First Line Press Magazine #0

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#0 conflittualità rivista mensile del giornale online firstlinepress.org numero 0 | marzo 2014 ROMA>>AMBURGO>>MALAGROTTA EGITTO<<KURDISTAN SIRIANO

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Il numero #0 di First Line Press Magazine, il nuovo mensile di approfondimenti e storie dal mondo curato dalla redazione del sito internet firstlinepress.org Tema del mese: conflittualità&#39;

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conflittualità

rivista mensile del giornale online firstlinepress.orgnumero 0 | marzo 2014

ROMA>>AMBURGO>>MALAGROTTA

EGITTO<<KURDISTAN SIRIANO

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editoriale | #0

firstlinepress.orgFirst Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress

Ci occupiamo di conflitti, periferie, volti, storie che c’imbrattano diventando libere di essere raccontate.

First Line Press Magazine

anno 1 | numero #0

Rivista mensile curata dalla redazione del sito internetfirstlinepress.org

Redazione giornalisticaLorenzo GiroffiAndrea LeoniDomenico MusellaFlavia OrlandiGiuseppe RanieriNatascia Silverio

IllustrazioniHobo

Progetto grafico e layoutDomenico Musella

In copertinaFoto in alto | Manifestazione in Kurdistan Occidentale, Siria (Jan Sefti Kurdistan Photo - flickr.com)Foto in basso | Murales al Cairo (Roberta Rodriquez)

In quarta di copertinaBanner di Marta Ghezzi

First Line Press è una testata giornalistica regolarmente registrata presso il Tribunale Civile di Santa Maria Capua Vetere - Autorizzazione n. 810 del 24/10/2013

Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

Eccoci a presentare una creatura a cui teniamo molto: il primo mensile di First Line Press. Si spera possa essere d’apripista alla forma più efficace di approfondimento che con i nostri viaggi, taccuini ed incontri vogliamo elaborare in questo spazio che va oltre la piattaforma del nostro sito in-ternet. Un mensile che nel suo numero zero è tematico, in un contenitore di conflitti, perché come redazione abbiamo sempre un orecchio rivolto ai trambusti reali, offuscati troppe volte dai rumori di distrazione di massa. Questo prototipo di mensile, che potrete sfogliare in maniera elettronica o anche stampare per stropicciarlo e sottolinearlo alla vecchia maniera, magari facendolo girare tra i vostri conoscenti, è un primo passo, che spe-riamo possa essere seguito da critiche e suggerimenti.

Cosa leggerete?Nonostante dalla Siria continuino ad arrivare filmati, notizie da ogni an-golo, richieste di attenzione, negli ultimi mesi la stampa internazionale ha deciso di trattarlo come argomento non più fresco e quindi di seconda fa-scia, invece in First Line Press Magazine ritorniamo su quel territorio, per raccontare la parte curda; il tema “casa” in Italia non è solo IMU, ICI od altre sigle elettorali, è soprattutto un diritto per cui combattere ogni giorno e tra queste pagine troverete un’intervista significativa, con una finestra pure sugli omologhi movimenti tedeschi; l’Italia può ritrovarsi unita nella pessima gestione dei rifiuti: la bolla di disastri e corruzioni nel Lazio rischia di far esplodere una nuova emergenza; l’Egitto non è solo rivoluzione appassita, ma anche ferite ancora aperte ed abusi di potere da continuare a denunciare.

Conflittualità che First Line Press ha sentito sulla sua stessa pelle. Nelle ul-time settimane ci siamo chiesti se tenere in vita questo progetto editoriale o lasciarlo nel mondo delle utopie, perché al cospetto di un giornalismo contemporaneo che non permette etica. Per ora ci siamo ancora, di certo non per raccontare la nostra conflittualità, ma tutte quelle che sentiamo l’esigenza vadano spiegate, per abitare il 2014 coscienti del mondo (alme-no alcuni pezzi) che ci circonda.

Prendetevi tutto il mese di tempo per leggere il numero zero di First Line Press Magazine, nelle forme che vorrete, senza dimenticare il lavoro quo-tidiano che firstlinepress.org continuerà ad offrirvi. Un modo per conti-nuare a discutere, incontrarci, scambiarci e sopravvivere.

Partiamo da zero e speriamo di arrivare altrove, conservando lo stesso en-tusiasmo.

Buona lettura.

Perché un mensile?

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#0 | sommario

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EGITTO

La violenza della polizia sui minoriTra la paura della rivoluzione e le strumentalizzazioni

GERMANIA

Amburgo: sguardo su una realtà in fermentoTra la gentrificazione, le lotte del Rote Flora e non solo

LAZIO

Immersi nei rifiuti L’inchiesta su Cerroni blocca la Regione e ne rivela tutte le incapacità

ROMA

La capitale delle riappropriazioni: «Dalla casa a tutti gli altri diritti» Intervista a Luca Fagiano

KURDISTAN

Una questione di pura sopravvivenza per i kurdi della Siria Traduzione di un articolo di Frederike Geerdink per Beaconreader.com

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EGITTO

La violenza della polizia sui minoriTra la paura della rivoluzione e le strumentalizzazioniLorenzo Giroffi

Cosa sia rimasto di quella grossa etichetta, a volte non coerente con le differenze dei singoli Pae-

si, “Primavera Araba”, è scrutabile nella rabbia e nei desideri disattesi dell’E-gitto. Impossibile azzardare previsioni sulle strategie che saranno adottate per ridefinire il nuovo concetto di de-mocrazia e come sarà modificata la Co-stituzione dopo il ritorno dei militari al Governo, con la destituzione del presi-dente eletto Mohammed Morsi, espo-nente dei Fratelli Musulmani.

Nell’anno post elezioni la Fratellan-za ha cercato di consolidare un certo tipo di potere, cadendo nel tranello del consenso, mettendo a freno la libertà d’espressione e facendo trovare ancora nella piazza lo strumento di dissenso più efficace. È arrivata così la campagna Tamarod - Rebel, nata per raccogliere le firme utili alla destituzione del pre-sidente Morsi, eletto nel giugno 2012, ma che poi ha gettato il Paese nella instabilità e in scenari forse spiazzan-ti per le stesse opposizioni alla Fratel-lanza: sfera decisionale nuovamente ai vertici dell’esercito. Dal luglio del 2013 l’ex presidente Mohammed Morsi è in arresto assieme ad altri vertici dei Fra-telli Musulmani (in attesa di processo). Il controllo è stato affidato al genera-le Abdel Fattah Saeed Hussein Khalil el-Sisi e coloro che vengono repressi

(nelle ultime settimane si sono intensi-ficati gli scontri ed i rischi di contami-nazioni di guerra civile) sono dunque diventati i sostenitori della Fratellanza.

Nonostante tutti i dubbi che si por-ta ancora dietro, la rivoluzione, che in questi giorni sembra ancora più lon-tana, è stata però anche una boccata d’ossigeno per le questioni irrisolte o per quelle inaccessibili, perché oscure ed intrappolate nelle ragnatele del po-tere. Una di queste è la violenza della polizia sui bambini di strada: gli arresti a tappeto, le torture a far da cornice ed i processi sommari di cui sono vittime.

Fenomeno già presente nel Paese, ma che a seguito del 25 gennaio 2011 (data legata alla rivoluzione) si è intensifica-to sui minori che hanno partecipato alle manifestazioni. La sospinta demo-cratica contro questo triste fenomeno, giunta forse con maggior efficacia con la caduta del regime di Hosni Muba-rak, ha permesso a vari comitati, che si

occupano di diritti umani, ma anche ai liberi cittadini e alle famiglie delle vitti-me, di provare ad investigare.

Le vittime sono per lo più bambi-ni di strada, facili prede per chi vuole sfogare una rabbia malvagia e repres-sa contro chi non ha possibilità di di-fendersi, in tutti i sensi, ma soprattut-to legalmente. L’associazione egiziana Popular Campaign For Protection Of Children ha raccolto i numeri di questi casi, provando a rispolverare una me-moria storica delle violenze.

Se il bersaglio iniziale erano i mi-nori che vivono per strada o comun-que quelli incapaci di utilizzare mezzi di denuncia propri, successivamente tale atteggiamento violento è divenuto un’arma per sradicare dai giovanissimi egiziani, pronti a scendere in piazza, il sentimento di rivoluzione e di dissenso. Altra chiave di lettura, emersa in di-scussioni affrontate con chi inizia a re-lazionarsi con l’annosa questione, è che la polizia, macchiandosi di un crimine

«Io credo che le forze di sicurezza si accaniscano contro la classe povera perché quei bambini sono più vulnerabili anche nelle loro possibilità»

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del genere, abbia voluto alimentare il malcontento nella società egiziana post rivoluzione, facendo rimpiangere il passato regime, visto il legame dei vertici polizieschi con esso, creando così nell’opinione pubblica il binomio violenza e Fratelli Musulmani al potere. Secondo questa tesi, la polizia avrebbe così amplificato i focolai di protesta nella già esausta popolazione egizia-na, attraversata da una devastante crisi economica e dai desideri tramutatisi in incertezze.

Al Cairo, agli angoli delle uscite di una delle tante fermate della lunga li-nea metro, noto dei gruppi di bambini che si dormono addosso, con spicchi infuocati di sole che li tormentano e in posizioni lontane da ogni concetto di comodità. Sono loro le principali vitti-me, così ingiustamente bambini, a pas-sar la notte con la stanchezza come uni-ca certezza, mantenendo atteggiamenti incredibilmente fanciulleschi, nono-stante la necessaria corazza da adulti.

A Tora El-Balad in una delle peri-ferie del Cairo, incontro Mona Aboe-leyoun, che lavora con l’associazione Manadeel Waraq (Popular Campaign For Protection Of Children). Inizio a confrontarmi con i numeri e le ricer-che sugli arresti che, dall’inizio della rivoluzione, hanno coinvolto i gruppi più vulnerabili dei minori, quelli della strada. Nel periodo delle rivolte contro Mubarak furono quasi settecento quelli arrestati ed il numero non è diminuito negli ultimi due anni, anzi. Tra il 2012 ed il 2013 i bambini arrestati al Cairo sono stati più di quattromila, mentre ad Alessandria superano i tremila. In queste operazioni, secondo l’Egyptian Coalition Of Children’s Rights le forze di sicurezza non tengono assolutamen-te conto dell’età dei processati ed ap-plicano misure che non tengono conto dei diritti che questa garantirebbe loro. I fermi avvengono in contesti molto diversificati. Le manifestazioni sono sicuramente gli eventi che fungono da

calamita a questo tipo di persecuzione, per la violenza intrinseca che avvolge anche i giovani. Molte volte però questi non conoscono le ragioni dei loro arre-sti. Ci sono stati episodi di persecuzioni gratuite, come il caso, che mi racconta Mona, di un ragazzino che si trovava nei pressi di una manifestazione a Qasr al-Aini per una visita medica ed è stato tratto in arresto per sbaglio. È uno dei tanti casi di minori fermati solo perché nei paraggi di movimenti di dissenso.

