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gennario 2014 gennario 2014 1 comboni comboni fem fem comboni comboni fem fem dossier SAPERE E IDENTITÀ DI GENERE Un network di università femminili L'educazione femminile nei cinque continenti Testimonianze di ga podfhpGenis asperum, es alit pori ad est quide si ipicitatur? Qui culparum nonse assimil expeditatur mossum as ea destiatius aute simporest velianist hicae santis samet m di Tiziana Cavallo

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SAPEREE IDENTITÀDI GENERE

Un networkdi universitàfemminiliL'educazione femminile nei cinque continenti

Testimonianze di ga podfhpGenis asperum, es alit pori ad est quide si ipicitatur? Qui culparum nonse assimil expeditatur mossum as ea destiatius aute simporest velianist hicae santis samet m

di Tiziana Cavallo

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Oltre cinquanta atenei e college in rete per promuovere, in cinque continenti, l’i-struzione al femminile. È questa la real-tà di Women’s Education Wordwide, un network internazionale che promuove la donna attraverso l’educazione

Educazione femminile e uguaglianza di genere ri-

entrano fra gli otto Obiettivi del Millennio definiti

dall’Onu, il cui raggiungimento è fissato per il 2015.

Obiettivi ancora lontani, se si guardano i dati di

Save the Children Italia: nel mondo 69 milioni

di bambini non hanno accesso alla scuola pri-

maria, il 54% sono bambine; dei 759 mi-

lioni di adulti analfabeti, due terzi sono

donne.

È oramai risaputo che garantire l’i-

struzione femminile rappresenta

un fattore strategico per lo svi-

luppo. «Un bambino che nasce da

una donna istruita ha il 50% di pos-

sibilità in più di sopravvivere - spiega

Elena Avenati, coordinatrice della Coalizione italiana

della Campagna globale per l’Educazione -, garantire

un’istruzione alle bambine, a partire dai cinque anni,

aumenterebbe i tassi di sopravvivenza infantile fino

al 40%. Inoltre, secondo uno studio condotto in 100

Paesi, educare le ragazze e favorire la riduzione del di-

vario di genere promuove la democrazia».

Le conferme arrivano dai rapporti Onu: se una don-

na, in Kenya, riceve la stessa educazione di un uomo, i

campi da lei coltivati frutteranno il 22% in più; nei Pa-

esi latino-americani l’abbandono scolastico da parte

di figli di madri scolarizzate è molto minore rispetto

al dato dei bambini con mamme non istruite.

Di questo è consapevole Women’s Education

Worldwide, una rete internazionale che raggruppa

sessanta tra college e atenei sparsi in cinque continen-

ti, oltre a esperti che si occupano del tema dell’educa-

zione femminile. Una realtà, quella del network Wew,

che nasce nel 2003 da due antiche istituzioni america-

ne, il Mount Holyoke e lo Smith College, e che ogni

anno organizza conferenze, scambi e confronti per ap-

profondire e porre al centro dell’agenda politica pub-

blica tematiche e problematiche afferenti le donne e

l’istruzione.

Non solo scolarizzazione

«Inizialmente, gli istituti dediti all’educazione fem-

minile nascono da un’esigenza precisa», spiega Lynn

Pasquarella, preside del Mount Holyoke (college fon-

dato nel 1837 in Massachusetts, che, in quest’anno ac-

cademico 2012-2013, celebra 175 anni di educazione

al femminile). «Qui negli Usa, ad esempio, perché le

ragazze non avevano accesso alla Ivy League (l’insie-

me delle più prestigiose università americane, ndr).

Oggi, grazie all’accesso libero, in Paesi come il nostro

l’attenzione si è spostata sul come le donne possono

essere rese più forti grazie a un’educazione focalizzata

sull’identità di genere».

Lo scenario ovviamente cambia da Paese a Paese, ma

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L’istruzione che fa rete

bilitàExerum sum dis eatis quos solut quaepelles volupta icacaan parunt omnis quiOdis pror

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il crescente prolifera-

re di istituzioni edu-

cative aperte solo alle

donne è un dato di

fatto, come conferma

Carol Christ presi-

dente dello Smith College (nato nel 1871): «Negli ulti-

mi dieci anni, sono nate istituzioni femminili in Asia

del Sud, nel Medio Oriente e in Africa e, a giudicare

dal numero delle iscrizioni, sembra che anche negli

Stati Uniti ci sia una “rinascita” degli atenei femmi-

nili».

