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1 Esplorare il Silenzio Meditazione: per una Didattica dell’Interiorità Marco Alessandri Liceo Scientifico/Linguistico Statale “Federigo Enriques” – Roma

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Esplorare il Silenzio

Meditazione: per una Didattica dell’Interiorità

Marco Alessandri

Liceo Scientifico/Linguistico Statale “Federigo Enriques” – Roma

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Esplorare il Silenzio

Meditazione: per una Didattica dell’Interiorità

… I shall be telling this with a sigh Somewhere ages and ages hence: two roads diverged in a wood, and I — I took the one less traveled by, And that has made all the difference.

… Lo racconterò con un sospiro da qualche parte tra anni e anni: divergevano due strade in un bosco, e io... io presi la meno battuta, e di qui è nata tutta la differenza.

Robert Frost, “La strada non presa”

Premesse per un nuovo percorso

Ormai da decenni l’argomento “scuola” suscita dibattiti e accese discussioni. Confronti, e a

volte scontri, di varia natura hanno avuto spesso l’effetto di disorientare e purtroppo

demotivare molti tra coloro che vivono e lavorano in quella che potremmo definire “comunità

educante”. Lo stesso verbo, “educare”, è stato declinato in così tante accezioni da contribuire

a confondere ulteriormente le acque, sia sul piano filosofico che su quello etico-politico.

Eppure la scuola è una “cosa” semplice!

Sembra un’affermazione paradossale, ma bastano un insegnante, un allievo e una disciplina,

quale che sia, per dare l’avvio all’antico e meraviglioso processo della trasmissione del sapere,

radice e fondamento della civiltà umana. Nell’aula confortevole e super tecnologica di un

moderno istituto così come in un giardino, o in riva al mare o sotto l’ombra di un albero, il

dialogo educativo è e sarà sempre possibile, come lo è stato per millenni.

Con ciò non si vuol negare, tantomeno sminuire, la messe di problemi e di questioni che

ruotano intorno all’attuale sistema scolastico, immerso come ogni aspetto della civiltà umana

nei meccanismi instabili della complessità, ma, al contempo, non si può non constatare quanto

la suddetta complessità abbia determinato un processo di sottovalutazione, differimento e,

spesso, sbrigativa o superficiale risoluzione delle questioni riguardanti proprio quella semplice

e paradossale essenza di cui abbiamo parlato, riassumibile in una stringatissima formula:

chi insegna; cosa insegna; a chi!

Se proprio vogliamo essere precisi, sul “cosa” si insegna, negli ultimi anni molte parole sono

state spese e qualche cambiamento sostanziale è intervenuto: linee guida, direttive ministeriali,

canoni, assi, tempi, conoscenze, competenze, abilità, sapere, saper fare, e via dicendo. Sono

aspetti importanti, nessuno può negarlo! Ma non bastano! Non bastano soprattutto alla luce

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di un’evidente carenza: la non sufficiente attenzione riservata ai due estremi “portanti” della

suddetta “formula”: colui che insegna e colui che apprende!

Ci si perdoni l’esempio banale, ma è come se gli operatori di una stazione radiofonica

impiegassero tempo e risorse a concepire, stilare, limare i testi delle proprie trasmissioni e non

si accorgessero che non solo la loro trasmittente ha bisogno di manutenzione, ma che

trasmette su una frequenza che gli apparecchi dei propri ascoltatori non ricevono più! Di fronte

ad una simile evenienza la cosa più ovvia da fare sarebbe quella di revisionare il sistema nel

suo complesso, partendo proprio da chi trasmette e da chi riceve. Il “cosa” venga trasmesso e

ricevuto non solo rappresenterebbe un problema successivo, ma andrebbe posto in relazione

ai due fondamenti primari, il punto di partenza e quello d’arrivo.

Sciolta la metafora possiamo affermare che, da troppi anni, il sistema-scuola fa esattamente

il contrario! Cerchiamo di capire come ciò avvenga.

Noi docenti continuiamo ad insegnare sostanzialmente in base a sistemi e metodi con i quali

siamo stati a nostra volta formati ed abbiamo continuato ad utilizzarli perché si sono dimostrati

validi ed efficaci fino a non molto tempo fa. Certamente alcuni aggiornamenti sono intervenuti,

soprattutto sul piano tecnologico e in merito all’accuratezza della programmazione e alla

maggiore scientificità dei sistemi di correzione e di valutazione. Ma nella prassi didattica

quotidiana, salvo rare eccezioni, vengono di continuo attivati dei veri e propri automatismi

metodologici, con un’unica ma fondamentale differenza rispetto al passato: una progressiva

semplificazione dei contenuti con una sempre più evidente diluizione degli stessi nel tempo. In

sintesi, abbiamo operato sulla “quantità”, partendo da un implicito presupposto: che le

dinamiche attraverso le quali i ragazzi attivano le loro capacità d’attenzione, d’apprendimento,

di memorizzazione, d’applicazione siano rimaste sostanzialmente le stesse, ma alquanto

depotenziate rispetto a qualche anno fa.

