DIRITTO NATURALE IN CINA LIMITI E APORIE DELL … · 1. Il diritto naturale nella tradizione...

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© Copyright L’Ircocervo 2011 – Fondazione Gentile Onlus | Autore : Maria Adele Cerrai Reg. N. 1810 Trib. Padova, ISSN 1722-392X – www.lircocervo.it DIRITTO NATURALE IN CINA. LIMITI E APORIE DELLASSOCIAZIONE AL LI di Maria Adele Carrai China University of Political Science and Law – Beijing Abstract Natural law is at the core of Western Legal Tradition. Even though it has been periodically rejected by exponents of legal positivism, it remains a fundamental term of comparison and analysis for philosophical, legal and political purposes. Since the first translations of Western international law documents, scholars begun to look for possible correspondences between natural law and terms within Chinese philosophical and legal tradition. Many important authors have associated natural law with Confucian li. In this work, after having exposed the complexity of the very notion of natural law in Western tradition and having defined a model of natural law, it will be explored the Chinese legal tradition to see whether Confucian li can be considered a suitable equivalent of Western natural law. Three types of li will be then individuated: Zhou li, Confucius and Mengzi artificial li and the Liji’s li. After an analysis of Chinese documents related to the three li, the limits of the association of natural law to li will be illustrated. In this article it is argued that such association can be misleading because it can eventually lead to a reduction of the meanings of both natural law and li. It is not among the aims of this work to prove the universality or the validity of natural law. Premessa Il diritto naturale nella tradizione giuridica occidentale ha costituito un criterio d’ordine per le relazioni sociali e per il diritto. Sebbene sia stato spesso oggetto di critica e sia stato addirittura negato dal giuspositivismo non si può disconoscere il ruolo guida che questo ha avuto nello sviluppo della giurisprudenza occidentale. Il diritto naturale risulta essere un elemento essenziale per la comprensione della storia del diritto occidentale e un fondamentale termine di paragone nel momento in cui si voglia comparare la tradizione giuridica occidentale ad altre tradizioni. Non sorprende quindi che diversi autori abbiano tentato di individuare nella tradizione cinese dei corrispettivi del diritto naturale. Tale ricerca è stata spinta sia dal desiderio di comprendere le due differenti tradizioni, che dalla volontà di testare la pretesa validità universale del diritto naturale che si pone come criterio d’ordine oggettivo del diritto. 1

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DIRITTO NATURALE IN CINA.

LIMITI E APORIE DELL’ASSOCIAZIONE AL “LI ”

di Maria Adele Carrai

China University of Political Science and Law – Beijing

Abstract

Natural law is at the core of Western Legal Tradition. Even though it has been periodically rejected

by exponents of legal positivism, it remains a fundamental term of comparison and analysis for

philosophical, legal and political purposes. Since the first translations of Western international law

documents, scholars begun to look for possible correspondences between natural law and terms

within Chinese philosophical and legal tradition. Many important authors have associated natural

law with Confucian li. In this work, after having exposed the complexity of the very notion of

natural law in Western tradition and having defined a model of natural law, it will be explored the

Chinese legal tradition to see whether Confucian li can be considered a suitable equivalent of

Western natural law. Three types of li will be then individuated: Zhou li, Confucius and Mengzi

artificial li and the Liji’s li. After an analysis of Chinese documents related to the three li, the limits

of the association of natural law to li will be illustrated. In this article it is argued that such

association can be misleading because it can eventually lead to a reduction of the meanings of

both natural law and li. It is not among the aims of this work to prove the universality or the

validity of natural law.

Premessa

Il diritto naturale nella tradizione giuridica occidentale ha costituito un criterio

d’ordine per le relazioni sociali e per il diritto. Sebbene sia stato spesso oggetto di critica e sia

stato addirittura negato dal giuspositivismo non si può disconoscere il ruolo guida che questo

ha avuto nello sviluppo della giurisprudenza occidentale. Il diritto naturale risulta essere un

elemento essenziale per la comprensione della storia del diritto occidentale e un

fondamentale termine di paragone nel momento in cui si voglia comparare la tradizione

giuridica occidentale ad altre tradizioni.

Non sorprende quindi che diversi autori abbiano tentato di individuare nella tradizione cinese

dei corrispettivi del diritto naturale. Tale ricerca è stata spinta sia dal desiderio di

comprendere le due differenti tradizioni, che dalla volontà di testare la pretesa validità

universale del diritto naturale che si pone come criterio d’ordine oggettivo del diritto.

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Le risposte a cui si è arrivati sono diverse, ma nei circoli accademici si tende a preferire la

posizione di chi vede nel li confuciano il corrispettivo del diritto naturale.

Il principale obiettivo di questo lavoro è individuare i limiti di tale associazione. A seguito di

qualche breve precisazione sulla concezione di diritto naturale che sarà presa come

riferimento, si proseguirà con una disamina del li cinese, nelle sue tre forme: il li dei Zhou, il li

artificiale di Confucio e Xunzi, e il li del Li ji. Saranno infine esposti quelli che sono considerati

gli ostacoli ad un’identificazione del li con il diritto naturale. Non è invece scopo di questo

lavoro trattare la validità e l’universalità del diritto naturale.

1. Il diritto naturale nella tradizione occidentale: alcune precisazioni

Il diritto naturale è un concetto fondamentale per la comprensione dello

sviluppo del pensiero giuridico e filosofico occidentale. Nonostante l’emergere di filosofie

del diritto1 a volte antitetiche rispetto al diritto naturale, il titolo dell’opera di Rommen

‘L’eterno ritorno al diritto naturale ’2 ben sintetizza la rilevanza che esso ha pur sempre

mantenuto nella tradizione occidentale.

La nozione di diritto naturale, come del resto quella di li, è una nozione complessa, a cui sono

state attribuite definizioni discordanti. Basti pensare alla diversità della concezione

aristotelica3 o hobbesiana4 di diritto naturale. La ragione per cui si sono sviluppate una

molteplicità di teorie e definizioni del diritto naturale è legata al diritto naturale stesso, che,

c o m e Finnis5 e Maritain6 hanno evidenziato, si pone come ‘oggetto’ di diverse teorie ed

interpretazioni.

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1 Fu il caso del positivismo giuridico, che concepisce il diritto solo positivamente come insieme dei comandi

del sovrano. È il sovrano, o l’autorità in questione che crea un obbligo morale nei sudditi sulla base di teorie elaborate ad esempio da Hobbes Rousseau e Locke, che partono da un ipotetico stato di natura. Per approfondimenti vedi F. GENTILE, Filosofia del Diritto. Le lezioni del quarantesimo anno raccolte dagli allievi, Cedam, Padova 2006, pp. 23-85, E. PATTARO, Temi e problemi di filosofia del diritto: storia e teoria, Lezioni per l’anno accademico 2007-2008, Gedit Edizioni, Bologna 2007, pp. 29-36, G. FASSO’, Storia della filosofia del diritto, II L’età moderna, a cura di Carla Faralli, La terza, Roma 2003, pp. 71-85, 109-122, 137-180, 280-294.

2 H. ROMMEN, L’eterno ritorno del diritto naturale, prefazione di G. Ambrosetti, Studium, Roma 1965. 3 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, tr.it. a cura di Claudio Mazzarelli, Bompiani, Milano 2000, V, 6-7. 4 Hobbes descrive nel Leviatano la prima e la seconda legge naturale assieme al contratto. Dice che “il diritto

di natura, che gli scrittori chiamano comunemente jus naturale, è la libertà che ha ogni uomo di utilizzare il proprio potere come vuole per la preservazione della propria natura, vale a dire della propria vita, e di conseguenza, di fare tutto ciò che nel suo giudizio e nella sua ragione concepirà come i mezzi più adatti a questo scopo”. Dopo questa breve introduzione passa a descrivere le due leggi di natura; la prima è quella secondo cui “per natura ogni uomo ha diritto ad ogni cosa”, mentre la seconda “che un uomo sia disposto, quando lo sono anche gli altri, a deporre questo diritto a tutte le cose, nella misura in cui lo riterrà necessario per al pace e per la propria difesa, e che si accontenti di tanta libertà contro gli altri uomini quanta ne concederebbe agli altri uomini contro sé stesso”. Si vedranno meglio a seguito le differenze delle concezioni di diritto e leggi naturali fra Scuola Moderna, a cui appartiene Hobbes, e Scuola Realista, a cui invece appartiene Aristotele. T. HOBBES, Leviatano, a cura di Raffaella Santi, Bompiani,Milano 2001, cap. XIV, 1-5, pp. 212-215.

