focus on — 9 La musica di Nono, una drammaturgia del suono · l’inizio di una lettera che Luigi...

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Bruno carissimo VIVA!!! [...] finalmente la famosa serata de teatro!!! Ti e mi. a staltri i sta fora a scoltar e meditar_ e i mona i pol pure pensar a “die Kölner Schule” perché la scuola tua venessiana la xé almeno come quea dei Gabriei e di Monteverdi e i sentirà, stavolta! ostia, che ben! la serata de “intolleranza 60” sarà gnente en confronto con quea nova tua e mia insieme nel ‘64 […] È l inizio di una lettera che Luigi Nono scri- ve a Bruno Maderna sul finire dell’esta- te del 1963. Poche parole che dicono molto di questi due compositori, oggettiva- mente tra i più importanti del Novecento. C’è il desiderio fortissimo di fare (di nuo- vo) teatro, di praticare una dimensione co- municativa appena riscoperta e che negli anni precedenti la composizione musicale aveva consapevolmente rischiato di perde- re, di bruciare in un radicale e utopico pro- getto di rifondazione del linguaggio musica- le. E c’è il desiderio di collegare le novità a una tradizione remota e interrotta (la «scuola» veneziana dei Gabrie- li e di Monteverdi), e quello di differenziar- si dall’«avanguardia». All’epoca Nono è a Venezia, come sem- pre; Maderna inve- ce vive ormai da una decina d’anni in Ger- mania, a Darmstadt, e scriversi in dialetto è un esercizio di nostal- gia, rivolta a un passa- to molto recente di la- voro comune, di bot- tega. Ma è soprattutto enfasi, posta in mo- do del tutto privato, sulle comuni radici di una tradizione tutta locale che, in quel frangente, prende il senso di una rivendicazione. Verso altre «scuole», co- me «die Kölner Schule» dice Nono pensando a Karlheinz Stockhausen, il musicista di Colonia con cui ha intratte- nuto fino a poco tempo prima un’amicizia forte e frut- tuosa, poi troncata di netto da una polemica. Quella serata, però, che avrebbe dovuto consacrare il te- atro della «nuova scuola veneziana» davanti alla platea in- ternazionale della critica e dei compositori (così era il fe- stival di Venezia cinquant’anni fa, un mondo trapassato) – quella serata non si farà mai. Ci si avvicinerà appena, in quel settembre del 1964, e per modo di dire, con la pri- ma dell’ Hyperion di Maderna a pochi giorni di distanza da La fabbrica illuminata di Nono: rispettivamente una «lirica in forma di spettacolo», e una scena lirica per contralto e quattro altoparlanti, residuo di quell’opera mai compiuta che doveva chiamarsi Un diario italiano. Di teatro desiderato, immaginato, tentato, abbozzato, incompiuto è costellata tutta la vicenda di Nono, in una misura forse superiore a ogni altro compositore del No- vecento. Non si penserebbe di primo acchito a Nono co- me musicista per il teatro, eppure, anche se il catalogo delle sue opere sembra smentirlo, l’idea che l’invenzione musicale si compia davvero, in tutta la sua virtù comuni- cativa, sulla scena, è un motivo dominante del suo impul- so creativo. Ci aveva pensato fin dall’inizio, da sempre. Nel 1951 aveva iniziato a comporre una cantata, dedicata a un esponente della resistenza cecoslovacca, il pubblici- sta e organizzatore politico Julius Fučík. Esasperando gli evidenti modelli del Survivor from Warsaw di Scho- enberg (1948) e degli Studi sul Processo di Kafka di Maderna (1950), Nono affida qui alla vo- ce di un narratore non le parole di un so- pravvissuto o di un ignaro accusato, ma i lamenti di un prigioniero sotto tortu- ra. E il tema esistenziale dell’isolamen- to, della sofferenza dell’individuo spin- ta all’estremo, s’intreccia necessariamen- te in Fučík al tema civile: è la materia po- etica del Canto sospeso del 1956, e natural- mente di Intolleranza 1960, dove viene lette- ralmente ripresa parte del testo di Fučík scrit- to dieci anni prima. Poco più tardi No- no conosce perso- nalmente Erwin Pi- scator, il regista te- desco che fin dagli anni venti aveva te- orizzato un teatro politicamente qua- lificato e, insieme a Walter Gropius, aveva progettato un «teatro totale» che avrebbe avvolto lo spettatore da ogni lato con gli effetti dei suoi macchina- ri scenici. Insieme a Vladimir Majako- vskij e a Vsevolod Mejer’hold, Piscator sarà il costante punto di riferimento delle ipotesi teatrali lungamente studiate e approssimate da Nono, soprattut- to attraverso il formato della cantata, un genere che è dav- vero il vestibolo dell’opera. Proprio a Piscator, all’in- La musica di Nono, una drammaturgia del suono di Veniero Rizzardi Dopo l’ampio spazio dedicato a Intolleranza 1960 nel numero di luglio (cfr. VMeD n. 35, pp. 10-19), in attesa del debutto dell’opera nel nuovo allestimento curato dalla Facoltà di Design e Arti iuav di Venezia torniamo a parlare del grande compositore veneziano attraverso gli interventi di due tra i suoi più importanti studiosi. Václav Kašlík, Josef Svoboda, Bruno Maderna, Luigi Nono, Angelo Maria Ripellino in casa Nono Venezia, febbraio 1961 Eredi Luigi Nono, per gentile concessione. focus on — 9 focus on

Transcript of focus on — 9 La musica di Nono, una drammaturgia del suono · l’inizio di una lettera che Luigi...