Scambi internazionali

Pasquarella e Christ sono tra le fondatrici del net-

work Wew le cui aderenti si sono incontrate lo scor-

so giugno a Nanchino, antica capitale della Cina, per

l’annuale conferenza in cui si è discusso di diritti, glo-

balizzazione e internazionalizzazione, e si incontre-

ranno ora, a gennaio, a Dubai.

«Wew vuole diffondere, attraverso la collaborazione e

lo scambio tra le realtà già esistenti - prosegue Pasqua-

rella -, le migliori pratiche in questo campo ed essere

di stimolo per la promozione all’accesso all’istruzione

universitaria per le donne in tutto il mondo». Alle due

presidenti non sembra anacronistico, nel 2013, nell’era

del web e della democrazia virtuale, parlare ancora di

parità in ambito educativo. È ovvio che il tema si de-

clina in modo differente a seconda che si sia in India

o negli Usa, in Bangladesh e Pakistan o in Canada, in

Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti o in Au-

stralia, in Bahrein, Cina, Corea o Sudan, Zimbabwe,

Filippine, Giappone o Europa (per citare le realtà in

cui la rete è presente).

«A qualsiasi latitudine l’educazione femminile gioca

un ruolo strategico ancora oggi, sia nei Paesi in cui oc-

corre investire nell’istruzione delle bambine come in

quelli in cui le donne non sono ancora rappresentate

adeguatamente nelle posizioni di potere - sottolinea

Christ -. I dati dimostrano che le donne laureate in uni-

versità femminili scardinano molte logiche maschili-

ste, proprio perché vengono educate alla leadership e

sono consapevoli delle loro capacità».

Le fa eco Lynn Pasquarella, affermando che «no-

Per una nuovaleadership africana

TRA LE UNIVERSITÀ FEMMINILI ADERENTI ALLA

RETE INTERNAZIONALE WEW C’È QUELLA

DI OMDURMAN IN SUDAN. UNA REALTÀ

IMPORTANTE, CHE SI COLLOCA COME CROCEVIA

TRA LA CULTURA ARABA E AFRICANA. NATA

PER VOLONTÀ DI UN UOMO CHE CREDEVA NEL

PROTAGONISMO FEMMINILE, OGGI L’UNIVERSITÀ DI

AL-AHFAD CONTA 7.300 STUDENTESSE

di JORGE NARANJO*

Entrando nel campus universitario di Al-Ahfad un uomo si sente

un po’ in imbarazzo, avverte subito la sensazione di invadere

un territorio esclusivamente femminile. Qui, tra i corridoi,

s’incrociano studentesse vestite con il niqab, che a malapena fa

intravedere i loro occhi, e altre che sembrano appena uscite dal

parrucchiere, pettinate secondo i canoni della moda più giovane,

con occhiali da sole e altri accessori femminili. Alcune, quelle

di pelle più oscura, provengono dal Sud Sudan, altre dai Monti

Nuba, dallo Stato del Nilo Azzurro o dal Darfur; quelle di pelle un

po’ più chiara sono originarie degli Stati del Nord Sudan.

Un altro aspetto del femminile di quest’università è dato

dall’esistenza di una scuola materna e una primaria, sorte

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nostante ci siano ancora forti lacune in discipline

come quelle scientifiche, le donne stanno inizian-

do a ricoprire, in diversi Stati, ruoli strategici». E,

dando uno sguardo al futuro, «una delle principali

sfide sarà spiegare il valore dell’educazione femmi-

nile alle giovani che ritengono che studiare in un’u-

niversità di sole donne non sia un’esperienza valida

e stimolante - conclude la preside -. Oggi, grazie alle

nuove tecnologie, la collaborazione tra istituzioni

nel mondo è migliorata e possiamo aiutare le col-

leghe in luoghi dove ancora le norme culturali sva-

lutano l’educazione femminile. Dobbiamo lavorare

unite perché alle bambine non sia negata l’istruzio-

ne, con la scusa che spetta a loro raccogliere l’acqua

o la legna, per sei ore al giorno, o perché mancano i

soldi per l’uniforme scolastica». Per Carol Christ le

sfide sono principalmente due: «creare un migliore

equilibrio tra lavoro e famiglia, per rendere più sem-

plice alle donne (e agli uomini) il crescere insieme i

figli e seguire i sogni della carriera, e aumentare la

proporzione di donne in campo scientifico».

