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–––––––––––––––––––––––––––––– ALFABET ALFABETI SPIRITUALI I SPIRITUALI –––––––––––––––––––––––––––––– Humanitas 65(5-6/2010) 810-830 ROSA MARIA PARRINELLO GLI ALFABETI SPIRITUALI TRA MEDITAZIONE MISTICA E STORIA COMPARATA DELLE RELIGIONI Premessa «Le lettere sono le guide rituali dei linguaggi e testi- moniano di ciò le lingue dei custodi. Ruotano in virtù loro le sfere nel Suo Reame fra i dormienti muti e i veglianti. Le ho colte in un istante, pronunciando i no- mi del loro essere enti esistenti. È quindi cominciata la magnificazione con questa osservazione, sì che po- tresti dire: “Se non fosse per il flusso del Mio divenire non avrebbero avuto inizio, con la Parola, le realtà dei linguaggi”» (Ibn ‘Arabî, Rivelazioni meccane , cap. II) Le pagine che seguono sono il tentativo di tracciare le linee generali di riferimento e di mettere in luce i nodi fondamentali, senza pretese di esau- stività, di uno degli aspetti in assoluto più affascinanti e connotativi delle religioni antiche e tardoantiche, con importanti e significativi sviluppi tra medioevo ed età moderna anche tra le religioni abramiche: si tratta della valenze mistiche, spirituali e simboliche spesso cifrate –, attribuite alle let- tere dei differenti alfabeti. Inoltre gli alfabeti spirituali appaiono un esem- pio di sapienza condivisa e costituiscono così un tipico e fecondo – per quanto finora largamente inesplorato – oggetto di studio nella prospettiva della storia comparata delle religioni. In via preliminare, infine, occorre an- cora osservare che non è possibile, in questa sede, affrontare molti interro- gativi ancora aperti in merito ai problemi di definizione tipologica e concet- tuale relativi agli alfabeti spirituali, che vengono qui considerati secondo una prospettiva generale e introduttiva 1 . –––––––––––––––––– 1 È assente, ad esempio, l’hinduismo in cui, se la forma grafica dei suoni non è mai stata oggetto di speculazione filosofica, lo è stata la loro sostanza fonica, tra l’altro in tempi recenti. Non esiste nessuna scuola antica che si sia occupata del simbolismo del segno, men- tre abbonda il simbolismo del suono (ringrazio Alberto Pelissero per queste indicazioni).

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–––––––––––––––––––––––––––––– ALFABET ALFABETI SPIRITUALII SPIRITUALI––––––––––––––––––––––––––––––

Humanitas 65(5-6/2010) 810-830

ROSA MARIA PARRINELLO

GLI ALFABETI SPIRITUALI TRA MEDITAZIONE MISTICAE STORIA COMPARATA DELLE RELIGIONIPremessa

«Le lettere sono le guide rituali dei linguaggi e testi-moniano di ciò le lingue dei custodi. Ruotano in virtùloro le sfere nel Suo Reame fra i dormienti muti e iveglianti. Le ho colte in un istante, pronunciando i no-mi del loro essere enti esistenti. È quindi cominciatala magnificazione con questa osservazione, sì che po-tresti dire: “Se non fosse per il flusso del Mio divenirenon avrebbero avuto inizio, con la Parola, le realtà deilinguaggi”»

(Ibn ‘Arabî, Rivelazioni meccane , cap. II)

Le pagine che seguono sono il tentativo di tracciare le linee generali di

riferimento e di mettere in luce i nodi fondamentali, senza pretese di esau-stività, di uno degli aspetti in assoluto più affascinanti e connotativi dellereligioni antiche e tardoantiche, con importanti e significativi sviluppi tramedioevo ed età moderna anche tra le religioni abramiche: si tratta dellavalenze mistiche, spirituali e simboliche – spesso cifrate –, attribuite alle let-tere dei differenti alfabeti. Inoltre gli alfabeti spirituali appaiono un esem-pio di sapienza condivisa e costituiscono così un tipico e fecondo – perquanto finora largamente inesplorato – oggetto di studio nella prospettivadella storia comparata delle religioni. In via preliminare, infine, occorre an-cora osservare che non è possibile, in questa sede, affrontare molti interro-gativi ancora aperti in merito ai problemi di definizione tipologica e concet-tuale relativi agli alfabeti spirituali, che vengono qui considerati secondouna prospettiva generale e introduttiva1.

––––––––––––––––––1 È assente, ad esempio, l’hinduismo in cui, se la forma grafica dei suoni non è mai

stata oggetto di speculazione filosofica, lo è stata la loro sostanza fonica, tra l’altro in tempirecenti. Non esiste nessuna scuola antica che si sia occupata del simbolismo del segno, men-tre abbonda il simbolismo del suono (ringrazio Alberto Pelissero per queste indicazioni).

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Parrinello – Alfabeti spirituali, mistica e storia delle religioni 811

1. Alle srcini degli alfabeti spirituali

La valenza mistica, sovente legata al carattere esoterico dell’alfabeto,è strettamente connessa alla sua srcine mitico-divina: secondo la mitologiaegiziana, ad esempio, è il dio Thoth ad aver scoperto la scrittura, concezionepoi diffusasi nel pensiero occidentale grazie a Platone (Fedro 274c)2. Anchela tradizione biblica, con Esodo 31, 18 e 32, 15-16, mostra Dio che scrive

le due tavole della Legge in pietra che dà a Mosè: memoria, questa, dellascrittura sinaitica, antenata dell’alfabeto fenicio. Il Sinai è, infatti, secondouna tradizione storiografica ormai consolidata3, luogo centrale per la nascitadell’alfabeto ebraico, dal quale poi, per mediazione fenicia, i Greci avreb-bero mutuato il sistema del proprio alfabeto4.

La tradizione giudaica postbiblica attribuisce invece ad Adamo ed Enoctanto la scoperta dell’alfabeto, quanto di magia, alchimia, astrologia. I Gre-ci generalmente non attribuiscono il loro alfabeto agli dèi: molti, come adesempio Erodoto (Storie V, 58), furono consapevoli del fatto che esso avesseun’srcine specificamente fenicia, collegata all’eroe culturale Cadmo; altri,come si è già detto, ne attribuivano l’invenzione agli Egizi, specie in età el-lenistica. Nella tradizione nordica, Odino, re degli dèi, è lo scopritore – e nonl’inventore – dell’alfabeto runico: le rune sono dotate di un potere sovran-naturale e Odino, come Hermes, Thoth ecc., è il dio della magia.

Le tradizioni cristiane, inoltre, attribuiscono molti alfabeti nazionali asanti e missionari: basti citare Ulfila, che ideò una scrittura per i Goti e tra-dusse la Bibbia nella loro lingua, Cirillo e Metodio, che “inventarono” il ci-rillico e tradussero le Scritture in slavo, nonché san Mesrop Mashdotz, che“inventò” tre scritture: una per la sua nativa Armenia, usata ancora oggi;una per l’estinto Alwan e, infine, quella di una lingua caucasica oggi parlatain Azerbaijan.

La speculazione mistica sull’alfabeto e le sue lettere ha sostanzialmentedue fonti: la prima è il Vicino Oriente e l’Egitto, la seconda è la tradizione

––––––––––––––––––2 J.-Ch. Billigmeier-P.J. Burnham, Alphabets, in L. Jones (ed.), Encyclopedia of Re-

ligion. Second Edition, Macmillan, Detroit 2005, vol. I, coll. 269-274 (M. Eliade [ed.], TheEncyclopedia of Religion, Macmillan, New York 1987).

3 M. Sprengling, The Alphabet. Its Rise and Development from the Sinai Inscriptions,University of Chicago Press, Chicago 1931.

4 Ne è una prova la somiglianza tra alef , beth e alpha, beta ecc. Cfr. J. Naveh, Early History of the Alphabet. An Introduction to West Semitic Epigraphy and Palaeography,Magnes Press-Hebrew University-Brill, Jerusalem-Leiden 1982; B. Sass , Studia alphabe-tica. On the Origin and Early History of the Northwest Semitic, South Semitic and Greek

Alphabets, Universitätsverlag, Freiburg (Schweiz)-Göttingen 1991.