In pratica, fanno le cose allo stesso modo, ma le fanno peggio e più lentamente con un

conseguente abbassamento di livello. Tutti gli insegnanti e in tutte le discipline hanno

sicuramente constatato quanto, nel tempo, le verifiche somministrate agli studenti su un

medesimo argomento si siano semplificate per qualità e quantità! E non si parla di distanze

generazionali: bastano ormai tre o quattro anni di differenza per verificare, purtroppo,

cambiamenti al ribasso.

Non parliamo poi degli aspetti motivazionali, emotivi e valoriali!

C’è per caso qualcuno tra i docenti che non sia rimasto sorpreso nel constatare la quasi

completa indifferenza di un gruppo classe rispetto a un tema o un argomento che fino a poco

tempo prima, e senza eccezioni, aveva suscitato l’entusiasmo generale e la conseguente

attenzione e applicazione? Quanti si sono trovati a spiegare “l’ovvio”? A tentare strade e

percorsi diversi (letture, film, …) pur di incontrare un tema in grado di accendere la fantasia e

la curiosità della maggior parte del gruppo classe e poi veder naufragare il tentativo nella più

totale indifferenza se non nella noia e nel rifiuto?

Possiamo fare qualcosa? È possibile trovare una soluzione ad un problema che sembra

abbracciare non il sistema scolastico ma l’impianto di un’intera civiltà?

Quando ci si pone in quest’ottica la prima reazione è la ricerca di cause e responsabilità, e la

nostra mente, avida di spiegazioni, abbraccia ambiti vastissimi, socio-culturali ed economici,

storico-politici ed istituzionali. Ma spesso la rassegnazione prevale sull’indignazione.

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Un nuovo “paradigma pedagogico”

Tuttavia se sentiamo ancora valida la “missione” che, in qualità di insegnanti, abbiamo scelto

per la nostra vita, cioè contribuire alla crescita e alla formazione delle generazioni future,

poniamoci una domanda ancora più diretta: è possibile nel quadro attuale del sistema

scolastico, con queste leggi, con queste strutture, con queste istituzioni, lavorare per dar vita

ad un “nuovo paradigma pedagogico”, che contribuisca a migliorare la scuola nelle sue

componenti umane, oltre che didattiche? Insomma un sistema che riporti al centro Insegnante

ed Allievo, per evidenziarne, valorizzarne e potenziarne gli aspetti emotivi, cognitivi e

relazionali?

Secondo noi si può! E l’attenzione verso nuove metodologie e nuovi approcci alla didattica

che il MIUR ha mostrato e sta mostrando di recente, aprendosi al vasto mondo delle discipline

olistiche applicate ai processi di insegnamento/apprendimento, non può che accendere un

inaspettato entusiasmo. Basti per tutti l’esempio del Progetto “Shantaram”, in larga espansione

a livello nazionale. Di cosa si tratta?

Il Progetto SHANTARAM1, ideato e curato dal Dott. Mauro Giosuè Bucci e realizzato presso

il Centro di Educazione al Mondo Interiore “Nuovo Intento” di Roma (del quale il Dott. Bucci è

fondatore), con l’intermediazione e la collaborazione dell’Associazione “Ipertesto” di Napoli,

rappresenta una delle diverse iniziative che da anni il MIUR riconosce e patrocina, in diverse

realtà scolastiche del paese2. Sono percorsi volti ad introdurre nella scuola la Meditazione (o

Mindfulness come è più conosciuta in ambiti psicopedagogici anglosassoni).

In sintesi Shantaram (in sanscrito; “Portatore di Pace”) è un corso di formazione nato per

insegnare agli insegnanti di scuola primaria e secondaria (ma anche a insegnanti di yoga, di

musica e di teatro, medici, psicologi, assistenti sociali, educatori, infermieri, etc.), i metodi ed i

linguaggi per incentivare lo sviluppo dell'ascolto e della conoscenza della vita interiore,

dell'empatia e dell'intelligenza emotiva, qualità umane che, storicamente, vengono lasciate in

secondo piano nei modelli educativi occidentali applicati nelle scuole di ogni ordine e grado.

Tutto questo realizzato attraverso l’insegnamento della Concentrazione, della Meditazione,

1 https://www.nuovointento.it/shantaram/ 2 Si veda l’esperienza di un’altra Associazione romana “Vita Armonica” (www.vitarmonica.it). Per avere un’idea della capillarità

degli interventi si legga l’elenco delle scuole che hanno promosso l’iniziativa negli ultimi 13 anni:

2005/6: Liceo classico/linguistico Lucrezio Caro di Roma, Preside Orlanducci, referente prof.ssa Zacchilli

2006/07: Liceo classico/linguistico Lucrezio Caro, Preside Orlanducci, referente prof.ssa Zacchilli

2006/07: Liceo classico linguistico Orazio di Roma, referente prof Augelli

2007/08: Liceo classico Aristofane di Roma, preside prof.Claudio Salone, referente prof.ssa Paola Nardella

2008: I Corso curricolare, all'interno dell'area del potenziamento allo studio, presso liceo Orazio, referente prof.ssa

Bottoni

2009/10: Liceo classico Aristofane, preside prof. C.Salone, referente prof. Paola Nardella