UNIVERSITÀ FEMMINILI / Women’s Education Worldwide

Nell’università Al-Ahfad sono presenti le facoltà di Scienze della Salute,

Psicologia, Pedagogia, Management, Promozione rurale, educazione e

sviluppo, Medicina e Farmacia. La prospettiva di genere è presente in

tutte le facoltà, ma è di certo presso l’Istituto di Genere, diversità, pace

e diritti umani che si approfondiscono maggiormente le tematiche al

femminile. Oltre ai corsi di laurea, si tengono master in Business admini-

stration, Microfinanza e sviluppo, Relazioni di migrazione e intercultura;

Genere e sviluppo, Genere, multiculturalità e movimenti migratori, Ge-

nere e governo, Genere e studi

sulla Pace.

L’Università collabora con altri

centri simili, come gli atenei di

Addis Abeba (Etiopia) o Make-

rere (Uganda), così come altre

università africane, europee e

americane. Al-Ahfad è un esempio di istituzione femminile che prepara

agenti per il cambiamento nei loro gruppi e comunità e che dà una forte

spinta all’enorme potenziale della donna africana per assumere la lea-

dership nella trasformazione del continente attraverso percorsi di pace.

Entrare in un collegio femminile per me-rito e rimanervi solo se i voti conferma-no di essere davvero all’“altezza”. Perché si viene istruite per fare la diffe-renza

A Pavia, dire Collegio Nuovo è sinonimo di grande

attenzione all’esperienza formativa delle giovani don-

ne. Sorto nel 1978 per volontà di un’imprenditrice

industriale, Sandra Bruni Mattei, il Collegio sin dal-

la nascita persegue come finalità quella di favorire la

promozione socio-culturale di studentesse universi-

tarie vivaci e brillanti. Consapevole del ruolo sempre

crescente della donna nella società, la fondatrice pose

le basi per la realizzazione di una comunità interna-

zionale ricca e stimolante, che oggi ospita 115 ragazze,

Collegio Nuovo di PaviaFormare eccellenze

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italiane e no, in cui

motivazione, diversi-

tà, creatività, dialogo

costante e trasversa-

lità permettono una

formazione completa

nel segno della qua-

lità e dell’eccellen-

za, utile e apprezzata

anche nel mondo del lavoro. Per conoscere da vicino

questo collegio femminile di merito, inserito tra le 14

istituzioni universitarie riconosciute dal nostro mini-

stero dell’Istruzione come «enti di alta qualificazione

culturale», abbiamo incontrato la rettrice, Paola Ber-

nardi (nella foto).

Si dice che educare una donna equivalga a educa-re un villaggio. Cosa ne pensa e qual è la specifica missione del vostro Collegio in quest’ottica?Sono perfettamente d’accordo. Quest’affermazione ri-

guarda però soprattutto i Paesi cosiddetti emergenti.

Il nostro Collegio, che si situa in un contesto italiano

e occidentale ovviamente differente, anche dal punto

di vista del livello culturale complessivo, si rivolge a

selezionate donne di talento (per accedere occorre su-

perare un rigoroso concorso pubblico per merito, che

dà la possibilità alle meno abbienti di usufruire di bor-

se di studio; la frequenza dei corsi è determinata dai

risultati, ndr).

Com’è cambiata secondo lei nell’ultimo decennio l’educazione per le donne e delle donne in Italia e nel mondo?Non so se è cambiata, certo c’è maggiore consape-

volezza dell’importanza di fornire anche alle donne

un’educazione di alto livello per arricchire il mercato

del lavoro e in generale tutta la società di persone di

valore, al fine di far crescere il benessere collettivo.

L’ho constatato anche nel meeting della rete Wew a

Nanchino: le donne, in diverse parti del mondo, sono

portatrici di comportamenti e valori che non possono

che fare bene a uno sviluppo più armonico ed equili-

brato della società, che ponga al centro non solo il gua-

dagno e la soddisfazione personale ma anche appunto

il benessere collettivo, inteso naturalmente non solo

dal punto di vista economico.