Bruno carissimo VIVA!!![...]finalmente la famosa serata de teatro!!!Ti e mi.a staltri i sta fora a scoltar e meditar_e i mona i pol pure pensar a “die Kölner Schule”perché la scuola tua venessiana la xé almenocome quea dei Gabriei e di Monteverdie i sentirà, stavolta!ostia, che ben!la serata de “intolleranza 60” sarà gnente en

confronto con quea nova tua e mia insieme nel ‘64 […]

È l’inizio di una lettera che Luigi Nono scri-ve a Bruno Maderna sul finire dell’esta-te del 1963. Poche parole che dicono

molto di questi due compositori, oggettiva-mente tra i più importanti del Novecento. C’è il desiderio fortissimo di fare (di nuo-vo) teatro, di praticare una dimensione co-municativa appena riscoperta e che negli anni precedenti la composizione musicale aveva consapevolmente rischiato di perde-re, di bruciare in un radicale e utopico pro-getto di rifondazione del linguaggio musica-le. E c’è il desiderio di collegare le novità a una tradizione remota e interrotta (la «scuola» veneziana dei Gabrie-li e di Monteverdi), e quello di differenziar-si dall’«avanguardia».

All’epoca Nono è a Venezia, come sem-pre; Maderna inve-ce vive ormai da una decina d’anni in Ger-mania, a Darmstadt, e scriversi in dialetto è un esercizio di nostal-gia, rivolta a un passa-to molto recente di la-voro comune, di bot-tega. Ma è soprattutto enfasi, posta in mo-do del tutto privato, sulle comuni radici di una tradizione tutta locale che, in quel frangente, prende il senso di una rivendicazione. Verso altre «scuole», co-me «die Kölner Schule» dice Nono pensando a Karlheinz Stockhausen, il musicista di Colonia con cui ha intratte-nuto fino a poco tempo prima un’amicizia forte e frut-tuosa, poi troncata di netto da una polemica.

Quella serata, però, che avrebbe dovuto consacrare il te-atro della «nuova scuola veneziana» davanti alla platea in-ternazionale della critica e dei compositori (così era il fe-

stival di Venezia cinquant’anni fa, un mondo trapassato) – quella serata non si farà mai. Ci si avvicinerà appena, in quel settembre del 1964, e per modo di dire, con la pri-ma dell’Hyperion di Maderna a pochi giorni di distanza da La fabbrica illuminata di Nono: rispettivamente una «lirica in forma di spettacolo», e una scena lirica per contralto e quattro altoparlanti, residuo di quell’opera mai compiuta che doveva chiamarsi Un diario italiano.

Di teatro desiderato, immaginato, tentato, abbozzato, incompiuto è costellata tutta la vicenda di Nono, in una misura forse superiore a ogni altro compositore del No-vecento. Non si penserebbe di primo acchito a Nono co-me musicista per il teatro, eppure, anche se il catalogo delle sue opere sembra smentirlo, l’idea che l’invenzione musicale si compia davvero, in tutta la sua virtù comuni-cativa, sulla scena, è un motivo dominante del suo impul-so creativo. Ci aveva pensato fin dall’inizio, da sempre. Nel 1951 aveva iniziato a comporre una cantata, dedicata a un esponente della resistenza cecoslovacca, il pubblici-sta e organizzatore politico Julius Fučík. Esasperando gli

evidenti modelli del Survivor from Warsaw di Scho-enberg (1948) e degli Studi sul Processo di Kafka

di Maderna (1950), Nono affida qui alla vo-ce di un narratore non le parole di un so-pravvissuto o di un ignaro accusato, ma i lamenti di un prigioniero sotto tortu-ra. E il tema esistenziale dell’isolamen-to, della sofferenza dell’individuo spin-ta all’estremo, s’intreccia necessariamen-te in Fučík al tema civile: è la materia po-

etica del Canto sospeso del 1956, e natural-mente di Intolleranza 1960, dove viene lette-

ralmente ripresa parte del testo di Fučík scrit-to dieci anni prima.

Poco più tardi No-no conosce perso-nalmente Erwin Pi-scator, il regista te-desco che fin dagli anni venti aveva te-orizzato un teatro politicamente qua-lificato e, insieme a Walter Gropius, aveva progettato un «teatro totale» che avrebbe avvolto lo spettatore da ogni lato con gli effetti dei suoi macchina-ri scenici. Insieme a Vladimir Majako-vskij e a Vsevolod Mejer’hold, Piscator

sarà il costante punto di riferimento delle ipotesi teatrali lungamente studiate e approssimate da Nono, soprattut-to attraverso il formato della cantata, un genere che è dav-vero il vestibolo dell’opera. Proprio a Piscator, all’in-

La musica di Nono, una drammaturgia del suono

di Veniero Rizzardi

Dopo l’ampio spazio dedicato a Intolleranza 1960

nel numero di luglio (cfr. VMeD n. 35, pp. 10-19), in attesa del debutto

dell’opera nel nuovo allestimento curato dalla Facoltà di Design e Arti iuav di Venezia torniamo a parlare del grande

compositore veneziano attraverso gli interventi di due tra i suoi più

importanti studiosi.

Václav Kašlík, Josef Svoboda, Bruno Maderna, Luigi Nono,Angelo Maria Ripellino in casa Nono

Venezia, febbraio 1961Eredi Luigi Nono, per gentile concessione.

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domani degli Epitaffi per Federico García Lorca, chiederà il testo per una cantata, mai realizzata, in quattro episodi, con contralto solista e coro di voci femminili, due ruoli per mezzo dei quali Nono intende rappresentare la dia-lettica individuo/collettivo. Il testo richiesto a Piscator avrebbe dovuto esprimere anche nel contenuto un «pun-to di vista femminile».