5 Per approfondire vedi: J. M. FINNIS, Legge naturale e diritti naturali, a cura di Francesco Viola, Giappichelli Editore, Torino, 1996, pp. 25-28. A riguardo della concezione di Hobbes della natura vedi anche XI, 21, 23; XIII,13; XV, 30; XVIII,2,8; XXI, 10; XXVI, 44; XIX, 4; XLII, 135.

6 J. MARITAIN, Man and the State, University of Chicago Press, Chicago 1951.

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In questo lavoro ci si riferisce alla tradizione cosiddetta realista del diritto naturale, di cui

i padri fondatori sono Aristotele e Tommaso D’Aquino. Caratteristica di questa scuola è

l’uso del metodo dialettico in opposizione a metodo scientifico usato dalla scuola

moderna di diritto naturale, dove l’essere umano è trattato come pura estensione7, privo

di una teleologia. Secondo la tradizione realista, per diritto naturale s’intende quel diritto

che si fonda sulla natura e vuole trarre da questa i suoi contenuti. Il diritto qui considerato

corrisponde allo ius, ossia al suo di ciascuno, alla cosa giusta. A questo concetto di diritto

naturale si lega quello di leggi naturali, ossia l’insieme di precetti della ragion pratica che

regolano l’agire dell’uomo in vista dei fini a lui propri. Quando si parla di leggi naturali, è

necessario distinguere fra ‘legge naturale dell’universo naturale’ e ‘legge naturale

dell’universo morale’. L’uomo in quanto ente, per natura, segue la legge della natura; in

quanto essere animale, per natura animale, segue la legge naturale animale; in quanto

agente razionale con inclinazioni e tendenze non scelte arbitrariamente segue la legge

naturale del mondo morale8. La violazione di quest’ultima, alla pari della violazione di

una legge fisica comporta un perturbamento dell’armonia naturale nell’uomo e nella

società in cui è inserito. In questo lavoro c i s i riferirà solo alla legge naturale d e l mondo

morale. Per questa s’intende “l’insieme di leggi razionali che esprimono l’ordine delle

tendenze o inclinazioni naturali verso i fini propri dell’essere umano in quanto persona”9.

Questa ragione teleologica, quando riguarda ci si riferisce al campo della giurisprudenza,

deve essere a questo limitata. In questo senso è utile ricordare la differenza evidenziata da

MacIntyre fra ‘moralità della virtù’ e ‘moralità della legge’10, ossia fra una moralità che

promuove l’eccellenza, la santità, la perfezione, e una moralità, quella della legge, che

promuove la protezione dei diritti fondamentali, che proibisce le azioni che andrebbero

ad interferire con l’integrità della comunità, e la giusta distribuzione dei beni. Se nel diritto

naturale v’è una tendenza alla perfezione del bene, che può portare ad un moralismo

giuridico, ossia a promuovere attraverso lo strumento coercitivo del diritto un bene che va

oltre il diritto, un bene che fa parte della morale privata, un bene delle ‘intenzioni’, il

diritto naturale qui considerato rimane legato al diritto non ad un moralismo.

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7 Tra gli esponenti della scuola realista si possono ricordare Arostotele, alcuni giuristi romani e pensatori

cristiani, Tommaso D’Aquino. Tra i rappresentanti della scuola moderna invece si possono menzionare Grozio, Hobbes, Rousseau, Locke. Questa distinzione è una grande semplificazione che non tiene conto delle grandi differenze presenti all’interno delle scuole stesse.

8 Y. SIMON, La tradizione del diritto naturale, Thomas, Palermo 2004, p. 151. 9 J. HERVADA, Introduzione critica al diritto naturale, Giuffrè, Milano 1990, p. 14. 10 A. MACINTYRE, After Virtue, University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana 2007, pp. 150-152.

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Nella tradizione occidentale, una prima formulazione di diritto naturale si può

trovare nell’Antica Grecia a seguito della cosiddetta crisi scettica del V secolo a.C., quando i

filosofi fisici11 contrapposero una giustizia basata sulla natura al nomos greco12. Prima di

tale laicizzazione13 della giustizia c’era solo il nomos, ossia i costumi e le tradizioni della città,

in cui il giusto era rappresentato in forma mitologica14.

È quindi a partire dal V sec. a.C. che ‘natura’ diventa nell’Antica Grecia un termine distintivo.

“Prima della sua scoperta, il comportamento caratteristico di ogni cosa, o di ogni classe di

cose, era visto come il suo costume o la sua maniera”15. Non si distingueva tra quello che

può essere considerato come ‘equivalente pre-filosofico16 di natura’, ossia i costumi e la

maniera, diversi da luogo a luogo, ed i modi che sono sempre ed ovunque gli stessi, ossia

la natura. L’esempio riportato da Strauss è quello dell’abbaiare e del muovere la coda dei

cani che era visto come la maniera dei cani, e il non mangiar carne era il tratto distintivo

degli Ebrei e il non bere vino quella dei Musulmani.17

Il fatto che non si distingua una certa natura che trascende le maniere particolari, ha

ripercussioni anche sulla legge ed il diritto. Se questi sono giustificati da una natura pre-

filosofica, ciò che è bene, anche dal punto di vista giuridico, finisce per coincidere con

l’ancestrale. Strauss afferma che l’ancestrale lega il costume alle cose prime, alla natura,

proprio per il fatto che nello stadio iniziale non esiste ancora una distinzione tra le due.

Tuttavia, la linea che separa natura e costume è molto sottile.

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11 Vedi M. VILLEY, La formazione del pensiero giuridico moderno, Jaka Book, Milano 1985, p. 17 12 Max Weber dice che nell’Antichità vi erano principalmente due standard per giudicare la validità di una

legge: lo standard della tradizione, secondo cui una legge è buona se preserva l’ordine tradizionale passato, ed un secondo standard naturale che si basa su un ordine più astratto e maggiormente universalizzabile che è appunto l’ordine della natura. Si veda a riguardo M. WEBER, The Theory of Social and Economic Organization, trad. a cura di. A. M. Henderson and Talcott Parsons, The Free Press, New York 1964, pp. 130-31. Questi due criteri vengono descritti anche da Strauss quando distingue fra maniera e natura. Vedi L. STRAUSS, Diritto naturale e storia, Il Nuovo Melangolo, Genova 1990.

13 VILLEY, La formazione del pensiero giuridico moderno, cit. pp. 17-18. 14 Questo è ad esempio il caso di Esiodo, vedi E. PATTARO, Temi e problemi della filosofia del diritto: storia e

teoria, Lezioni per l’anno accademico 2006-07, Gedit Edizioni, Bologna 2007, pp. 19-20; o dell’Antigone di Sofocle SOFOCLE, Le tragedie, a cura di Giuseppina Lombardo Radice, Einaudi, Torino 1966, in particolare i versi 559-585, pp. 208-209, in cui Antigone contrariamente alle leggi del re della città, ossia alle leggi positive, decide di seppellire il cadavere di suo fratello Polinice, e si giustifica di fronte a Creonte dicendo che ha seguito “le leggi non scritte, e non mutabili. Non sono d’ieri né d’oggi, ma da sempre vivono: e quando diedero di sé rivelazione, è ignoto”, Ibid. versi 567-569, p. 208; o ancora in Protagora di Platone, vedi VILLEY, La formazione del pensiero

giuridico moderno, cit, pp. 15-20. 15 Ibid., p. 91. 16 Stadio pre-filosofico in quanto la scoperta della natura va di pari passo con l’inizio della filosofia. “La

filosofia, come contrapposta al mito, iniziò ad esistere solo quando fu scoperta la natura”. STRAUSS, Diritto naturale e storia, cit., p. 91.