UNIVERSITÀ FEMMINILI / Omdurman (Sudan)

per ospitare i figli delle studentesse e delle docenti e per

permettere alle mamme di svolgere il loro lavoro accademico

senza trascurare la cura dei figli, che in Sudan è un compito

esclusivamente femminile. In questo Paese, come in altre

realtà arabe e africane, è normale essere madri tra i 18 e i

20 anni, ragione spesso sufficiente per impedire alle giovani di

proseguire gli studi.

Intuito maschileL’Università Al-Ahfad è l’incarnazione del sogno di un uomo

di cultura araba, Babikir Badri (1860-1954), padre di 13

figlie e alcuni figli, che propose un’idea, per il tempo (primi del

Novecento) e il contesto culturale, rivoluzionaria: una scuola per

sole ragazze, che permettesse alle donne di essere qualcosa

di più di semplici compagne dei loro mariti, un istituto che fosse

indipendente dalle religioni e dai governi.

Nei primi anni del periodo coloniale, gli unici centri educativi

esistenti in Sudan erano le scuole coraniche (le khalwas), luoghi

in cui i bambini imparavano la lingua araba e memorizzavano

il Corano. A queste si aggiunsero poi le scuole volute dal

governo coloniale e quelle aperte dai missionari, sia cattolici

che protestanti. Babikir Badri lamentava come le khalwas non

aiutassero a sviluppare il potenziale del popolo sudanese né a

promuovere un progresso che permettesse di raggiungere i

livelli di sviluppo di altri popoli.

L’insegnamento dei principi coranici non era secondo lui

sufficiente, doveva essere completato con un programma laico.

Inoltre, a suo parere, le scuole dei missionari, dove si potevano

studiare le scienze, come geografia, matematica o biologia, non

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Nel 2012 un collegio femminile potrebbe essere considerato “fuori tempo”: come vi confrontate con chi la pensa in questo modo?Intanto l’esperienza internazionale ci conferma che

non è vero. Hillary Clinton, Nancy Pelosi, Madelei-

ne Albright hanno studiato in istituti femminili, per

questo cerchiamo di convincere chi la pensa diversa-

mente, sottolineando come in questi college le donne

abbiano più possibilità di crescere, di confrontarsi e

di rafforzare la propria autostima, piuttosto che in un

ambiente misto. Ciò non significa naturalmente che

non si creino per le studentesse dei momenti di con-

fronto con i loro colleghi maschi di altre università.

Da subito, dal 2003, fate parte del Wew: cosa signi-fica per voi questa partnership? E per le vostre stu-dentesse/ospiti?Per il Collegio ha significato allargare i contatti inter-

nazionali, sino ad allora limitati al contesto europeo,

in Asia e negli Usa soprattutto; per le nostre studen-

tesse, la possibilità di soggiorni di studio negli Stati

Uniti, al Barnard College di New York per frequenza

di un semestre o più brevi soggiorni estivi, ad esem-

pio, e al Dubai Women’s College con partecipazione

all’annuale Insight Dubai, settimana di confronto tra

studentesse occidentali e islamiche. Non solo, tre ra-

gazze sono venute con me a Tokyo a febbraio dello

scorso anno, per tre giorni di confronto sul tema della

leadership femminile con studentesse e docenti della

Ochanomizu University. Altre tre nel 2010 sono state

a Sydney per il meeting Wew. Inoltre nel giugno 2011

abbiamo promosso al Collegio Nuovo una Wew Stu-

dent Conference, cui hanno partecipato una quaranti-

na di studentesse provenienti da tutto il mondo, molte

orientali, che si sono confrontate e hanno interagito

con le nostre. Abbiamo in cantiere anche alcuni accor-

di con altri college orientali, soprattutto cinesi.

Una sua personale definizione della donna.La donna costituisce oltre la metà dell’umanità e ha

sempre dato il proprio contributo alla crescita, in tutti

gli ambiti, a partire dall’educazione dei figli. Ha ca-

ratteristiche analoghe a quelle maschili, ma anche al-

tre sue, più proprie, soprattutto una maggiore capacità

relazionale e di ascolto, una maggiore sensibilità e

attenzione al prossimo, un maggiore spirito di sacri-

ficio. Ha sempre esercitato queste sue caratteristiche

nell’ambito familiare. Ora è sempre più necessario che

le possa esercitare anche nel mondo del lavoro. Per il

bene di tutti.