Vi è in quegli anni un’amicizia con Hans Werner Hen-ze, compositore dal linguaggio musicale assai meno radi-cale di Nono e già allora orientato piuttosto a un aggior-namento del teatro lirico, che è però il tramite di vari con-tatti, tra cui quello con Ingeborg Bachmann, a cui No-no richiede il testo per una nuova cantata su Ethel e Ju-lius Rosenberg, i due militanti comunisti americani che da poco erano stati condannati a morte da un tribunale usa al termine di un processo costruito su accuse infon-date e prove fabbricate ad arte. Nono, come riconoscerà più tardi, aveva alla mano l’esempio della «cantata da ca-mera» di Maderna Vier Briefe, prima composizione che, tre anni avanti Il canto sospeso, faceva ricorso alla testimo-nianza di un par-t igiano condan-nato a morte. Poi, nel 1954 scrive-rà su testo di Paul Eluard La Victoi-re de Guernica, dedi-cata alla città bom-bardata dall’eserci-to tedesco duran-te la Guerra Civile Spagnola.

In quel l ’anno scriverà a Mader-na, appena do-po aver menziona-to persino l’ipotesi di estrarre dall’Ilia-de un soggetto sul-la morte di Ettore: «Ancor più chiaro è ora in me il gran-de desiderio di scriver per il teatro – tu sai quali nuovi problemi esso implichi e bellissimi, soprattutto pensan-do alla larghezza di pubblico a cui esso è destinato e dif-fusione grandiosa […]; non voglio assolutamente fare un lavoro per teatro perché ora c’è l’invito da Berlino, ma so-lo perché possa con il testo continuare il nostro sviluppo umano, che per noi è pure musicale».

Si potrebbe insomma «leggere» tutti gli anni cinquanta di Nono come un cammino che lo conduce a Intolleranza 1960, e non soltanto nei desiderata teatrali espliciti e rivolti a vari scrittori, tra cui Italo Calvino, ma anche nelle com-posizioni che non lo lascerebbero sospettare, come i Co-ri di Didone su testi di Ungaretti, che, scorrendo la corri-spondenza, sembrano essere l’esito di un progetto lunga-mente discusso con il poeta, un lavoro teatrale sugli ulti-mi giorni di Anna Frank.

Ma è del tutto coerente che questi progetti incompiu-ti rimangano tali e si «riciclino» nella musica da concer-to, facendo così di Nono, negli anni cinquanta, il più espressivo e «drammaturgico» dei giovani compositori dell’avanguardia. Nono intuiva, fin d’allora, che la musica

non era destinata, comunque, ad «arrivare» a una scena – dovendosi poi adattare in modo più o meno conflittuale alle convenzioni del teatro – ma era destinata piuttosto a scardinarne la struttura, lo schema produttivo, molto più che la «forma»: e qui la stella polare di Nono è la coppia Piscator-Mejer’hold, il teatro, appunto, «totale», non cer-to una qualunque ipotesi contemporanea di «anti-teatro». Questa esigenza matura proprio con Intolleranza 1960, ve-ro punto di svolta, addirittura meno per la musica che per tutte le implicazioni che faranno di questa esperienza un momento importante anche per tutto il teatro di parola italiano a venire.

In un importante saggio del 1963, Possibilità e necessità di un nuovo teatro musicale, scaturito proprio da quell’espe-rienza, e dal desiderio di spingersi oltre Intolleranza, Nono esprime la necessità di realizzare un «teatro di idee». Con-temporaneamente, nel giro di quattro anni, tra il 1962 e il 1965, concepisce e in diversa misura sviluppa ben quattro progetti teatrali che troveranno realizzazione, e in mi-sura molto ridotta rispetto all’idea iniziale, nella forma

di composizioni non sceniche: Tech-nically Sweet, centra-to sulla tormenta-ta figura del fisico Robert Oppenhei-mer, «padre» del-le bombe nucleari sganciata dagli usa sul Giappone nel 1945; Un Diario Ita-liano in collabora-zione con Giuliano Scabia; un progetto più incerto provvi-soriamente intito-lato Deola e Masi-no, basato su poe-sie di Cesare Pave-se; e quello forse più a lungo discus-so e continuamente

riformulato insieme a Giovanni Pirelli, che si spinge fino al 1968, che conoscerà diverse ramificazioni verso ulte-riori ipotesi di teatro. Da Un diario italiano nasceranno La fabbrica illuminata e una breve ma complessa composizio-ne corale, mentre la collaborazione con Pirelli si concre-tizzerà in A floresta é jovem e cheja de vida.

Tutto ciò corrisponde a un lungo e complesso ripensa-mento del formato teatrale. Nel 1963, quando Nono par-la ancora di una «nuova» o «seconda Intolleranza», scri-ve l’appunto «non libretto, ma tecnica di montaggio in-sieme alla stesura della musica»: via, dunque, ogni linea-rità narrativa. E ormai gli è chiaro il principio della stret-ta aderenza al dato di attualità: la sciagura colposa del-la diga del Vajont, avvenuta nell’ottobre del 1963, pochi mesi dopo è già divenuta materiale per il Diario Italiano. Ai collaboratori letterari Jona, e in seguito Scabia, Nono esprime la richiesta di assemblare e organizzare un ma-

Heinz Rehfuss, Nuria Nono, Bruno Maderna, Petre Munteanu,Italo Tajo, Christina Maderna, Venezia, aprile 1961

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teriale verbale che non è mai deliberatamente poetico o drammatico, e ben presto anche la letterarietà residua di una cronaca ricomposta sarà abbandonata: il documen-to, in tutta la sua immediatezza, diverrà il materiale ver-bale quasi esclusivo.