17 Vedi STRAUSS, La tradizione del diritto naturale, cit., p. 92.

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Si avrà modo di osservare che anche nel costume è possibile riscontrare elementi naturali: se

l’uomo non potesse supportare certe regole e certe leggi, queste banalmente non

potrebbero neppure esserci.18

È necessario precisare che il tipo di natura a cui ci si riferisce in questo lavoro, in accordo con

la tradizione realista, è una natura teleologica: “la natura di ogni essere è il fine a cui essa

tende”19. Con questa coincisa definizione è possibile rispondere alla cosiddetta natural

fallacy20, critica spesso rivolta ai sostenitori del diritto naturale, che evidenzia l’errore del

passaggio dall’‘is’ all’‘ough’, ossia dall’ ‘essere’ al ‘dover essere’. Come osserva Hervada, tale

critica è valida solo nel momento in cui il diritto naturale rientra nell’ambito dell’esercizio

del potere fisico dell’uomo, in altre parole quando il diritto naturale è inteso solo come

diritto/pretesa soggettiva21. Certamente è un procedere illogico affermare che l’uomo poiché

ha dei diritti naturali deve necessariamente esercitarli. Ma se ci si riferisce a una natura

teleologica, è il dover essere coincidente con l’inclinazione a costituire il punto di partenza,

non è il punto d’arrivo.

La fallacia naturalistica è valida solo quando si applica il metodo razionalistico delle scienze al

diritto e all’uomo, come la scuola moderna del diritto naturale ha fatto. Tale metodo implica

da un lato l’eliminazione dei fini propri all’essere umano, in quanto questo è trattato come

pura estensione, dall’altro implica la trasformazione del diritto nell’opera della ragione del

legislatore.

2. Il diritto naturale in Cina

Dopo le umilianti sconfitte subite dalla Cina nelle due Guerre dell’Oppio (1939-42,

1956-60), il Grande Impero si rivolse verso Occidente alla ricerca di nuovi modelli per

riformarsi e modernizzarsi.

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18 Lo stesso, ad esempio, vale per il linguaggio. Esistono secondo la linguistica lingue naturali e lingue

artificiali, come ad esempio le lingue creole. L’artificialità tuttavia ha un limite, che è dato dalle strutture biologiche naturali degli esseri umani. Di recente sono stati fatti esperimenti in cui si cercava di fare apprendere ad esseri umani delle lingue ‘di laboratorio’ con grammatiche completamente artificiali. Se il grado di artificiosità della grammatica superava un certo limite ‘naturale’ dato dalle strutture biologiche della mente umana, allora era letteralmente impossibile il loro apprendimento. Così come per la creazione di una lingua vi sono delle strutture naturali nell’uomo con cui bisogna fare i conti, allo stesso modo nella creazione di un costume e di una legge, che se è vero che è artificiale, riflette pur sempre qualche aspetto della natura. Per una trattazione dei limiti delle strutture biologiche nell’apprendimento del linguaggio, vedi A. MORO, The Boundaries of Babel, The Brain and the Enigma of Impossible Languages, MIT Press, Cambridge, Massachusetts 2008.

19 SIMON, La tradizione del diritto naturale, cit., p. 76. 20 La filosofia analitica contemporanea, in particolare a partire da G. Moore, riprese le osservazioni di Hume,

secondo cui non era possibile passare dall’essere al dover essere, e definì tale errore di logica come “fallacia naturalistica”. Per un approfondimento vedi G. CARCATERRA, Il problema della fallacia naturalistica, La derivazione

del dover essere dall’essere, Giuffrè, Milano 1969. 21 HERVADA, Introduzione critica al diritto naturale, op. cit.

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In questa sua nuova apertura, molti autori mostrarono grande interesse per il diritto

occidentale 22 e per il diritto naturale. Il primo autore a discutere con una certa

sistematicità l’esistenza di un corrispettivo cinese del diritto naturale fu Liang Qichao23 che nel

1906 nell’opera Zhongguo Falixue identificò il diritto naturale con la tradizione confuciana24.

Dopo Liang furono molti gli autori, anche occidentali, che elaborarono tesi sul

corrispettivo cinese del diritto naturale. Vi fu chi come Liang trovò nella tradizione confuciana

un corrispettivo del diritto naturale, chi invece individuò un corrispettivo nel dao del Taoismo,

riferendosi in particolare alle opere di Laozi e Zhuangzi25. Il dao era considerato da Laozi

come un qualcosa di oggettivo ed eterno26, ed in questo era simile alla nozione di natura in

Occidente. Un passaggio noto di Laozi, spesso utilizzato per la dimostrare l’esistenza nel

Taoismo di una nozione di diritto naturale è il “dao fa ziran” 道法自然, secondo cui il dao si

modellerebbe la natura27.

Vi è inoltre chi sostiene che il Moismo, il cui rappresentante di spicco è Mozi, avesse

elaborato nelle nozioni di Tianzhi, 天志,Tian de yizhi 天的意志, ossia la volontà del Cielo,

una nozione molto simile a quella di diritto naturale28.

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22 Dal punto di vista giuridico, quanto appena detto si riscontra anche nella convinzione della Corte

imperiale secondo cui uno dei modi per influenzare maggiormente le potenze mondiali fosse attraverso un governo costituzionale e leggi moderne. Vedi Jianfu CHEN, Chinese Law, Toward an Understanding of Chinese Law,

Its Nature and Development, Kluwer Law International, The Hague, Boston 1999, pp. 17-30; pp. 58-59. 23 LIANG Qichao 梁启超, Liang Qichao Faxue Wenji 法学文集 (Raccolta di scritti sul diritto di Liang Qichao), a

cura di Zhongxin Fan, Zhongguo Zhengfa Daxue Chubanshe, Pechino 1904. 24 Di grande rilevanza a riguardo fu la traduzione nel 1864 di Elements of International Law di Wheaton del

missionario americano Martin. Egli aveva fondato la ‘commensurabilità culturale’ della cultura giuridica cinese con quella occidentale proprio sul diritto naturale, tradotto in quell’edizione usando elementi neo-confuciani come xingfa o ziranzhifa, in contrapposizione a quella positiva gongfa o lufa. Tuttavia questi termini riferiti al diritto naturale furono creati da Martin con l’aiuto dei suoi collaboratori, non riflettevano elementi culturali tradizionali. Inoltre Martin non si interroga ancora sistematicamente su corrispettivi cinesi del diritto naturale già presenti nella tradizione giuridica cinese. Infine in questo lavoro ci si preoccupa del li Confuciano fino al periodo Han, non si tratta il neoconfucianesimo e la sua nozione di natura xing. A riguardo di Martin e della sua missione vedi L. H. LIU, The Clash of Empires, The Invention of China in the Modern World Making, Harvard University Press, Londra 2006, pp.108-139.

25 Di recente vi sono stati autori che hanno individuato nozioni di diritto naturale anche nel Huainanzi e nello He Guanzi. In questo lavoro tuttavia né lo Huainanzi né lo He Guanzi verranno trattati. Per approfondimenti vedi C. DEFOORT, The Pheasant Cap Master (He Guanzi), a Rethorical Reading, Suny Press, Albany, State University of New York 1997, in particolare capitolo 9.

26 MA Jianxing e Jiang Qinghua, Chaoyue ZhongXi de ziranfazhejing, in ZHOU Lingang 周林刚 a cura di, Ziranfa: gudian yu xiandai 自然法:古典与现代 (Diritto naturale classico e moderno) Zhongguo Fazhi Chupianshe, Pechino 2007, pp. 114-117.

27 CUI Yongdong 崔永东, Zhongguo Falu Wenhua Bijiao 中国法律文化比较 (Una comparazione con la cultura giuridica cinese), Beijing Daxue Chupianshe, Pechino 2004, pp. 111-136.

28 MA, Chaoyue ZhongXi de ziranfazhejing, cit., pp. 116-17.

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Senza soffermarsi sulle teorie dei diversi autori, si può in sintesi dire che la teoria

maggiormente sostenuta è stata quella che vede nel li confuciano un corrispettivo del diritto

naturale29. Tale teoria fu supportata anche da autori occidentali, tra cui vale la pena ricordare

Joseph Needham, il quale dedicò un intero capitolo della sua immensa opera alle leggi di

natura e al diritto naturale in Cina30.