Mona parla dei motivi che spingono individui così giovani ad avvicinarsi a cortei e tafferugli: «I bambini vanno alle manifestazioni per cercare qualcosa di eccitante ed emozionante, ma anche per curiosità di guardare o semplice spirito di gioco fanciullesco».

Il clima di curiosità però deve fare i conti con scontri e spirito da guerriglia urbana, che poi tramuta tutto in accuse di assalto a forze di sicurezza, tentati omicidi, lancio di pietre e bottiglie Mo-lotov, incendi: questi i principali capi d’accusa. Tali operazioni ovviamente causano numerosi strascichi per i bam-bini, che devono fare i conti, dopo stati di fermo estenuanti, con disturbi di na-tura psicologica.

La legge è lontana dalla sua reale applicazione, vengono torturati ed è negata loro la difesa poiché non affian-cati da avvocati per minori.

Le testimonianze parlano di vio-lenze fisiche della polizia sui bambini, feriti senza essere medicati, ed oltre a questo ci sono le umiliazioni e le offese ricevute. Tante volte gli arrestati pas-sano giorni in auto della polizia o ca-mionette, senza cibo ed acqua, al sole. Le famiglie, nei casi in cui ci sono, non ricevono notizie dei propri figli per set-timane e quando li ritrovano hanno di-nanzi un quadro di devastazione. Molti di loro si rifiutano di parlare dell’espe-rienza subita.

Mona mi spiega perché a suo avvi-so questi giovani vengono individuati come obiettivi e nemici della società: «Io credo che le forze di sicurezza si ac-caniscano contro la classe povera perché quei bambini sono più vulnerabili anche nelle loro possibilità. Prima della rivo-luzione erano comunque presi di mira, ma poi sono stati usati come pedine in un conflitto politico. Molti dei bambini coinvolti sono analfabeti e poveri, le loro famiglie non hanno la possibilità di ga-rantire un avvocato difensore ed infatti dopo indagini sommarie sui loro casi, che il più delle volte durano solo quattro

IL CAIRO | Giugno 2013: bambini e donne manifestano (ph: Roberta Rodriquez)

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giorni, vengono direttamente processati. Poi tutto dipende dalla fortuna o da chi può permettersi appunto un avvocato. Ci sono casi di assoluzioni ed altri di con-danne».

Mona Aboeleyoun dell’associazione Manadeel Waraq mi conduce a casa di una madre che ha subito sulla sua pelle le preoccupazioni per un figlio arresta-to, massacrato e poi turbato. Lo ha fatto due volte, perché anche il figlio di una sua amica ha subito la brutalità di una repressione sfrenata. Sebbene sia fuori luogo in tali contesti appellarsi alla for-tuna od alla buona sorte, questa don-na però ha avuto un destino migliore rispetto all’amica, che ha visto il figlio massacrato e poi ucciso dalla polizia, crivellato nelle tempie.

A Tora El-Balad non circolano fiumi infiniti di taxi come nel resto del Cairo, qui ci sono invece dei mezzi a motore che sembrano piccoli scooter con una panchina sul retro. Hanno un tettuccio giallo e giovani alla guida. I conducen-ti offrono passaggi in cambio di un di-naro. Saliamo su questo veicolo, tra la polvere della strada e le buche. Intanto ascolto gli ultimi numeri che Mona mi riporta: la ricerca dell’Egyptian Coali-tion On Children’s Rights, concentrata-si sui mesi da febbraio a maggio 2013, raccoglie i casi di quattro bambini as-sassinati al Cairo, due a Port Said, uno a

Mahala ed uno a Tanta, tutti a seguito di arresti o pestaggi della polizia.

Il taxi in miniatura su cui viaggia-mo si ferma lungo un viale divenuto impercorribile per le sue tre ruote, ma comunque in prossimità di casa della madre del minore arrestato.

Tra sassi, bambini assiepati a spiarci e gatti in cerca di cibo, incon-triamo Umm Muhammed Ayid, madre di Muhammed Ayid, che ci attende sull’uscio di casa. Quest’abitazione in

prospettiva, nella sua parte più alta, sembra essere raggiunta da questa donna mastodontica, con i tratti più scuri rispetto le altre donne affacciate-si durante la nostra camminata, come a rimarcare la sua origine dall’Upper Egypt.

Noto la cura del velo a festa e l’abito carico di convenevoli per la nostra vi-sita, mentre la donna ci fa accomodare in casa, scusandosi per le condizioni

6 | flp magazinedisagiate del luogo, ma senza isterici lamenti: non ha richieste di aiuto da ri-volgerci, solo tanta voglia di casse am-plificatrici per la sua storia e per tutte le vittime della violenza.

Ci accomodiamo a terra, con il pavi-mento riempito anche da una cucciolata di gatti, il figlio più piccolo ed altri fami-liari di cui non è necessario specificar-ne il grado, perché tutti tenuti assieme da una complicità toccante. La donna si siede di fianco ad una grossa foto incor-niciata. Ritrae un ragazzo che ricorda la bellezza dell’attore Orlando Bloom. Si tratta di Muhammad, un altro figlio acquisito in questa casa: morto perché ucciso senza motivo. La famiglia di que-sto ragazzo è molto amica della donna che mi ha appena accolto. I due nuclei familiari sono stati a lungo alla ricerca del ragazzo: non se ne hanno avute no-tizie per un mese. Fino a scoprire poi che era morto, per le violenze subite in una manifestazione a Piazza Tahrir.

È difficile iniziare a srotolare do-mande con dinanzi l’immagine di un giovane ucciso dallo stesso Paese per cui magari stava manifestando, con il sogno di un futuro migliore. Mi faccio trascinare dall’energia di questa don-na, tanto imponente, quanto profonda. Con sofferenza doma le lacrime ed il singhiozzo della sua voce, perché vuole raccontare anche la storia di suo figlio, Mohammed Ayid. Una bambina mi si

IL CAIRO | Murales commemorano i giovani “martiri” di via Muhammad Mahmud (ph: Roberta Rodriquez)

«Prima della rivoluzione i bambini erano comunque presi di mira, ma poi sono stati usati come pedine in un conflitto politico»

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flp magazine | 7avvicina mostrando una piccola foto, strappata via da un album, che ritrae Mohammed in posa di fianco ad una motocicletta luccicante. Al momento il ragazzo non è presente, perché ri-luttante all’idea di ripercorrere la sua storia, che invece la madre vorrebbe tradurre in un appello alle forze di sicu-rezza ed i garanti della legge, affinché questi episodi possano placarsi.

Mohammed Ayid è stato arrestato, per due volte, all’età di 14 anni, per-ché come molti si era recato a Tahir, la piazza pulsante del Cairo, per partecipare con altri ragazzini ad una manifesta-zione. La prima volta ha passato quattro giorni in carcere, poi due mesi. La madre, in entrambi i casi, è venuta a conoscenza degli arresti dopo una settimana di ri-cerche. Quando ha notato le feri-te su tutto il cor-po, Mohammed le ha raccontato di essersele pro-curate in piazza, durante le ma-nifestazioni, per evitare, almeno in un primo momento, di dover fare i conti con il ricordo delle violenze subite dai pestaggi della poli-zia. Successivamente il ragazzo ha rac-contato i giorni dell’arresto ed il mo-mento della cattura. Il fermo è avvenuto per mano di uomini in vesti civili, usciti da un veicolo della polizia mentre era con altri ragazzini, tutti immobilizzati e tratti in arresto. A Mohammed è sta-to sottratto il cellulare, cento sterline egiziane che possedeva e la sua carta di identità che venne distrutta. Con altri quattro ragazzini è rimasto immobiliz-zato nel veicolo della polizia dalle otto della sera alla mattina successiva, sen-za acqua, cibo ed aria. Quando i ragaz-zini arrestati si lamentavano, battendo contro i finestrini per chiedere di poter bere, la polizia abbassava per un attimo il vetro accontentandoli con un getto di qualche liquido sul volto.

«Quando l’ho ritrovato nella stazio-ne di polizia di Qasr el-Nil mi sono resa conto di quante altre famiglie fosse-ro alla ricerca dei loro figli scomparsi.

Dopo qualche settimana la polizia mi chiamò chiedendomi una cauzione per il rilascio di mio figlio. Durante quelle settimane io avevo iniziato a fare ap-pelli a tantissime televisioni, come la Arabeya, la Mbc e la Nahar. Le autori-tà mi accusarono di averlo fatto dietro compenso e quindi mi dissero che di-sponevo dei soldi per pagare l’ammen-da per pagare l’ammenda. L’avvocato che mi ha sempre aiutata gratuitamen-te, perché supporta questo tipo di casi, si è poi impegnato in prima persona a

reperire la somma, dal momento che la nostra famiglia era troppo povera per farlo. Inoltre le notizie delle inter-viste a pagamento che rilasciavo erano completamente false. Comunque grazie all’aiuto dell’avvocato, Mohammed è stato rilasciato tramite cauzione, ma da

allora lui versa in un pessimo stato psi-cologico. Non parla con nessuno, passa tutta la sua giornata lontano da casa e si rifiuta di andare a lavoro. Io non lo so se tutto ciò sia causato dalle tortu-re subite o dalle umiliazioni, ma come tutte le madri delle vittime vorrei inve-ce sapere cosa succede in quello stato

IL CAIRO | La madre di Muhammed Ayid con accanto la foto di un giovane “martire” (ph: dal documentario Figli miei: le violenze sui minori sotto la rivoluzione egiziana)

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detentivo». La storia di Muhammed Ayid può

essere declinata con tanti altri volti, in una gabbia di interrogativi che il pro-cesso di transizione egiziano si porta dietro. Tante le cause, altrettante le strumentalizzazioni, ma tremenda-mente vere le violenze, che iniziano a diventare troppo ingombranti per i so-gni del nuovo Egitto. Paese che tuttavia vive ancora della saggezza e della voglia di cambiamento, che anche la mamma di Muhammed vuole preservare nel

suo invito alle autorità: «Anche se questi bambini avessero sbagliato e bisognas-se arrestarli, fate in modo di applicare la legge, senza mandarli all’inferno. Non li torturate, altrimenti li lascerete per sempre nella disperazione. Anche voi sie-te o sarete genitori, avete padri e madri: sapete dunque cosa vuol dire. Conside-rateli vostri figli, poi se sbagliano deve esserci la legge, non la violenza». █

PER APPROFONDIRE |

FIGLI MIEI: LE VIOLENZE SUI MINORI SOTTO LA RIVOLUZIONE EGIZIANAUn docUmentario realizzato dallo stesso aUtore dell’articolo, lorenzo Giroffi

disponibile a qUesto link:http://www.youtube.com/watch?v= IgrMEwG65V8

«Immobilizzato nel veicolo della polizia dalle otto della sera alla mattina successiva»

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GERMANIA

Tra la gentrificazione, le lotte del Rote Flora e non soloAndrea Leoni

Il 21 dicembre del 2013 il centro di Amburgo è in subbuglio: violenti scontri scoppiano tra manifestanti

in difesa di uno spazio occupato, il Rote Flora, contro migliaia di poliziotti in tenuta antisommossa. Dopo quel gior-no si susseguono discordanti voci che hanno come preciso obiettivo quello di alzare la tensione: un commissaria-to del quartiere St. Pauli sarebbe stato attaccato da alcuni giovani per ben due volte, un poliziotto sarebbe rimasto gravemente ferito. Le notizie non ven-gono confermate e gli attivisti dicono che i giornali e le istituzioni stanno spudoratamente mentendo, tutto ciò infatti servirebbe a giustificare la mos-sa degli amministratori dell’SPD (So-zialdemokratische Partei Deutschlands - il Partito Socialdemocratico tedesco): vengono prese misure eccezionali, una sorta di coprifuoco viene instaurato in tre punti storici della città tedesca. La risposta degli attivisti è stata ancora una volta molto determinata e numero-si cortei hanno sfidato i divieti imposti dalle autorità. Il coprifuoco è terminato dopo una settimana anche se sono mol-ti i luoghi in cui la polizia staziona in maniera permanente.