Ma è in definitiva la materia della musica, la scrittura, il rapporto con gli interpreti, con l’intero spazio acustico, a essere investito materialmente da quelle concezioni, tan-to più che nel frattempo Nono ha scoperto, allo Studio di Fonologia della rai di Milano, le tecniche elettroacusti-che. Abbandonati i personaggi, anche quelli senza nome di Intolleranza, Nono mette meglio a fuoco l’area temati-ca che gli interessa: i materiali dell’inchiesta condotta al-la Fiat nelle parole degli intervistati gli forniscono infat-ti la descrizione di un’esperienza insieme alla lingua nel-la quale viene espressa. E quando Nono con Scabia visi-ta l’Italsider di Genova, la raccolta del materiale sonoro (che finirà nella Fabbrica Illuminata) avviene su due versan-ti, i suoni della fabbrica e il suono delle parole degli uomi-ni che ci lavorano.

Nono intende ca-ricare l’elaborazio-ne musicale del mas-simo potere di rap-presentazione, ma in questo modo, men-tre si avvicina all’ide-ale di una dramma-turg ia puramen-te acustica, si trova sempre più a disagio con una teatralità ve-ra e propria, che pu-re per qualche tem-po continua a ricer-care. Forse è proprio in questa latente con-traddizione che si può spiegare la ten-sione verso un nuo-vo teatro che nei fat-ti non prende mai ve-ramente forma. Fino alla riflessione seguita alla compo-sizione su nastro magnetico delle musiche di scena, da diffondere in tutto lo spazio dello spettacolo, per la mes-sa in scena dell’Ermittlung di Peter Weiss firmata dal vec-chio Piscator. Qui «nella staticità scenica, unico elemen-to dinamico: la parola. in essa lo scontro e la sovrapposi-zione tra presente e passato, tra ricordo, testimonianza e la realtà attuale, tra tentativo di giustificare e di giudica-re e limite della giustizia di classe […] ne deriva grande necessità di differenziazione della parola detta, per la va-rietà di situazioni nella sua formante della composizione acustica spaziale».

Il modello di teatro musicale che Nono ipotizza verso la metà degli anni sessanta finirà proprio per basarsi su questa caratteristica inversione di ruoli: dimensione vi-siva statica, dimensione acustica mobile. In questo sen-so tutte le sue composizioni successive saranno un vero e proprio teatro del suono, a partire dalla Fabbrica illuminata, del 1964, con una voce sola al centro di quattro altopar-lanti. In a floresta è jovem e cheja de vida, vi saranno cinque so-listi, percussioni, otto altoparlanti tutt’intorno al pubbli-co: la studiata disposizione e l’illuminazione degli esecu-

tori, alla «prima» del 1966, espliciteranno che questa mu-sica era stata pensata in termini drammaturgici.

Anche Al gran sole carico d’amore, del 1974, raccoglieva idee e materiali maturati nel corso di molti anni. È uno spettacolo musicale potente ed esplicito (c’è persino la danza) che, come diceva Nono, era nato soprattutto dal-la folgorazione per l’invenzione registica e scenica della Taganka di Jurij Ljubimov e Andreij Borovskij, ma è un punto conclusivo, perché subito dopo la sua realizzazio-ne inizia l’elaborazione di qualcosa di completamente dif-ferente, inizia cioè il «cammino verso Prometeo», mutan-do l’orizzonte del suo pensiero non solo musicale. E il ca-so di Prometeo, com’è noto, è veramente unico nel suo es-sere radicale: un’opera – che si realizzerà nel 1984 – della durata di una serata, con solisti vocali e strumentali, or-chestra, coro, e sound processing sviluppata nel corso di una continua riduzione. Nata insieme a un’ipotesi di appara-to scenico e ambientata in un luogo proprio e specifico (l’«arca» lignea di Renzo Piano installata nella sconsacra-

ta chiesa di S. Loren-zo), l’opera manterrà, alla fine, alcune com-ponenti visive, come le luci di Emilio Ve-dova, che saranno però il risultato di una progressiva sot-trazione e riduzio-ne di elementi: una «critica scarnifican-te», dirà Nono, ne-cessaria man mano che veniva definita la natura puramen-te acustica di quella che, insieme a Mas-simo Cacciari, aveva scoperto come la di-mensione essenzia-le di quel lavoro, la «tragedia dell’ascol-

to». In questo concetto interviene certo un atteggia-mento del tutto nuovo, quello della coesistenza di diver-si «possibili» che solo nel momento concreto si risolvo-no e si «decidono» nell’ascolto – Nono ne parlerà spes-so negli ultimi tempi, quando arriverà a dire che avrà sempre più difficoltà a fissare un’idea musicale in parti-tura, poiché questa nasce sempre molteplice. Ma a que-sta produttiva incertezza corrisponde anche la definizio-ne compiuta di un modo di pensare i suoni come qual-cosa di intrinsecamente drammatico, una condizione in cui si può comprendere davvero tutta la sua musica. ◼

Luigi NonoIntolleranza 1960, dettaglio

dalla redazione definitiva della partituraEredi Luigi Nono, per gentile concessione

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Che non rimanga «nulla di oscuro tra noi» è l’au-spicio che Massimo Mila rivolge in una lettera al suo amico Luigi Nono, in un momento di acuto

scontro polemico. Era il titolo più appropriato per il lo-ro carteggio, che abbiamo raccolto e che è ora fresco di stampa (Il Saggiatore, euro 22), in omaggio al centena-rio della nascita di uno dei maggiori musicologi italiani del Novecento, e a vent’anni dalla scomparsa di una delle figure-chia-ve della musica contemporanea. Il libro contiene anche, in appendice, i saggi e gran parte delle recensio-ni scritte da Mila sui lavori di No-no per «La Stampa» e «l’Espresso», nonché una scelta della corrispon-denza tra il compositore veneziano e l’editore Giulio Einaudi.

