d’uovo mescolando di tanto in tanto.
Antipasto: “Polpettine d’abbacchio di Sopravvissana, cicoria di campo di Sezze e marzolina del frusinate”
di formaggio marzolina - 2 gr di peperoncino fresco
Preparazione insalata: sbollentare la cicoria, scolarla, strizzarla e tritarla. In un pentolotto con olio extravergine fare sciogliere l’aglio trita-to, l’acciuga e il peperoncino, aggiungere la ci-coria, il concentrato di pomodoro e il brodo.
Portare a cottura in 5/6 minuti. Servire nei piatti fondi la zuppa di cicoria e adagiare le pol-pettine e finire con alcune scaglie di formaggio marzolina.
Gustare l’Italia85
Secondo piatto: “Costolette d’abbacchio alla scottadito intingolo di cacciato-ra e puntarelle alla romana”
Ingredienti per 6 persone: 18 costolette d’Abbacchio Romano IGP - 500 gr di puntarelle (cicoria catalogna) - 150 gr di salsa alla cacciato-ra (olio extravergine d’oliva, capperi, olive, salvia e rosmarino) - 100 gr di battuto per le puntarelle (alici, aceto, olio extravergine d’oliva, aglio)
Preparazione: cuocere le costolette d’ab-bacchio sulla griglia. Nel frattempo prepa-rare la salsa alla cacciatora con olio, ace-to, rosmarino, salvia e capperi.
Accompagnare le costolette con le pun-tarelle in insalata.
Versare il composto sul marmo, appiattirlo in uno spessore di 4 cm e con un coppapasta (dal diametro di 3 cm) ritagliare a formelle cilin-driche.
Ungere una pirofila di ceramica e posizionare gli gnocchi, cospargerli di pecorino e gratinare in forno già caldo per 15 minuti.
Servire gli gnocchi conditi con il ragout d’ab-bacchio e chips di carciofi.
Ingredienti per il ragout d’abbacchio: 500 gr di polpa d’Abbacchio Romano IGP - 500 gr di brodo di carne - 100 gr di sedano - 100 gr di carote - 50 gr di cipolla - uno spicchio d’aglio - 10 gr di timo - 10 gr di maggiorana - 6 carcio-fi - olio extravergine d’oliva di Canino DOPfecola di patate
Preparazione ragout: in una pentola capiente brasare gli odori tritati finemente, tagliare la pol-pa di abbacchio a cubetti e aggiungerla al trito, unire il brodo e profumare con il timo e la mag-giorana. Portare il tutto a cottura.
Nel frattempo ottenere le chips tagliando car-ciofi a lamelle, infarinandoli nella fecola di pata-te e friggendoli in olio extravergine d’oliva.
“Enoteca Regionale Palatium”Via Frattina 94 - 00187 Romatel. 06/69202132
ASSOCIAZIONE ITALIANA PAESI DIPINTIVia Magenta, 31- 21100 Varese
Tel. e Fax: 0332 [email protected] - www.paesidipinti.it
MURI D’AUTOREVia Magenta, 31- 21100 Varese
Tel. e Fax: 0332 [email protected] - www.muridautore.it
88Gustare l’Italia
di C
ino
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rto
rella “Dal Mago”
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lia
Il locale del quale vi parleremo è un clas-
sico esempio della disattenzione degli ispet-
tori delle guide; si tratta del ristorante “Dal
Mago” di Morro d’Alba, in provincia di Anco-
na, un delizioso borgo il cui centro storico è
un gioiello d’architettura, a pochi km dall’ae-
roporto di Falconara.
Questa rubrica è dedicata ai ristoranti immeritatamente ignorati o sottovalutati dalle varie Gui-
de; ve ne sono in tutte le regioni italiane ma la gran parte di loro sono del Sud, e la disatten-
zione nei loro confronti è da riferirsi a diversi motivi, il primo dei quali - forse - è dovuto al fatto
che quasi tutti i critici risiedono al Nord e arrivare a Castrovillari o a Putignano non è come an-
dare a Gallarate o a Busto Arsizio.
Noi di “Gustare l’Italia” ci siamo ripromessi di ovviare - per quanto ci sarà possibile - a questa
situazione; per riuscirci chiediamo la collaborazione degli amici lettori, che stanno diventando
sempre più numerosi anche sul nostro sito www.gustarelitalia.it. Segnalateci i ristoranti che a
vostro giudizio sono sottovalutati dalle guide e penseremo noi a dare loro il giusto riconosci-
mento attribuendogli, visto che soli, stelle e pianeti sono già tutti occupati, la nostra risplen-
dente luna di qualità.