2010/11: Liceo Aristofane, preside prof. C. Salone, referente prof. Nardella

2011/12: Liceo Aristofane, preside Salone, referente prof. Nardella

2012/13: Liceo classico linguistico Orazio, preside prof.Bonciolini, referente prof. Augelli

2015/16: Liceo Orazio, preside prof.Bonciolini, referente prof. Augelli

2015/16: Liceo classico Giulio Cesare di Roma, preside prof.ssa Micaela Ricciardi, referente prof.ssa Antonella Jori

2016/17: Liceo Orazio, Preside prof. Bonciolini, referente prof. Augelli

2016/17: Liceo Giulio Cesare, preside prof.ssa Ricciardi, referente prof.ssa A. Jori

2017/18: Liceo Orazio, Preside prof. M.G. Lancellotti, referente prof. Augelli

2018: Liceo Giulio Cesare, preside prof.ssa P. Senesi, referente prof.ssa A. Jori

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della Corporeità Consapevole e altre discipline affini. Il Progetto Shantaram non segue una

singola scuola di pensiero ed è svincolato da qualsiasi religione od organizzazione psicologica

e spirituale: al contrario tende ad includere metodi e filosofie che possono rivelarsi utili al suo

scopo ultimo: formare armonicamente persone ed insegnanti, offrendo loro la possibilità di

diventare dei portatori di Pace Universale nei contesti dove essi vivono ed agiscono, degli

Shantaram per l'appunto. Insomma, dopo decenni di sperimentazione a livello europeo e non

solo (vedi il già citato esempio britannico che affianca le consolidate esperienze di Spagna,

Francia, Finlandia, Stati Uniti, Brasile, etc.), anche il MIUR si apre alle nuove frontiere educative,

patrocinando corsi che preparino i docenti ad insegnare la Didattica dell'Interiorità ed altri

Metodi Olistici (come lo Yoga, il Tai Chi, la Bioenergetica, l'Arte-pedagogia, la Narrazione

evocativa, i Giochi di empatia) ai bambini e agli adolescenti.

È facile constatare che una sperimentazione didattica come quella che abbiamo appena

illustrato contribuisca alla realizzazione dei “pilastri” della nuova educazione descritti da Jacques

Delors nel report della Commissione Internazionale dell’Educazione del XXI secolo per

L’UNESCO:

o Imparare come SAPERE

o Imparare come FARE

o Imparare come VIVERE INSIEME

o Imparare come ESSERE

Ebbene l’Educazione al Vivere Insieme e la Ricerca dell’Essenza, intesa come scoperta della

propria Identità Profonda, sembrano rappresentare un’innegabile urgenza della didattica e, in

assoluto, della Pedagogia. Soltanto ponendo la centro della progettualità e della prassi

scolastica, ad ogni livello, l’obiettivo di un’Educazione Integrale, è possibile realizzare nello

spirito e nella sostanza i suddetti “pilastri” UNESCO. Infatti l’Educazione può dirsi effettivamente

Integrale soltanto nel senso in cui si volga a sviluppare armoniosamente tutte le dimensioni

dell’essere: fisico, emozionale, intellettuale, e che realmente “integri” l’individuo nel proprio

ambiente, nel proprio presente, nel proprio contesto, implicando tutte le relazioni che l’essere

umano vive, che si tratti del proprio simile (piano emozionale), della propria comunità (piano

sociale), del pianeta (piano ecologico).

Queste premesse di carattere generale possono naturalmente essere il punto di partenza di

un processo che trova il suo fondamento nella prassi didattica vera e propria.

Riprendendo l’immagine iniziale del nostro ragionamento, cioè quella costituita dalle tre

componenti essenziali della scuola: l’Insegnante, la Disciplina, l’Allievo, concentriamoci su

quest’ultimo e cerchiamo di vedere in pratica come il presente Progetto intenda approcciarsi

allo studente in una visione, per così dire, “olistica” della sua individualità.

Studente “reale”, studente “ideale”

Un punto di partenza imprescindibile del nostro discorso è la constatazione che lo studente

medio attuale presenta un profilo complessivo, a livello di requisiti di partenza, abbastanza

definito. Infatti, tranne le sempre più rare eccezioni, ci troviamo di fronte a ragazzi che non

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solo hanno un rapporto limitato e problematico con la lettura e, in generale, con la pagina

scritta, ma che presentano, anche in conseguenza di ciò, serie difficoltà di concentrazione

continuativa e di organizzazione e memorizzazione dei contenuti. Diversi centri avanzati di

ricerca a livello mondiale, già a partire dagli inizi del nuovo millennio, prefiguravano questo

scenario che ora è un dato di fatto innegabile. La sempre più massiccia e invasiva presenza

degli strumenti informatici e della tecnologia digitale è stata riconosciuta come una delle cause

scatenanti di questo fenomeno dai risvolti imprevedibili e, per certi versi, inquietanti. Numerosi

sono naturalmente i fattori che da circa venti anni stanno determinando considerevoli

cambiamenti nelle potenzialità intellettive, reattive, emozionali e relazionali dell’umanità

digitalizzata, ma certamente l’uso massiccio della strumentazione elettronica ne rappresenta

un aspetto non marginale. E il problema non riguarda soltanto le nuovissime generazioni, ma