Tutto questo fermento, però, viene da molto lontano, arriva nella me-tropoli intrecciandosi con altri tipi di lotte, per questo abbiamo chiesto

ad Elia Rosati, esperto di movimenti in Germania, quali siano stati i passi che si sono mossi per arrivare alla variegata e determinata composizio-ne del 21 dicembre scorso.

«In questi ultimi mesi i vari conflit-ti sociali di Amburgo hanno trovato un denominatore comune nel contrasto al riassetto urbanistico e alla gestione di quella che è la seconda metropoli della Germania. Si è creato quindi un clima di forte scontro e un braccio di ferro in particolare con l’amministrazione “co-munale”; parliamo di una città-stato,

cioè di una governance politica che ha dei larghissimi poteri di decisione e ge-stione del territorio. Negli ultimi mesi, quindi, si sono aperti tre fronti di scon-tro: contesti di lotte che riguardano la riorganizzazione urbanistica della cit-tà, soprattutto di una zona in particola-re che comprende i distretti di St. Pau-li, Altona e Hohenfelde, sulla sponda nord dell’Elba, nel centro della città. In questi quartieri, vecchi nuclei familiari, migranti e studenti rappresentano la

componente più numerosa della po-polazione che vi abita; ma per ragioni immobiliari, di gentrificazione, queste zone sono state oggetto di forme di spe-culazione immobiliare che hanno por-tato alla ristrutturazione e alla riquali-ficazione forzata di moltissimi stabili, al conseguente innalzamento velocissimo dei canoni di affitto, alla contestuale cacciata dei cittadini migranti che vi abitavano e all’emigrazione in altri di-stretti, soprattutto periferici, di chi non poteva più permettersi un alloggio lì. Tale sfondo è la cornice di questi tre fronti che si sono recentemente saldati insieme.

Il primo è stato quello compattatosi dopo lo sgombero delle Esso-Häuser, ovvero strutture abitative pubbliche a disposizione di migranti che hanno problemi economici e che possiedono uno status di rifugiato. La cosa ha coin-volto diverse famiglie che, sempre con la scusa che dovevano essere ristrut-turate le case, hanno subìto un vero e proprio sgombero. Da qui è nata una vertenza, la quale, per il momento, ha ottenuto che il comune di Amburgo si è dovuto impegnare ad ospitare, a sue spese, i migranti all’interno di piccoli alberghi.

«Negli ultimi mesi si sono aperti tre fronti di scontro: contesti di lotte che riguardano la riorganizzazione urbanistica della città»

Amburgo: sguardo su una realtà in fermento

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flp magazine | 9Sempre da un punto di vista di lot-

te dei migranti si è creato il secondo fronte: in Germania esiste una sorta di scontro legislativo, a livello europeo ma soprattutto con l’Italia, per quanto riguarda le politiche d’accoglienza e il diritto d’asilo. Capita quindi che una serie di persone che avevano passato il confine sud della Fortezza Europa (mol-

ti da Lampedusa) e avevano raggiunto la Germania si trovano oggi in un limbo giuridico: sono riconosciuti come “rifu-giati di serie b” per la legge tedesca, ma non possono accedere pienamente al diritto d’asilo. In realtà questa situazio-ne giuridica è un meccanismo che vuole scoraggiare nei fatti la loro permanenza in Germania; queste persone, oltretut-to, non hanno nessuna garanzia che non saranno rimpatriate forzatamente nei loro paesi di origine. Molti di loro pro-vengono dall’Africa nera e data questasituazione insostenibile si sono autor-ganizzati principalmente ad Amburgo ed a Berlino. La recente strage di Lam-pedusa ha in qualche modo acceso i ri-flettori sulla loro condizione.

Questi gruppi, anche per rilanciare la storica campagna antirazzista “Nes-sun uomo è illegale” a livello euro-peo, si sono chiamati “Lampedusa in Hamburg” e “Lampedusa in Berlin”. Queste persone da mesi portano avan-ti questo tipo di vertenza, con cortei selvaggi settimanali (ogni mercoledì) e con delle sorte di accampate nelle strade di Amburgo e di Berlino. Nello scorso maggio una delegazione di ri-fugiati in lotta ha anche partecipato al tentativo di blocco dell’aeroporto di

Francoforte (il più grande del Paese e quello da cui partono i voli Lufthansa che rimpatriano i migranti) organizza-to dalla rete Blockupy, nelle giornate di assedio alla Banca Centrale Europea.

Questa protesta, in particolare ad Amburgo, ha, in qualche maniera, rotto la normale vita della città, protestando apertamente contro le istituzioni. Negli

scorsi mesi il luogo dell’acampada nella città sull’Elba era sul sagrato di un’im-portante chiesa dove poi hanno incon-trato forme di assistenza dalla diocesi locale. Anche questa protesta ha come epicentro, ancora una volta, la sponda nord del centro città.

Nelle stesse zone si è dispiegata la terza questione, sul tavolo da mol-to tempo: quella relativa al futuro del centro sociale Rote Flora, un ex tea-tro occupato nel 1989 sul finire delle lotte del ciclo Autonomen. È lo spazio sociale più importante di Amburgo ed è uno dei pochi centri sociali occupati

rimasti in Germania. In realtà il palaz-zo ha una più che decennale vertenza durissima con il comune di Amburgo. Il Senato della città, quindi, nel 2001 fece da mediatore con un palazzinaro locale,

che a sua volta, con un accordo, aveva promesso di non toccare lo stabile per circa dieci anni vista la sua importan-za politica, sociale e artistica. Questo accordo è scaduto nel 2010 ed è così cominciata una sorta di campagna per la difesa del Rote Flora che è culminata negli scontri del 21 dicembre scorso.

Queste tre vertenze (due che hanno come centro i migranti e quest’ultima del Rote Flora) sono pressoché concen-trate nella stesse zone. Questo dipende molto dalla storia antagonista di Am-burgo, che è sempre stata ricca e forte, e dal fatto che gli episodi avvengono tutti in questi distretti, che oggi sono al cen-tro delle speculazioni immobiliari data la loro posizione centrale, e dove sono sopravvissute piccole enclave di resi-stenza alla dilagante gentrification».

Come hanno risposto a tutto ciò gli amministratori della città-stato?

«Tutti e tre i fronti di scontro si sono condensati nella manifestazione convo-cata il 21 dicembre 2013, fortemente ostacolata dall’amministrazione social-democratica guidata da Olaf Scholz. Ciononostante migliaia di persone si sono ritrovate davanti al Rote Flora, lì è entrata in gioco la polizia che ha impe-dito con la forza che la manifestazione potesse partire. Sono nati, come noto, duri scontri che sono durati per ore. Si è arrivati così durante le vacanze di Na-tale alla promulgazione del coprifuo-co, ovvero: si dichiara una determina-ta “zona pericolosa” e in questo luogo sono vietate manifestazioni, è possibile l’identificazione coatta di qualunque persona, chiunque può essere portato via per accertamenti e la zona potrebbe essere transitata soltanto da residenti. L’atto legislativo viene motivato da due fantomatici attacchi, avvenuti lo scorso capodanno, con bottiglie molotov a dei commissariati di polizia della zona del-la parte nord di St. Pauli, e con le conti-nue forme di “teppismo caotico” che ci sono nelle vicinanze del centro sociale e di altri vecchi squat.

La decisione dell’amministrazione amburghese è molto grave, anche se va detto che questa pratica del coprifuo-co è abbastanza consueta in Germania, soprattutto durante manifestazioni autonome, sgomberi, partite di calcio “calde” o vertici istituzionali. Tuttavia la cosa senza precedenti, è che questa “zona di pericolo” è stata circoscritta in una zona urbanistica molto ampia e senza un termine temporale. Tutto ciò è

AMBURGO | Lo storico centro sociale Rote Flora (ph: Santiago Montecruz - flickr.com)

«Nello scorso maggio una delegazione di rifugiati in lotta ha anche partecipato al tentativo di blocco dell’aeroporto di Francoforte»

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stato oggetto di scandalo perché la po-lizia era già stata molto criticata per il blocco del corteo per il Rote Flora del 21 dicembre. La repressione ha portato a una serie di perquisizioni a tappeto e un notevole numero di fermati (cir-ca 500 persone) durante il coprifuoco. Anche per questa sua durezza, la ver-tenza è stata recentemente annullata, visto le critiche politiche e il fatto che venivano organizzati stabilmente brevi, ma partecipati, cortei che sfidavano la “zona pericolosa”, disobbedendo ripe-tutamente alle regole del coprifuoco».

Ciò che si è potuto vedere è che il mo-vimento autonomo tedesco è ancora molto forte. È sicuramente un punto di riferimento per le altre realtà eu-ropee e tutto ciò è dato anche dalla storia che ha avuto…

«È molto difficile spiegare il movi-mento antagonista tedesco, perché si tratta di una realtà radicale, forte, ma che ha una vicenda storica molto par-ticolare. Un mondo che è completa-mente diverso da quello dei movimenti dell’Europa Mediterranea, soprattutto da quelli italiani. Nel senso che il movi-mento autonomo tedesco ha avuto fino ad ora forti momenti di diversità da noi. Quando parliamo del Rote Flora, ma an-che ad esempio del Koepi di Berlino, facciamo riferimento a tutto il mondo autonomo degli anni 80, che sostanzial-mente trovava il suo punto di scontro maggiore ed anche la sua forza nelle oc-cupazioni di case e di centri sociali. Al-tri fronti di lotta molto intensi, in quegli anni, si davano sul terreno dell’antim-perialismo/antimilitarismo, come del-le lotte ambientaliste ed antinucleari. Una galassia questa, quella che possia-mo chiamare “degli Autonomen”, figlia anche della scena anarchica tedesca e in strettissima sinergia con quella, simi-le e al tempo contemporanea, dei Paesi nordeuropei (Scandinavia e Olanda). Un ciclo di lotte autonome che ha, però,

concluso la sua spinta vi-tale e propulsiva sul finire degli anni 80, riuscendo a preservare in modo mili-tante l’esistenza di diverse realtà, come per esempio dei palazzi occupati, non a caso proprio ad Amburgo, di Hafenstrasse. Parliamo anche di un contesto poli-tico e socio-economico che non esiste più (la Germa-nia Ovest). Sopravvivono

però, ripeto, nelle maggiori città tede-sche, degli squat, degli spazi sociali o dei quartieri in cui questo mondo re-siste ancora. Il caso del Rote Flora ap-partiene a questo discorso qui. Questo ciclo di lotte trova la sua fine simbolica nel 1990 con lo sgombero manu milita-ri di Mainzer Strasse, nella “quasi-ex” Berlino est: dopo tre giorni di scontri di una durezza incredibile, la polizia riesce ad espugnare la più importante nuova zona liberata della Capitale tede-sca, bloccando così l’espandersi delle occupazioni nella parte orientale della città, allo sbando amministrativo dopo i primi mesi post-caduta del Muro.