Qualche anno fa, quando l’ho conosciuto
mi sono chiesto per quale motivo molti italia-
ni vanno all’estero alla ricerca di esotiche ter-
re lontane, quando a due passi da casa c’è
ancora tanto da scoprire.
Per ragioni di lavoro giro l’Italia da più di
quarant’anni, percorrendo migliaia di chilo-
Gustare l’Italia89
metri; pensavo di conoscere bene lo Stivale,
anche nei paesini più nascosti, eppure mi tro-
vo continuamente di fronte a sorprese spes-
so molto piacevoli.
Una terra della mia predilezione che crede-
vo non avesse per me più segreti è la regione
Marche, dove torno da anni con allegria per-
ché alla piacevolezza dei luoghi si unisce il
carattere della gente, generoso, gioviale, sin-
cero... gente per la quale, come nel paese so-
gnato da Zavattini, “buongiorno” vuol dire
davvero “buongiorno”.
Eppure mi è capitato di scoprire un paese
del quale ignoravo l’esistenza, gli esaltanti
prodotti della sua terra e un piacevole, gusto-
so e segreto ristorante, rifugio sicuro per
gourmet alla ricerca di una tavola dove poter
gustare antichi sapori e il bed&breakfast
“Shanti House”.
L’uno e l’altro appartengono alla famiglia di
Raoul Romiti, bizzarro e simpaticissimo pro-
prietario. Siamo alla quarta generazione dei
Romiti che hanno inaugurato la trattoria; ha
incominciato il bisnonno Giuseppe detto Pep-
petto alla fine dell’Ottocento, ha continuato il
nonno Spartaco che si è guadagnato dai
clienti il titolo di “Mago” per la sua allegria e
per l’eccellenza della cucina.
È toccato poi a Raoul e alla sua bella mo-
glie Lorena e sono già pronti Heidi e Loris, i
figli che, dopo alcune esperienze in giro per il
mondo, stanno per raccogliere il testimone
da mamma e papà.
Raoul, che per tutti è naturalmente il “Ma-
go”, si è ritagliato il compito di ricercare i pro-
dotti più esclusivi della sua terra dai contadini
della regione; ha creato catene di piccoli pro-
duttori che gli procurano i salumi, i formaggi,
la carne di favolosi polli, conigli e oche e, in
stagione, funghi e cacciagione che la signora
Lorena trasforma in manicaretti che non han-
no rivali nell’entroterra anconetano.
Da ottobre a maggio, per chi ama la cac-
ciagione, il “Mago” è un appuntamento irri-
nunciabile; un drappello di cacciatori batte la
campagna per fornire la cucina di lepri, per-
nici, tordi, beccacce, allodole...
In quel periodo non possono accedere alla
trattoria i vegetariani, le anime sensibili e gli
stomaci delicati. Non è la sola proibizione per
chi si avventura nell’antro del Mago; all’in-
gresso c’è un cartello in dialetto che vieta
tassativamente l’ingresso:
• A chi viene quà giusto pè fasse n’insalati-
na scondita e ‘n bicchiero d’acqua
(se state male state lì a casa).
• A tutti quelli strani che se fa le paranoie e
non se sa quel che vole
(gide dallo pissicologo).
• A quell’altri che non je va bè niente
(gide al mecchedonalde, che è tutta salute).
• Noi qua’, è quattro - dico quattro - gene-
razioni che damo da magnà li mejo cose in
assoluto. Quà se magna e beve come Dio co-
90Gustare l’Italia
manda. Ordunque, tutte ste gente particolari
meno ce viè, mejo è.
Sono soltanto due i vini che si bevono dal
Mago; la sua è l’unica trattoria dove un
gourmet raffinato non considera deplorevole
sentirsi chiedere: “bianco o rosso?” al mo-
mento di scegliere il vino.
Bianco o rosso dunque, ma bianco sta per
“Verdicchio” e rosso sta per “Lacrima”.
Entrambi scelti da Raoul tra quelli prodotti
nelle migliori cantine. Erano anni che avevo
smesso di bere il Verdicchio, perché ogni vol-
ta era un delusione: senza profumo, senza
corpo, senz’anima, un vino spesso anonimo,
inespressivo.