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pitagorica magno-greca. Nel complesso sistema pitagorico hanno un ruolocentrale i numeri, espressi con lettere dell’alfabeto e sottostanti all’universofenomenico. Gli intervalli principali della scala musicale potrebbero essereespressi da proporzioni aritmetiche. Dalla speculazione della scuola pita-gorica probabilmente deriva la scala delle sette note: infatti, come ha messoin evidenza Michela Zago nel primo saggio, le note, le lunghezze, i timbrisono espressi in greco per il tramite di un sistema modellato sulle venti-

quattro lettere dell’alfabeto. Il papiro bilingue di Londra e Leida e i fram-menti Michigan e Oslo costruiscono le rispettive crittografie sul modellodell’alfabeto musicale greco. Pensatori più tardi collegarono i sette toni coni sette pianeti conosciuti (di qui l’espressione «musica delle sfere»), i settegiorni della settimana e le sette vocali dell’alfabeto greco. Fu Platone a pre-parare il terreno intellettuale per il misticismo di numeri e lettere, che “esplo-se” in età ellenistica, a contatto con filosofie e religioni orientali.

Il misticismo delle lettere include diversi tipi di speculazioni associatecon le forme delle lettere; il significato delle varie vocali, consonanti, sil-labe, enigmi connessi con il sistema alfabetico. Tali speculazioni includonoil numero delle lettere nell’alfabeto, il nesso tra lettere e costellazioni; nu-merologia alfabetica; caratteristiche simboliche delle lettere.

Prima di vedere in breve i vari tipi di speculazione sulle lettere, occor-re spendere qualche parola sul ruolo dell’alfabeto nel mondo ellenistico-ro-

mano, all’interno della vita scolastica e delle forme di apprendimento5: laconoscenza dell’alfabeto è il punto di partenza per apprendere tutto il resto,è il fondamento della paideia. Nell’Egitto romano l’esercizio tipico dellostudente era quello di scrivere su un ostrakon due alfabeti, uno nell’ordineregolare e uno nell’ordine inverso, appaiando la prima lettera all’ultima, laseconda con la penultima e così via. Esistevano anche degli scioglilingua(calinov~,calinov~, chalinós) che consistevano in alfabeti con un ordine alla rinfusache univano insieme lettere difficili da pronunciare: esempio ne è la parolaKNAXCBIKNAXCBI, alla quale Merkelbach ha dedicato un celebre articolo6: queste“parole” sono confluite nel lessico di Esichio con pseudo-significati. L’im-portanza data all’alfabeto nell’apprendimento dei fanciulli da parte dei mae-stri è giustificata dal fatto che l’alfabeto è impiegato come strumento mne-monico, in una società in cui la memoria è la fondazione di ogni conoscenza.La memoria è dunque il magazzino dell’educazione: ordini alfabetici e nu-

––––––––––––––––––5 R. Cribiore, Gymnastics of the Mind. Greek Education in Hellenistic and Roman

Egypt , Princeton University Press, Princeton-Oxford 2001, pp. 164-167.6 R. Merkelbach, KNAXCBI -Milch, in «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik»

61(1985), pp. 293-296.

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merici sono gli strumenti utilizzati per organizzare materiali mentali, concet-ti e argomenti7. Le massime che gli studenti dovevano memorizzare e copiarelettera per lettera erano spesso organizzate in alfabeti acrostici: i sillabaricombinavano le vocali con ciascuna consonante a turno e serie fatte dicombinazioni multilaterali richiedevano una certa abilità per giocare con lelettere. Allo stesso modo le liste di parole che gli studenti dovevano scriveree leggere erano spesso incluse in liste alfabetiche: i maestri fornivano sotto

ciascuna lettera parole che erano prese da differenti contesti, e le cui inizialierano il solo segno che esse appartenevano a specifiche categorie. Così lelettere che distinguevano ciascuna serie e il numero delle voci incluse inciascuna lista erano usate come strumenti mnemonici8. Alcune di questetecniche sembrano essere alla base, come diremo più avanti, anche del siste-ma cifrato delle lettere pacomiane.

Sicuramente un tipo di speculazione molto importante è quella sullaforma delle lettere. Nel sistema greco Pitagora stesso sembra aver usato la

ypsilon per simboleggiare ciò che è inizialmente simile, ma da ultimo radi-calmente divergente, come ad esempio modelli di vita virtuosi e malvagi.Proclo negli scoli al Timeo di Platone (3.225), definisce la ypsilon il gravgravmmammafilosovfilosovfwnfwn (grámma philosóphon), la lettera del filosofo: analogamente la

psi su un rilievo attico rappresenta il pensiero aureo seguito dal filosofo,che evita gli estremi. Ancora, la lettera lambda della dinastia dei Labdacidi

starebbe a indicare la deformità del loro aspetto fisico. La epsilon, se giratasul suo dorso, assomiglia a una scala e rappresenta la giustizia. Nel sistemamilesio, inoltre, la epsilon rappresenta il numero cinque e, poiché è interme-dia tra la alpha = 1 e la theta = 9, significa equilibrio. Questo tipo di rifles-sione si collega anche alla funzione sapienziale delle lettere: in Plutarco, adesempio, si coniugano tradizione mistica e meditazione sulle lettere, comeè dato di leggere nella discussione sulla epsilon di Delfi ( De E apud Del-

phos). Si dice che la epsilon ha un carattere sacro, data la sua collocazioneprivilegiata ed esclusiva accanto al dio, al rango di un’offerta sacra e di unoggetto di contemplazione. Il dialogo fra i filosofi narrato dall’opera si svol-ge prendendo in esame una serie di proposte di spiegazione della lettera:secondo i sacerdoti di Delfi è la forma caratteristica della relazione con ildio, e occupa il primo posto nelle domande di chi viene a consultarlo. Corri-sponde dunque alla congiunzione ipotetica eijeij (ei, «se») «perché Apollo con-

––––––––––––––––––7 M. Carruthers, Machina memorialis. Meditazione, retorica e costruzione delle im-

magini (400-1200), Edizioni della Normale, Pisa 2006.8 R. Cribiore, Writing, Teachers and Students in Greco-Roman Egypt , Scholars Press,

Atlanta 1996, pp. 316 e 390.

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sidera reali tutte le richieste introdotte da quella congiunzione». Un altrosapiente ritiene invece che la epsilon non sia diversa dalle altre lettere nelsignificato, nell’aspetto e nella pronuncia, ma che meriti il posto d’onorecome simbolo del cinque, che i Pitagorici hanno chiamato matrimonio per-ché nasce dalla somma del primo numero maschio (il tre) con il primo nu-mero femmina (il due). Secondo Ammonio la lettera epsilon non esprimené un numero, né una serie, né una congiunzione, ma è un modo perfetto e

compiuto di rivolgersi al dio e di invocarlo, che insieme all’atto stesso dellaparola conferisce a chi la pronuncia la comprensione della potenza divina.Il detto gnw`gnw`qi sautovqi sautovnn (gnôthi sautón, «conosci te stesso») è una formula disaluto del dio, cui si risponde dicendogli ei\ei\ (êi, «tu sei, esisti»): il dio esistenon nel tempo, ma nell’eternità immobile, ed essendo unico abbraccia l’eter-nità. Dunque questo ex-voto offerto al dio deve ricordarci che lui solo pos-siede la pienezza dell’essere perché si sottrae alle vicissitudini del tempo, ri-volgendosi con timore e rispetto al dio, laddove il «conosci te stesso» ram-menta all’uomo la debolezza della sua natura9.

Anche i primi cristiani videro un significato religioso nelle forme dellelettere greche. La alpha e la delta, entrambe con tre linee, rappresentano laTrinità, la Tau la croce, come ha messo in evidenza Luciano di Samosata( Lis consonantium 61). La theta è il mondo, poiché è un cerchio con un equa-tore. Isidoro di Siviglia combina simbolismo cristiano e pitagorico quando

dice che alpha-theta-tau- ypsilon-omega sono mistiche. Queste speculazioniè dato ritrovarle nella tradizione giudaica: nello Zohar la lettera he è chia-mata heikhal, palazzo, tempio, perché la sua forma suggerisce questo.

Presso i Greci, a partire dall’epoca ellenistica, furono soprattutto le vo-cali a essere al centro delle speculazioni mistiche, anche perché il loro esseresette rimandava ai sette pianeti. Nei papiri egiziani copti e greci le vocali fu-rono ritenute dotate di un grande potere e usate per invocare gli dèi; addirit-tura certe combinazioni di vocali sembrarono così potenti da creare dèi. Laprima, la terza e l’ultima vocale, cioè alpha , iota e omega, erano le primelettere della parola aijwvaijwvnn (aión); movendo la iota in prima posizione si haIao, identificato con Yahu, una forma breve del nome onnipotente YHWH. Ilmagico Ottavo Libro di Mosè, in ebraico, dice che il nome Iao è così potenteche Dio arriva all’esistenza per la sua eco. Una formula ripetuta è «Ton IaoSabaoth Ton Adonai», dove Iao e Adonai sono epiteti di YHWH. Le sette vo-

––––––––––––––––––9 Testo greco del De E apud Delphos in Plutarchus, Moralia, vol. III, a cura di W.R.