Dagli anni ‘90 in poi emerge una nuova generazione autonoma che ri-

sponde alle contraddizioni maggiori del nuovo stato tedesco unito: oppo-nendosi al nazionalismo della Grande Germania post-unificazione, all’emer-gere di un forte movimento neonazi-sta (tollerato, in un certo senso, dallo Stato), alle politiche xenofobe contro i migranti, che portarono subito ad un ridimensionamento delle leggi costitu-zionali sull’accoglienza da parte della CDU (Christlich Demokratische Union Deutschlands - Unione Cristiana Demo-cratica tedesca) di Helmut Kohl. Era un contesto nazionale completamente diverso da quello che avevano vissuto gli Autonomen storici: una Germania che si riaffacciava in Europa, uno stato nuovamente militarista, estremamente dinamico dal punto di vista economico. Nasceva una nuova generazione mili-tante quella delle Autonomen Antifa. A partire dal primo collettivo con il

nome di AAM di Goettingen, comin-cia una nuova famiglia autonoma nella storia antagonista tedesca, di ideologia nettamente comunista, che concepisce l’anticapitalismo come antifascismo rivoluzionario. Si prende come logo e come nome quello che era di una mi-lizia armata comunista degli anni ‘30 (Antifaschistische Aktion), grafica-mente e ideologicamente (una siner-gia antifascista tra gruppi libertari e di derivazione marxista) rivisitato: in pochissimi mesi sorgono Autonomen Antifa in tutte le città e nasce il primo coordinamento nazionale, l’AABO.

Ovviamente continuano anche tut-te le lotte come quelle antimilitariste (contro l’annuale vertice NATO di Mo-naco) o ambientaliste contro i trasporti delle scorie radioattive che dalla Fran-cia attraversavano la Germania (Ca-stor) e proprio nel territorio tedesco trovavano l’ostacolo degli attivisti che bloccano o perlomeno rallentavano il viaggio del treno nocivo.

Con l’inizio degli anni ‘00, in parti-colare dopo il G8 di Genova, momento a cui partecipano tantissimi militan-ti tedeschi, le riflessioni politiche del movimento dei movimenti e i fronti di lotta, anche più sociali, si moltiplicano; ma le antifa restano il contesto in cui queste vertenze si inseriscono, trovan-do organizzazione e corpo militante. Di questo mutamento sono figlie le lotte contro la Guerra in Iraq (2003) o sul tema del precariato/welfare (la prima Mayday), molto forti a metà anni 2000 durante l’approvazione della grande e draconiana nuova riforma del merca-to del lavoro (Hartz IV). I movimenti sociali autonomi diventano, quindi, più variegati e molto spesso si trova-no uniti in momenti di conflittualità che possono essere la continua azione militante contro le marce neonaziste o contro-vertici, come la larghissima mo-bilitazione contro il G8 di Rostock del Giugno 2007.

Da Rostock in poi, ed è storia di que-sti ultimi anni, una nuova metodologia di azione e di costruzione delle lotte si è affermata. Il mondo autonomo antifa resta centrale e largamente maggio-ritario, ma le mobilitazioni si aprono anche, in alcuni contesti, a partiti di si-nistra radicale e sindacati conflittuali. Emblema di questo è Blockupy, una co-alizione europea (nata da una proposta tedesca) che da due anni organizza pro-teste contro la Troika a Francoforte e che per il Novembre 2014 ha indetto un grande assedio al nuovo palazzo della Banca Centrale Europea». █

«Quando parliamo del Rote Flora ci riferiamo al mondo autonomo degli anni ‘80 che aveva la sua forza nelle occupazioni di case e centri sociali»

POLIZIA | Durante un coprifuoco (ph: Phil Chambers - flickr.com)

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LAZIO

Immersi nei rifiutiL’inchiesta su Cerroni blocca la Regione e ne rivela tutte le incapacitàFlavia Orlandi

MALAGROTTA (ROMA) | Una visuale dell’enorme discarica recentemente chiusa (ph: ????????)

Lo scorso 9 gennaio, con un po’ di ritardo, la befana ha portato un dono succulento per i comitati ro-

mani: l’arresto del monopolista dei ri-fiuti della capitale (e non solo) Manlio Cerroni, noto alla politica come “il Supremo” e a sé stesso come “il salva-tore di Roma”. Le accuse sono di asso-ciazione a delinquere, traffico di rifiuti e truffa. I problemi non si fermano a lui: l’inchiesta infatti coinvolge una serie di suoi uomini di fiducia e la Regione La-zio stessa. Per il momento le ordinanze di custodia cautelare sono 7: oltre che per Cerroni sono per l’ingegnere Fran-cesco Rando e Piero Giovi, amministra-tori di alcune sue imprese, Giuseppe Sicignano, responsabile dell’impianto di Trattamento Meccanico Biologico (TMB) di Albano Laziale, Bruno Landi,

“cerniera” dell’imprenditore col mondo della politica, ex Presidente della Re-gione negli anni ‘80 e oggi amministra-tore di Ecoambiente, Latinambiente

e Viterbo Ambiente, e infine Luca Fe-gatelli e Raniero De Filippis, interni alla amministrazione regionale.

L’arresto degli ultimi due è la prima

traccia di come il potere economico del Supremo, la sua posizione di mono-polio, fossero possibili in virtù dei fa-voritismi che la politica gli concedeva. E non sono gli unici politici ad essere coinvolti nelle indagini: ci sono anche Giovanni Hermanin de Reichfield e Giovannetti Romano, quest’ultimo se-gretario particolare dell’ex assessore Pietro di Paolantonio, i defunti Mario Di Carlo e Arcangelo Spagnoli, ed infi-ne l’ex Presidente della Regione Piero Marrazzo deve rispondere all’accusa di aver autorizzato l’inceneritore di Albano Laziale, compiendo di fatto un abuso di potere. In tutto 21 indagati e una grande figuraccia per la Regione. L’indagine coordinata dal GIP Massimo

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MALAGROTTA (ROMA) | Uno scorcio della discarica (ph: Lina Rignanese - flickr.com)

«L’attenzione sui reati al centro delle indagini è stata posta dall’attività del Coordinamento contro l’Inceneritore di Albano Laziale»

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Battistini si sta sviluppando in quattro direzioni: il progetto di una discarica a Monti dell’Ortaccio, le tariffe per lo smaltimento dei rifiuti a Anzio e Nettu-no, l’impianto di raccolta e trattamento dei rifiuti di Albano Laziale e il progetto dell’inceneritore di Albano Laziale.

A Monti dell’Ortaccio, una delle candidate alla totodiscarica romana, il gruppo Cerroni avrebbe realizzato l’invaso di una futura discarica di circa 3 milioni di metri cubi, smaltendone i detriti nella discarica di Malagrot-ta, in teoria in chiusura e di proprietà dello stesso gruppo. Nel corso di questi lavori, che fruttarono all’impresa Gio-vi di Cerroni non meno di 8 milioni di euro, la falda acquifera sotterranea fu accidentalmente deviata producendo una sorta di lago artificiale. Tuttavia secondo gli inquirenti, per non mettere a rischio le autorizzazioni con il danno idrogeologico causato la Co.La.Ri., altra azienda di Cerroni presentatasi come la proponente, alterò illegalmente le foto-grafie presentate, e il lago scomparve dalle mappe.

Ad Anzio e Nettuno invece, grazie alla mediazione di Landi, la Pontina Ambiente e la Ecoambiente di Cerroni sarebbero state favorite con una serie di ritardi nelle autorizzazioni alla con-corrente Rida Ambiente, che avreb-bero impedito a quest’ultima l’accesso al mercato della gestione dei rifiuti. Inoltre, mentre alla Rida non arrivava l’assegnazione delle tariffe definitive, il gruppo Cerroni veniva autorizzato a smaltire rifiuti non trattati in discarica, nonostante ciò violasse la normativa nazionale e comunitaria.

Ma la parte più interessante di que-sta inchiesta riguarda sicuramente Al-bano Laziale, anche perché l’attenzione sui reati al centro delle indagini è stata posta dall’attività del Coordinamento contro l’Inceneritore di Albano, uni-co comitato cittadino presente negli atti dei giudici e lodato dallo stesso GIP Battistini per l’utilità della controin-formazione prodotta. A Roncigliano, frazione di Albano, la discarica è ormai alla saturazione del settimo invaso, e da anni un’autorizzazione molto for-zata permetterebbe la costruzione di un inceneritore gemello di quello di Malagrotta all’interno dello stesso ap-pezzamento. I rifiuti sversati in quella discarica sono prodotti dai 10 comu-ni del bacino dei Castelli Romani, ma nell’ultimo anno e mezzo anche i rifiuti di Roma, Ostia e Ciampino ci arrivano:

la carenza di impianti di trattamento meccanico biologico (TMB) della Ca-pitale ha infatti prodotto un flusso di suoi rifiuti in altri bacini, anche di altre province e regioni. Ad Albano, secondo la questura, dal 2006 ad oggi la parte di rifiuto trattata e trasformata in CDR (Combustibile da Ri-fiuto, in pratica carta e plastiche) veniva sversata in disca-rica e solo un 15% veniva trasportato all’inceneritore di Colleferro e brucia-to. Ciononostante i Comuni del bacino hanno pagato per anni per questo ser-vizio la tariffa della termovalorizzazio-ne, permettendo all’azienda di Cerro-ni, la Pontina Ambiente, di guadagnare 11 milioni di euro di profitti illeciti dal 2006 al 2011.