Poi ho assaggiato quello del “Mago”, che
gli arriva per vie misteriose da piccoli produt-
tori il cui nome non rivelerebbe nemmeno
sotto tortura, e mi si è rivelato in tutta la sua
fragranza: terso, vellutato, lucido, gagliardo,
ambra purissima, nato per accoppiarsi con
gli antipasti che inaugurano i pranzi della si-
gnora Lorena, un vino “ben bel po’ buono”,
come dicono gli anconetani per indicare
qualcosa di superlativo.
Ho gridato al miracolo. E non avevo ancora
assaggiato il Lacrima. È curioso che questo
vino sia stato a lungo ignorato anche dai più
attenti intenditori; l’incongruenza è forse giu-
stificata dal fatto che i vigneti sono frazionati
e limitati, i proprietari sono una cinquantina in
circa cento ettari, ognuno gelosissimo del
proprio prodotto e qualcuno addirittura restio
a venderlo.
D’altra parte chi può separarsi con legge-
rezza da un vino così?
Scriveva Omar Khaiam: “Mi chiedo con
stupore: i produttori di vino che cosa posso-
no comprare di meglio di quello che han ven-
duto?” E non conosceva il “Lacrima”.
È difficile da raccontare a chi non l’ha mai
assaggiato. Si può dire che è di un colore
rosso rubino, che ha un bouquet ampio e ric-
co di uva appena pigiata, fragrante, sensuale,
che è di sapore intenso e morbido, pieno e
armonico, allegro e vitale, che mantiene tutto
ciò che promette al primo respiro, appena
uscito dalla bottiglia e aggiunge poi altre sen-
sazioni che attengono al mondo dei sogni e
della magia.
Gustare l’Italia91
D’altronde questa è terra di magia: fino al
XIV secolo, durante il novilunio di Maggio, ar-
rivavano a Morro maghi e negromanti per
procurarsi il Lacrima, del quale si servivano
per fare filtri d’amore, elisir di lunga vita, rime-
di contro l’impotenza e la sterilità.
Al “Lacrima” venivano attribuite
anche qualità che assicuravano a
chi ne faceva un uso costante una
vecchiaia serena e attiva (da que-
ste parti c’è ancora oggi la più alta
percentuale di ultranovantenni lu-
cidi e operosi).
“Dal Mago” non esiste il menù; i
piatti vengono proposti da Raoul
col suo divertente accento mar-
chigiano. Quelli che vengono sug-
geriti sono in assoluto i migliori di
tutta la provincia: i “Tagliolini” fatti
rigorosamente in casa come li fa-
ceva la nonna e poi la mamma di
Raoul, i “Ciavattoni al pepe del
Mago” succulenti, superbi, le
“Mezzemaniche con salsiccia e fa-
gioli”, i “Rigatoni di Lallì”, i “Tortel-
loni giganti cacio e pepe” e, natu-
ralmente, la succulenta polenta
alla marchigiana, che in autunno e in inverno
accompagna strepitosi arrosti di cacciagione.
“Marchescià magna pulenta” (marchigiani
mangia polenta), recita del resto un detto
dell’Italia Centrale.
Non sono proprio piatti leggeri e per animi
sensibili e delicati ma per un gastronomo sa-
rebbe un delitto che grida vendetta non aver
gustato almeno una volta il “Galletto in potac-
chio” del Mago. Viene cucinato in tre versioni:
col galletto, col coniglio o - sublime - con i
capponi che prepara una contadina della
campagna circostante.
Va da sé che il vino da abbinarvi non può
che essere il Lacrima e mai matrimonio sarà
stato più armonioso. Il Mago se lo procura
dai suoi misteriosi fornitori senza nome tran-
ne uno: l’Azienda Badiali che produce il
“Paucca”, nome dialettale dell’upupa, ritenu-
to qui un uccello magico.
È un vino che raggiunge, e a volte supera, i
14 gradi, ma lo senti sempre giovane e fra-
92Gustare l’Italia
grante; nasce ed è subito perfetto così
che alla luna di marzo la sua maturità è
completa e per tutto l’anno mantiene
inalterata la piacevolezza della gioventù.