Paton, M. Pohlenz e W. Sieveking, Teubner, Leipzig 19722, pp. 1-24; tr. it. Plutarco, Dialo-ghi delfici, Adelphi, Milano 1983, pp. 133-160.

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cali, inoltre, spesso sono state equiparate alle sette sfere planetarie: ClementeAlessandrino afferma che le vocali sono i suoni dei pianeti, donde la alpha eomega dell’ Apocalisse. Le ventiquattro lettere dell’alfabeto greco corrispon-dono alle ventiquattro ore del giorno e della notte, che sono il doppio delnumero dei mesi nell’anno. I filologi alessandrini divisero l’ Iliade e l’Odis-sea in 24 libri, ciascuno indicato con una lettera (con valore numerico).

Le consonanti giocarono un ruolo minore nel misticismo magico greco:

le diciassette consonanti rappresentano i dodici segni dello zodiaco più icinque elementi. I nomi dei cinque elementi ajajhvhvrr (aér , «aria»), u{u{dwrdwr (h ýdor ,«acqua»), pu`rpu`r ( pyr , «fuoco»), aijaijqhvqhvrr (aithér , «etere»), gh`gh` e (ghê, «terra»),furono scritti con cinque consonanti (gdqprgdqpr) e cinque vocali (aeiuoaeiuo). Leventiquattro lettere dell’alfabeto greco furono assegnate a coppie ai dodicisegni dello zodiaco: Ariete = alpha-ny; Toro = beta-csi; Gemelli = gamma-omicron ecc.). Le sillabe possono ottenere incantamenti magici o possederepotere taumaturgico (ad esempio, il set di sillabe come psi-alpha per lo scrit-tore medico Marcello Empirico). A questa medesima tipologia possiamo ri-condurre la tradizione magico-ermetica degli ojojnovnovmatamata barbarikavbarbarikav (onómatabarbariká), i «nomi barbari» dei Papiri Magici, su cui si concentra appuntoil contributo di Michela Zago. I «nomi barbari» sono in molti casi il fruttodi una babele linguistica, che ricorre a diversi sistemi (ebraico, egiziano,greco, copto ecc.), e li fonde in neologismi, formando una lingua artificiale,

ritenuta incomprensibile salvo agli dèi e ai mediatori del sacro. Consideratadi srcine divina, questa lingua è, in realtà, un prodotto umano, elaborato daspecialisti del sacro dotati di notevoli competenze linguistiche. I nomi bar-bari sono una sorta di impalcatura delle procedure rituali in cui si inserisconoe di cui definiscono architettura e logica di costruzione. Nell’àmbito dellepreghiere accelerano l’accesso alla divinità e rispondono a una grammaticasintattica di cui occupano i gruppi nevralgici. Essi sono talvolta qualificaticome simboli mistici che la divinità riconosce come immagine di sé, dispo-nendosi a manifestarsi nella corrispondente procedura rituale. A fianco deinomi barbari, Michela Zago indaga anche i cosiddetti carakth`carakthre~re~ (chara-ktêres), i caratteri, sequenze di segni incomprensibili che costituiscono unsistema di scrittura le cui modalità di impiego sono molteplici: isolati, unitia sequenze di vocali e di nomi barbari, inseriti in disegni. Il loro uso è stret-tamente rituale, legato com’è alle invocazioni in pratiche di carattere divina-

torio, ma resta rigorosamente scritto; il loro statuto è legato in modo indis-solubile al supporto materiale che li accoglie e costituiscono un alter egodella scrittura geroglifica egiziana, di cui sopravvalutano il carattere ideo-grafico rispetto a quello fonetico. Straordinaria in questo senso è la testi-

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monianza di Giamblico ( De mysteriis III, 14, 39-44), che attesta come il veroteurgo faccia ricorso a sacri caratteri incidendoli sulla parete che fa da sup-porto alla luce nelle pratiche fotagogiche, quando insieme alla luce si attraeanche la divinità invocata perché conceda il responso oracolare.

I primi scrittori cristiani, seguendo gli ebrei, videro le ventidue letteredell’alfabeto ebraico come rappresentanti le 22 creazioni di Dio, i ventiduelibri dell’Antico Testamento, le ventidue virtù di Cristo, i 22.000 buoi di Sa-

lomone (1Re 8, 63)10.Lo stretto legame fra l’alfabeto e il cosmo è ben illustrato dal camposemantico della parola greca stoicei`stoicei`onon (stoichêion), che significa elemento,lettera dell’alfabeto, suono, segno astrologico, numero, ed ha un equivalentenel latino elementum. Ogni cosa ha un nome e un numero, sicché l’universoè costituito di lettere, così come di elementi fisici. L’alfabeto contiene tuttele lettere necessarie per invocare i nomi, conosciuti e sconosciuti, di tutte ledivinità dell’universo e per esercitare potere su di loro. In particolare, si ri-tiene che la prima e l’ultima lettera contengano e incapsulino questo potere:in quest’ottica si può forse leggere Apocalisse 1, 8; 21, 6; 22, 13 («Io sonol’alfa e l’omega, l’inizio e la fine»).

2. La gematria

Strettamente connesso a quanto detto è il discorso della numerologia ogematria, cioè il significato numerologico delle lettere: il termine deriva dal-l’ebraico gema† riyyah o gima† riyyah, a sua volta derivato dal greco geome-tria, rispecchiando le srcini di questa disciplina occulta. Su questo aspettosi concentrano i contributi di Corrado Martone e Vladimir Putzu, che si com-pletano a vicenda. Il primo è una riflessione assai densa sul senso di sacra-lità dell’alfabeto ebraico, strettamente collegata al ruolo della parola crea-trice di Dio. Anche la forma delle lettere non è casuale, come sottolinea uncommentario alla Genesi del V secolo, Genesi Rabbah 1,12, in cui si leggeche il mondo è stato creato con una bet perché essa è chiusa sui lati e apertadavanti, e quindi non è consentito indagare ciò che sta sotto, ciò che è da-vanti e ciò che è dietro. Nel più tardo Alfabeto di Rabbi Aqiva, del IX secolo,––––––––––––––––––

10 Questa simbologia si ritrova in un trattato più tardo, Il Mistero delle lettere greche

(ed. Der Traktat «Vom Mysterium der Buchstaben», Kritischer Text mit Einführung, a curadi C. Bandt, de Gruyter, Berlin-New York 2007), una spiegazione simbolica delle ventiduelettere dell’alfabeto greco secondo la loro forma, il loro valore, l’alternanza delle vocali edelle consonanti (cosiddette áfona),, il senso delle lettere siriache o ebraiche giudicate lorocorrispondenti. La datazione proposta è il VI-VII secolo.

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tutte le lettere dell’alfabeto esporranno i motivi della propria centralità nel-l’ordine della creazione. Secondo i rabbini le tecniche ermeneutiche comela gematria potevano essere applicate a fini esegetici soltanto alle parti nar-rative (haggadah) del testo biblico, laddove in àmbito legale (halakhah) talicalcoli trovavano poco spazio.

La gematria è però il modo più creativo con il quale l’antica esegesiebraica mette a frutto la grande considerazione nei confronti dell’alfabeto.

Essa è la ventinovesima delle 32 regole ermeneutiche della tradizione ese-getica ebraica ascritte a Rabbi Eliezer (metà del II secolo d.C.) e, come ve-dremo più avanti, consiste nel trarre conclusioni dal valore numerico dellelettere, secondo quel procedimento che in greco si chiama appunto ijsovyh-ijsovyh-fo~fo~ (isópsephos). L’uso dei segni alfabetici come numerici è infatti un’in-venzione greca. L’alfabeto arcaico epicorico di Mileto ha 27 lettere: le ven-tiquattro già citate, il digamma o wau, coppa e sampi; questo sistema diven-ne dominante nel periodo ellenistico e fu poi applicato ad ebraico, copto earabo. Nomi e parole possono essere dunque lette come numeri: i pitagoriciritennero che ogni uomo, animale, pianta e città abbiano un proprio numeromistico (yh`yh`fo~,fo~, psêphos) che ne determina il corso dell’esistenza. Il passosuccessivo fu dunque quello di identificare questo psêphos con la sommadelle lettere-numeri in quel nome o parola. Questo sistema di “aritmoman-zia” si diffuse rapidamente nel periodo ellenistico e giocò un ruolo vitale

nella pratica religiosa egiziana e giudaica e più tardi nel cristianesimo enell’islam.