Negli ultimi decenni, a fianco di coloro che hanno negato la possibilità di trovare

corrispettivi cinesi del diritto naturale occidentale31, ci sono stati alcuni autori32, tra cui

Peerenboom33, i quali, a seguito di importanti scoperte archeologiche, hanno individuato

nella tradizione taoista HuangLao un possibile corrispettivo del diritto naturale.

In questo lavoro si vedranno solo i limiti dell’associazione del diritto naturale al li, con

particolare riferimento al periodo che va dalla dinastia Zhou (XII-III) a quella degli Han (206

a.C- 220 d.C.). Una delle ragioni per cui si è scelto di trattare esclusivamente il li, è che questo

concetto ha in Cina e nella storia del pensiero e della giurisprudenza cinese una rilevanza che

è pari a quella del diritto naturale nella storia della giurisprudenza occidentale.

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29 Il primo ad associare nel 1935 i l d ir i tto naturale al l i fu Mei Ru’ao (梅汝璈) in un articolo che uscì

in Faxue wenxuan 法学文选 , vedi MEI Ru’ao 梅汝璈, ‘Zhongguo Jiuzhi xia zhi Fazhi’ 中国旧制下之法治 (Il sistema legale nel antico sistema cinese), da Faxue wenxuan (1935); tale tesi fu portata avanti da alcuni autori a Taiwan, come ad esempio MEI Zhongxie 梅仲协, “Li yu Fa 礼与法 (Il rito e la legge)”,da Zhongguo Fazhishi lunji 中 国 法 制 史 论 集 (Raccolta di saggi sulla storia del sistema legale cinese) , TaiwanZhiwenChupianshe,Taipei 1975.

30 J. NEEDHAM, Scienza e Civiltà in Cina, II Storia del pensiero scientifico, Einaudi, Torino1984, capitolo 18, pp. 623- 706.

31 YU Ronggen 俞荣根,Daotong yu Falu 道统与法律 (Confucianesimo e Diritto), Falu chupianshe, Pechino 1999.

32 K. TURENR, “The theory of Law in the Ching Fa”, in Early China 14 (1989), pp. 55-76; K. TURNER, “War, Punishment, and the Law of Nature in Early Chinese Concepts of the State”, in Harvard Journal of Asiatic Studies, 53:2 (1993); R. YATES, Five Lost Classics: Tao, Huang Lao, and Yin-Yang in Han China, Random House, New York 1997; Yang ZHENSHAN, La tradizione del diritto romano e del diritto cinese antico e l’influenza del diritto

romano sul diritto cinese contemporaneo, in L. FORMICHELLA - Giuseppe TERRACINA - Enrico TOTI (a cura di), Diritto cinese e sistema romanistico, Giappichelli, Torino 2005, p. 30.

33 R. PEERENBOOM, Law and Morality in Ancient China, The Silk Manuscripts of Huang-Lao, Albany, SUNY Press, New York 1993, cap. VI.

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2.1 La nozione di li

Il li è una nozione particolarmente complessa in cui si condensano millenni di

storia e secoli di speculazioni. Esso ha costituito un elemento centrale nella giurisprudenza

e nella storia e della cultura cinese 34. La stessa sua traduzione esemplifica questa sua

complessità: li è stato tradotto come rito, cerimonia, etichetta, pratica cerimoniale, cortesia,

buona maniera, decoro, diritto (nel senso di ius), morale 35, proprietà rituale36. In questo

lavoro si userà direttamente il termine li, o verrà semplicemente tradotto come “rito”.

Secondo Legge, il termine li è usato per esprimere due significati: il li come “atto o mossa

grazie a cui si servono gli esseri spirituali e si ottiene felicità” 37 ; il li, assieme alla

benevolenza ren 仁, la giustizia yi 义 e la conoscenza zhi 知, come un costituente della

natura umana, soprattutto a partire da Mencio38.

Oggi quando si parla di li ci si riferisce so l i tamente a quello confuciano perché fu

Confucio ad apportare i maggiori contributi. Confucio oltre ad estendere il li al popolo lo

spiritualizzò, cercando di questo l’essenza. Inoltre, è nella tradizione confuciana che il li

nella forma del Li ji è stato innalzato fino a diventare un classico del confucianesimo e del

pensiero cinese.

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34 Ad esempio Hsü dice: “data la sua importanza a livello pratico il li è alla base della civilizzazione cinese

tanto è vero che anche i cinesi hanno chiamato il loro paese ‘il paese del li yi 礼义’ ”. Cfr. HSÜ, The political Philosophy of Confucianism, an interpretation of the social political ideas of Confucius, his forerunners, and his early

disciples, Routledge, Oxfordshire 2005, p. 93. Od anche Chan che dice che la traduzione del termine li come “rito” o “cerimonia” è troppo ristretta e può essere addirittura fuorviante, vedi CHAN Wing-tsit, Chinese Philosophy, Princeton University Press, New Jersey 1969, p. 790. Altri autori che sottolineano l’importanza del li sono ad esempio Bodde, in BODDE, Law in Imperial China, Exemplified by 190 Ch’ing Dynasty Cases, Harvard University Press, Cambridge, Mass. 1967; LIU Yongping, Origins of Chinese Law: Penal and Administrative Law in its

Early Development, Oxford University Press, New York 1998; R. CAVALIERI, La legge e il diritto, Lineamenti di storia

del diritto cinese, Franco Angeli, Milano 2001; MEI, Li yu Fa, op.cit.; FUNG Yu-Lan, A History of Chinese Philosophy, Vol. I, The Period of the Philosophers, tr. da Derk Bodde, Commercial Press, Shanghai 1937, p. 68.

35 J. LEGGE, The Sacred books of China: the texts of Confucianism, Parte III, Oxford, 1885, p.11; il termine li è anche stato tradotto come “civiltà”, ad esempio vedi HSÜ, The political Philosophy of Confucianism, an

interpretation of the social political ideas of Confucius, his forerunners, and his early disciples, op. cit., p. 93-95, il quale dice che “civilization” è il termine che meglio renderebbe il significato di li, se non fosse che il termine “civilizaton” ha un significato più vasto rispetto a quello di li e che non necessariamente implica quei valori etici alla base nel li.

36 Sim MAY, Remastering Morals with Aristotle and Confucius, Cambridge, Cambridge University Press, 2007. 37 LEGGE, The Sacred books of China: the texts of Confucianism, cit., p. 9. 38 Anche Mencio (circa 380-289 a.C.) sarebbe interessante da trattare in questa discussione sul li e sul diritto

naturale. Mencio infatti considerava il li uno dei quattro germogli si duan 四端 della natura umana. Ma il li non sembra essere il criterio della giustizia yi 義, altro germoglio. Anzi sembra essere vero il contrario: il li deve essere giudicato da qualcosa che sta ancora più a monte, che è lo yi 義, la giustizia. Un criterio questo, che è inscritto nel cuore xin 心 di ogni uomo, a cui ogni uomo arriva attraverso la riflessione si 思. “Nel ridimensionare il ruolo del 禮 li, Mencio enfatizzò…il ruolo di 義 yi, che divenne così la categoria etica più importante, di fatto superiore perfino a 仁 ren e 禮 li”.(Cfr. SCARPARI, Studi sul 孟子 Mengzi, p. 81) Od ancora “è grazie a 義 yi che l’uomo può imparare a individuare e sviluppare quei valori primari ed irrinunciabili capaci di garantire il pieno rispetto della dignità della persona.” (Cfr. SCARPARI, Studi sul 孟子 Mengzi, p. 83) Semmai è nello yi di Mencio, radicato nella natura umana xing 性, che è a sua volta al servizio del Cielo (“nutrire la propria natura, così si serve il cielo” Cfr. SCARPARI, Studi sul 孟子 Mengzi) che si può ritrovare una nozione di diritto naturale. Per trattazione di Mencio vedi ancora Maurizio SCARPARI, Studi sul 孟子Mengzi, Cafoscarina, Milano 2002, pp. 75-127.