È stata reciproca, lunga, per nulla scontata, la fedeltà che ha legato Mila e Nono per più di trentacinque anni. Un’amicizia intellettuale nata tra due pensieri ciascuno a suo modo indipendente dalle differenti tradizioni cultu-rali e politiche cui appartenevano: e in cui l’uno si ricono-sceva nell’altro proprio per tutto ciò che poteva alimen-tare il fuoco della discussione. Sempre, in un inevitabile «divergente accordo».

Il carteggio tra queste due figure centrali della vita mu-sicale italiana del dopoguerra è un documento di insolito peso, per varie ragioni. Tra la sterminata corrisponden-za di Nono con musicisti, artisti, studiosi, personaggi po-litici di tutte le latitudini – circa ottomila le lettere fino-ra conservate e catalogate presso l’Archivio Luigi Nono alla Giudecca – quello con Mila è forse tra i carteggi più costanti ed estesi nel tempo. E un documento di insoli-

ta compiutezza, poiché questa ami-cizia è stata soprattutto uno scam-bio di pensieri messi per iscritto, più che di incontri di persona: «Mi ha fatto piacere intrattenermi con te schiettamente, e in modo un po’ meno superficiale di quel che fatal-mente avviene quando c’incontria-mo», scrive Mila il 6 gennaio 1966; e Nono di rimando: «Se ogni tan-

Mila e Nono, trent’anni«infedeli alla linea»

di Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi

Massimo Mila e Luigi Nono

Nulla di oscuro tra noiA cura di Angela Ida De Benedictise Veniero Rizzardi

Lettere 1952-1988

€ 22,00

ISBN 978-88-428-1645-4

«Carissimo Massimo da tempo ti voglio scrivere, perché non è solo il rapporto musi-cale che mi determina, ma la necessità di comunicare con te e,attraverso te, con Pavese, Ginzburg, Rosselli e con tutto il vostrogruppo torinese, a cui mi sento strettamente legato e obbligato,come alla fonte di energia per la nostra esistenza. Tuo GiGi»

«Carissimo Gigi,ho voglia di intrattenermi un poco a lungo con te, con la pigno-leria che mi è abituale, perché tu sei un amico a cui tengo moltoe vorrei che non rimanesse nulla di oscuro tra noi. Tuo Massimo»

Trent’anni di lettere, cartoline, telegrammi. Trent’anni di parole e colloqui a distanza. Trent’an-ni di amicizia tra due delle più importanti per -sonalità della musica contemporanea. MassimoMila, musicologo e critico musicale di fama inter-nazionale, e Luigi Nono, il grande compositore ve-neziano, uno dei massimi protagonisti della sto-ria musicale del xx secolo. Davvero «nulla di oscu-ro» tra loro. Perché la corrispondenza che i due in-trattennero dal 1952 al 1988, conservata presso laFondazione Archivio Luigi Nono di Venezia e la Fon-dazione Paul Sacher di Basilea, disegna il percor-so evolutivo di un rapporto umano e intellet -tuale di straordinaria intensità, capace di resiste-re agli eventi, alle stagioni, alle incomprensioni eal tempo che tutto consuma. A fare da collante, acementificare questo sodalizio, una passione civilee po litica condivisa, benché a volte su fronti e conesiti divergenti, e il bisogno di dar vita, in anni diintense battaglie politico-culturali, a un discorsocritico e artistico innovativo, in grado di creare unnuovo rapporto fra arte, individuo e società.

E così, nel corpus allestito dai curatori, questa ec-cezionale esperienza epistolare viene ricostruita nelsuo sviluppo naturale, in tutta la sua schiettezza eveemenza. Esperienza privata, certo, ma che dialo-ga e si intreccia continuamente con le più importan-ti vicende culturali della seconda metà del Novecen-to, qui illuminate dalla prospettiva privilegiata di chiquelle vicende le ha vissute da protagonista.

Come un flusso ininterrotto di parole e pensie -ri, che ci vengono offerti senza filtri e interme-diazioni, in Nulla di oscuro tra noi le personali-tà di Mila e Nono emergono in tutta la loro com-plessità, calate come sono in un contesto in con-tinuo movimento, scosso da mille trasformazio-ni e, anche per questo, puntualmente ricostrui-to nel com mento dei curatori.

Il carteggio è completato da una corposa scel-ta degli scritti di Mila su Nono e molte delle let-tere scambiate tra Nono e l'editore Giulio Einau-di, ad arricchire di documenti la storia del profon-do legame tra il compositore veneziano e l'ambien-te culturale torinese.

Massimo Mila (Torino, 1910-1988), uno dei mas-simi musicologi italiani. Compagno di studi di Ce-sare Pavese e Norberto Bobbio, fu antifascista mi-litante e più volte incarcerato dal regime. Docenteal Conservatorio e poi contrattista all’Università diTorino, ha pubblicato numerosi saggi principalmen-te sul classicismo viennese, sul melodramma e sulprimo Novecento. È stato critico de l’Unità, L'Espres-so e La Stampa.

Luigi Nono (Venezia, 1924-1990), uno dei mag-giori compositori del Novecento. Di formazionenon accademica, ha unito l’impegno etico-politico aquello tecnico-compositivo. Nell’ultima fase la suamu sica ha espresso l’utopia di “altri ascolti” e “in -finiti possibili” per mezzo di un impiego visionariodelle tecnologie elettroacustiche. Ha composto cir-ca sessanta opere tra cui Il canto sospe so, Al gransole carico d’amore, Prometeo.