Nel frattempo le condizioni del set-timo invaso sono peggiorate: due anni fa, su segnalazione di alcuni cittadini della zona che trovarono del percolato, sversamenti liquidi della discarica, in un fosso della zona l’Agenzia Regio-nale Protezione Ambiente (Arpa) Lazio ha lanciato l’allarme sull’inqui-namento delle acque. Sarebbero dovu-te seguire delle analisi idrogeologiche supplementari a quelle di routine della discarica, poco utili per capire le con-dizioni della falda. Infatti a settembre

la stessa Agenzia Regionale per l’Am-biente dichiarò, all’interno della rela-zione sui campionamenti delle acque, che il sistema anti-inquinamento della discarica di Roncigliano, i cosiddetti pozzi spia, sarebbero inadeguati come strumento di monitoraggio: «La rete piezometrica a servizio della discarica è costituita da una serie di piezometri che si attestano nella falda principale (…). In primo luogo all’interno dei piezome-tri sono installate delle pompe che non consentono di applicare le condizioni ideali di un campionamento ambientale. La contaminazione da composti inor-ganici riscontrata durante la suddetta campagna di prevenzione risulta essere caratterizzata dalla presenza costante

di arsenico. Si rilevano inoltre due su-peramenti di fluoruri e due di allumi-nio. (...) Quest’ultimo elemento si trova solo nel campione tal quale e non nella fase disciolta. La presenza di composti organici si rileva attraverso 1,2 di clo-ropropano in concentrazione eccedente

i limiti di legge rilevato nel piezometro FB1 all’interno del sito e a valle idroge-ologica, come già riscontrato da Pontina Ambiente sullo stesso piezometro e sul piezometro B».

Conoscendo il ritardo di tale co-municazione non sorprende (anche se l’ultima parola sarà in giudizio) che le indagini della magistratura si allun-ghino fino all’interno dell’Arpa Lazio, all’ingegner Fabio Ermolli autore di questa relazione, che in passato lavorò per lo stesso Cerroni all’interno della Systema ambiente di Brescia. Anzi, è proprio il 10 gennaio, il giorno dopo l’ordinanza dei magistrati, che l’Arpa ha infine inviato alla Provincia di Roma, alla Asl RmH locale e ai Comuni di Alba-no Laziale e Ardea la relazione sui cam-pionamenti dell’acqua. Il fatto che i dati idrogeologici siano stati finalmente resi pubblici dalle amministrazioni, è dovu-to alle costanti pressioni a cui il Coor-dinamento contro l’Inceneritore ha sot-toposto l’Arpa e il Comune di Albano. Tuttavia per lungo tempo le istituzioni sono rimaste silenziose, ultima tra tut-te la circostanza della Conferenza dei Servizi del 13 gennaio al Comune di Al-bano, rinviata a data da destinarsi per l’assenza non giustificata dell’Arpa. La loro costante segretezza è stata a lungo interpretata dai militanti come peri-colosa, presagio di un contenuto allar-mante e politicamente scomodo. Tutta-via recentemente sono stati pubblicati i dati igienico-sanitari ed epidemiologici del Progetto Eras “Epidemiologia, ri-fiuti, ambiente, salute nel Lazio” sulla discarica di Roncigliano. Il Rapporto prodotto da questa ricerca rappresen-ta un censimento delle discariche, de-gli impianti di trattamento meccanico

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MANLIO CERRONI | Monopolista della gestione rifiuti romana e proprietario delle discariche di Malagrotta e Roncigliano (ph: differenziati.wordpress.com)

«Un disagio la cui gestione nei prossimi mesi sarà davvero difficile»

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e biologico e dei termovalorizzatori presenti sul territorio regionale, con particolare attenzione alla qualità e alla quantità di sostanze inquinanti emesse in atmosfera. Quelli di Albano risulta-no essere tra i dati più preoccupanti dell’intera Regione, ma lo sversamento nella discarica continua, ora che Ma-lagrotta è chiusa ancora di più, e dove sarebbe dovuto sorgere il futuro ince-neritore probabilmente si progetterà un ottavo invaso. La novità dell’anno in-fatti, emersa durante la presentazione, lo scorso 13 dicembre, del nuovo Piano Rifiuti della Regione, è che il progetto dell’inceneritore è stato eliminato dalle carte. Forse anche perché nell’inchiesta in corso si ritiene che l’autorizzazione di questo impianto sia stato un caso emblematico «di come la pubblica fun-zione possa essere sviata per favorire in-teressi diversi da quelli pubblici, infedeli funzionari pubblici (con sistematica vio-lazione di disposizioni di legge indicate nelle singole ipotesi e dei doveri d’uffi-cio) e soggetti politici di livello regionale hanno contribuito fattivamente alla re-alizzazione di un percorso finalizzato ad agevolare gli interessi di alcuni soggetti imprenditoriali ben definiti e, in partico-lare, di Manlio Cerroni».

L’impianto infatti, autorizzato no-nostante il parere negativo della Asl locale, era riuscito ad accedere ai fi-nanziamenti CIP6 fuori tempo massi-mo, quando ormai la stessa legislazione italiana (su spinta europea) li aveva di-chiarati illegittimi. I CIP6 erano infatti un’anomalia legislativa tutta italiana che, classificando la combustione dei rifiuti come una fonte energetica rinno-vabile e “pulita”, ne autorizzava ingenti finanziamenti pubblici. Dopo anni di cospique elargizioni a questi ecomo-stri, su pressione europea, di CIP6 sono stati eliminati, garantendone tuttavia l’accesso agli impianti già autorizzati. La stessa localizzazione dell’impianto presentata sul progetto si basava su dei falsi documentali, non tenendo conto della estrema vicinanza dell’impianto

di Colleferro, e quindi della necessità di non aggravare ulteriormente quell’a-rea con altro inquinamento da combu-stione di rifiuti. Il progetto incontrò l’ostacolo in teoria insuperabile nella Valutazione di Impatto Ambienta-le negativa espressa dalla competente direzione regionale, ma tale decisione verrà poi ribaltata con un lungo e fumo-so iter amministrativo che il GIP ritiene frutto di un concerto criminoso: una “colossale montatura” tra i proponenti Cerroni e il suo legale Avilio Presutti, che in alcuni casi arrivavano a dettare i contenuti degli atti pubblici, in un caso addirittura protocollati ancor prima di essere redatti nella loro forma definiti-va. Anche in questo caso sono stati una serie di esposti e ricorsi al Tar del Coor-dinamento a permettere che tali irrego-

larità diventassero note. Nonostante il ruolo di sentinella sociale che il comita-to ha svolto sul territorio, limitando di fatto un futuro impatto ambientale ca-tastrofico nell’area dei Castelli Romani, piccole ritorsioni da parte delle ammi-nistrazioni locali continuano a colpir-lo: multe per attacchinaggi illeciti (e in passato mai ritenuti problematici), difficoltà per ottenere l’affido di sale consiliari mai precedentemente negate. Attivismo civile vessato anche quando sopperisce alle mancanze di un sistema politico corrotto.

Ancora oggi non si sa se i 10 co-muni che conferiscono i propri rifiuti nella discarica di Roncigliano si pre-senteranno come parte civile in que-sto processo e chiederanno di essere

rimborsati delle tariffe alzate illegalmente dal-le aziende di Cerroni, o se rimarranno incastra-ti in un meccanismo di vassallaggio verso il monopolista. Sebbene la scoperta degli illeci-ti descritti rappresenti una grande vittoria per i comitati e per tutta la società civile, il caos da essa prodotto sta ag-

gravando la già forte emergenza rifiu-ti della Regione. Il coinvolgimento dei due dirigenti De Filippis e Fegatelli ne ha prodotto l’allontanamento dall’Uffi-cio Dipartimento territorio e ambiente. Inoltre il Commissario per l’emergenza rifiuti Goffredo Sottile, nominato nel maggio 2012 allo scopo di trovare il sito per una nuova discarica “provvi-soria” e il cui mandato stava scadendo proprio a metà gennaio, non è stato ri-confermato. Con questa assenza di re-sponsabili la chiusura della discarica di Malagrotta e la saturazione di quella di Roncigliano e di quella dell’Inviolata di Guidonia Montecelio rappresenta-no un disagio la cui gestione nei prossi-mi mesi sarà davvero difficile. Quest’ul-tima discarica dall’estate 2013 ha già avuto un aumento del 10% dei rifiuti in entrata, autorizzato fino al 13 febbra-io. A partire dal 15 febbraio la Regione Lazio ne ha bloccato gli sversamenti in via provvisoria, con l’ordinanza n. 46 del 12 febbraio, in attesa del completa-mento del nuovo impianto TMB al suo interno. Tuttavia il sindaco Eligio Ru-beis si è opposto a tale provvisorietà della chiusura e, in virtù dell’emergen-za sanitaria prodotta dall’Inviolata, ha firmato il 12 febbraio una ordinanza con cui chiude in maniera definitiva la discarica, gettando nel panico il bacino dei 51 comuni che si servivano di essa. I dati Arpa sull’area circostante la disca-rica parlano di eccessi di tallio, cobalto e manganese. I comitati si sono prepa-rati a protestare sotto gli uffici dell’A-rea VIA della Regione, ma gli attuali vuoti all’interno dell’amministrazione fanno pensare che non ci sia nessu-no che possa rispondere all’appello o prendere decisioni di qualsiasi natura.

Anche i vertici dell’Ama, l’Azienda Municipale Ambiente. sono da poco cambiati. Il neo presidente Daniele For-tini si è appena insediato e già si trova ad affrontare lo sversamento di rifiu-ti ospedalieri pericolosi nei depositi Ama interni alla discarica di Malagrot-ta, seguito alle forti piogge di stagio-ne dell’ultimo periodo. La sua nomina segue l’imbarazzo comunale per quel-la precedente di Ivan Strozzi, subito cambiato quando la stampa ne ricordò le indagini a suo carico a Messina per traffico di rifiuti. Ennesima dimostra-zione che qualcosa di pulito non si sa più dove andarlo a prendere e che le discariche ormai sature della Regione non sono i soli luoghi dove si nascon-dono rifiuti. █

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«L’inceneritore di Albano: un caso emblematico di come la pubblica funzione possa essere sviata per favorire interessi diversi da quelli pubblici»

ALBANO LAZIALE (ROMA)| Protesta contro il progetto di Inceneritore (ph: noinceneritorealbano.it)

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La capitale delle riappropriazioni: «Dalla casa a tutti gli altri diritti»

ROMA

Intervista a Luca FagianoGiuseppe Ranieri

La vivacità politica e sociale che si è innescata nella lotta per la casa è alimentata dalle vite, dai volti

e dalle esperienze dei suoi molteplici protagonisti ed è stata in grado di otte-nere anche una legittimazione media-tica riuscendo a far arrivare le proprie rivendicazioni al grande pubblico. Uno dei suoi principali animatori è Luca Fa-giano, uno dei volti più noti della pro-testa, ospite anche in una puntata del-lo scorso ottobre di Servizio Pubblico. L’intervista che mi ha concesso è stata pregna della sua voglia di lotta ed è av-venuta poco prima del suo arresto. In questa introduzione mi riservo una de-dica a Luca, agli altri arrestati ed a tutti gli uomini che pagano con la perdita di libertà la loro ricerca di giustizia socia-le, con gli auguri per una immediata li-berazione.