è riscontrabile in ogni fascia d’età e ad ogni livello della società attuale. Eppure quasi dieci anni

fa questi dati allarmanti erano già disponibili sul web per chiunque avesse voluto disporne,

come dimostra un breve saggio da noi scritto nel 2013 “Dubbi e confessioni di un insegnante

2.0”, da cui estraiamo questo breve e significativo passo:

La nostra coscienza di insegnanti, che cammina parallelamente a quella dei genitori, da anni ci martella, generando dubbi su dubbi ma, soprattutto, ponendoci di fronte a una serie di quesiti: noi insegnanti ci siamo realmente interrogati su quali misure sia necessario prendere per arginare la deriva verso la quale stanno

scivolando i livelli di apprendimento delle ultime generazioni di studenti? Abbiamo veramente preso atto dei risultati delle ultime e più qualificate ricerche relative alla progressiva perdita di capacità cognitive, mnemoniche, organizzative, critiche dei cosiddetti "nativi digitali", cercando di mettere in campo strategie adeguate e contrastive? Ecco lo stralcio di un articolo che riassume i risultati sconcertanti cui è giunto un gruppo di ricerca della Stanford University di Palo Alto - USA. Così scrive Adam Gorlick sullo "Stanford Report":

(http://news.stanford.edu/news/2009/august24/multitask-research-study-082409.html)

"Un recente studio pubblicato dalla rinomata Università di Stanford fece molto discutere, perché dimostrava inoppugnabilmente che l’impegno costante dell’encefalo in molteplici attività intellettive - il cosiddetto multitasking - danneggia la memoria a lungo termine ed altera la capacità di distinguere le informazioni importanti da quelle futili. A questo s’è aggiunto ora il monito del gruppo di ricercatori della Stanford University School of Education guidato dal Prof. Clifford Ness, il quale ha riscontrato un allarmante calo delle prestazioni della memoria a breve termine, in particolare in soggetti non più giovanissimi, abbinato ad un altrettanto negativo abbassamento della soglia d’attenzione. Il team ha perfino ipotizzato che stiano emergendo varie forme di dipendenza da dispositivi hi-tech, evidenti soprattutto nella fascia d'età che va dagli 8 ai 12 anni. Sono, infatti, emblematici alcuni dati da loro raccolti se messi in relazioni con le seguenti rilevazioni statistiche: la maggior parte dei ragazzi trascorre in media poco meno di 8 ore al giorno sulla tastiera - di qualsiasi apparato essa sia a supporto: dal tradizionale PC a quella dello smartphone - e, complessivamente, acquisiscono contenuti multimediali per quasi 11 ore su 24, perché spesso utilizzano più dispositivi contemporaneamente."

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Non ci sembra fuori luogo trarre dallo stesso saggio un altro breve stralcio che contribuisce

a darci indicazioni molto interessanti su cui riflettere:

Alle stesse conclusioni giungono gli studi della nota psicologa dell'età evolutiva Anna Oliverio Ferraris:

«Prima di entrare nel mondo dei videogiochi, il bambino deve fare esperienze in quello reale, dove può spostarsi nello spazio. Il movimento è fondamentale per l'apprendimento e lo sviluppo del cervello. Anche la velocità di esecuzione del pc è dannosa, alla fine. Il piccolo impara a delegare certe procedure alla macchina, mentre in età evolutiva, dai 3 ai 6 anni, è bene che la mente si sforzi. Abbagliata da troppi stimoli invece, essa ne risente: i bimbi si distraggono e perdono la capacità di stabilire i nessi tra le cose. Molto meglio mandarli a giocare al parco: un compagno di giochi vero sollecita l'intelligenza sociale».

Pensare che questi dati risalgono a più di dieci anni fa e che sono il frutto di ricerche capillari

iniziate diversi anni prima ci fa capire quanto il problema sia urgente e con quanto ritardo

stiamo rispondendo a queste emergenze.

Tuttavia, proprio quelle neuroscienze che per prime hanno lanciato segnali allarmanti e messo

in guardia, soprattutto a livello pedagogico, il mondo della scuola e le istituzioni preposte, ci

offrono oggi confortanti indicazioni che arginano lo stato di rassegnazione a cui le

constatazioni di cui sopra potrebbero esporci. La parola che ci apre prospettive nuove e

insperate è: “neuroplasticità”, la facoltà autorigenerante del nostro cervello, messa in evidenza

dalle ultime e più avanzate ricerche sulle strutture e le funzionalità cerebrali.

Per avere un’idea della portata di questa scoperta nonché della sua conseguente ricaduta sul

nostro discorso, leggiamo ciò che la Dott.ssa Erica Poli scrive al riguardo nel recente saggio

“Anatomia della guarigione”3:

“Tutto quello che facciamo accade per mezzo del cervello – il modo in cui pensiamo, agiamo, sentiamo, le nostre relazioni, le nostre percezioni del mondo che ci circonda – perché il nostro “sé”, come essere senziente, è immerso ed esiste realmente nella rete elettrica del nostro tessuto cellulare cerebrale. Ebbene questo tessuto può essere trasformato.