Angela Ida De Benedictis, musicologa, è direttore del comi-tato scientifico della Fondazione Archivio Luigi Nono di Veneziae direttore scientifico del Centro Studi Luciano Berio di Firenze.Ha pubblicato Radiodramma e arte radiofonica. Storia e funzio-ni della musica per radio in Italia (Edt-De Sono 2004).

Veniero Rizzardi, musicologo, è docente in Conservatorio eha insegnato presso l'Università Ca’ Foscari di Venezia e l’Univer-sité de Fribourg. È cofondatore e consulente scientifico dell’Archi-vio Luigi Nono di Venezia. Per il Saggiatore ha scritto, insieme aE. Merlin, Bitches Brew. Genesi del capolavoro di Miles Davis (2009).

Dalla collaborazione fra De Benedictis e Rizzardi sono nati, fra glialtri, Nuova musica alla radio. Esperienze allo Studio di Fonolo-gia della Rai di Milano 1954-1959 (Cidim – Eri-Rai 2000), Luigi Nono.Scritti e colloqui (Ricordi-Lim 2001) e La nostalgia del futuro. Scrit-ti scelti 1948-1986 di Luigi Nono (il Saggiatore 2007).

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In copertina: © Eredi Massimo Mila,© Eredi Luigi Nono

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Mila a Nono, Torino,21 ottobre 1960

Torino, 21 ottobre 1960Carissimo Nono,scusa se non ho risposto subito alle

tue due lettere. Ma il fatto è che il mio poco tempo libero lo dedicavo già a te, mettendo a punto un’articolessa per la «Rassegna Musicale». Articolessa che adesso è, bene o male, terminata in un abbozzo in brutta copia. Se mi arrive-ranno presto gli schemi analitici che mi prometti nella tua cartolina, mi serviranno per specifica-re certi punti in cui mi sono tenuto prudentemente sulle gene-rali. Se, ricevendo questa mia, non avessi ancora preparato gli schemi, allora lascia pur stare: l’articolo può andare anche co-sì com’è. Tanto è piuttosto brutto e generico, perché io – per deficienza di cognizioni specifiche e di esperienza diretta nel-la composizione – non posseggo quella capacità che apprezzo nel da te disprezzato Vlad, di smontare e rimontare una pagi-na di musica per vedere come è fatta.

Ad ogni modo l’articolo servirà. È brutto, ma abbastanza lungo, e quindi peserà. Se, dopo l’articolo dell’Espresso, la gente poteva pensare che avessi preso una cotta passeggera, adesso saprà se non altro che è una cosa seria. [...]

Appena avrò battuto a macchina l’articolo te ne manderò una copia. Tu mi dirai cosa ti dispiace, cosa è nettamente sba-gliato, poi magari io non ne terrò nessun conto.

[…]Adesso dovrei dirti della sorpresa e della commozione che

mi ha procurato la tua seconda lettera, quella specie di entusia-stico ‘outburst’ verso Torino, i torinesi, la tradizione Gramsci-Gobetti-Pavese, ecc. A parte l’imbarazzo di vedere accomuna-ti dei modesti viventi come me e Antonicelli a quei grandi de-funti, vorrei esortarti a vedere anche l’altra faccia delle cose, il

rovescio della medaglia. A ogni virtù corrispondono dei difetti, e tu non hai idea della musoneria, della mancanza d’entusiasmo, della prudenza intellet-tuale che sta sotto alla tenacia torine-se. Vorrei che avessi visto con che per-plessità è stata accolta l’altro giorno, nel consiglio editoriale di E.[inaudi], la proposta Ripellino e tua, presentata da Calvino, di quaderni artistici d’avan-guardia. Noi siamo sempre i soliti po-sapiano, che di fronte a qualcuno vera-mente vivo e sveglio ci guardiamo sbi-

gottiti e diciamo: «ma chiellì l’è matt!». Vedi il dialogo in pie-montese che Massimo d’Azeglio ha messo nei Miei Ricordi, per descrivere questo tratto dei nostri concittadini; vedi la descri-zione di Torino intellettuale nella Vita di Alfieri; vedi, se vuoi, lo stesso Gozzano, in Torino.

Perciò modera il tuo entusiasmo subalpino. Noi, a Torino, non siamo abituati a esser guardati come un faro di civiltà, e niente ci mette più in imbarazzo. Perché in fondo sappiamo di non poter sopportare una simile responsabilità. Tuttavia, se hai proprio questa specie di culto, cercherò di mandarti, se li trovo ancora, alcuni vecchi scritti miei dove si accenna al-la formazione del nostro gruppo torinese: l’articolo su Augu-sto Monti, che era stato pubblicato nel numero del «Ponte» sul Piemonte (non ce l’hai?); un articolo su Casorati, che era sta-to pubblicato in un vecchio numero della rivista La Biennale, e qualche altra cosa. Di lì potrai ben rilevare, tra l’altro, come noi si sia, ormai, nient’altro che i nipotini, molto minuscoli, in for-mato ridotto, di Gobetti e Gramsci.

Salutami tanto Nuria. E tu sta bene: spero che non debba ri-sentire conseguenze gravi dal contagio elettronico. Tanti cari saluti e un abbraccio affettuoso dal tuo

Massimo

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to ci vedessimo e parlassimo – discutendo anche – ci co-nosceremmo meglio, e quindi interverremmo anche me-glio, in generale».