Gli psêphoi ebbero un ruolo importante nella vita religiosa e secolare:gli Oracoli sibillini (8, 148) predissero che Roma sarebbe durata 948 anni:questo è lo psêphos di Roma; il grandeaión gnostico Abraxas11 deve l’esat-

––––––––––––––––––11 Abraxas (∆Abrasav∆Abrasavxx o anche ∆Abrav∆Abravxa~xa~) è un’iscrizione presente su pietre e gemme

di età ellenistica usate come talismani magici, nonché in alcuni papiri magici. La sua simbo-logia è assai discussa. Si tratta di una parola magica, le cui virtù apotropaiche erano attribuiteal significato segreto del valore numerico delle sue sette lettere. Secondo la numerazionegreca la loro somma è 365: aVaV = 1 + bVbV = 2 + rVrV = 100 + aVaV = 1 + sVsV = 200 + aVaV = 1 + xVxV = 60:questo numero è un numero mistico ( pséphos), cui il grande aión gnostico Abraxas devel’esatta forma del suo nome, dato appunto dagli eretici discepoli dello gnostico Basilide alprimo dei 365 cieli di cui è costituito il mondo materiale. Fonti dirette sono due testi facentiparte del corpus di Nag Hammadi, il Vangelo degli Egiziani e l’ Apocalisse di Adamo, mentrei Padri della Chiesa (Giustino, Apologia 1, 66; Tertulliano, De praescriptione haereticorum

40), che combatterono tali eresie gnostiche, consideravano Abraxas una forma di culto diSatana. Nella cosmologia gnostica Abraxas è il nome del Dio altissimo, del Padre Ingenera-to. Nei talismani Abraxas è spesso raffigurato con la testa di un gallo o di un leone e il corpodi un uomo con parte inferiore di scorpione, regge nella mano destra un bastone o un cor-reggiato e nella sinistra uno scudo tondo o ovale. Di speciale interesse è un tipo di gemme o

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ta forma del suo nome al proprio psêphos, 365; nel II e III secolo i Romaniidentificarono Mithra, il dio persiano della luce, con il loro Sol Invictus, diopatrono dell’esercito, e contribuì al loro sincretismo lo psêphos di Meithras,365. Ancora, lo gnostico Valentino vide nelle prime due lettere del nome diGesù, IH = 18, un riflesso del diciottesimo eone, l’emanazione della divinitàcentrale nello gnosticismo. La Lettera di Barnaba (9, 8) spiega i 318 servidi Abramo di Genesi 14, 14 come il IH = 18 di ∆Ihsouv∆Ihsouv"" ( Iesoús) più tau (la

Croce) = 300. La gematria invece collega il numero al nome di Eliezer diDamasco di Gen 15, 2, le cui consonanti danno come valore numerico pro-prio 318. La formulazione degli isópsephoi (due o più parole con il medesi-mo valore numerologico) divenne una pratica numerologica fondamenta-le: si credette che, se gli psêphoi di due parole sono uguali, le parole stessedebbano avere un significato simile. Un isópsephos dei bizantini fu Theós(«Dio») = Agathós («bene») = Hágios («santo») = 284.

È però il numero della bestia dell’ Apocalisse cristiana con il suo mi-stero numerologico a fare la parte del leone: Ap 13, 18 esorta a calcolare(yhfisavyhfisavtw,tw, psephisáto) il numero della bestia, perché è il numero di unuomo: questo potrebbe significare che il numero 666 è lo psêphos del nomedi un uomo; Ap 17, 9 mostra che la bestia è Roma (7 teste = 7 colli), dun-que l’uomo deve essere un imperatore. Nerone e Tito sembrano essere i can-didati più probabili. Ancora, lo psêphos di ∆Ihsouv~∆Ihsouv~ è 888 = 4 per 222; se

666 = 3 per 222, e 222 = 2 per 111 e 3 più 4 = 7, la somma degli psêphoi diCristo e dell’anticristo, divisa per 222, è uguale a 7.

Il complesso sistema di numerologia dello gnostico Marco e altri usiocculti dell’alfabeto ebbero profonda influenza nel medioevo, in specie traebrei e musulmani.

Ritornando alla gematria, è nella tradizione mistica del giudaismo, laqabbalah, che essa viene usata al più alto grado delle proprie potenzialità.Con lo sviluppo della speculazione cabbalistica si affina sempre di più ilrapporto dell’adepto con le lettere dell’alfabeto, alla ricerca della vera es-

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pietre semipreziose (sardonice, berillo, calcedonio, onice ecc.) ritrovato principalmente nel-l’Egitto del periodo greco-romano (ma più tardi anche altrove), che rappresenta immaginifantastiche, spesso in parte umane e in parte animali, di dèi egizi o di altri tipi accompagnati,appunto, da iscrizioni magiche come il misterioso «Ablalhanalba» che si dice essere un pa-lindromo distorto della frase ebraica «Av lanu attah (Tu sei un padre per noi)». Tra le divi-

nità rappresentate, quella più frequente è appunto Abraxas, anche se non ci si spinge a direche si tratti di amuleti gnostici. Quando questi amuleti cominciarono a circolare tra i cri-stiani, il nome misterioso Ablanhanalba fu spiegato come l’equivalente, nella gematria, diGesù: Th.H. Gaster, Amulets and Talismans, in M. Jones (dir.), Encyclopedia of Religion,cit., vol. I, pp. 297-301.

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senza delle lettere stesse in virtù della loro contemplazione. Il dato interes-sante è che già a partire dal XII secolo l’esegeta Avraham Ibn Ezra mette inguardia i suoi lettori dall’uso della gematria, affermando che la Scritturanon parla per numeri e che bisogna basarsi esclusivamente sulla parola, se-condo il suo senso. Il contributo di Putzu si sofferma in particolare sullamistica giudaica, mettendo in evidenza come lo sviluppo della gematria –un vero e proprio alfabeto spirituale che permette di interpretare rivelazioni

divine giunte a noi sotto forma di messaggi cifrati – si debba in primis ai Pie-tisti renani, attivi in Germania nei secoli XII-XIII: essa è usata in funzioneconservatrice poiché, svelando le affinità nascoste tra gli elementi linguisticidel corpus religioso, ne rivela l’armonia, frutto della sapienza divina, e neconferma i caratteri di unicità e perfezione. I Pietisti renani impiegarono ilcalcolo continuo del valore numerico dei termini che compongono le pre-ghiere come tecnica per indurre un’esperienza mistica. L’atteggiamento cri-tico di taluni nei confronti di questa pratica sembra trovare ampio riscontronella grande crisi provocata da Shabbetai Zevi, il “messia mistico” oggettodi un importante studio di Scholem, i cui seguaci si servirono ampiamentedella gematria per provare lo status messianico del loro leader: coloro checredevano in lui si facevano forti del fatto che il suo nome, avendo valorenumerico 814, equivalesse a uno dei nomi di Dio, Shadday, laddove gli anti-sabbatiani associavano il medesimo nome all’espressione «spirito di falsità».

Putzu spiega molto bene i metodi per calcolare il valore numerico diuna parola (valore assoluto o normativo, ordinale, ridotto e numerico ridot-to), gli altri sistemi di gematria ( Millui o del riempimento, valore inclusivo),nonché altri alfabeti spirituali, utilizzati come strumenti ermeneutici o nelletecniche di meditazione. La loro importanza è tale che Abulafia definisce laqabbalah come un insieme di metodi linguistici quali il ginat , «giardino» dinoci, acrostico di gematria , notariqon e temurah . Il significato dato allelettere conduce a ideare cifrari alfabetici: ne è un esempio la temurah, cioèla semplice sostituzione di cifrari, acronimi, acrostici12. Per quanto riguardala temurah, si sviluppa ampiamente nella tradizione cabbalistica: le letteredell’alfabeto sono rappresentate da altre lettere secondo schemi definiti (per

Atbash, Atba¢, Albam, Avgad ). Il notariqon consiste nell’interpretare un

––––––––––––––––––12 Un acronimo è una parola di cui tutte le lettere sono la prima lettera di un’altra pa-

rola e le parole rappresentate dall’acronimo generalmente formano il titolo di una frase.L’acronimo più famoso è la parola ijijcquvcquv"", ichthús, pesce, che sta per ∆Ihsouv∆Ihsouv"" Cristov Cristov" qeou`" qeou`uiJov" swthvuiJov" swthvrr (Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore). Gli acrostici cominciano ogni linea overso di un poema con le lettere successive dell’alfabeto e daranno srcine ai carmi figuratisu cui ha scritto pagine illuminanti padre Pozzi.