Ci hanno insegnato che quando si diventa adulti il cervello diviene statico e rigido e che i neuroni non si riproducono e ad un certo punto, muoiono, che i circuiti del cervello sono permanenti, ovvero che quando raggiungiamo l’età adulta abbiamo un certo numero di cellule cerebrali organizzate in schemi o circuiti neurali fissi, e man mano che invecchiamo li perdiamo. I neuro scienziati adesso ci dicono che ciò non è del tutto vero e che ciascuno di noi è un lavoro in corso per tutta la vita. (…)

Ogni volta che abbiamo un pensiero, in diverse aree del nostro cervello il flusso di corrente elettrica aumenta di intensità e rilascia una gran quantità di sostanze neurochimiche… Grazie alle ricerche svolte con la Risonanza Magnetica Funzionale, oggi siamo in grado di vedere come ogni nostro pensiero ed

3 Erica Francesca Poli, psichiatra e psicoterapeuta, Direttore Sanitario e Scientifico di EFP Group – Emotional Freedom

Psychobiology – Centro di Terapie Integrate, nonché membro e ricercatore di società scientifiche tra cui IEDTA, ISTDP Institute

e OPIFER. “Anatomia della Guarigione”, Anima Edizioni, Milano, 2014.

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esperienza induca le nostre cellule cerebrali a collegarsi e scollegarsi in schemi e sequenze continuamente diversi. Di fatto possediamo una facoltà naturale chiamata neuroplasticità. La neuroplasticità fa sì che acquisendo nuove conoscenze e vivendo nuove esperienze, si sviluppano nuove reti o circuiti di neuroni; letteralmente il nostro cervello cambia se stesso. I collegamenti permanenti tra neuroni allora sono utili quando dobbiamo apprendere una nuova capacità e poi non perderla più, come guidare un’automobile: quanto più la esercitiamo tanto più colleghiamo permanentemente quello che impariamo nei circuiti del nostro cervello, finché non diventiamo capaci di condurre un’automobile automaticamente, senza doverci pensare.”

La scoperta della neuroplasticità ci libera di alcuni dubbi inveterati, primo fra tutti la temuta

impossibilità a modificare gli stili d’apprendimento e di rielaborazione degli studenti. Al

contrario, la presenza accertata di questa facoltà naturale può dare l’avvio ad un ripensamento

complessivo della didattica che tenga conto della duttilità cerebrale illimitata e non soggetta

ad usura, se non in presenza di scarsa attività ed esercizio. Ciò che, a nostro parere, appare

straordinario e stimolante è avere scientificamente la conferma del fatto che un cambiamento

di schema da parte del maestro è in grado di generare un’automatica reazione costruttiva da

parte dell’allievo. Insomma: si può crescere insieme attraverso una didattica improntata alla

creatività metodologica e contenutistica a tutto campo.

Neuroplasticità e Meditazione

Partendo da questi presupposti, l’introduzione della Meditazione a scuola e di una Didattica

dell’Interiorità non solo può rappresentare un motivo di grande novità, pregno di positive

conseguenze, ma, addirittura, presentarsi come lo strumento privilegiato per favorire quelle

virtù neuroplastiche appena descritte. Leggiamo ancora un passo della Dott.ssa Poli:

“Se vogliamo cambiare qualcosa della nostra vita, dobbiamo fare in modo che il cervello non si attivi più secondo le solite vecchie sequenze e combinazioni. Dobbiamo in un certo senso scollegare i vecchi circuiti neuronali e ricollegare le cellule nervose secondo nuovi modelli.

Possiamo cambiare il cervello e in tal modo cambiare noi stessi, facendo alcuni semplici passi e praticando alcune tecniche che agiscono proprio sulla fisiologia cerebrale… E sono proprio le neuroscienze a dircelo. Il segreto è incredibilmente semplice e straordinariamente recupera quanto le pratiche antiche ci offrono, attraverso vocalizzazioni, meditazioni e visualizzazioni: infatti il nostro cervello si plasma attraverso le ripetizioni e l’immaginazione…”. [nostri la sottolineatura e il grassetto]

Le osservazioni della Dott.ssa Poli sono ovviamente la sintesi di innumerevoli studi effettuati

in prestigiosi centri di ricerca neurologica, europei e non, miranti ad evidenziare in termini

scientifici non solo gli effetti funzionali della meditazione sul cervello ma anche i benefici effetti

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della stessa sull’equilibrio psico-fisico dei praticanti, investendo in particolar modo il sistema

immunitario. L’ausilio di strumentazioni altamente sofisticate come la PET (Tomografia ad

Emissione di Positroni) e la SPECT (Tomografia Computerizzata ad Emissione di Fotoni Singoli

– Single Photon Emission Computed Tomography), nonché la già citata TRM (Tomografia a

Risonanza Magnetica), ha consentito di “fotografare” i cambiamenti strutturali e i processi

funzionali del cervello dei meditanti, permettendo la rilevazione di effetti positivi, a volte

straordinari, sulla corteccia cerebrale e sull’intero encefalo, risultati prima riscontrabili solo a

livello statistico ed ora dimostrabili a livello sperimentale. Sul finire dello scorso anno sul

quotidiano “La Stampa” di Torino (precisamente nel n°12 della sezione “TuttoSalute”), è stato

pubblicato un articolo ricco di aggiornamenti neuroscientifici sulla meditazione e i suoi

incredibili effetti neuroplastici4.