Il suo colore è un viola abissale come
forse sono le acque del Lete; quando lo si
beve, dopo il terzo bicchiere si dimenti-
cherà ogni tormento, ogni angoscia, ogni
sia pur lieve contrarietà, e ci si potrà libra-
re nell’aria come le creature di Chagall.
Per trascorrere la notte allo “Shanti
House” non occorre però arrivarvi in vo-
lo. Il “Mago” è sempre pronto infatti a tra-
sportarvi con la sua Land Rover per coprire le
poche centinaia di metri che separano la trat-
toria dal b&b.
È stata Heidi a volerla chiamare con la pa-
rola indiana che significa “serenità”, ed è il
nome più appropriato perché qui dovunque si
respira pace e tranquillità.
È un luogo perfetto per la meditazione e
per la contemplazione, ma soprattutto per
l’amore. Sarebbe quasi delittuoso essere soli
in questo luogo: la felicità
non deve essere vissuta in
solitudine.
Byron ha scritto: “Chiun-
que voglia conquistare il pia-
cere deve spartirlo con altri,
la felicità è nata gemella.”
La villa, sospesa nel silen-
zio e circondata dai vigneti,
si trova al centro di una val-
lata che da una parte arriva
fino alle pendici del monte
Conero e dall’altra alle prime
case dell’abitato di Morro,
senza che nulla ne turbi l’ar-
monia e l’incanto.
È la realizzazione del so-
gno di Heidi, una creatura
bella e solare come la mam-
ma, allegra e spiritosa come il padre. Se gli
ospiti sono due innamorati sarà lei che li ac-
compagnerà in una delle belle e accoglienti
camere del relais, dove trascorreranno una
notte indimenticabile.
Per propiziarla farà trovare accanto al letto
un vino da meditazione scelto dal Mago; è
ancora un “Lacrima” nella versione “vino di
visciole” che si ottiene facendo macerare ci-
liege selvatiche - visciole, in dialetto - nel vino
durante la fermentazione. Si crea così un li-
Gustare l’Italia93
quore dal sapore antico, sensuale, penetran-
te, un vino d’amore per trascorrere una notte
“ben bel po’’ straordinaria.
A questo punto ritorno all’inizio di questo
articolo e mi chiedo: è possibile che un loca-
le come questo sia ignorato dalle guide? E
non solo da una o due, ma da tutte, proprio
tutte le più importanti che coprono l’intero
territorio nazionale. È possibile che “Dal Ma-
go” con la sua cucina, con il delizioso
bed&breakfast a pochi passi dal borgo non si
meriti, non dico stelle o soli, ma nemmeno
una misera forchetta, un piccolo gamberetto,
un cappello?
Vado a vedere com’è la situazione a La
Morra d’Alba, in provincia di Cuneo, paese
che ricorda molto il quasi omonimo marchi-
giano (anche il prefisso è quasi uguale, 0173
per La Morra e 0731 per Morro d’Alba).
Entrambi alti sulla collina e circondati da vi-
gneti di vini favolosi. A La Morra sono segna-
lati 3 ristoranti: Belvedere, Bovio e Vineria del
Barolo. A Morro niente.
Per i severi giudici delle guide italiane il ri-
storante “Dal Mago” semplicemente non esi-
ste, e se esiste è paragonato a una banalissi-
ma Pensione Aurora e non è degno nemmeno
di un piccolo cenno.
Mi rifiuto di pensare che un critico gastro-
nomico si sia recato dal “Mago”, abbia as-
saggiato i suoi salumi e i suoi formaggi scelti
con attenzione maniacale, si sia fatto servire
i “Ciavattoni al pepe”, il “Galletto in potac-
chio” o le “Mezzemaniche con salsiccia e fa-
gioli” e non li abbia giudicati degni di una
menzione; mi rifiuto di cre-
dere che dopo aver dormi-
to (magari non da solo) in
una delle deliziose stanze
della “Shanti House” im-
merse nel silenzio assoluto,
non l’abbia ritenuta degna
di essere segnalata a turisti
innamorati…
Per fortuna ci siamo noi
di “Gustare l’Italia” pronti a
intervenire e a dare a Cesa-
re quel che è di Cesare, a
Raoul quel che è di Raoul:
ecco dunque anche per lui,
Lorena, Heidi e Loris la no-
stra luna, luminosa e scin-
tillante come gli occhi degli
innamorati...