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Tale opera, la cui finale compilazione risale alla fine dell’epoca Han, è la più sistematica

trattazione del li, e che indica a livello pratico quali effettivamente siano le modalità e i

tempi per compiere un certo rito, e quali le maniere per un giusto comportamento.

Per una migliore comprensione dell’evoluzione storica del li, almeno fino al II secolo

d.C., questo si può classificare in tre categorie: il li dei Zhou, il li artificiale di Confucio e di

Xunzi, ed infine il li naturalizzato39.

Il li dei Zhou, in realtà si originò ben prima della Dinastia dei Zhou. Il li, sebbene in

forma diversa, esisteva già in epoca Shang (XVI-XI sec. a.C. circa). Dalle iscrizioni divinatorie

della Dinastia Shang fino ad ora scoperte, e da come è sporadicamente documentato in

passaggi dei Classici Confuciani, il li degli Shang consisteva principalmente in certi rituali

eseguiti dal re durante la divinazione, o durante i sacrifici al Cielo o agli antenati40.

Anche il li dei Zhou consisteva prevalentemente in una serie di rituali divinatori eseguiti

dalla classe nobiliare. Tradizionalmente il l i nasce con il Duca dei Zhou, quando la

mancanza di un sistema di leggi minacciava la stessa sovranità41. Il Duca Zhou doveva

infatti gestire una serie di stati zu, legati a lui per consanguineità42, ma su cui non aveva

totale sovranità poiché ogni zu faceva capo ad un proprio leader 43. Quando il Duca di

Zhou prese il potere non v’era una legge sufficientemente sistematizzata e centralizzata,

e ciò costituiva un fattore di rischio, perché senza una legge i signori dei feudi zu, sarebbero

potuti facilmente sfuggire dal controllo del Duca di Zhou creando così nuovi stati

indipendenti. Fu per questa ‘paura’ che il Duca di Zhou decise di stabilire un codice di

leggi rituali, il li44, per mantenere il proprio potere.

Sebbene i riti degli Shang e dei Zhou variavano a seconda del rango sociale e dello status45,

vi si può già trovare un principio morale generalizzabile, il qinqin, che voleva dire amare i

membri del proprio zu.

9

39 Tale classificazione si basa parzialmente su una classificazione fatta da Liu, il quale però distingue solo due

tipi di li: il li dei Zhou e il li naturale di Confucio. Non viene trattata la naturalizzazione del li che invece iniziò a partire dal III secolo a.C. qualche secolo dopo la morte di Confucio. Il merito di Confucio sta nell’aver popolarizzato il diritto naturale, non tanto nell’averlo naturalizzato.

40 LIU, Origins of Chinese Law: Penal and Administrative Law in its Early Development, cit., p. 64. 41 Stando a quanto sostiene Liu all’epoca non vi era ancora un sistema legale corredato da codici a cui

potersi riferire. LIU, Origins of Chinese Law: Penal and Administrative Law in its Early Development, op. cit., cap. 2, nota 14. Secondo le iscrizioni sul bronzo dell’Epoca Zhou Occidentali, esisteva già un Ministro degli affari criminali. Nello Shiji pure è detto che i riti furono creati dal Duca di Zhou, Vedi CHAN, Leo S. e Yu Feng, The Four Political Treaties of the Yellow Emperor, Original Mawangdui Texts with Complete English Translations and an

Introduction, University of Hawai’i Press, Honolulu 1998, nota 20, p 82; nota 21, p. 83. 42 Perchè non ci si poteva sposare in uno stesso zu, bisogna cercare moglie o marito in altri zu, membri

comunque del regno di Zhou, vedi LIU, Origins of Chinese Law: Penal and Administrative Law in its Early

Development, cit., pp. 62-62 43 Il Duca di Zhou infatti era solo il capo dello Ji Zu. 44 BODDE, Law in Imperial China, Exemplified by 190 Ch’ing Dynasty Cases, cit.; LIU, Origins of Chinese Law:

Penal and Administrative Law in its Early Development, cit.; WU Kuo-Cheng, The Chinese Heritage, Crown Pub., Inc., New York 1982.

45 Ovviamente non includevano la gente comune ed il popolo, erano riservati alle sfere alte della società. Vedi anche a HSÜ, Leonard Shihli En, The political Philosophy of Confucianism, cit., pp. 92-93.

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In questo principio Liu vede l’origine della pietà filiale xiao e del senso dell’umanità ren.46,

principi fondamentali del li di Confucio.

In accordo con Liu, le caratteristiche di questo primo li possono essere così

sintetizzate: 1) il li dei Zhou era molto dettagliato e rigido perché si riferiva ad una

particolare struttura feudale, quella dei Zhou. 2) non era per tutto il popolo, ma solo per la

nobiltà, ed era in mano ai soli ufficiali, era quindi vero che il li non scendeva fino al popolo 3)

il li, a parte qualche eccezione, come il principio qinqin, si riferiva solamente al portamento

e ai riti47.

Caratteristiche del secondo tipo di li, il li artificiale di Confucio e Xunzi, sono la sua

popolarizzazione, spiritualizzazione e sistematizzazione. Di fronte al crollo del sistema feudale

zu dei Zhou, e di conseguenza anche dei rigidi riti ad esso legati, Confucio elabora una serie di

principi, sintetizzabile nei concetti di ren, benevolenza, e di xiao, pietà filiale48, per la

coltivazione dell’uomo e della sua umanità, grazie a cui le dettagliatissime regole legate

alla particolare tradizione storica e culturale dei Zhou, vengono estese al popolo. Se da

un lato Confucio sottolinea l’importanza dello spirito con cui si eseguono i riti, Xunzi li

sistematizza nella sua opera interamente dedicata ai riti, il Li Lun.

In ultimo vi è il li di Confucio naturalizzato. A partire dall’assunzione del pensiero

Confuciano come ideologia di stato con l’Imperatore Wu durante la Dinastia Han il

Confucianesimo dovette modificarsi, anche secondo quello che era il pensiero accettato

nell’elite intellettuale e politica Han prima di Wu. Tale èlite sembrava apprezzare molto gli

insegnamenti Taoisti, e c’è chi come Yates, è arrivato a sostenere che il pensiero HuangLao

fosse quello dominante prima del re Wu, e chi come Queen dimostra che il pensiero di

Dong Zhongshu (179-105 a.C. circa) sia stato direttamente influenzato da quello HuangLao49.

Il Confucianesimo viene così naturalizzato ed ingloba molto del pensiero delle scuole sue

contemporanee, in particolare viene influenzato dal naturalismo del Daoismo e dalla

scuola Yin Yang50. Questa naturalizzazione ovviamente ha delle ripercussioni anche sulla

nozione del li, che inizia ad avere forti riferimenti alla natura. Basti pensare alla compilazione

dello Yue Ling, risalente circa al 240 a.C., e ad alcuni capitoli all’interno del Li ji.

Il Confucianesimo fu molto influenzato dalla natura e dal suo ordine, tuttavia rimane

problematica la piena identificazione di questo con il diritto naturale.

10

46 LIU, Origins of Chinese Law: Penal and Administrative Law in its Early Development, cit., p. 68. 47 Ibid. 48 Ibid., pp. 91-96. 49 S. A. QUEEN, From chronicle to canon, The hermeneutic of the Spring and Autumn according to Tung Chung-

shu, Cambridge University Press, New York 1996, pp. 85-93. 50 CH’U Chai, The sacred books of Confucius, and other Confucian Classics, University Books, New York Park,

New York 1965, p. 353.

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Se da un lato il li si può associare a dei riti, che corrispondono a una convenzione e

quindi non a natura, dall’altro i principi a cui arriva sono comunque principi etico-morali,

non propriamente giuridici, che danno vita ad un moralismo giuridico: invece di essere

giusto, diventa ‘buono’, ‘caritatevole’51. Inoltre, non viene a pieno trattata la natura umana e

il suo dover essere.

2.1.1 Il li dei Zhou

Per quanto riguarda il primo dei tre li sopra classificati, quello dei Zhou e degli

Shang non può essere associato al diritto naturale per una serie di ragioni. Se si parte

considerando il diritto ed il li dell’Epoca Shang, questo non rappresentava o non includeva

di certo alcun principio politico o etico che serviva come modello per le decisioni legali.