La proposta: una Didattica dell’Interiorità e dell’Attenzione

Se ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo o facciamo una nuova esperienza, qualsiasi

sia la nostra età, il cervello crea nuove connessioni sinaptiche per formare nuovi schemi o reti

neurali, ciò vuol dire che, in termini neurofisiologici, veniamo modificati in ogni istante dai

pensieri che abbiamo, dalle informazioni che apprendiamo, dagli eventi che sperimentiamo,

dalle reazioni, dalle sensazioni, dai sentimenti, dai ricordi che elaboriamo e persino dai sogni

che abbracciamo. È ciò che ci distingue come esseri viventi, in quanto dotati di questa

caratteristica genetica, vera e propria chiave dell’evoluzione umana.

È da questa duttilità che intendiamo partire, da questa straordinaria possibilità che la Natura

dona ad ognuno di noi fin dalla nascita. Gli esseri umani sono geneticamente predisposti al

cambiamento, risorsa questa che non può essere trascurata o sottovalutata proprio da coloro

che operano a qualsiasi livello nel mondo della formazione, dell’educazione, dell’istruzione.

Ecco il motivo per cui il nostro Progetto si rivolge a tutti i soggetti che operano nella scuola

o in altre comunità educanti, perché l’adozione di un nuovo paradigma didattico e relazionale

implica un mutamento significativo di prospettive, metodologie, obiettivi che investono in

modo omogeneo e simultaneo gli insegnanti/educanti, gli studenti e tutto il vasto mondo che

ruota intorno a questa realtà.

Ma entriamo nello specifico del corso di formazione.

I cinque incontri di cui si compone “Esplorare il Silenzio” partono da un fondamentale

presupposto e cioè dalla necessità di pensare ad un sistema integrato di

insegnamento/educazione che parta da un principio di base:

Ogni operazione educativa-formativa avviene all'interno di un processo che implica la collaborazione sinergica delle tre sfere (fisica/emotiva/mentale). Ogni esperienza d'apprendimento si svolge sostanzialmente nell'ambito di un processo sinestetico, che vede la simultanea attivazione di più ambiti sensoriali.

4 Vedi all’indirizzo: http://www.lastampa.it/2018/07/31/scienza/diamo-una-scossa-alla-meditazione-

vebfjqXO5Sxy9OPy7HG34N/premium.html

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Guardare allo studente come soggetto di potenzialità globali (fisiche/emotive/mentali) da

sviluppare sinergicamente, significa porlo nelle migliori condizioni per l'apprendimento e

l'espletamento dei compiti che i piani didattici delle singole materie lo chiamano a porre in

atto. Si tratta, quindi, di acquisire strategie e metodi miranti a potenziare nei ragazzi la capacità

di concentrazione, di memorizzazione, di intuizione, di autocontrollo emotivo, di consapevolezza

del corpo, per favorire le dinamiche di insegnamento/apprendimento, con grande vantaggio

per tutte le comunità, scolastiche e non, oltre che per i singoli individui che le costituiscono.

È chiaro che tutte le attività, teoriche e pratiche, che verranno attuate durante il corso hanno

come fondamentale obiettivo quello di fornire a tutti i partecipanti gli strumenti di base

necessari a farne dei facilitatori di percorsi volti all’esplorazione del Mondo Interiore. Per

raggiungere questo risultato si ricorrerà all’utilizzazione di metodi esperienziali e interattivi,

sempre preceduti e seguiti da indispensabili momenti teorici. E non potrebbe essere altrimenti

visto che il corso intende introdurre ad una prassi educativa che faccia leva su una proposta

ludica ed auto-espressiva in cui il rilassamento corporeo, l'attenzione sul respiro, la

visualizzazione, i movimenti ispirati alla Bioenergetica, consentano un approccio

interdisciplinare alle tecniche di Concentrazione e Meditazione. Fondamentali saranno i

momenti di feed-back, perché favoriranno l’acquisizione di nuove modalità di ascolto e di

condivisione, capacità imprescindibili se si vuole, a nostra volta, essere d’aiuto ai ragazzi sia

nelle dinamiche relazionali che, soprattutto, in quelle introspettive.

Facciamo un esempio

Osservando il Progetto nel suo insieme si potrebbe avere l’impressione che l’obiettivo sia

arduo e che poche ore di Corso non siano sufficienti ad acquisire le conoscenze e gli strumenti

necessari all’impresa. Il dubbio è legittimo e condivisibile nella misura i cui si creda di poter,

con poche indicazioni e qualche incontro, bruciare le tappe di un lungo cammino di studi ed

esperienze sul campo. Ma la nostra proposta si offre come un laboratorio per tutti coloro che

vogliano mettersi in viaggio verso un nuovo modo di concepire non solo la propria missione

di insegnanti ma anche il proprio modo di rapportarsi al dialogo con la parte più profonda di

sé, presupposto essenziale per una comunicazione autentica, trasparente ed efficace con l’altro.