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vocabolo come abbreviazione di una frase e nel medioevo esso è diffuso so-prattutto nelle omelie e nei testi cabbalistici. Se come tecnica ermeneuticaesso è l’inverso del processo di creazione di un acronimo, in àmbito magico,proprio come per gli acronimi, viene usato per inventare nomi divini o an-gelici a partire da versetti biblici e preghiere.

Infine, Putzu analizza anche i cosiddetti alfabeti angelici tipici dellaqabbalah pratica, che applicano le dottrine cabbalistiche a fini magici e/o

teurgici, e negli amuleti. Tali alfabeti sono noti come «scrittura degli occhi»,poiché le lettere che li compongono sono formate da linee alle cui estremitàsi trovano dei piccoli cerchi somiglianti ad occhi. Essi dovevano possedereun arcano potere, in quanto permettevano di comunicare con una dimensio-ne ultramondana e, anche se incomprensibili, erano ritenuti efficaci ai finidella pratica magica e perciò iscritti negli amuleti accanto alle formule diinvocazione vere e proprie.

3. La tradizione cristiana

Anche nella tradizione cristiana troviamo alfabeti spirituali e angelici.Vi sono casi in primis di alfabetici parenetici13 con una funzione propria-mente didattica. Nel mondo cristiano il primo testo che mi consta essere

costruito ad alfabeto è l’ Alphabetum paraeneticum di Gregorio di Nazianzo,un alfabeto di meditazione non cifrato. Ma è in particolare nella letteraturamonastica, nella fattispecie orientale, che troviamo un peculiare alfabeto, ilcosiddetto “alfabeto della mente”, che riflette una pratica alla quale era asse-gnato il ruolo di trasmissione di contenuti ritenuti essenziali nel quadro delrapporto tra maestro e discepolo: esso consisteva in un linguaggio criptico,un peculiare codice alfabetico, con cui i monaci ponevano domande e rice-vevano risposte, che costituì anche un metodo di meditazione. Tale codice,o pluralità di codici, infine, era noto soltanto ad alcuni monaci. La tradizione

––––––––––––––––––13 L’aggettivo parainetikovparainetikov"" si ritrova affiancato al sostantivo ajajlfavlfavbhto"bhto" nella titola-

tura, ad esempio, dell’opera di Ignazio diacono in taluni codici; troviamo anche, per altreopere e in altri manoscritti, gli aggettivi katanuktikovkatanuktikov", hj", hjqikovqikov~, sumbouleutikov~, sumbouleutikov~,~, ma anchele espressioni ajlfavajlfavbhto" eijbhto" eij"" (pro;pro;"") nouqesiv nouqesivan, Katan, Kat(a;a;) ; aj ; ajlfavbhtonlfavbhton (Kata;Kata; stoicei§ stoicei§onon) pa- pa-raivraivnesi"nesi" (parainevparainevsei"sei"), KatKat(a;a;) ajajlfavlfavbhtonbhton nouqesivnouqesivaa (nouqesivnouqesivaiai), Kata;Kata; ajajlfavlfavbhtonbhton dida-dida-

skaliva, ∆Alfabhtavrion wjfevskaliva, ∆Alfabhtavrion wjfevlimonlimon. Cfr. D.N. Anastasijewic , Die paränetischen Alphabetein der griechischen Literatur , diss. München 1905, pp. 80-83; si veda anche F. Wutz, «Ono-mastica sacra». Untersuchungen zum Liber Interpretationis Nominum Hebraicorum des Hl.

Hieronymus, Hinrichs, Leipzig 1914-1915 e F. Dornseiff, Das Alphabet in Mystik und Ma-gie, Teubner, Leipzig-Berlin 1925.

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monastica degli alfabeti spirituali, per la sua ricchezza e importanza, meritauna più ampia esemplificazione.

Per quanto riguarda i codici criptici, il case study più interessante è sen-za dubbio rappresentato da Pacomio14: Gerolamo riporta la testimonianzadei Tebani che dicono che una “figura angelica” diede a Pacomio e ad altridue monaci la conoscenza di un linguaggio segreto, così che essi avrebberopotuto scriversi e parlarsi con un alfabeto spirituale, comunicando signifi-

cati nascosti con segni e simboli. Pacomio corrispose con i Padri di altrimonasteri in tale lingua e sottolineò l’importanza di conoscere tutti gli ele-menti dell’alfabeto spirituale. Pacomio allude esplicitamente a tale codicenella lettera sesta, che ci è conservata solo nella traduzione latina di Gero-lamo: «Voglio che comprendiate i segni che mi avete scritto e che io vi homandato in risposta, e che sappiate come sia necessario conoscere tutte lelettere dell’alfabeto spirituale»15. Tra le lettere di Pacomio, sono cifrate la1, la 2, la 3, la 6, la 9 e la 11: il dato interessante è che, secondo Goehring,proprio queste lettere sono i documenti più affidabili per la ricostruzione diquello che egli chiama il «period 1» della storia della congregazione paco-miana, «The lifetime of Pachomius»16. Le uniche proposte convincenti didecrittazione sono quelle di Joest in una serie di articoli dedicati proprioalle lettere cifrate17. Ad ogni modo, La lettera 11b è costruita a quadrato (e

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14 Per una primissima ricognizione sul ricorso all’alfabeto come codice criptico, cfr.R.M. Parrinello, Alfabeti del Sinai. Tradizione monastica e parenesi attraverso gli alfabeti( IV - XIII secolo), in corso di stampa in «Revue des Études Byzantines».

15 Pacomio e i suoi discepoli. Regole e scritti , a cura di Lisa Cremaschi, Qiqajon,Bose 1988, p. 254.

16 J.E. Goehring, New Frontiers in Pachomian Studies, in Id., Ascetics, Society and the Desert. Studies in Early Egyptian Monasticism , Trinity Press International, Harrisburg1999, pp. 162-186.

17 Ch. Joest, « Das Herz dem Bruder öffnen». Pachoms Brief 7: Deutsche Übersetzungund Deutung, zugleich ein Versuch zur Echtheitsfrage der Pachombriefe, in «Zeitschrift fürKirchenGeschichte» 107/3(1996), pp. 300-318; Id., Die Geheimschrift Pachoms-Versucheiner Entschlüsselung. Mit Übersetzung und Deutung der Pachom-Briefe 9 und 9b , in«Ostkirchliche Studien» 45/3-4(1996), pp. 268-289; Id., Die pachomianische Geheimschrift im Spiegel der Hieronymus-Übersetzung. Mit dem deutschen Text von Brief 11b des pacho-mianische Schriftencorpus und dem Versuch einer Übertragung, in «Le Muséon» 112/1-2(1999), pp. 21-46; Id., Das Buchstabenquadrat im pachomianischen Briefcorpus, ibi 115/1-2(2002), pp. 241-260; Id., Die Pachom-Briefe 1 und 2 Auflösung der Geheimbuchstaben und Entdeckungen zu den Briefüberschriften, in «Journal of Coptic Studies» 4(2002), pp. 25-98;

Id., Der sechste Brief Pachoms, ibi 6(2004), pp. 105-139; Id., Von der Geduld der gläubi-gen. Pachoms Brief 11A und seine Botschaft , ibi 7(2005), pp. 23-47. Cfr. anche I. Opelt,

Lingua ab angelo tradita. Dekodierungsversuch der Pachomiusbriefe, in Mémorial Dom Jean Gribomont (1920-1986), Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 1988, pp. 453-461; F. Wisse, Gnosticism and Early Monasticism in Egypt , in B. Aland (ed.), Gnosis. Fest-

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come non pensare al «Sator Arepo tenet opera rotas»?), la 9b è costruita almodo in cui abbiamo visto che potevano essere costruiti gli alfabeti pagani,cioè accoppiando la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto, la seconda e lapenultima ecc., mentre nella 11b abbiamo successioni di lettere come neglipseudosignificati di cui si è detto prima18.