Inoltre nelle scelte del sovrano, anche quelle in materia giuridica, vigeva la massima

arbitrarietà. Non vi era quindi alcun li, alcun diritto naturale in grado di limitare il potere

decisionale del sovrano e nessun modello “naturale” a cui la legge doveva ispirarsi52. Il li dei

Zhou è legato al suo particolare sistema sociale, ed in particolare al sistema nobiliare.

Il li è monopolio della classe aristocratica53, non è per tutti, ed è proprio questo il caso di

dire che il li non scendeva fino al popolo: ‘Le regole della cerimonia non scendono fino alle

persone comuni. Le leggi penali non raggiungono i grandi ufficiali’54.

Il popolo nell’Epoca della Dinastia Zhou non aveva neppure modo di conoscere il li, pensato

esclusivamente per la classe nobiliare dirigente.

11

51 Vedi a riguardo VILLEY, La formazione del pensiero giuridico moderno, cit., p. 592. Secondo Villey la corrente

dello Stoicismo, che spesso è associata al diritto naturale classico, devierebbe da questo. La giustizia dalla scuola Stoica in poi sarebbe più vaga, non coinciderebbe con il fine proprio del diritto, che è quello di dare a ciascuno il suo, dare cuique suum, ma diventerebbe una morale privata. VILLEY, La formazione del pensiero giuridico moderno, cit., pp. 370, 375.

52 Durante l’Epoca Shang il sovrano nel prendere decisioni politiche, militari, giuridiche doveva riferirsi al di 帝. Il di era considerato come l’ente supremo che controllava il mondo naturale e sociale. Sebbene il sovrano nel prendere decisioni doveva tenere conto del di, perché poteva da questo essere sanzionato, di fatto era il sovrano stesso a divinare il di, e a leggere i risultati della divinazione, di conseguenza era il sovrano che con il suo potere rituale aveva il potere decisionale su ogni materia. Vedi CHAN, Leo S. e Yu Feng, The Four Political Treaties of the Yellow Emperor Original Mawangdui Texts with Complete English Translations and an Introduction, University of Hawai’i Press, Honolulu 1998, pp. 5-6.

53 Il sistema feudale Zhou era un sistema patriarcale, in cui la classe dominante era quella dei junzi 君子 (che significa letteralmente figlio del signore) a cui era contrapposta la classe dei xiaoren 小人, che erano come dei servi della gleba delle campagne. Se durante la dinastia Shang, le scelte del sovrano e della classe dirigente avevano un ampio margine di arbitrarietà, durante l’epoca Zhou, il termine ze 则 (regola, principio, legge) acquista un nuovo significato, limitando l’arbitrarietà del sovrano e della classe dirigente. Vedi CHAN, The Four Political Treaties of the Yellow Emperor, Original Mawangdui Texts with Complete English Translations and an

Introduction, op. cit., pp. 7-9. Nonostante il principio dello ze, che ha la funzione di limitare l’autorità della classe dirigente, tuttavia il li di fatto rimane affare della classe nobiliare dei Zhou, non viene ancora esteso fino al popolo. Vedi lo stesso NEEDHAM, Scienza e civiltà in Cina, Vol. II, cit., p. 63.

54 LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol. III, I: 68.

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Il Zhou li, opera di riferimento per i riti in epoca Zhou, era destinato solo a Cheng Wang55 e

trattava della divisione dell’impero, di certo materie non utili per il popolo. Lo Yi li, o

meglio, le diverse compilazioni sul li dell’epoca, erano nelle mani di pochissimi, ed anche

questi, per il loro contenuto elevato e le materie trattate, erano strettamente legati alla

nobiltà cinese di epoca Zhou.

Un’altra ragione che discosta il li dei Zhou dal diritto naturale è che il primo è puro costume,

non v’è un rimando ad un ordine naturale a cui bisogna conformarsi; il li è valido perché gli

antichi così hanno detto e fatto, non viene giustificato attraverso la natura; è talmente

particolare e così legato alla storia e alla struttura sociale e politica dell’Epoca Zhou che

avrà bisogno, nel periodo delle Primavere e degli Autunni, di essere

“confucianizzato”, ossia popolarizzato e spiritualizzato.

2.1.2 Il li artificiale di Confucio

Per quanto riguarda il li di Confucio, non può essere associato al diritto naturale

per diverse ragioni. Innanzi tutto negli scritti di Confucio non v’è un rimando diretto alla

natura come giustificazione dell’ordine sociale creato dal li. Sembra invece che una

delle giustificazioni che Confucio usa per promuovere i riti sia quella secondo cui i riti siano

da seguire perché incarnano la saggezza degli antichi. Questa di certo per Confucio

doveva avere una certa ragione per essere seguita, ma in ultimo, questa saggezza non

viene giustifica attraverso la natura: “la via non è lontana dall’uomo. Quando l’uomo prova a

seguire la via che è lontana da ciò che la sua natura gli suggerisce, non deve essere

considerata la Via”56.

Confucio in questo passaggio dice che qualunque cosa, se lontana da ciò che la natura

suggerisce, non andrebbe seguita; tuttavia Confucio, al contrario di Xunzi, non sostiene

esplicitamente che il li è radicato nel dao 道. Va considerato inoltre cosa il li prescriva a

livello pratico. In questo caso ci si può servire dello Yi li, di cui sicuramente Confucio poteva

disporre, ma anche del Li ji che comunque incorpora diverse parti di questo57, per

comprendere quanto, sebbene il li debba avere una certa ragione, riconoscibile dalla nostra

natura, il li rimane convenzione,. Ess o non r i s u l ta ess er e una cosa buona strettamente

per natura, e questo lo si vede anche dal criterio usato per modificare il li. Fung a

conclusione del suo discorso sul li di Confucio, dice che “i li (proprietà rituali) sono imposti

all’uomo dall’esterno.

12

55 LIU, Origins of Chinese Law: Penal and Administrative Law in its Early Development, cit., p. 378. 56 Confucio citato nel Giusto Mezzo, vedi LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, op. cit.,

Vol. III, XXVIII: 29. 57 Vedi in LOEWE, Early Chinese Texts, A Bibliographical Guide, The Society for the Study of Early China,

Berkely 1993, le parti dedicate allo Yi li e al Li ji.

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Ma accanto a questa forma esterna, noi tutti abbiamo pur sempre dentro di noi qualcosa

che possiamo prendere come modello per la nostra condotta”58. Questo modello interno,

continua poi Fung, di certo non è il li, ma il ren 仁 59. Così come si può riconoscere

attraverso la ragione la validità di certe leggi positive che non hanno però nulla a che fare

con il diritto naturale, come ad esempio i limiti di velocità, o il guidare a destra piuttosto che

a sinistra; sono leggi buone, ma sono convenzioni che riflettono quella parte di giustizia

legale non naturale che comunque è necessaria per la stabilità di una società. Così nel caso

del li di Confucio, che, se è buono, è un ‘buono convenzionale’, non un ‘buono naturale’. Ciò

ad esempio è provato anche in epoca successiva, dal fondatore della Dinastia Ming

(regnante dal 1368 al 1398), che ritenne alcune proibizioni del li contrarie alla natura

umana60.