UNIVERSITÀ FEMMINILI / Women’s Education Worldwide

Qual è lo scopo dell’educazione al femminile? Conseguire la parità tra uomo e donna in tutto il mon-do o dar vita a nuove alleanze, forze e risorse per il raggiungi-mento di obiettivi comuni? Il parere di una docente italia-na di uno dei più prestigiosi college femminili statuni-tensi

Flavia Laviosa è una delle do-

centi del Dipartimento di Ita-

lian Studies presso il Wellesley College, negli Stati

Uniti. Il motto di questo college femminile, fondato

nel 1870 a pochi chilometri da Boston e che vanta tra

le sue ex-allieve anche l’attuale Segretario di Stato

americano, Hilary Rodham Clinton, è Non ministrari

sed ministrare (Non essere serviti ma servire).

Un motto che però non racchiude in sé alcun tipo di

sottomissione, è sufficiente fare quattro chiacchiere

con questa professoressa italiana di Pedagogia del-

le lingue straniere per rendersene conto. A partire da

un concetto continuamente discusso in Italia, la parità

tra uomo e donna, che si declina in modo decisamente

differente in questo college americano.

Obiettivo: Oltre la parità

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combonicombonifemfemUNIVERSITÀ FEMMINILI / Omdurman (Sudan)

rispettavano la cultura locale. Secondo Babikir Badri

le scuole dovevano essere indipendenti e in grado di

integrare i progressi delle scienze con la cultura locale.

Fu così che nel 1904 chiese alle autorità britanniche

l’autorizzazione per aprire una scuola elementare per

bambine. Ma - racconta sua nipote, Balghis Badri,

attuale direttrice dell’Istituto di Genere, diversità, pace e

diritti umani di Al-Ahfad - «il dipartimento dell’Educazione

dell’amministrazione britannica in Sudan, temendo una

reazione popolare negativa e lo scandalo che un’iniziativa

di questo genere avrebbe potuto suscitare, rifiutò

la proposta. Tuttavia mio nonno, che era un uomo

molto testardo, ci riprovò nel 1906. La sua proposta

fu inizialmente respinta, poi James Currie, direttore

del dipartimento, autorizzò l’apertura di una scuola

femminile a Rufu’a. Era il 1907, le prime alunne furono

nove sue figlie e otto figlie dei vicini. In questa scuola, mio

nonno insegnava tutte le materie».

Babikir aveva viaggiato molto per il Sudan, trasformando

varie khalwas in scuole primarie. Quei viaggi l’aiutarono

a capire meglio la cultura autoctona, a raccogliere

proverbi locali e a studiare vari gruppi etnici sudanesi.

Ma il suo rispetto e il suo amore per la cultura locale

non gli impedì di sfidarla. «Nelle sue scuole le donne non

dovevano coprirsi il volto con il tipico tub sudanese, un

tessuto che si arrotolava intorno al corpo di modo che

si vedessero solo gli occhi - ricorda Balghis Badri -. Le

studentesse dovevano portarlo in modo tale da lasciare

scoperto il volto».

Babikir Badri morì nel 1954, dopo aver lasciato le sue

memorie, punto di riferimento per tutti gli studiosi della

storia sudanese dei periodi mahdista e coloniale. Suo

figlio, Yousif Badri (1912-1995), ha continuato il lavoro

del padre, diventando il primo sudanese ad aprire una

scuola secondaria per ragazze e, nel 1966, un collegio

universitario per la formazione di insegnanti. In questo

modo avverò il sogno del padre che le sudanesi fossero

protagoniste dell’educazione nel Paese. Nel 1995 questo

collegio universitario si è trasformato in università e il

rettore è un nipote di Babikir, Gasim Badri.

Nipoti per il cambiamentoLa parola araba ahfad significa “nipoti”. Questo è il nome

che Yousif Badri volle dare a quest’università in cui si

sono laureate oltre 14mila donne. Oggi Al-Ahfad conta

7.300 studentesse nei corsi di laurea e 256 in quelli

post-laurea. Il 30% delle ragazze proviene da famiglie

povere e riceve borse di studio che coprono la totalità

delle spese. Un’équipe dell’università visita le case delle

candidate per assicurare che le borse di studio siano

concesse a coloro che realmente ne hanno più bisogno.

C’è poi un ulteriore 40% delle frequentanti che riceve

borse di studio parziali.