Un’altra traccia dell’uso di questo alfabeto spirituale si ritrova nel-l’Epistolario di Barsanufio e Giovanni di Gaza (VI secolo), nelle lettere 135

e 137b. Nella lettera 40 Barsanufio definisce il modo di interrogare per enig-mi un individualismo senza discernimento, e sembra di poter cogliere inquesto una condanna del linguaggio dei segni e in generale dei modi dicomunicazione criptici ed enigmatici, perché i segni (shmei`a,shmei`a, semêia) nonsono per i fedeli ma per gli infedeli. Nella lettera 132 abbiamo di nuovo ilriferimento a un alfabeto criptico, cifrato, cui un monaco ricorre per comu-nicare con Barsanufio, e di cui si forniscono alcuni stoicei`stoicei`aa (stoichêia,«elementi»): la iota, con cui egli formula una domanda riguardo alla hJhJsucivsucivaa(hesychía) rigorosa, al silenzio assoluto e, di conseguenza, al non frequen-tare nessuno; la kappa, riguardo alla dieta, con cui chiede se sia necessariomangiare alimenti secchi, astenersi dal vino e incontrare solo il proprioservitore e, infine, la lambda , con cui chiede se sia necessario intrattenererelazioni e nutrirsi. La risposta di Barsanufio è alquanto criptica, e questogenera uno scambio di lettere che culminano nella 136, in cui il Recluso so-

stanzialmente legittima la risposta in enigma poiché essa produce nell’ani-ma una ruminazione spirituale, «specialmente in quelli che hanno l’intelli-genza spirituale perché, scrutando gli enigmi, troviamo sovrabbondante laloro utilità [...]. Non è utile per noi parlare o scriverci l’un l’altro sempre inenigmi, anche se vediamo che è un carisma elargitoci da Dio, ma soltantoin caso di necessità». Importante è poi la celebre lettera 137b di Barsanu-fio, la cosiddetta Meditazione sulla lettera eta, tradita in pochi manoscritti

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schrift für Hans Jonas, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1978, pp. 431-440; Id., Lan-guage Mysticism in the Nag Hammadi Texts and in early Coptic Monasticism . I. Crypto-graphy, in «Enchoria» 9(1979), pp. 101-120; cfr. anche E. Testa, Il simbolismo dei giudeo-cristiani, Tipografia dei Padri Francescani, Gerusalemme 1962, pp. 361 ss. Nel sistema diTesta la UU è una lettera etica perché indica le due vie, quella del bene e quella del male,i due spiriti e il segno della croce, corrisponde a YHWH ed è in relazione alla scala cosmica,la YY è un segno trinitario, la QQ indica il lutto (QavQavnato"nato"?).

18 Ciò indica che ancora parecchie ricerche restino da effettuare per decifrare questelettere. Assai utili sono, in questa direzione, gli studi di Wisse che ha indagato l’uso dellacrittografia nei testi gnostici di Nag Hammadi e nel primo monachesimo egiziano: F. Wisse,Gnosticism and Early Monasticism in Egypt , cit., pp. 431-440; Id., Language Mysticism inthe Nag Hammadi Texts, cit.

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e scoperta da Chitty19, con cui il Grande Anziano risponde a un monacoche lo aveva interrogato per enigmi; essa sembra riprendere una tradizionegiudeo-cristiana di epoca ellenistica. Nella meditazione, riportata solo inparte dal compilatore, eta è igumeno, la destra del Padre, il sacrificio incor-ruttibile, la gioia del Padre e, infine, è la lettera ebraica El, cioè Dio: nu-mericamente il numero otto corrisponde alla perfezione, ed è il giorno dellarisurrezione. Nella riflessione di Barsanufio sull’alfabeto, egli dice che cia-

scuna lettera si riferisce a Dio e, così facendo, divinizza il proprio insegna-mento e teorizza una vera e propria “teoprassi”.Troviamo questo alfabeto della mente nel ventiseiesimo gradino della

Scala paradisi (26, 14) di Giovanni Climaco (VII secolo), in cui abbiamodue alfabeti, uno per i principianti e uno per i perfetti:

«Il miglior alfabeto per tutti è questo: AA obbedienza, BB digiuno, G G cilicio, DD cenere,E E lacrime, ZZ confessione, H H silenzio, QQ umiltà, II veglia, KK coraggio, LL freddo,MM fatica, NN sofferenza, XX disprezzo di sé, OO contrizione, PP mancanza di rancore,R R amore fraterno, SS mitezza, TT fede semplice e sincera, UU mancanza di preoccupa-zioni mondane, FF odio privo d’odio nei confronti dei propri genitori, XX rinunciaagli affetti, YY semplicità congiunta a innocenza, WW umiliazione volontaria. Bellol’ordine e i fini di quelli che sono al livello intermedio, nonché la percezione e ilgiudizio di coloro che progrediscono: mancanza di vanagloria, mancanza di rancore,buona speranza, esichia, discernimento, continuo ricordo del giudizio, compassione,

amore per lo straniero, correzione misura ta, preghiera priva di passioni, disprezzodel denaro. Questo è il criterio, la misura e la legge degli spiriti e dei corpi che arri-vano alla perfezione nella propria pietà: AA cuore libero da prigionia, BB amore per-fetto, G G fonte d’umiltà, DD emigrazione della mente, E E presenza di Cristo, ZZ invio-labilità della luce e della preghiera, H H abbondanza dell’illuminazione di Dio, QQ de-siderio della morte, II odio della vita, KK fuga dal corpo, LL intercessore del mondo,MM colui che per così dire può forzare Dio, NN celebratore della liturgia con gli an-geli, XX abisso di conoscenza, OO casa dei misteri, PP custode dei segreti, R R salvatoredegli uomini, SS dio per i demoni, TT signore delle passioni, UU padrone del corpo,FF protettore della natura, XX alieno da peccato, YY dimora dell’impassibilità, WW imi-tazione del Signore grazie all’aiuto del Signore»20.

Il primo alfabeto elenca una serie di virtù o di esercizi spirituali che ilmonaco deve praticare, il secondo alfabeto è invece per lo più composto dacondizioni che il monaco ha raggiunto una volta che è arrivato alla perfe-

––––––––––––––––––19 P. de Angelis Noah, La méditation de Barsanuphe sur la lettre HTA, in «Byzantion»

53(1983), pp. 494-506.20 Giovanni Climaco, La Scala, a cura di R.M. Parrinello, San Paolo, Cinisello Bal-

samo 2007, pp. 439-440.

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zione: il primo è dunque più dinamico, il secondo più statico e culminanell’imitatio Christi. Nel primo alfabeto, composto per la maggior parte daparole singole, salvo le ultime lettere che hanno corrispondenze con sin-tagmi, ogni componente della vita monastica è rappresentata da una letteradell’alfabeto greco, che però è diversa da quella con cui il termine inizia.Climaco apparentemente dà un alfabeto non cifrato, ma in realtà ne forni-sce la lettera e non la cifra. Inoltre, possiamo pensare a un procedimento

analogo a quello che si era visto a proposito delle scuole pagane, in cui unalettera corrispondeva a una lista di termini in quel contesto difficili da scri-vere, e in questo caso pregnanti da un punto di vista spirituale.

Nel secondo alfabeto, invece, notiamo una costruzione parzialmentediversa, perché gli elementi sono sempre rappresentati da espressioni com-poste di due-tre parole e la lettera si trova in genere dopo il primo termine ecorrisponde all’iniziale del secondo, che è dunque il marcatore dell’alfabe-to. Ancora un’osservazione: siamo nel gradino ventiseiesimo, dedicato aldiscernimento, eppure la diavdiavkrisi~krisi~ (diákrisis) non entra a far parte del si-stema degli alfabeti, mentre la troviamo in medio, nella tavxi~tavxi~ (táxis) dei pro-ficienti. La diákrisis sembrerebbe dunque essere di tutti, ma in realtà neiprincipianti corrisponde alla conoscenza di sé, nei proficienti diventa la fa-coltà di discernere il bene dal male (e dunque è un carisma), nei perfetti è laperfetta conoscenza, che deve essere finalizzata a illuminare ciò che è som-

merso dalle tenebre: i principianti non hanno pertanto il vero e proprio di-scernimento, che non compare nell’alfabeto a loro destinato, e nei perfettiesso è diventato altro, ecco perché non figura nel loro alfabeto.

Un esempio del secondo tipo di alfabeto si trova invece nell’ Adhortatioad monachos di Iperechio, un abba di cui ci sono tramandati anche alcuniapoftegmi e che si pensa possa essere identificato con l’allievo di Libanio,prima a Nicomedia e poi ad Antiochia: ci è stata conservata la corrisponden-za epistolare tra maestro e discepolo. I Consigli agli asceti21 si rivolgono amonaci che vivono in un contesto urbano e non in un luogo deserto, nonhanno una struttura comunitaria organizzata né sono vincolati a obbedienzae sottomissione. I Consigli sono un concentrato di temi monastici: la lodedel canto e della preghiera, l’isanghelía, l’importanza dell’umiltà che è l’al-bero della vita, il divieto di mormorare, la centralità del digiuno contro i pen-sieri peccaminosi, le tentazioni come mezzo imprescindibile per diventare

––––––––––––––––––21 Il testo greco è leggibile in PG 79, coll. 1471-1490. Per la traduzione italiana e un

inquadramento dell’autore, cfr. Parole dal deserto. Adhortatio ad monachos. Logos asketi-kos. Adloquia, a cura di L. Cremaschi, Qiqajon, Bose 1992, pp. 11-49.