Confucio è un conservatore61, e come tale rimane molto legato alla saggezza antica,

non la mette in discussione e non dice di seguire gli antichi perché la loro saggezza è in

accordo con certe leggi della natura, o con un ordine naturale a loro precedente, o con

ciò verso cui la natura umana tende 62. È come se ci fosse un’idealizzazione di ciò che gli

antichi facevano e dicevano che diventa quasi un blocco ed un limite per il cambiamento: ci si

forma nei limiti imposti dal li162. Se la saggezza degli antichi, non può essere accettata senza

filtri, poiché questa deve avere un significato per la situazione in cui Confucio o chi verrà

successivamente si trova o anche per la natura umana xing, non viene di fatto messa in

discussione l’autorità degli antichi, che come si è visto è un elemento chiave per la

formazione della nozione di natura che sta alla base del diritto naturale:

Il Maestro disse: “Io trasmetto e non creo. Confido negli antichi e li amo. Presumo di

confrontarmi al vecchio Peng”.163

13

58 FUNG Yu-Lan, A History of Chinese Philosophy, Vol. I, The Period of the Philosophers, tr. da Derk Bodde,

Commercial Press, Shanghai 1937, p. 72. 59 Ibid., p. 72. 60 In particolare i sovrano si riferisce all’obbligo per tutti gli ufficiali di ritirarsi completamente dal loro ruolo

per i 27 mesi di lutto per la morte di una parente. Assieme a ciò il li obbligava ad un anno di lavori forzati chi concepiva un figlio durante i 27 mesi di lutto. Vedi BODDE, Law in Imperial China, Exemplified by 190 Ch’ing

Dynasty Cases, cit., p. 39. 61 Fung nel descrive l’attitudine di Confucio rispetto alle credenze e istituzioni tradizionali, sostiene che

Confucio è un conservatore, “è uno che trasmette e non crea, uno che crede e che ama l’antichità” (da CONFUCIO, I Dialoghi, cit., III: 1). Ciò che Confucio ha trasmesso, continua Fung è la cultura dei Zhou, che fu creata dal re Wen e dal Duca di Zhou. FUNG, A History of Chinese Philosophy, Vol. I, The Period of the Philosophers, cit., p 56.

62 Nozione, quella di natura umana che non viene sviluppata da Confucio, ma che sarà al centro del dibattito fra i discepoli di Confucio Xunzi e Mencio che partono da chi, come Gaozi, aveva già elaborato una particolare nozione di natura umana. Tuttavia, nonostante in Confucio, la nozione di xing, natura umana, non sia sviluppata e non ci sia un riferimento diretto alla sua bontà o malvagità, come fa notare May, la si può intendere come potenziale che ogni essere umano ha in sé che gli permette di sviluppare le virtù umane. Vedi S. MAY, Remastering Morals with Aristotle and Confucius, Cambridge University Press, Cambridge 2007, cap. 5.

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Il Maestro disse: “Io non sono nato sapiente. Amo l’antico e sono impegnato a

ricercarlo”164.

Il maestro disse: … attraverso le cerimonie del tempio ancestrale, loro [il re Wu e il Duca Zhou]

mantennero l’ordine dei loro antenati.165

Il Maestro disse: “Gli uomini di un tempo, nei riti e nella musica sono considerati semplici.

Gli uomini venuti dopo, nei riti e nella musica sono considerati signori. Nella pratica, io

seguo gli uomini di un tempo.”166

L’ancestrale sembra sia identifato con il bene. Di certo Confucio non era un positivista, e,

come già detto, non era sufficiente che gli antichi fissassero un li, perché bisognasse

seguirlo. Al contrario, è lui stesso a dare un nuovo respiro al li, che diventa per l’appunto

“confucianizzato”. Si può dire che il rapporto che ha Confucio con il li è simile a quello che in

Occidente si aveva con l’ancestrale prima che la natura fosse scoperta. In Confucio la

nozione di natura, come quella alla base del diritto naturale, non era ancora stata formulata,

e la consuetudine degli antichi si mischiava ad un ‘senso del giusto’ in accordo con quello

che è il xing 性, la natura, di ogni persona. Per quanto poi questo possa per certi aspetti

essere in accordo con la natura, di fatto non viene con questa giustificata da Confucio e

come conferma di ciò, vi è la particolarità del li di Confucio: sebbene Confucio abbia

popolarizzato il li, non si può parlare di una sua universalizzazione, una prova di ciò

sarebbe immaginare di applicare il li di Confucio al di fuori della Cina di quel particolare

tempo e contesto. Nella stessa Cina odierna sarebbe impraticabile167, figuriamoci in

Occidente.

Emerge da alcuni passaggi dei Dialoghi di Confucio, tra cui ad esempio: Il Maestro disse:

“ Il copricapo per i riti era di lino, oggi è di seta. È economico. Seguo quello che fanno gli

altri. Ci si inchinava sotto il palco. Oggi ci si inchina di sopra. Io mi inchino di sotto, anche

se mi allontano dagli altri” 63 che sebbene il li non sia statico, ma abbastanza dinamico, il

criterio secondo cui questo cambia non è la natura 64. Il criterio della scelta del cappellino

di lino e di seta, sembra essere più giustificato da motivi economici65 che non da motivi

legati alla natura.

1 4

63 CONFUCIO, I Dialoghi, a cura di Edoarda Masi,Milano, Rizzoli, 1975, IX: 3. 64 Anche nel Li Confuciano naturalizzato, se vi è un riferimento alla natura e se il li deve adattarsi alla natura,

comunque questo adattarsi è un adattarsi temporale, che quindi rimane superficiale e non indaga nella natura le leggi naturali. Ad esempio è il caso della toga nell’ultimo capitolo del Li ji, quando si dice che la toga ha quattro stile e forme a seconda delle stagioni. Vedi LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol. IV, XLVI: 3.

65 La seta a quel tempo era infatti più “economica”.

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Il portare il cappellino, l’indossare la toga di un certo tipo piuttosto che d’un altro,

l’essere in lutto per tre anni invece che uno, non sono norme dettate dalla ragione pratica

a cui una persona arriva naturalmente, attraverso un’osservazione del cosmo e della natura

o attraverso la sua natura propria. In questo senso si critica chi ha sostenuto che il li

corrispondesse a ciò che prescrive la ragione66. Il portare il cappellino di seta piuttosto che

di lino, l’essere in lutto per tre anni piuttosto che cinque, sono come il non bere vino dei

Musulmani e il non mangiare carne degli Ebrei. In altre parole non è elaborata quella

distinzione fondamentale fra natura e convenzione.

Anne Cheng dice a riguardo del li di Confucio che “ v’è infine un rapporto di interazione

fra i riti e il significato che essi rivestono per ogni individuo: sta qui il ‘senso di ciò che è

giusto’(yi 義 ) di cui parla Confucio.” Yi, continua Cheng “rappresenta l’investimento

personale di senso che ciascuno apporta al suo modo di stare nel mondo e nella

comunità umana, costituisce la modalità in cui ciascuno re-interpreta incessantemente la

tradizione collettiva conferendovi un nuovo significato”67. Ma ancora una volta si interpreta

la tradizione collettiva, che non è natura, e il criterio dovrebbe essere il senso del giusto

che ciascuno ha in sé, ma questo senso del giusto a sua volta si è sviluppato nei limiti del li,

attraverso lo studio di qualcosa di esterno, di un modello dato dagli antichi. In questo senso

può essere interessante paragonare il modo di perfezionamento di Confucio e di Mencio.

Se per quest’ultimo era fondamentale il si 思, la meditazione, la riflessione, attraverso

strumenti che ritrovava nel suo stesso cuore xin 心, con il fine di comprendere la giustizia yi 义

che è già dentro ciascun essere umano; in Confucio, si pone molta più attenzione sul

termine xue 学, si studia qualcosa di esterno, la via degli antichi, che si incarna nel li 礼68.

Continuando il ragionamento di Strauss riguardo alla formazione storica della

nozione di natura in Occidente, se in Confucio si può intravedere una distinzione tra io e

comunità, importante per poter mettere in discuss ione l ’ordine ancestra le , di

certo non vi è un’opposizione, l’uomo è inserito nella comunità, ed il li lega strettamente

gli individui nell’ordine da questo voluto, un ordine convenzionale, che sebbene possa in

qualche suo aspetto riflettere l’ordine naturale, di fatto non lo è, anche perché fuori

dall’ordine del li l’essere umano non si può formare e sviluppare.

1 5

66 A.S. CUA, ‘Confucianism: Ethics’, in Antonio S. CUA, Enciclopedia of Chinese Philisophy, Routledge, New York

2003, p. 77. 67 CHENG, Storia del pensiero cinese, I. Dalle Origini allo studio del mistero, Einaudi, Torino 2000, p. 61. 68 Ciò non toglie il fatto che bisogna trovare una corrispondenza dentro di noi quando si studia. Confucio

però enfatizza che per formarsi bisogna prima rifarsi ai riti, non si può prendere posizione senza questi.