Noi ci proponiamo di offrire suggerimenti, ipotesi di lavoro, strade nuove da percorrere per far

sì che ognuno possa poi trovare la via più congeniale al proprio modo di essere, alla propria

esperienza, alla propria storia umana e professionale.

Tuttavia, sebbene le ore disponibili siano poche, molti saranno comunque i suggerimenti e

le indicazioni applicabili fin da subito alla propria prassi didattica. Presentiamo a mo’ d’esempio

alcuni accorgimenti che potrebbero favorire l’insegnante e lo studente, sia nelle dinamiche di

trasmissione delle conoscenze sia nelle modalità di ricezione ed elaborazione delle stesse.

Esempio pratico – All’inizio di una lezione ha certamente un effetto benefico sugli studenti e

sull’insegnante sedersi al proprio posto con una postura eretta, i piedi ben poggiati a terra e

paralleli, le spalle rilassate, le braccia morbidamente adagiate sulle cosce con il palmo aperto.

Poi ad occhi chiusi o semichiusi, rimanere nel silenzio più totale per 2 o 3 minuti cercando di

focalizzare l’attenzione soltanto sul respiro e magari vocalizzare con le ultime espirazioni un

suono a bocca chiusa come “M” (mmm!). Può sembrare una piccola perdita di tempo per chi,

come noi, vive con la pressione di un programma da finire e ore a disposizione sempre

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insufficienti. Eppure quei tre minuti hanno il potere di allineare lo stato emozionale e mentale

della classe, predisponendo tutti i presenti ad una maggiore attenzione e rendendo il cervello

più ricettivo. Se poi si avesse l’accortezza di interrompere la lezione frontale ogni venti minuti

per far alzare gli studenti sul posto ed eseguire due o tre semplici movimenti corporei miranti

a riattivare la circolazione e accompagnando il gesto con elementari suoni vocalici, il beneficio

sarebbe ancora maggiore. Non sono neanche da trascurare i fattori cromatici: ad un dato

argomento si addice un certo colore, che potrebbe essere utilizzato in qualità di gesso o

pennarello per scrivere alla lavagna o come tratto grafico per la LIM. Lo stesso dicasi per gli

odori, alcuni dei quali adatti a predisporre l’assimilazione sinestetica dei contenuti. Si

potrebbero utilizzare anche i sapori… la cosa appare certamente più complicata in senso

tecnico, ma non sarebbe meno efficace!

Le neuroscienze sono molto chiare al riguardo: il cambiamento, percepito su tutto il piano

sensoriale, genera nuove e imprevedibili strutture neurali, atte a trattenere e organizzare i nuovi

contenuti e risistemare i vecchi. Quindi perché non ripensare la sistemazione dei banchi nella

classe, magari diversa per materia e per argomento? Oppure fissare nella memoria una

sequenza di termini tecnici collegando ad essi un’altrettanto coerente sequenza di gesti? Il

corpo ha capacità mnemoniche insospettate! Per non parlare della musica e dei suoni della

natura, utilizzabili facilmente in ogni classe con l’ausilio delle LIM.

Insomma, le possibilità sono molte e adattabili ai luoghi, ai contesti, ai gruppi in relazione alle

esigenze e alle opportunità, senza per questo minimamente incidere sulla qualità e quantità

dei contenuti presenti nella programmazione didattica di ciascun docente.

Tutto ciò stimola enormemente la creatività: virtù che accende la curiosità e l’amore per la

conoscenza!

Articolazione del Corso di Formazione

Il Corso si articolerà in cinque seminari di 8 ore ciascuno per un totale di 40 ore di formazione.

Gli incontri si svolgeranno di sabato, dalle ore 9,30 alle ore 18,30, presso il Centro “108 holistic”,

sito in Via Cesare Laurenti, 44, 00122 Lido di Ostia - ROMA, con il seguente calendario:

o 26 ottobre 2019

o 16 novembre 2019

o 7 dicembre 2019

o 11 gennaio 2020

o 1 febbraio 2020

ARGOMENTI DI STUDIO:

• Breve panoramica interculturale sulla Meditazione e la sua Storia

• Aspetti essenziali della Pedagogia contemporanea e nuove prospettive di ricerca

• L’importanza della Voce, della Parola, dell’Intenzione nei processi comunicativi

• Tecniche di Meditazione: differenze e punti in comune

• Tecniche di concentrazione e di rilassamento

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• Come funziona la Mente? Elementi di psicologia umanistica