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dovdovkimoikimoi (dókimoi, «provati»), in linea con l’insegnamento degli Apoftegmi,citati a volte letteralmente, a volte con allusioni, il tutto con un’organizza-zione alfabetica.

Ancora, possiamo citare i Capita paraenetica, attribuiti da parte dellatradizione manoscritta a un Nilo monaco sinaita22, che la tradizione ha con-fuso con Nilo di Ancira di cui fu contemporaneo23. Quest’opera, in prosa24,che gli studiosi hanno invece attribuito a Evagrio, è circolata come del Si-

naita: l’incipit è un alfabeto gnomico. L’alfabeto è a sua volta per lo piùuna raccolta di sentenze tratte da quelle di Pitagora, di Sesto pitagorico edallo gnomologio di Clitarco: verosimilmente queste sentenze, proprio peril tramite dei Capita che, come si è detto, circolavano sotto il nome di Niloma erano in realtà di Evagrio Pontico, confluiscono nei Sacra parallela at-tribuiti a Giovanni Damasceno, ma probabilmente non suoi25, entrando a farparte della tradizione dei florilegi bizantini26. Con il titolo di Sentenze diSesto circolava una raccolta di sentenze morali, un centone di aforismi pla-tonici, stoici e pitagorici, che era probabilmente una rielaborazione cristia-na di fine II secolo d.C. di analoghe raccolte pagane27, famosa nel IV secoloed erroneamente considerata opera di papa Sisto II (257-258). Fu Origenead attribuire la raccolta al filosofo Sesto pitagorico. La Lettera a Marcelladi Porfirio, poi, enumera una serie di sentenze morali derivate proprio dalflorilegio di sentenze pitagoriche attribuito da Origene a Sesto, sentenze

che del resto ritroviamo anche in Stobeo, Ierocle e in altri autori siriaci egreci. Rocca Serra ha cercato di ricostruire relazioni e dipendenze tra tuttiquesti testi: da Sesto dipenderebbero Clitarco e Rufino, da Porfirio Stobeo––––––––––––––––––

22 Cfr. i lavori recenti di L. Bossina, Romanzo, agiografia e ritorno. Per una letturadella Narratio del monaco Nilo, in M. Catto-I. Gagliardi-R.M. Parrinello (eds.), Agiografiae direzione spirituale. Dalle biografie classiche alle Vite dei santi in età moderna, Edizionidell’Orso, Alessandria 2008, pp. 127-164 e Nilo di Ancira tra storia e finzione, Brescia, incorso di stampa. Cfr. anche il fondamentale lavoro, già citato, di D.N. Anastasijewic , Die

paränetischen Alphabete che, pur con una serie di imprecisioni, costituisce un catalogo assaiutile di alfabeti a partire dal III secolo d.C.: su Nilo, si vedano le pp. 24-31.

23 J. Quasten, Patrologia, Marietti 1820, Casale Monferrato 1969, vol. II, p. 507.24 Il Nilo eparchus, autore degli “Iamboi kata;“Iamboi kata; stoiceiv stoiceivwnwn, cui erroneamente Anasta-

sijewic attribuisce anche i Capita, visse nell’XI secolo: cfr. H.G. Beck, Kirche und Theolo-gische Literatur im Byzantinischen Reich, München 1959, p. 607.

25 S.H. Griffith, Giovanni di Damasco e la Chiesa in Siria all’epoca degli Omayyadi,in B. Flusin et al., Giovanni di Damasco, un padre al sorgere dell’Islam, Qiqajon, Bose 2006,

pp. 37-38.26 Evagrii Pontici sententiae ab Antonio Elter editae cum corollario in Epicteti et

Moschionis sententiae, ex Caroli Georgi typographeo academico, Bonn 1892.27 H. Chadwick, The Sentences of Sextus, Cambridge University Press, Cambridge

2003.

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826 Alfabeti spirituali

e gli altri, mentre Sesto e Porfirio dipenderebbero da un archetipo comune28.L’alfabeto gnomico nilo-evagriano sembra essere il pretesto per una raccoltadi gnw`maignw`mai (gnômai ) filosofiche, soprattutto pitagoriche e neopitagoriche,inserite in una cornice monastica o forse, più correttamente, cristiana. Ilnome di Nilo non è nuovo in operazioni di questo genere: basti pensare al

Manuale di Epitteto che godette, nel mondo cristiano, di grande fortuna evenne cristianizzato in tre versioni differenti, una delle quali attribuita allo

Pseudo-Nilo, giacché è tramandata tra le opere di Nilo di Ancira29.Lungo la linea di Climaco si è mosso Esichio il Sinaita (detto anche diBatos), che visse secondo la maggior parte degli studiosi nell’VIII secolo, masecondo Antonio Rigo, e a ragione, alla fine del XII secolo30 e fu igumenodel monastero di Nostra Signora del Roveto sul Sinai: è l’autore delle Cen-turie sulla vigilanza e la virtù (incluse da Nicodemo Agiorita nella Filoca-lia). Delle Centurie abbiamo una doppia recensione: una recensione lunganella forma tradizionale di due Centurie, e una breve in ventiquattro capitolialfabetici che riuniscono, secondo un ordine differente, capitoli della recen-sione lunga31. Esaminando il trattato, esso ha poco in comune con l’operadi Nilo Sinaita: sembra piuttosto simile a quella di Iperechio, di cui ampli-fica la struttura. Ricorrono citazioni letterali tratte dalla Scala di Climaco,che si conferma essere il testo monastico di riferimento, insieme con i trattatidi Marco il monaco e le Centuriae de charitate di Massimo il Confessore.

Si tratta di un testo di meditazione e di rapida memorizzazione, a tratti ose-rei dire quasi mistico e che sembrerebbe destinato alle cerchie più internedella comunità monastica, mentre la redazione secondo le due Centurie po-trebbe essere destinata ai novizi, e forse anche ai semplici laici devoti.

––––––––––––––––––28 G. Rocca Serra, La Lettre à Marcella de Porphyre et les sentences des Pythagori-

ciens, in P.-M. Schuhl-P. Hadot (eds.), Le Néoplatonisme. Colloque de Royaumont, 9-13 juin1969, CNRS, Paris 1971, pp. 193-202.

29 Commentaire sur la paraphrase chrétienne du Manuel d’Épictète , a cura di M.Spanneut («Sources Chrétiennes», 503), Cerf, Paris 2007, pp. 20-28.

30 Antonio Rigo ha indagato la tradizione manoscritta e la tradizione indiretta di Esi-chio, mettendo in evidenza come non vi siano manoscritti anteriori al XIII secolo ed è da allo-ra che Esichio comincia a essere massicciamente citato nella tradizione monastica bizantina;per questo motivo occorre spostarne la datazione alla seconda metà del XII secolo: A. Rigo,

Mistici bizantini, Einaudi, Torino 2008, pp. LIX-LXI.31 La recensione breve è stata edita da M. Waegeman, Les 24 chapitres De temperan-

tia et virtute d’Hésychius le Sinaïte. Édition critique, in «Sacris erudiri» 22(1974-1975), pp.195-285. La recensione lunga è leggibile in PG 93, coll. 1479-1544; tr. it. in La Filocalia, acura di N. Aghiorita e Macario di Corinto, tr., intr. e note di M.B. Artioli e M.F. Lovato,Gribaudi, Torino 1982, vol. I, pp. 230-270.

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Sempre nella tradizione bizantina, possiamo citare i giambi spiritualidi Ignazio il diacono e dell’eparco Nilo, nonché l’inno quinto di Simeone ilNuovo Teologo, in distici alfabetici.