Luca, sei attivo già da molto tempo all’interno delle lotte per il diritto alla casa, una tematica di scottan-te attualità. Nonostante gli oltre 260.000 edifici abbandonati, Roma vive una vera e propria emergenza abitativa.

«Sono tanti anni che porto avanti insieme ad altri protagonisti le lotte per il diritto all’accoglienza e per il di-ritto all’abitare nelle città di Roma. Ho iniziato molti anni fa nel mio quartiere, Ostia, e poi ho proseguito con tante al-tri quartieri di Roma, che è da sempre la capitale dell’emergenza abitativa. Il

tema degli sfratti è quello di un’emer-genza che ti porta in qualche modo a riempire ogni spazio libero della città e che si manifesta con delle contrad-dizioni e con un’esplosività che è tutta

caratteristica della piazza romana. Un laboratorio delle lotte e dei conflitti per la riappropriazione della città: l’epicen-tro di tutto quello che avviene su piano nazionale».

Nonostante Roma sia una città con una tradizione forte di occupazioni e lotte per la casa, è indubbio che ne-gli ultimi anni la tematica sia tornata notevolmente in auge. Possiamo af-

fermare di trovarci di fronte ad una presa di coscienza che ha sdoganato la pratica dell’occupazione?

«A Roma il movimento di lotta per la casa ed in particolare delle occupa-zioni non si è mai fermato. Anche negli anni ‘80 e ‘90 quando sembrava diffici-le organizzare delle vere e proprie lotte popolari in Italia, il Movimento ha fatto sentire la propria voce, ha mantenuto la sua aggregazione e capacità di dimo-strare che la lotta paga. Siamo riusciti, attraverso l’autorganizzazione, a rag-giungere i risultati sperati lottando con molta determinazione. Il Movimento di lotta per la casa, in qualche modo, è sempre riuscito a Roma a tenere i po-sti, tant’è che questo salto di qualità si è prodotto a partire da un tessuto so-ciale e di occupazioni, già esistente e non proprio piccolo. Incontrando l’e-splosione delle contraddizioni sociali dell’austerità, il Movimento ha messo il piede sull’acceleratore determinando negli ultimi due anni dei cicli di occu-pazione molto più forti come numero di persone coinvolte ed ampiezza dei soggetti partecipanti. Gli stessi che ma-gari prima non sentivano l’esigenza di

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«Incontrando l’esplosione delle contraddizioni sociali dell’austerità, negli ultimi due anni i cicli di occupazione sono stati molto più forti»

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to. Dentro questo processo, dentro gli tsunami che hanno travolto e coinvolto Roma, c’è stata anche la maturazione di un movimento che ha avuto la capacità di agganciarsi ad altre lotte».

Pensi che questo cambio di marcia potrebbe dipendere anche dal cam-bio di giunta comunale?

«Non abbiamo notato una gigan-tesca differenza di comportamento tra le giunte di centrodestra e di centro si-nistra. Abbiamo respinto degli attacchi molto forti che sono arrivati ad inizio del mandato dell’allora sindaco Gianni Alemanno, però siamo riusciti anche lì ad andare lentamente dalla resistenza al contrattacco, per cui abbiamo occu-pato anche con l’ex sindaco, abbiamo conquistato delibere che hanno garan-tito il diritto alla casa a chi ha occupato anche durante quest’ultima ammini-strazione di centrodestra, nonostan-te il sindaco avesse garantito che non avrebbe accettato una cosa del genere. Nel passaggio dalla giunta Aleman-no-Polverini a quella Marino-Zinga-retti abbiamo prodotto un ulteriore scatto in avanti ed ora i risultati co-minciano ad arrivare con una delibe-ra sull’emergenza abitativa che non è una manna dal cielo, non rappresenta una soluzione all’emergenza abitativa, perché questa ha dei numeri pazzeschi a Roma, però è un buon inizio proprio perché dimostra che solo le lotte popo-lari autorganizzate, senza “inciuci”, sen-za meccanismi di contaminazione col potere pagano e quindi vogliamo anche gestire questo risultato, per rilanciare

nuove lotte e nuovi processi di trasfor-mazione».

Oltre ad aver avuto la capacità di sapersi agganciare ad altre lotte, il Movimento ha saputo anche allarga-re la base sociale di riferimento, una mossa a mio avviso inevitabile di fronte ad una contrazione del teno-re di vita ed a fenomeni che mirano chiaramente all’esclusione sociale se non alla segregazione, come ad esempio la gentrificazione, che di fatto mira all’allontanamento delle fasce più popolari dai quartieri del centro della città, per relegarli in pe-riferie scomode e disagevoli. Secon-do te dove vanno ricercate le cause principali?

«Le politiche di austerità che si af-fermano in maniera così radicale sui nostri territori e sulle nostre vite, quin-di la disoccupazione e la precarietà che diventano fenomeni che da alcune fasce sociali, diciamo di migranti, o di perife-ria, rompono questi confini della ge-ografia sociale, per coinvolgere anche settori di ceto medio. Non solamente gli studenti, ma segmenti sempre mag-giori che rendono l’emergenza abitati-va ancora più estesa e radicale. Anche la speculazione edilizia si è trasformata ed è diventata per certi versi anche un fenomeno finanziario. I prezzi degli af-fitti e delle case non sono calati e non riescono ad andare incontro ad una si-tuazione sociale che sta precipitando. La colpa è anche delle scelte che sono state fatte dai governi e dalle ammini-strazioni in merito: la pressoché totale

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scendere sul terreno della lotta e che difficilmente si aggregavano ai movi-menti, oggi invece ci travolgono con delle richieste che talvolta vanno oltre le nostre capacità di organizzare i con-flitti. È aumentata anche la capacità di impattare con gli interessi forti di questa città, andando ad occupare il patrimonio sfitto non solo pubblico, ma anche privato, con l’obiettivo di de-terminare una rottura nei confronti di questo quadro di potere estremamente più decisa e radicale. Prima era molto difficile tenere così tante occupazioni (occupare posti nuovi, alberghi, case già pronte, occupare il patrimonio dei costruttori), perché portavano a subire un contrattacco molto più forte.

Oggi questi numeri e questa ca-pacità di organizzarsi contempora-neamente in tanti luoghi della città ha messo in difficoltà la controparte, che non può intervenire usando stru-menti esclusivamente di ordine pub-blico. Ci sono stati esempi di resistenza molto forti che hanno dato coraggio a tutti. Mi fa piacere citare due casi em-blematici: la resistenza delle famiglie di Casal Boccone che hanno addirittura ri-cacciato via la celere che era già entrata nell’occupazione e quella degli abitanti di Valle Fiorita che ha bloccato di fatto un ciclo di sgomberi. Allo stesso tempo, dentro questa scommessa il movimen-to si è riconosciuto in una forma più po-litica con la necessità di dimostrare che si può aggredire l’austerità, si può ma-terialmente produrre una risposta, un avanzamento dei settori sociali, delle lotte e delle aspirazioni di cambiamen-

19 OTTOBRE 2013 | Un’istantanea della manifestazione nazionale per il diritto all’abitare (ph: Remo Cassella - flickr.com)

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liberalizzazione degli affitti con la legge 431 del’98, la cancellazione di qualsiasi traccia di edilizia residenziale e pub-blica, cioè di case popolari, lo spreco di denaro pubblico per avvantaggiare alcuni costruttori. In questo momento un fenomeno simile si sta verificando soprattutto al Centro Nord dove man-cano quei cosiddetti paracaduti sociali, laddove si sta vivendo sulla propria pel-le la deindustrializzazione».

La novità del momento può essere anche l’incontro tra le istanze del Movimento per il diritto alla casa con quelle di altre vertenze, ad esempio col movimento contro la TAV, ma più in generale con tutti quelli per la di-fesa dei territori. Pensi che sia pro-prio questa una della carte vincenti del nuovo ciclo di esperienze di lot-ta?

«Sicuramente il legame col mo-vimento No-TAV si è intensificato col diktat “Nessuna grande opera! Casa e reddito per tutti”. La lotta No-TAV è una di quelle che sta dentro le battaglie con-dotte in ogni città d’Italia. Quella com-battività e quella capacità di affer-mare che sul territorio che si abita si decide autonomamente. Questo è un qualcosa che abbiamo saputo ri-portare dentro le nostre città. Il Mo-vimento di lotta per il diritto alla casa ha saputo farne una propria bandiera e quindi si è costruito un legame specia-le, veicolo per una rabbia che ambisce ad un cambiamento sociale».

Forse bisogna paradossalmente rin-graziare questa crisi per aver abbat-tuto tanti steccati, sei d’accordo? In qualche modo ha portato la protesta della periferia nazionale a ricom-porsi su larga scala con una conflit-tualità a 360 gradi…

«L’austerità ha messo a nudo con-traddizioni che già c’erano e che natu-ralmente sono venute fuori con mag-giore radicalità. In questo momento c’è una lontananza abissale dal potere e dai

suoi meccanismi, c’è una voglia di met-tersi in gioco direttamente e di costru-ire delle pratiche che possano provare a determinare una capacità di iniziativa più forte se non una vera e propria ope-ra di riappropriazione, senza aspettarci che i diritti cadano dal cielo, perché ce li dobbiamo riprendere».

Quindi è giusto auspicarsi che lo stesso percorso di lotta per il diritto alla casa possa essere intrapreso an-che per altre battaglie?

«Sì, gli sportelli prendo-casa si stan-no diffondendo ovunque, i picchetti an-tisfratto vanno avanti in tutto il Paese. Dal 15 al 22 gennaio c’è stata un’ondata di occupazioni che può essere defini-ta il primo tsunami a livello nazionale,

quindi è un movimento che si comincia ad articolare. Sicuramente alcune bat-taglie ed alcuni strumenti fanno parte di un bagaglio che va implementato ed anche sperimentato in un certo senso, cioè riempito di pratiche nuove. Il tema dei migranti è presente, anche perché una parte consistente del nostro mo-vimento è migrante, è meticcio e rap-presenta già nella sua aggregazione e nei presidi all’interno delle città un’i-dea di società che abbiamo. Tra l’altro abbiamo denunciato in questi giorni i maltrattamenti e le reclusione dei rifugiati all’interno del CARA di Ca-stelnuovo di Porto e ci apprestiamo a manifestare per la chiusura del CIE di Ponte Galeria. L’idea è che negli spor-telli con cui siamo presenti in tanti ter-ritori della città progressivamente ci si occupi anche del tema dei migranti dei loro diritti, come delle altre con-traddizioni legate al reddito, quindi che possano diventare degli strumenti di riappropriazione che vadano oltre il tema dell’abitare. Chiaramente va tutto sperimentato: stiamo pensando a met-tere in campo una vasta campagna sul tema “Io non pago”, ossia non pagare il trasporto pubblico se si è disoccupati o precari, di non pagare o di autoridurre le bollette dell’acqua e della luce, di non pagare i ticket sanitari, che sono arriva-ti a prezzi esorbitanti e negano il diritto alla salute a chi non ha il reddito suf-ficiente per permetterselo, lasciando spazio ad un diritto alla salute sempre più privato ed escludente. D’altronde le nostre vite non sono segmentate: non c’è da un lato il tetto sotto cui vivere e dall’altro tutto il resto».