• Le neuroscienze: nuove indicazioni pedagogiche

• Come funziona il Cervello Emotivo? Dinamiche dell’apprendimento

• Il pensiero creativo: la visualizzazione

• L’importanza dei suoni: musica e voce umana nei processi interiori e cognitivi

• L’importanza del disegno e della manualità nei processi di apprendimento

• Poesia e narrativa come percorsi di consapevolezza

• Il linguaggio dei simboli e lo sviluppo dello spirito critico e inferenziale

• Il feedback: dal frontalismo narcisista al dialogo creativo

• Riflessioni e spunti per un insegnamento etico e consapevole

• La consapevolezza corporea attraverso lo Yoga, il Qi gong, la Bioenergetica

• Insegnamento e Vocazione: la motivazione come fatto interiore

• Il Silenzio: un maestro ineguagliabile

Riflessioni conclusive

Negli ultimi anni abbiamo spesso sentito parlare del calo verticale della “motivazione” nello

studente. Un fatto certamente innegabile che ha finito per divenire ennesimo motivo di

dibattito, spesso conflittuale. Le cause appaiono innumerevoli e complesse, ma tutte portano

ad un’unica matrice: l’evidente flessione nella società contemporanea dell’interesse per la

conoscenza e la perdita di prestigio della dimensione intellettuale! La questione è quindi

globale e riferibile alla civiltà occidentale e industrializzata, anche se con gradazioni e

problematiche diverse di paese in paese. Di tutto questo la scuola è un termometro infallibile,

come ben sa chiunque operi nel campo dell’istruzione. Il più delle volte, poi, il problema della

“motivazione” è stato osservato ponendosi nella prospettiva dello studente, punto di vista

validissimo se non finisse per trasformarsi nell’ennesimo e fuorviante alibi giustificativo per lo

scarso impegno: i ragazzi non studiano perché non li si motiva a sufficienza!

È possibile che anche in questo ambito si sia commesso qualche errore di prospettiva? È

possibile che si sia concentrata eccessivamente l’attenzione sulla motivazione dello studente e

si sia trascurata troppo a lungo la motivazione del docente all’insegnamento?

Una cosa è certa: i ragazzi, per quanto “apparentemente” distratti e superficiali, recepiscono

con grande rapidità la motivazione con la quale l’insegnante agisce! Intuiscono

immediatamente se in lui c’è amore per la disciplina che è chiamato a trasmettere e soprattutto

se in lui c’è entusiasmo e fiducia per il compito che svolge! Al riguardo appaiono illuminanti le

parole della Prof.ssa Daniela Lucangeli5:

5 Daniela Lucangeli - Docente di Psicologia dello sviluppo presso l'Università degli Studi di Padova, è esperta di psicologia dell'apprendimento. È autrice di numerosi contributi di ricerca e di intervento nell'ambito dell'apprendimento matematico. È membro di associazioni scientifiche nazionali e internazionali nell'ambito della psicologia dello sviluppo e dell'apprendimento, e presidente nazionale CNIS (Coordinamento Nazionale Insegnanti Specializzati).

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Il cervello riceve stimoli dall’intero ambiente: percepisce non solo le cose dette, ma anche il modo in cui vengono dette, e l’intenzione che governa e determina quel modo. E poi percepisce il luogo fisico. E, a scuola, percepisce la relazione con

l’insegnante, la relazione con gli altri studenti… Bisogna sapere che, quando sperimentiamo emozioni, nel nostro cervello si registrano due tipi di picchi. C’è un picco collegato a emozioni positive come la gioia: il picco è altissimo e ha una brevissima durata. Il picco tipico delle emozioni gravi – come la tristezza, l’ansia, l’angoscia e la paura – è più basso e molto più permanente nel tempo. È questo il motivo per cui le emozioni negative e prolungate possono determinare patologie. Non esiste atto della vita psichica che non sia segnato dalle emozioni. Il circuito neurale delle emozioni è la parte più antica e primitiva del nostro cervello: ce l’avevamo ben prima di diventare Sapiens sapiens. Ci ha aiutato a sopravvivere nella foresta. E ancora oggi controlla tutto quanto accade dentro di noi, fino al nostro limite estremo: la pelle. Ce ne accorgiamo quando arrossiamo o impallidiamo… Se uno studente, mentre impara, prova paura, il circuito della memoria registrerà, collegandole, sia l’informazione trasmessa sia l’emozione. Se uno studente si sente impotente o inadeguato nei confronti di quanto impara, l’apprendere resterà connesso con il senso di inadeguatezza. E se uno studente è terrorizzato dalla scuola, fuggirà della scuola. L’intelligenza sociale nasce con il sorriso, già quando abbiamo pochi mesi, e un sorriso d’incoraggiamento è, in

termini di cambiamento, molto più potente di decine di rimproveri. Un altro grande nemico dell’apprendimento è il senso di colpa connesso con un giudizio negativo: per questo gli insegnanti dovrebbero imparare a guardare i loro allievi negli occhi e a sorridere…6

Ebbene, questo Progetto ha la sincera ambizione di riportare al centro dell’attenzione

l’Insegnante nella sua dimensione umana, rinforzando il suo amore e il suo entusiasmo, la sua

voglia di rimettersi in gioco, …nonostante tutto.

A nessuno si chiederà un surplus di lavoro, uno sforzo e un’applicazione, in termini di tempo

ed energia, superiori a quelli già largamente profusi e spesso non riconosciuti sia sul piano

sociale che su quello meramente economico. Ma si chiederà, a chi sarà disposto a rimettersi in

campo, di partecipare ad un’esperienza di condivisione creativa volta a rendere la nostra scuola

un luogo dove valga la pena vivere, lavorare e contribuire alla “crescita” del nostro futuro.

Marco Alessandri

6 https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2017/02/27/scuola-capovolta