Anche nella tradizione occidentale ritroviamo pratiche letterarie che sipossono ricondurre alle scritture cifrate, dai carmi figurati di Optaziano Por-firio e di Rabano Mauro fino all’iconismo occulto di Mallarmé, mirabilmen-te studiati da Giovanni Pozzi. Il padre cappuccino ha messo in evidenza

come la scrittura, ribellandosi alla sua funzione di rappresentanza linguisti-ca, tenda a diventare, da ancella della lingua, sua arrogante despota. Bisognadistinguere la presenza del gioco linguistico nell’esercizio magico vero eproprio e il ricorso a motivazioni di srcine magica da parte di produttori digiochi puramente letterari, per nobilitare mediante riferimenti esoterici unatto che potrebbe altrimenti esser ritenuto mera curiosità o bizzarria. Quantoalle motivazioni esoteriche che accompagnano le prove letterarie, raramentesi rivolgono alla sfera magica vera e propria, facendo piuttosto capo a filoniculturali che vanno dal pitagorismo al neoplatonismo, mescolati con la qab-balah in epoca rinascimentale, o in epoca moderna a un simbolismo esa-sperato che si riveste di nomi esoterici (si veda l’orfismo di Apollinaire) odi neologismi (ad esempio il dadaismo). Secondo Pozzi in questi casi è im-proprio parlare sia di magia sia di mistica, «almeno nell’accezione strettache qualifica sul piano del discorso il tentativo di comunicare l’esperienza

soprannaturale dell’anima cui Dio si rivela»32.Troviamo però anche riflessioni sulle lettere e sulla crittografia, non-

ché l’uso dell’alfabeto come forma di meditazione mistica: possiamo citarela Grammatilogia dell’eretico cinquecentesco Nascimbene Nascimbeni33, il

De cryptographia di Leone Allacci, che attende di essere studiato e tradot-to, e l’ Alfabeto mistico di Pier Matteo Petrucci, per non fare che qualcheesempio.

Nel suo contributo Michela Pereira ha illustrato l’arte combinatoria diRaimondo Lullo (1232-1316), cui poi ricorsero Niccolò Cusano e Pico dellaMirandola: il siniscalco maiorchino, nel Llibre de Contemplació, un testodi impianto mistico, fa per la prima volta uso delle lettere dell’alfabetocome significanti di concetti, non in maniera sistematica, ma quasi comeun’embrionale prefigurazione dell’alfabeto a significati multipli cui ricorre-

––––––––––––––––––32 G. Pozzi, La parola dipinta, Adelphi, Milano 1996, pp. 12-13. Cfr. anche Id., Alter-

natim, Adelphi, Milano 1996.33 N. Nascimbeni, Grammatilogia, a cura di L. Bisello, Edizioni dell’Orso, Alessan-

dria 2007.

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rà in seguito. Il dispositivo dell’arte combinatoria è l’uso delle lettere alfa-betiche al posto di concetti o nozioni comuni. Scopo di Lullo è quello di in-ventare un linguaggio universale attraverso cui poter unificare in un’unicafede le diversità culturali del suo tempo e del suo mondo. La ricerca dellaverità, cui tutte le fedi tendono e in nome della quale possono confrontarsipacificamente, trova nell’arte combinatoria lo strumento elettivo per mostra-re il paradigma condiviso delle tre culture mediterranee. Pur potendo ricon-

durre al contesto del neoplatonismo medievale la matrice filosofica dell’artecombinatoria, è opportuno rilevare come Lullo abbia sviluppato questa tra-dizione di pensiero in maniera srcinale, servendosi di dispositivi grafici edi procedimenti dinamici “meccanici”, come le figure ruotanti, che dannoluogo a tutte le combinazioni possibili delle lettere alfabetiche in esse di-sposte. Alla base di tutto il meccanismo restano le lettere alfabetiche, atomidella lingua umana e della lingua del mondo, le cui variabili associazioni edissociazioni riflettono le trasformazioni del reale, permettendo di concet-tualizzarle e comunicarle attraverso il linguaggio. Al carattere logico-onto-logico dell’arte combinatoria si affianca la loro funzione di compendi mne-monici del sapere, poiché l’alfabeto cordetenus, imparato a memoria, è allabase di una mnemotecnica innovativa rispetto a quella di derivazione clas-sica e sarà utilizzata dai lullisti rinascimentali come strumento per la costru-zione di tassonomie enciclopediche.

4. La scienza delle lettere

L’articolo di Carmela Crescenti, che chiude la sezione, è un’introduzio-ne generale alla scienza delle lettere nell’islam, a partire dalle lettere “taglia-te” o “isolate” (chiamate anche al-hurûf al-fawâtih, «le lettere d’apertura»):si tratta di quattordici consonanti, menzionate in gruppi di due, tre, quattro ocinque lettere, che si trovano in testa a 29 sure, 28 secondo coloro che riten-gono la nûn iniziale della sessantottesima sura un nome e non una letteraisolata. Già nei primi tempi dell’islam, vi è testimonianza di un’esegesi chedà molteplici sensi alle lettere isolate e tali spiegazioni sono in generaledivisibili in tre categorie d’interpretazione: una, molto diffusa, secondo cuiogni lettera è l’abbreviazione di una sola parola; un’altra, secondo cui ogni

lettera gode di una pluralità di significati; una terza, infine, secondo cui adogni lettera corrisponde una cifra da cui ricavare sensi riposti. Le sette let-tere assenti dalla prima sura, inoltre, hanno una speciale santità e sono con-nesse con i sette maggiori nomi di Dio, con i sette angeli, con i sette re del

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jinn, con i sette giorni della settimana, con i sette pianeti. Shanawani ha no-tato come sia la Genesi sia il Corano comincino con la lettera B.

Se l’autore fondamentale per la comprensione della scienza delle lettereè Muhyddîn Ibn ‘Arabî, prima di lui Jâbir ibn Hayyan (IX secolo), noto inOccidente come Ibn Gabirol, ha parlato ampiamente di scienza delle lettere,chiamandola scienza della bilancia perché in essa le lettere, singolarmenteprese, costituivano un modo di valutazione e di misura, sia qualitativo, sia

quantitativo, delle proprietà e delle caratteristiche di ciascun essere compre-so nella sfera totale della manifestazione. In Ibn ‘Arabî (m. 1240) comparein modo netto e distinto l’apparato di corrispondenza tra lettere, nomi di-vini, entità cosmiche, componenti della natura e caratteri umani, uniti in unavisione totale di corrispondenza anagogica, tenuta insieme dai sottili legamidell’Amore Universale, esemplato nel Soffio del Misericordioso.

La speculazione akhbariana va però riletta in connessione ad autori vis-suti prima di Ibn ‘Arabî, come Hakim al-Tirmidhî, Sahl al-Tustârî, Mansûral-Hallâj, Masarra al-Jabalî, di cui Crescenti offre efficaci e utilissimi ritratti,evidenziandone le riflessioni nell’àmbito della scienza delle lettere.

Per quanto riguarda ibn ‘Arabî, egli, dal punto di vista della potenzadell’uso delle lettere, si è sempre mostrato restio a un utilizzo diverso daquello puramente spirituale, dato il pericolo di perturbazione psichica che unuso non corretto dei simboli sacri può ingenerare: un atteggiamento, questo,

simile a quello rabbinico di cui si è detto sopra. Egli opera una ripartizionedei simboli consonantici legata alla cosmologia naturale, secondo la distin-zione delle quattro qualità di base: caldo, freddo, secco e umido, e stret-tamente connessa con altrettante ripartizioni gerarchiche, corrispondenti aquattro tipi d’essere. In questa gerarchia il primo grado, quello della «Pre-senza divina instauratrice della legge», comprende alif , zây e lâm rappresen-tative dell’Essenza, dell’Attributo e del Legame che unisce la qualità al qua-lificato. I significati simbolici presentati da Ibn ‘Arabî non sono però maiunivoci e rigidamente schematizzati, ma si basano sui gradi ontologici diriferimento che possono dare srcine a diversi punti di vista nella spiegazio-ne; così, ad esempio, la lettera nûn che compare al secondo grado in questascansione quaternaria, ossia il grado «dell’uomo», in cui è espressione dellacorrispondenza trascendente tra il piano divino e quello umano, in un’altraripartizione, secondo il punto di vista di «quelli che hanno verificato la real-

tà delle cose», appartiene al primo grado, quello divino, perché è a partireda se stesso che l’uomo può conoscere Dio. Crescenti ricorda brevementein quali direzioni si è sviluppata la speculazione di Ibn ‘Arabî, fino ad arri-vare a studiosi contemporanei come Michel Chodkiewicz.

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Con quanto fin qui si è detto, infine, non si è tentato che di far emerge-re – senza alcuna pretesa di esaustività e in molti casi solo per accenni – laricchezza e lo straordinario interesse culturale delle molteplici tradizionilegate agli alfabeti spirituali – in larghissima misura ancora da esplorare neiloro concreti contatti e nelle loro connessioni analogiche –, nonché il loropotenziale, in chiave comparativa, moderno riflesso, forse, di quello statutodi sapienza condivisa e pacificatrice, veicolo di dialogo tra le civiltà, che da

più parti è stato in passato ad essi attribuito.

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