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«Le nostre vite non sono segmentate: non c’è da un lato il tetto sotto cui vivere e dall’altro tutto il resto»

OCCUPAZIONI | Attivisti per il diritto alla casa all’opera (ph: Cantiere Centro Sociale - flickr.com)

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Quindi mi sembra di capire che l’o-biettivo sia quello di arrivare ad ave-re una vita dignitosa attraverso la pratica del conflitto e la creazione di quelli che qualcuno potrebbe defini-re centri di contropotere?

«È un tema molto complicato. C’è chi parla di alternativa a questo siste-ma, ma non parla di conflitto sociale; noi siamo convinti che l’alternativa si possa costruire soltanto dentro un

conflitto che provi a mettere all’angolo quello che è il potere reale, attraverso una ridiscussione dei rapporti di forza, dunque la necessità di produrre contro-potere senza la quale non c’è nessuna alternativa. Per me, per noi, quest’al-ternativa cresce dentro le nostre lotte, dentro anche quell’umanità che facendo i conti, ad esempio con uno sfratto, capisce che è necessa-rio riaggregarsi ad altri soggetti, ri-scoprendosi così un soggetto attivo che non si ferma a fare una singola battaglia per il diritto all’abitare o per il TAV, ma scopre che dentro questa lot-ta già sta costruendo un altro sistema di relazioni umane alternativo a quello che il potere politico/economico vuole disegnare per noi».

Sembra che la fase di riflusso post Genova, quel periodo che qualcu-no ha definito di resa concordata da parte del movimento, sia finita e sia iniziato un ciclo di contrattacco dopo essere stati chiusi all’angolo per molto tempo. Pensi che dell’e-sempio di combattività e dei risulta-ti ottenuti dal Movimento per la casa

possa beneficiarne tutto il Movimen-to italiano?

«Che domandone! Io penso che il ciclo di movimento che si è costruito attorno ai controvertici come Napoli o Genova, un ciclo molto importante e che non voglio banalizzare, avendoci preso parte anch’io, si è chiuso da un pezzo, dentro tante difficoltà e contrad-dizioni. In particolare abbiamo evitato di ripetere l’errore di proporre soltanto

un movimento d’opinione, che ruotasse attorno al controvertice, ma non vives-se la quotidianità. Tuttavia quel ciclo di lotte aveva già imputato al neoliberi-smo delle contraddizioni che sono poi esplose sempre con maggiore radicali-tà. Però quei movimenti sono stati can-cellati dalle repressioni, dalle divisioni,

dall’incapacità che c’è stata di ripartire dai territori e dalle contraddizioni so-ciali. Si cambia non soltanto se ci sono i grandi appuntamenti di partecipazio-ne, che sono pure molto importanti, ma se noi riusciamo a trasformare le nostre vite quotidianamente e quindi a liberarle giorno dopo giorno con pro-cessi di riappropriazione. Oggi siamo ancora in una fase in cui il movimento è molto vasto. Sicuramente abbiamo messo come sperimentazione la capa-

cità di aggregare un tessuto molto am-pio. L’abbiamo verificato intorno alla manifestazione del 19 ottobre 2013. Sicuramente gli esempi sono impor-tanti perché danno coraggio a tutti, dando inoltre la capacità di misurarsi con un’esperienza reale e quindi anche di riprodurla in maniera diversa nel proprio contesto sociale e quindi il Mo-vimento NO-TAV e quello per il diritto all’abitare sicuramente rappresentano

due esperienze concrete, ma con una forte simbolicità, che consentono di raccogliere sempre più esperienze sul piano nazionale e non solo. Allo stesso tempo ci sono altre lotte che vengono fuori e non sono meno importanti come le lotte dei lavoratori della logistica, nuove sperimentazioni di lotta fuori dai meccanismi sindacali, ma penso an-che alle lotte sui rifiuti. Dobbiamo esse-re consapevoli di dover fare i conti con un contesto politico in cui l’austerità, lo strapotere politico delle banche, delle lobby finanziarie, della globalizzazione e della precarizzazione delle nostre vite vengono riproposte come se fossero un comandamento divino. Addirittura si riorganizza uno Stato come il nostro per rispondere a questi diktat, trovan-do delle formule elettorali che possono permettere ad un governo di governare per cinque anni con stabilità come ci viene spesso detto, avendo uno scar-sissimo consenso tra la popolazione, essendo stati eletti da una parte pic-colissima. Dunque è nelle nostre mani, solo nelle nostre mani la possibilità di cambiare le cose!» █

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«È nelle nostre mani, solo nelle nostre mani la possibilità di cambiare le cose...»

CONTRADDIZIONI DELL’AUSTERITÀ | La denuncia di manifestanti in uno striscione (ph: Cantiere Centro Sociale - flickr.com)

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KURDISTAN

Una questione di pura sopravvivenza per i kurdi della SiriaFrederike Geerdink

traduzione a cura di Natascia Silverio

Se non rappresenti uno stato vero e proprio, non conti. Ed è ancora peggio quando la nazio-

ne senza stato che rappresenti è con-siderata una minaccia alle potenti nazioni già esistenti. Ecco in breve il motivo per cui i kurdi non sono rap-presentati a “Ginevra II”, la conferen-za sulla Siria che comincia oggi. L’e-sperto di kurdologia e attivista dei diritti dei kurdi, il sociologo turco Ismail Besikci, definisce questo fatto addirittura come una “struttura in-ternazionale anti-kurda”.

La corsa a Ginevra II è stata, come c’era da aspettarsi, una battaglia ri-guardo a chi sarebbe stato invitato e chi no, riguardo a chi avrebbe accettato un invito e chi lo avrebbe rifiutato. Alla

fine, l’Iran è stato lasciato fuori, la Co-alizione Nazionale Siriana così come il governo di Assad vi partecipano, e oltre alla Russia, agli Stati Uniti, alle Nazioni Unite e all’Unione Europea, è stata invi-

tata ai colloqui una lista di altri paesi, inclusi il Belgio, la Grecia ed il Messico.

I kurdi non sono mai stati invita-ti. Nonostante il fatto che siano la più grande minoranza etnica del paese, che

comprende dal dieci al quindici per cento circa della popolazione siriana. E nonostante il fatto che stiano realizzan-do, nella loro parte di Siria (principal-mente il Nord-Est) quello che la comu-nità internazionale auspica per tutto il paese: si stanno sforzando seriamente di costruire una democrazia pluralisti-ca.

Arabo, siriaco e kurdo Possedendo già la loro propria am-

ministrazione da qualche mese, i kurdi, più precisamente il Partito dell’Unione Democratica (PYD) di Salih Muslim, hanno costituito il 21 Gennaio un con-siglio municipale e nominato un pre-sidente e dei ministri, tra cui anche quelli addetti alla sanità e alle relazioni esterne. La cerimonia di giuramento -che non conteneva la parola “kurdo”- è stata effettuata in tre lingue, che sono

La conferenza di pace sulla Siria è iniziata questa settimana (20-26 gennaio, NdT). I kurdi –la più grande minoranza etnica nel Paese e l’unico gruppo che è riuscito a rimanere imparziale nella guerra civile– non sono stati invitati ai colloqui, denominati con il termine Ginevra II.

Mentre protestano per la loro mancata rappresentazione, continuano a costruire un’amministrazione democratica pluralistica nella zona della Siria sotto il loro controllo. Uno sguardo alla situazione attuale e un tuffo nella storia con il famoso sociologo ed esperto di kurdologia Ismail Besikci.

SEREKANIYE (KURDISTAN OCCIDENTALE, SIRIA) | Una delle tante manifestazioni dei kurdi siriani avvenute negli ultimi mesi (ph: Yeni Özgür Politika)

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«I kurdi hanno conquistato l’opportunità di determinare il loro stesso destino, un diritto che possiedono secondo le leggi internazionali»

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attualmente quelle ufficiali della regio-ne: arabo, siriaco e kurdo. Le elezioni verranno programmate entro quattro mesi. Le milizie dominanti kurdo-si-riane, le Unità di Protezione del Popolo (YPG), difendono i territori kurdi, rela-tivamente calmi, dalle forze dei gruppi estremisti islamici come Al-Nusra e lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS).

L’altro gruppo kurdo del Kurdistan siriano, il Consiglio Nazionale Kurdo (KNC) non accetta l’autonomia dichia-rata proprio ora: la considera una “coo-perazione con il regime di Assad”.

la cerimonia del GiUramento in diverse linGUe del 21 Gennaio 2014 è disponibile al seGUente link:http://www.yoUtUbe.com/watch?v=yhfvUxhcsdG

L’autonomia del Kurdistan siriano è il risultato della neutralità all’interno dell’estremamente sanguinosa guerra civile siriana: i kurdi hanno conquista-to l’opportunità di determinare il loro stesso destino, un diritto che possiedo-no secondo le leggi internazionali.

I kurdi non sono stati invitati a Gi-nevra II perchè incarnano il timore più grande per gli Stati Uniti, la Russia e l’U-nione Europea: la partizione della Siria. Anche se la dichiarazione di autonomia di Cizire non rappresenta esplicitamen-te un passo verso l’indipendenza e an-che se la comunità internazionale paga a parole una Siria democratica, viene rifiutata l’auto-amministrazione e le elezioni regionali.

Tutto questo mi ha fatto pensare di nuovo ad un’intervista a Ismail Besikci che ho realizzato circa tre mesi fa. Be-sikci è un sociologo turco ed esperto di kurdologia che ha iniziato a specializ-zarsi sull’argomento della società kur-da nei primi anni Sessanta. Ha pagato per questo con la sua carriera (nessuna università voleva più assumerlo) e con diciassette anni e due mesi di carcere in totale. I kurdi lo considerano l’unico turco che non li ha mai delusi e che da solo ha sfidato uno stato brutale ed op-pressore. E il mondo accademico ha co-minciato a riabilitare Besikci: lo scorso dicembre lo hanno insignito di un dot-torato honoris causa presso la presti-giosa Università del Bosforo.

Besikci aveva detto: ‘Se non hai uno stato, sei invisibile sulla scena interna-zionale”. Ha fornito un doloroso esem-pio: l’attacco di Halabja con armi chimi-che perpetrato da Saddam Hussein nel 1988, in cui circa cinquemila persone morirono istantaneamente e molte al-tre negli anni seguenti a causa di com-

plicazioni e malattie. Besikci: “Nessuno ha reagito nel mondo e neanche i kurdi avevano una piattaforma per attirare l’attenzione su quanto accaduto. Nello stesso anno in cui avvennero i fatti di Halabja, si tenne a Vienna una confe-renza internazionale sul genocidio. I kurdi volevano partecipare perché ne sono stati vittime molte volte. Ma gli organizzatori dichiararono che solo gli stati potevano partecipare. Il governo iracheno di Saddam Hussein avrebbe dovuto rappresentare i kurdi.