94Gustare l’Italia
Libri
da m
angi
are
di A
less
and
ro M
ilani
È inutile stare tanto a girarci intorno: l’Unità
d’Italia si è fatta a tavola. Mangiando e beven-
do il conte Camillo Benso di Cavour strinse al-
leanze, intrecciò le sue trame, stipulò patti e
accordi più o meno segreti.
A tavola Garibaldi riceveva a Caprera gli
ospiti italiani e stranieri che gli facevano visita
per proporgli di organizzare rivoluzioni nei vari
Mondi nei quali fu eroe.
A tavola gli italiani hanno imparato a cono-
scersi, dopo che le battaglie e le diplomazie
ebbero sancito l’unità territoriale del Paese.
Già, perché gli italiani prima non si conosce-
vano affatto tra loro, e gli scambi, anche quelli
culinari tra le tradizioni delle diverse regioni,
erano ridotti al minimo, e riguardavano solo al-
cuni ceti sociali.
Sono stati per primi i Mille di Garibaldi a ca-
pire che fuori dai confini lombardo-veneti e
piemontesi esistevano piatti, vini e sapori del
tutto inediti e straordinari, spesso inebrianti.
Ecco dunque l’idea di “Qui mangiava Gari-
baldi”, una - come recita il sottotitolo - “guida
eno-gastro-bellica al Risorgimento”.
I personaggi dell’epopea risorgimentale,
scelti per importanza e cercando di rappresen-
tare quante più regioni italiane possibili, ven-
gono visti attraverso il loro ruolo nell’opera di
unificazione politica del Paese, ma anche alla
luce di aneddoti legati al cibo, alle proprie pre-
ferenze e abitudini culinarie, spesso figlie
dell’area geografica di provenienza.
Si scopre così che Cavour fu, oltre che
un’ottima forchetta, anche uno degli “invento-
ri” del Barolo, oggi una delle DOCG italiane
d’eccellenza mondiale, che Vittorio Emanuele
aveva modi piuttosto rudi, anche a tavola, do-
ve apprezzava i sapori rustici piemontesi, che
Mazzini mangiava poco per poi ingozzarsi di
dolci (dei quali inviava le ricette alla madre),
che Garibaldi era astemio, che Ferdinando di
Borbone conosceva quasi per nome tutti i pro-
pri sudditi napoletani, soprattutto i contadini,
con i quali si fermava spesso ad assaggiare i
“prodotti” del suo regno.
Qui mangiava GaribaldiGuida eno-gastro-bellica al Risorgimento
Gustare l’Italia95
In ogni capitolo, alla biografia del personaggio
segue un itinerario risorgimentale nella città o
nella zona dove egli ha vissuto, per riscoprire le
tracce del Risorgimento presenti ancora oggi.
Fin qui la storia, a volte aneddotica e quasi
romanzata, sorta subito dopo l’Unità per cele-
brarne gli eroi (o per raccontare a tinte più fo-
sche i nemici) e renderli più vicini al popolo.
Oltre alla storia c’è però anche la cucina, che
è più viva e presente che mai: da qui i prodotti
e le ricette dei piatti che, regione dopo regione,
vengono raccontati indugiando su quelli giunti
fino a noi praticamente identici, o su quelli che
hanno a loro volta una storia
degna degli eroi risorgimen-
tali: dal pesto alla genovese
al risotto alla milanese, dalle
crescentine all’acquacotta,
dagli spaghetti alla carbona-
ra alla pasta con le sarde.
Piatti e storie tutt’altro che
banali.
E infine - come poterne
fare a meno? - in ogni capi-
tolo le segnalazioni dei lo-
cali che ancora adesso per-
mettono di assaporare
queste specialità; locali storici perché magari
sono gli stessi che già esistevano al tempo dei
fatti narrati, o perché meglio di altri hanno sapu-
to e sanno interpretare i piatti della tradizione e
permettono, ogni giorno, che essa sia ancora
viva e continui a celebrare l’Unità nazionale.
A tavola. Dove altrimenti?
Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Camillo Benso Conte di Cavour
Il calendario dell’anno 1861
“Qui mangiava GaribaldiGuida eno-gastro-bellica al Risorgimento”A cura di: Paolo PaciEdizione: De AgostiniPagine: 284 - Prezzo: € 14,00
96Gustare l’Italia
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Cuochi della domenica - Viaggio verso casa tra ricette e coloriDal centro diurno per persone senza dimora “Binario 95” di Roma nasce questo ricettario che racco-
glie venti proposte gastronomiche di facile preparazione e tre a contenuto speciale, tra le quali una
donata dal famoso chef siciliano Filippo La Mantia.