Iscriversi all’Al-Ahfad non significa solo entrare in un

centro accademico: ogni studentessa deve partecipare

al programma di “estensione rurale”. Nuria Brufau Alvira,

insegnante di spagnolo che lavora nell’Istituto di Genere,

diversità, pace e diritti umani, spiega che «le studentesse

e gli insegnanti ciclicamente lasciano le aule per un paio

di settimane e partono in autobus per diverse zone rurali

del Paese. Lì organizzano seminari insieme alle donne,

su temi come il matrimonio prematuro, il cancro al seno,

le mutilazioni genitali femminili, la riproduzione sessuale,

l’igiene personale... In questo modo, le studentesse

vengono educate a essere agenti di cambiamento sociale

nella realtà che le circonda».

Questo programma è cominciato nel 1973 e coinvolge

ogni anno 75 villaggi, 1.200 studentesse e 150 membri

del personale dell’università.

A ciò si aggiunge il servizio che 120 studentesse di

medicina prestano ogni anno a sessanta famiglie con

scarse risorse economiche.

La dimensione sociale di questa università, che mira a

generare un cambiamento nell’influenza dell’ambiente,

è evidente nei corsi di “leadership africana” rivolti ai

membri di associazioni civiche, partiti politici e aziende,

così come nelle conferenze e seminari sulla diversità,

pace, sessualità, cittadinanza e costruzione dello Stato. •

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«Perseguire, o spesso inseguire, la “parità” in senso

generale e quindi anche nello specifico del rapporto

uomo/donna, dal privato al pubblico, dal professionale

al globale, predefinisce e delimita di per sé gli obiet-

tivi che si vogliono raggiungere - spiega Laviosa -. Il

concetto di parità è già intrinsecamente legato a un

privilegio, un diritto, uno status che si riferisce all’au-

torità di “un altro”, definito come superiore e quindi

oggetto di emulazione. Il principio di parità, proprio

per questo, è controllato e definito dall’arbitrariamen-

te prescelto “altro”». «Il consu-

mato dibattito sulla parità uomo/

donna oramai suona riduttivo,

miope e anacronistico, sia come

progetto individuale che come

“ambizione” globale per le donne.

Chi sceglie “l’altro”? E secondo

quali parametri, valori, obiettivi

viene pre-scelto questo “altro” po-

litico con il quale vogliono met-

terci alla pari?».

Secondo la docente italiana, pen-

sare a una parità della donna con

l’uomo è un «traguardo piutto-

sto mortificante». Le donne del

XXI secolo dovrebbero scardina-

re i parametri vigenti e pensare al di là della parità,

esplorare spazi molto più ampi, prefiggersi obiettivi di

scala mondiale impegnativi, affrontando sfide etiche

e stabilendo piattaforme di diritti e valori superiori a

quelli circoscritti e autoreferenziali, prestabiliti dagli

uomini per sé stessi».

Lavorando da anni con le ragazze, Flavia Laviosa è

convinta che «aspirare a una parità disegnata sui valo-

ri di un club maschile non può essere ciò che una don-

na veramente vuole. Le donne sono capaci di definire

i parametri e di delineare le definizioni del loro status

trascendendo i confini di una fortunatamente utopica,

inutile e limitante parità con l’altro genere».

Da questo la sfida di educare le donne ad altre leader-

ship, che non ricalchino per forza modelli maschili,

già mostratisi perdenti. «L’impegno mondiale dovreb-

be essere di educare le donne a una leadership capa-

ce di valorizzare le qualità intrinseche del femminile

e di potenziare il loro capitale di energie innovative,

necessarie per diventare delle pensatrici strategiche

che sappiano interpretare il mondo, affrontare le sfi-

de, ispirare con il loro esempio e impegno e guidare

con il loro intelletto. Piuttosto che dominare, le donne

devono creare alleanze e unione di forze e risorse, e

quindi operare come leader pragmatiche per raggiun-

gere obiettivi comuni».

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SAPEREE IDENTITÀDI GENERE

Un networkdi universitàfemminiliL'educazione femminile nei cinque continenti

Testimonianze di ga podfhpGenis asperum, es alit pori ad est quide si ipicitatur? Qui culparum nonse assimil expeditatur mossum as ea destiatius aute simporest velianist hicae santis samet m

di Tiziana Cavallo

e Jorge Naranjo