Gli anni di questa amicizia sono quelli racchiusi tra l’av-vio di appassionate battaglie politico-culturali, negli an-ni cinquanta, e la fine del «secolo bre-ve», che nelle lettere si affaccia da an-golature opposte: nella disillusione irritata di Mila che non riesce «più né a parteggiare né a indispettir[si] per questo o per quello», e vede un de-generare dei tempi nella «forte e in-negabile ripresa dei valori religiosi», mentre Nono gli risponde con l’en-tusiasmo di una rinnovata «nostalgia del futuro». Anche qui, verso la fine, si avverte lo scarto tra due generazio-ni separate da una distanza ben più profonda dei quattordici anni ana-grafici. Mila era nato nel 1910, No-no nel 1924. Un abisso, se si consi-dera l’esperienza della guerra, ma qui soprattutto del fascismo, o per me-glio dire dell’antifascismo, che per Mila era stata militanza della prima ora; era stato in carcere già nel 1928, per un paio di settimane, e poi anco-ra, dal 1935 al 1940, a scontare una pesante condanna del Tribunale spe-ciale. Nel 1943, mentre Mi-la assumeva il comando di una divisione partigiana nelle valli di Lanzo e del Canavese, il diciottenne Nono viveva la Resisten-za muovendo i primi passi nell’ambiente degli artisti e degli intellettuali antifasci-sti veneziani.

Un intellettuale singo-lare, Mila: figura più uni-ca che rara nel suo ruolo di critico musicale militante, che poteva esprimersi sul-le colonne de «L’Espresso» e contemporaneamente su quelle torinesi de «l’Uni-tà», quando all’interno del pCi ogni discorso sulle ar-ti era ancora pesantemen-te condizionato dal dogma del realismo. In quegli stes-si anni cinquanta, Nono si avviava al ruolo di giovane protagonista della rinascita culturale e civile dell’Eu-ropa, «lanciato» dal mae-stro e mentore Hermann Scherchen in una brillan-te carriera internazionale.

Forte della convinzione che il suo impegno tecnico do-vesse avere un necessario corrispettivo nella sfera politi-ca, Nono si sarebbe iscritto al pCi nel 1952 ma, ugualmen-te ribelle agli indirizzi culturali caratteristici del partito di allora, si sarebbe per lunghi anni trovato isolato all’inter-

no della sua stessa schiera. Si erano perciò naturalmente in-

contrati, nel 1952, da militanti «irre-golari», e qualche anno dopo, quan-do nel 1956 Nono comporrà la sua opera più celebre, Il canto sospeso, su te-sti di condannati a morte della Resi-stenza europea, Mila se ne farà so-stenitore entusiasta, con trasmissio-ni radiofoniche, articoli, e un im-pegnato saggio analitico (riprodot-to nel volume) intitolato La linea No-no, con il quale saluterà nel giovane compositore l’unica figura in grado di conciliare la sperimentazione tec-nica radicale con la forza espressiva e lo spessore civile del suo lavoro. Il Mila divulgatore sposa così la causa dell’avanguardia e, con quel suo ca-ratteristico tratto di ironica bonarie-tà, parla di «diavolo meno brutto di quanto lo fanno» quasi a convince-re se stesso, più che i suoi lettori, che quella musica non è così «astrusa», e

che rimane sempre espres-siva anche «quando non par bella». Scarti di questo genere nel giudizio sulla musica compaiono spesso nei pur appassionati scrit-ti di Mila, ma non sarà que-sto uno dei numerosi ri-schi che correrà il rappor-to, sempre più confidente e profondo, tra critico e ar-tista. Soprattutto le diffe-renti basi politico-cultura-li dell’impegno di ciascuno nel suo campo li condur-ranno a scontri anche mol-to duri. A Nono appariva inconcepibile che un intel-lettuale segnato da anni di carcere fascista non com-pisse sempre, a suo vede-re, scelte meno che decise e militanti. A questo propo-sito una parte assai rivela-trice del carteggio, e di suo ricca di sorprese, è occupa-ta da discussioni che hanno per oggetto il catalogo di Casa Einaudi, che all’epo-ca continuava a tener fe-de alla vocazione, matu-rata negli anni di guerra, di prestigioso veicolo edi-toriale della ricostruzione culturale italiana. Presso

Nono a Mila, Venezia, 1 novembre 1960

1_11_1960 _ Venezia

carissimo Massimo,sei un bel tipo: perché mi scrivi che il tuo articolo è brutto?allora, se è brutto, perché lo fai?MA, se non lo è, come posso giudicare, avendolo letto, perché

lo dici?Insomma ti ringrazio_all’irruente espressione tua nell’«espresso», fai seguire qui la logi-

ca e cosciente ‘occupazione’ delle nuove terre_come può un atto simile esser brutto?forse desideravi una più particolare analisi tecnica_ oggi come oggi, in tempi di statistiche più o meno neopositivi-

ste di isolamento e straniamento, il rapporto-criterio del perché - percome - per cosa - per chi - tra chi - tra che cosa, mi sembra non solo utile, ma necessario_

‘smontare e rimontare’ una pagina di musica è, penso, essenzial-mente e totalmente questo_

e non la descrizione da agente immobiliare o catastale_ se mai, anche nel tuo caso, è necessario descrivere e analizzare i

vari rapporti-funzioni che determinano i vari elementi, che li or-ganizzano, che li strutturano_ per cui si potrà poi incominciare il discorso sulla musica _

anche il conto della lavandaia ha una sua funzione precisa______________ecco i punti di discussione, non possibile conchiuderla in uno

scambio di lettere, ma che desidero sviluppare con te nel futuro_e sono quanto mai felice che finalmente la discussione-scambio

con te sia iniziata_[…]

Luigi Nono, Roma 1962Eredi Luigi Nono,per gentile concessione

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Einaudi Mila svolgeva un ruolo tanto informale quanto influen-te, al punto che attraverso di lui anche Nono acquisirà il dirit-to di intervenire autorevolmen-te con pareri, proposte e, da un certo punto in avanti, anche giu-dizi e reprimende sulla politica editoriale della casa. Nono, per esempio, sarà parecchio infastidito dal sostegno offerto da Mila all’allora enfant terrible Mario Bortolotto come cri-tico ed esegeta delle avanguardie, e anche influente con-sigliere di festival musi-cali, come quello stesso della Biennale di Vene-zia. Bortolotto era (come è tuttora) forte di uno sti-le erudito e personalissi-mo, oltre che di solide co-noscenze musicali, ma Nono vedeva in lui un’in-tellettuale «salottiero», e troppo ispirato dalla fi-losofia critica di Theodor Adorno, da cui il compo-sitore si sentiva politica-mente molto distante. E quando, nel 1969, Einau-di pubblicherà di lui Fase Seconda. Studi sulla Nuova Musica, comprendente svariati profili di compositori ita-liani, tra cui Nono stesso, la polemica si farà durissima, anche, direttamente, con lo stesso Giulio Einaudi.