Schierarsi con Assad Sostanzialmente lo stesso sta acca-

dendo adesso alla conferenza Ginevra II. I kurdi dovrebbero essere rappre-

sentati dalla Coalizione Nazionale Siria-na. Questa coalizione è composta pre-valentemente da gruppi che accusano i kurdi di schierarsi con il governo di As-sad a Damasco e non hanno dimostrato nessuna intenzione di voler rispettare i loro diritti. Il Consiglio Nazionale Kur-do (KNC, uno dei due gruppi kurdi nel Kurdistan siriano) possiede delegati kurdi all’interno della Coalizione ma loro stessi dubitano che essa affronterà mai le richieste kurde.

L’altro grande gruppo kurdo, il Par-tito dell’Unione Democratica (PYD), legato alle milizie delle YPG e al PKK che ha le sue radici in Turchia, non ha

voce in capitolo nella coalizione e non è neanche stato invitato indipenden-temente. In altre parole, gli interessi kurdi non riceveranno l’attenzione che meritano. Nella peggiore delle situazio-ni, non si parlerà proprio dei kurdi; nel-la migliore, ne parlertanno gli altri e di sicuro non accadrà che i kurdi parlino loro stessi dei propri interessi.

Anche se non ho parlato specifica-tamente della Siria con Ismail Besikci, quando lui ha affrontato le radici della questione kurda stava parlando dell’in-tero Kurdistan, non solo della Turchia -il paese di cui la mia intervista si oc-cupava principalmente. Besikci ha det-to che le radici della questione kurda possono essere individuate nell’”errore storico” di non aver istituito un Kurdi-stan indipendente negli anni dopo la prima Guerra mondiale , quando l’im-pero ottomano era agli sgoccioli e la mappa della regione è stata ri-disegna-ta. “In quei giorni”, ha spiegato, “tutti hanno difeso il diritto delle nazioni ad avere il loro proprio stato ma il Kurdi-stan è stato diviso e sparso in quattro paesi. I kurdi non avevano completa-mente realizzato quali diritti avevano”.

Aspirare a uno stato Si aspirava peró a uno stato: intor-

no al 1920, in quello che è attualmente il Kurdistan iracheno, Sheikh Berzenci espresse il suo desiderio di diventare sovrano dei kurdi. Besikci: “Ma l’Inghil-terra, la Francia e la Lega delle Nazioni non hanno ascoltato. Hanno cooperato con gli iraniani, i turchi e gli arabi ma hanno preferito chiudere gli occhi da-vanti ai desideri dei kurdi”.

Questo atteggiamento nei loro con-fronti è rimasto immutato da quel tem-po, ha detto Besikci. Si riferiva al 1941, quando le truppe alleate hanno invaso

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«Nel 1988 si tenne a Vienna una conferenza sul genocidio. I kurdi volevano partecipare, ma gli organizzatori dichiararono che solo gli stati potevano»

KURDISTAN OCCIDENTALE (SIRIA) | Manifestazione dei kurdi siriani per l’auto-amministrazione dei loro territori (ph: Firat News)

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l’Iran e l’Unione Sovietica ha occupato l’Iran Settentrionale. I soviet volevano aggiungere quest’ultimo al loro ter-ritorio e hanno incoraggiato il nazio-nalismo kurdo per avere i kurdi dalla propria parte. Il risultato fu quello di un’area amministrata dai kurdi nei pri-mi anni Quaranta; tra il 1946 e il 1947 ció si tradusse nella Repubblica Kurda di Mahabad. Essa fu uno stato satellite dell’Unione Sovietica, mai riconosciuto dalla comunità internazionale. Besikci: “I kurdi aspiravano quindi a un loro stato. Ma continuó lo status quo, in cui il diritto dei kurdi ad avere un proprio stato non fu realizzato”.

Tutto questo fu istituzionalizzato nel 1945 con la fondazione del succes-sore della Lega delle Nazioni, le Nazioni Unite. “L’obiettivo dell’organizzazione”, ha detto Besikci, “era quello di trovare soluzioni pacifiche ai problemi politici. Ma non ce l’hanno mai fatta per i kurdi”.

Nazioni colonizzate internamente Besikci si riferiva a due importanti

risoluzioni delle Nazioni Unite, la n.637 del 1952 e la n.1514 nel 1960: “la pri-ma riguarda il diritto all’auto-deter-minazione dei popoli e delle nazioni e afferma che l’autodeterminazione è un

pre-requisito per il pieno godimento di tutti i diritti umani fondamentali. La seconda risoluzione invita a mettere in pratica il diritto all’auto-determinazio-ne, mentre negli ultimi due articoli con-ferma l’integrità degli stati già esisten-ti. Ció ha condotto all’indipendenza di circa 57 paesi in Africa che erano stati colonizzati da potenze lontane, ma ha ignorato le nazioni colonizzate interna-mente come i kurdi”.

Sotto questa luce, è tipico che le po-tenze occidentali abbiano fatto pressio-

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ne sul Consiglio Nazionale Kurdo (KNC) al fine di farlo aderire alla Coalizione Nazionale Siriana: l’Occidente costrin-ge i kurdi a un’unità che non esiste per il bene di uno stato che li sta da decenni. E´ tutto troppo familiare per i kurdi. Per quelli in Siria, poichè durante il regno di Assad prima della guerra civile non potevano neanche contare sulla comu-

nità internazionale. E per i kurdi negli altri paesi, per esempio in Turchia. In un primo tempo essi furono sottomes-si alle politiche di turchizzazione del-la repubblica e non ottennero nessun sostegno da parte della comunità in-ternazionale nella loro lotta. E quando insorsero contro l’oppressione che li sottometteva, furono ritratti come ter-roristi che volevano frantumare la Tur-

chia, piuttosto che come una forza de-mocratica che rivendicava il suo diritto fondamentale all’auto-determinazione.

L’ingiustizia è anche più grande, ha detto Besikci, perchè le nazioni colo-nizzate internamente sono sottoposte a maggiore pressione militare diretta. Besikci: “In Kurdistan l’esercito e il ma-teriale bellico sono sempre vicini e im-mediatamente disponibili ad affrontare qualsiasi possibile rivolta. Per esempio, in Angola era diverso. La potenza oc-cupante, il Portogallo, era lontana e ció rendeva i portoghesi meno flessibili”.

Dersim e HalabjaQuesta pressione diretta, in combi-

nazione con una comunità internazio-nale che non alza la voce in favore dei popoli colonizzati internamente, è sfo-ciata in un genocidio continuo, ha affer-mato Besikci. Ha ricordato i massacri di Dersim nel 1937 e 1938 (in cui furono uccise dalle ventimila alle trentamila persone) ed altre violente repressioni subite dai kurdi nei primi decenni della repubblica turca ma anche l’attacco con armi chimiche di Halabja, parte di una campagna dello stesso genere contro i kurdi e altre popolazioni non arabe in Iraq tra il 1983 e il 1988. Besikci: “I colonizzatori come l’inghilterra, il Portogallo e l’Olanda hanno commesso crimini ma mai come quelli commessi contro i kurdi dagli stati che mantengo-no l’occupazione del Kurdistan”.

I kurdi della Siria non hanno molto di buono da aspettarsi da chiunque go-vernerà il paese negli anni a venire. Han-no già imparato a conoscere la dittatu-ra di Assad: quest’ultima ne ha privati molti della loro cittadinanza, ha cercato di trasferirli all’esterno della loro terra mutando così la demografia dei terri-tori kurdi ed infine ne ha represso la cultura. I gruppi di opposizione siriani ritengono che i kurdi si siano schiera-ti con Assad e li considerano come una minaccia all’unità del paese. E Al-Nusra e l’ISIS, i due più grandi gruppi islamici armati in Siria legati ad Al Qaida, non potrebbero essere più lontani ideologi-camente da qualsiasi cosa sostengano i democratici e laici kurdi. Creare un’au-tonomia la più solida possibile, ades-so che ne hanno l’opportunità, è una questione di pura sopravvivenza per i kurdi. Si proteggono non solo dai grup-pi che hanno il (potenziale) controllo della Siria ma anche dalla mancanza di sostegno, profondamente radicata e già dolorosamente vissuta, da parte della comunità internazionale. █

traduzione e adattamento per concessione dell’autrice

FREDERIKE GEERDINK è Una Giornalista olandese. vive a diyarbakir (kUrdistan settentrionale/tUrchia) ed è attUalmente l’Unica reporter straniera presente sUl posto. scrive per testate internazionali, per il sUo bloG kUrdishmatters.com e anche attraverso la piattafor-ma beaconreader.com, da cUi qUesto articolo è tratto: http://www.beaconreader.com/frederike-Geerdin-k/a-matter-of-sheer-sUrvival-for-syrias-kUrds ?ref=profile

«Creare un’autonomia la più solida possibile, adesso che ne hanno l’opportunità, è questione di pura sopravvivenza per i kurdi»

BAMBINI AL NEWROZ | Una celebrazione del capodanno kurdo nel Kurdistan Occidentale, Siria (ph: Jan Sefti Kurdistan Photo - flickr.com)

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First Line Press ha iniziato la sua avventura nel novembre 2012, un modo diverso di raccontare le storie dal mondo e dall’Italia. L’abbiamo fatto proponendo documentari (uno sui nuovi metodi repressivi in Europa “Repressione ai tempi della recessione” e l’altro sulla situazione dei prigionieri po-litici nei Paesi Baschi “Odissea Basca”), vari videoreportage (sul caso Veolia da Londra; sui manifestanti spagnoli per l’università pubblica; sul lavoro degli immigrati in Italia, sugli intricati scenari egiziani, sulla situazione curda, su problemi ambientali italiani), reportage fotografici (dagli scontri ad Atene a quelli di Roma, dal Kurdistan all’Egitto, fino alla Ci-sgiordania ed alle manifestazioni studentesche italiane) e un quotidiano approfondimento su cosa succede nel mondo.

La collana di ebook di First Line Press comprende al momen-to tre titoli: Latitudini dell’immaginario: memorie e conflitti tra la Jugoslavia e il Kosovo (una lettura dei conflitti nei Balcani sullo sfondo della dissoluzione della Jugoslavia, che fa della ricerca-azione il tessuto connettivo tra memoria e comunica-zione); Vene Kosovare (racconti di come sia vissuto il Kosovo, un Paese sparito dai racconti mainstream ed in cui sono pre-senti ancora i silenzi dell’esclusione) e Idropoli (percorso per tutta la penisola di domande sui meccanismi economici che, a seguito dal referendum del giugno 2011, avrebbero dovuto intaccare il sistema idrico italiano). Gli ebook sono disponi-bili nell’area download del sito www.firstlinepress.org.

Ci puoi trovare …

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