La gastronomia, in questo caso, è il pretesto per ricordare quanto sia
importante il concetto di casa per una persona che vive per strada.
L’idea di un libro di ricette, sperimentate all’interno di un centro di
accoglienza, nasce dalla constatazione che una persona senza fissa
dimora, oltre ai bisogni primari, necessita di specifici momenti per
rimettersi in connessione con una vita “normale”, fatta di relazioni,
gusto e sensibilità.
Un momento a tavola è, per eccellenza, simbolo quotidiano della
convivialità, della socializzazione e dell’unità familiare. La ricetta di
una vita felice, che chiude il libro, strappa una riflessione necessa-
ria sui diritti inalienabili che ogni uomo dovrebbe avere per natura,
e che spesso non vengono riconosciuti.
Cuochi della domenica può essere acquistato online sul sito www.ecedizioni.it. La casa editrice
lancia, per questo prodotto, un nuovo modo di sostenere la cultura e il sociale: con “Offerta Libra”
è il lettore a decidere il prezzo di vendita. E chi non sarà soddisfatto verrà rimborsato.
Edizione: EC Edizioni - Pagine: 192 - Prezzo: € 9,90
Pane, dolci e biscotti - Leila LindholmL’autrice è una cuoca di enorme successo e carisma.
In questo libro, adatto sia al principiante, sia all’esperto, rivela più di
200 delle sue ricette preferite, dai biscotti, cupcakes, crumble e tor-
te di compleanno ai panini dolci, dal tipico pane croccante della
Svezia alle confetture da spalmarci sopra.
Edizione: Il Castello - Pagine: 224 - Prezzo: € 22,00
Pane, pizza e torte - Leila LindholmDella stessa autrice, questo utilissimo volume vi mostrerà come pre-
parare in casa il pane, la pizza e la pasta fresca, dall’inizio alla fine,
utilizzando il lievito naturale. Inoltre svela un sacco di suggerimenti
per chi vuole scoprire e imparare trucchi preziosi, sia per cuochi
esperti, sia per i principianti assoluti.
Il volume raccoglie più di 150 ricette per ogni occasione, per quel-
lele volte che vi sentite ispirati e per ogni giorno dell’anno.
Edizione: Il Castello - Pagine: 224 - Prezzo: € 22,00
98Gustare l’Italia
Indice
dell
e ric
ette
di a
prile
29 Ravanelli al burro per antipasto
Insalata risorgimentale
31 Risotto rosa - Profiterol alle fragole
84 Polpettine d’abbacchio di Sopravvissana, cicoria di campo di Sezze e marzolina del frusinate
Gnocchi di semolino alla romana con ragout d’abbacchio di Sopravissana e chips di carciofi di Ladispoli
85 Costelette d’abbacchio alla scottadito, intingolo di cacciatora e puntarelle alla romana
29 31
29
84-85
www.gustarelitalia.it
www.restipica.net
L’Associazione Res Tipica è stata creata dall’ANCI nel 2003 per promuovere in Italia e nel mon-do le identità territoriali e ad oggi riunisce 27 Associazioni di Identità, 1.842 Comuni, 4 Unioni di Comuni, 40 Province, 2 Regioni, 51 Comunità Montane, 8 Enti Parco, 8 Strade del Vino, 11 Camere di Commercio, per un totale di quasi 2000 Enti locali.
Il network, rivolto principalmente ai Comuni di piccole e medie dimensioni, intende preserva-re e favorire l’immenso patrimonio che incorpora i saperi delle comunità, le caratteristiche dell’ambiente e le produzioni tipiche, trasformando questo grande capitale culturale e socia-le in qualità della vita e in occasioni di sviluppo sociale ed economico rispettoso dei valori e della cultura locale.
ASSOCIAZIONE ITALIANA PAESI DIPINTI
Tonno ColimenaUnico, inimitabile, pugliese...
Colimena s.r.l. - Z.I. - Avetrana (Ta) - Tel. 099 - 9707955Filiale: Brugherio (Mb) - Via Manin, 49 - Tel. 039 - 878598www.tonnocolimena.it - [email protected]
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(7 - 11 Aprile)Pad. C - Box 1c