Da parte sua il critico torinese cercava invano di con-vincere Nono che il suo impegno di consulente editoria-le era essenzialmente rivolto a sorvegliare la qualità del lavoro dei collaboratori, co-sì come le sue scelte politiche non dovevano influenzare il suo giudizio estetico. Un equi-librio incomprensibile a No-no, e ostentato dal critico con deliberate provocazioni, come quella contenuta in una lettera del 15 luglio 1966: «Non c’in-tenderemo mai, finché non sia messo in chiaro che buo-na musica, buona poesia, buo-na pittura, possono venire be-nissimo anche dai fascisti. De-rain, Dufy, ed Ezra Pound, insegnano».

Ma pochi mesi dopo, la pri-ma esecuzione di a floresta è jo-vem e cheja de vida alla Biennale di Venezia sarà salutata da Mi-la con un’entusiastica quanto attenta recensione, al che No-no, di rimando: «Vedi quan-to tu scrivi, serve anche a me. e mi sembra che a proposito della floresta, quindi di un mo-mento molto particolare mio, di ricerca, di prove, di verifi-

che volte al futuro, mi hai aiutato più d’ogni altra volta, sia quan-to è o sembra risolto, e quanto non lo è. per me sempre è più im-portante riuscire a capire quanto non è risolto e perché».

Nel carteggio risuonano a ogni pagina questi tratti di sincerità e onestà intellettuale, anche e spe-

cialmente verso la fine, quando la «svolta» di Nono verso nuove fonti di ispirazione trova Mila perplesso e anche confuso. Negli scritti pubblici il critico si mostra persino

entusiasta che Nono ab-bia per così dire depura-to la sua natura musicale dalle preoccupazioni po-litiche se non dalla «pro-paganda» – ma su questo Nono in precedenza era stato netto: «propagan-do? no, è la mia base di vita di lavoro di amare di lottare» – e scrive pagine molto acute sul quartet-to Fragmente-Stille, su Das atmende Klarsein, e persi-no, a poche settimane dalla morte, su uno degli ultimissimi lavori di No-no, La lontananza nostalgi-

ca utopica futura. Tuttavia in privato Mila esprime tutta la sua diffidenza per il retroterra filosofico delle nuove uto-pie di Nono, che nel frattempo ha stretto un importan-te sodalizio intellettuale con Massimo Cacciari. Il criti-co torinese, legato al suo laicismo illuminista, non riesce nemmeno un po’ a tener dietro alle esplorazioni condotte

da Nono/Cacciari nel pensie-ro negativo e nel pensiero mi-tico: «Gran bella notizia quel-la del Quartetto. Non vedo l’ora di sentirlo» gli aveva scritto il 14 febbraio del 1980, aggiun-gendo subito dopo «Quan-to all’opera con Cacciari, che Marx e Gramsci te la mandi-no buona». Eppure questa in-solita «opera», Prometeo, sarà per Mila una rivelazione che lo lascerà stupefatto. Alle ulti-me confessioni di Mila, amare e rassegnate, Nono risponde-rà con comprensione, cercan-do invano di trascinarlo nelle sue nuove scoperte e nella sua fiducia: «Ma i fiumi ora sotter-ranei camminano cercando e scavando e prospettando nuo-vi “sentieri” per nuove vie». ◼

Venezia – Teatro La Fenice28 gennaio, 1 e 3 febbraio, ore 19.00

30 gennaio, 5 febbraio, ore 15.30

Intolleranza 1960 di Luigi Nonoazione scenica in due parti

da un’idea di Angelo Maria Ripellinosu testi di Henri Alleg, Bertolt Brecht, Paul Eluard,

Julius Fucak, Vladimir Majakovskij,Angelo Maria Ripellino e Jean-Paul Sartre

prima rappresentazione assoluta:Venezia, Teatro La Fenice, 13 aprile 1961

personaggi e interpreti principaliUn emigrante: Donald Kaasch;

La sua compagna: Cornelia Horakmaestro concertatore e direttore Lothar Zagrosek

regia, scene, costumi e luciFacoltà di Design e Arti iuav di Venezia

tutors Luca Ronconi, Franco Ripa di Meana,Margherita Palli, Vera Marzot, Claudio Coloretti

Orchestra e coro del Teatro La Fenicemaestro del coro Claudio Marino Moretti

nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenicenel l anniversario della prima rappresentazione assoluta

anteprima in esclusiva per Marsilio editorinell’ambito delle celebrazioni del l anniversario

della fondazione della casa editrice

Il gruppo di lavoro del «Progetto Intolleranza»è composto da

Margherita Palli, Vera Marzot, Luca Ronconi,Franco Ripa di Meana, Gabriele Mayer,

Claudio Coloretti, Alberto Nonnato,Luca Stoppini, Claudio Longhi e Walter Le Moli.

Luigi Nono, Venezia, 1970foto Coriún Aharonián,

per gentile concessione

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