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Il li, la ripetizione della maniera degli antichi è il modo in cui la persona può essere

formata, il suo limite, che non gli permette di metter in discussione la saggezza degli antichi

elaborando quella fondamentale distinzione della storia del diritto naturale, fra natura e

convenzione, tra le cose prime e ciò che è artificiale, fra un bene, buono per natura, ed

un bene della tradizione degli avi, buono per convenzione e per tradizione (sebbene

come sia visto in Confucio, ci deve pur essere nella via che si segue elementi che

corrispondono alla propria natura, così come del resto nella legge positiva, anche quella

che dice di guidare a destra invece che a sinistra, deve esserci una corrispondenza, una

ragionevolezza).

Se si trattasse il li alla stregua del diritto naturale, verrebbe a mancare la relazione che

in Occidente sussiste fra diritto positivo, leggi, anche penali, e diritto naturale. Il diritto

naturale, oltre che avere un valore morale, ha ancora prima una valenza normativa e giuridica,

ossia non solo lo si intende come giusto, ma anche come norma, e nonostante di per sé sia

meta-storico nel suo sviluppo storico necessita della legge umana. Confucio, sebbene dica

che è solo attraverso il li che le pene possono essere giuste, ha un atteggiamento troppo

sospettoso nei confronti della legge positiva penale69: “ se lo guidi con le leggi e lo regoli

con le pene, il popolo mirerà ad evitarle, e sarà senza vergogna. Se lo guidi con la virtù e lo

regoli con i riti , conoscerà la vergogna e arriverà a migliorarsi.”70 Se è vero che non tutta la

legge positiva deve essere basata sul diritto naturale, almeno una parte dovrebbe. Il diritto

naturale non è contrario alla legge umana positiva, anzi seppur la trascende, si basa in parte

su questa per la sua applicazione nel concreto. Sebbene poi il li sarà alla base della

formulazione di codici, ed abbia una valenza giuridica, e sia anche alla base della giustizia

delle pene, si distacca dal fa 法 (legge penale) e dal xing 刑 (pena): come dimostra il

passaggio appena riportato, al tempo di Confucio il li ed il fa erano agli antipodi, non

c’entravano nulla l’uno con l’altro, mentre nella concezione occidentale erano, sebbene

distinti, di fatto legati.

Il li infine deriva dall’etica familiare più che da un ordine naturale. Tale etica familiare è

basata sul xiao, pietà filiale, i cui elementi base sono il qinqin e lo zunzun. Qin significa onorare

ed è riferito al comportamento, che in accordo con il proprio status, deve essere assunto

nell’ambiente familiare; rispettare e onorare il leader della famiglia è al centro del qinqin.

Zun invece significa rispettare, è il giusto comportamento secondo il proprio status

rispetto a tutte le altre persone della società. Rispettare il monarca sta al centro dello zunzun71.

1 6

69 BODDE, Law in Imperial China, Exemplified by 190 Ch’ing Dynasty Cases, cit., pp. 44, 50; CAVALIERI, La legge e

il diritto, Lineamenti di storia del diritto cinese, cit.. 70 CONFUCIO, I Dialoghi, cit., p. 50. 71XIA Yong, 夏勇 , Renquan gainian qilai 人权概 念起来 (L’origine dell’idea dei diritti umani),

ZhongguoZhengfaDaxue Chubanzhe, Pechino 1993, p. 187.

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Nel diritto naturale della concezione occidentale invece non si è discriminati dallo status

sociale, il ‘suo di ciascuno ’ non dipende da ruoli sociali o familiari, si basa su un

principio di uguaglianza.

Tuttavia in questa osservazione bisogna considerare il fatto che l’etica familiare in parte si

basa anche su un dato naturale, secondo cu i esistono delle distinzioni. Ed anche

secondo il diritto naturale, un furto all’interno della famiglia è diverso rispetto allo stesso

crimine compiuto fuori. Quindi se da un lato è vero che nella struttura sociale e familiare

del li vi sono delle distinzioni, queste spesso riflettono delle distinzioni naturali, a cui

tuttavia si aggiungono delle distinzioni derivate da un ordine artificiale.

In conclusione se è vero che il li di Confucio a livello pratico può essere arrivato

all’elaborazione di leggi giuste, alla giusta ripartizione dei beni e delle cariche, tuttavia

non può essere assimilato al diritto naturale in quanto manca il riferimento alla natura;

il ruolo dell’autorità ancestrale non è ancora messo in discussione; morale e diritto, natura

e convenzione si confondono assieme; è basato su gradi e su differenze di status che non

sempre riflettono quelle naturali.

2.1.3 Il li artificiale di Xunzi

Il discepolo di Confucio Xunzi (circa 310-230 a.C.) in uno dei 32 Libri della sua opera,

il Xunzi, tratta il tema del li in maniera sistematica. I riferimenti al li non si esauriscono nel

libro in questione, il numero 19, dal titolo Lilun 礼论, Discorsi sui principi dei riti, ma

riemergerà in quasi tutta l’opera72.

Seguendo quello che è l’esordio del Lilun, i riti sono una creazione dei sovrani antichi

“che aborrivano un tale disordine [quello dello stadio primordiale, in cui l’uomo è dominato

dal desiderio]; perciò crearono le norme dei riti stabilirono i regolamenti presenti all’interno

dei rituali e i principi morali, con il fine di distribuire le cose, di educare i desideri

dell’uomo, e di fornire i mezzi per la loro soddisfazione. Hanno formato le loro

regolamentazioni in modo che i desideri non eccedessero la misura dei beni, e che i beni

non fossero inferiori ai desideri. In questo modo, i desideri e i beni, si sostenevano

reciprocamente nel corso del tempo. Questa è l’origine del principio rituale”73.

Vi sono autori che dicono che fu Xunzi a compiere una prima naturalizzazione del li,

trovando la sua radice nella natura del Cielo e della Terra74. Dice infatti Xunzi: “Triplice

radice hanno i riti. Cielo e Terra sono radice della vita. Gli antenati sono radice della stirpe.

Sovrani e maestri sono radice dell’ordine.

17

72 J. KNOBLOCK, Xunzi, A Translation and Study of the Complete Works, Stanford University Press, Stanford

1988, Vol. 1, pp. 45-46; Vol. 2, pp. 49-73. 73 Ibid., p. 55. 74 Da traduzione di A. CRISMA, Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica: il Trattato sui riti di Xunzi,

Unipress, Padova 2004, p. 160.

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Se non vi fossero Cielo e Terra, in qual modo mai vi sarebbe vita? Se non vi fossero sovrani

e maestri, in qual modo mai vi sarebbe esistenza? Se non vi fossero sovrani e maestri, in

qual modo mai vi sarebbe ordine? Ove mancasse uno di questi tre fondamenti, non vi

sarebbe alcuna convivenza umana. Perciò i riti rendono omaggio al Cielo in alto e alla Terra

in basso, riveriscono gli antenati, rendono onore a sovrani e maestri. Tale è dei riti la triplice

radice”75.

In questo passaggio emerge la concezione di Xunzi di quella che era la natura delle origini, e

della necessità dei sovrani antichi di fabbricare il li. Infatti anche nel passaggio in cui parla

delle tre radici del li, mai dice che il Cielo e Terra hanno creato il li, o che sulla base di questi

si modellano. Xunzi si limita a dire che il Cielo e la Terra danno la vita all’uomo. Una vita che è

caratterizzata dal disordine, e che quindi necessita di un ordine artificiale i m p o s t o da

parte dei sovrani antichi. Il modo di concepire l’uomo dello stadio primordiale, ricorda non

poco la concezione di stadio di natura dei moderni giusnaturalisti. Sembra di calarsi nella

giungla dell’ipotetico stato di natura machiavelliano in cui la volontà supera il potere e crea

insanabili conflitti. Il rituale, come la legge in Macchiavelli e nei diversi pensatori della

Scuola moderna del diritto naturale, non si origina a partire dalla natura, da un ordine

naturale oggettivo che nel caso specifico è stato infranto, perché la natura è originariamente

disordinata. Quello della concezione di Xunzi sembra essere un non-ordine oggettivo, a cui

bisogna applicare il sovra-ordine del li creato dai sovrani. Non v’è alcun ordine naturale

reale da ricercare, perché lo stato originato da Cielo e Terra è caratterizzato dal disordine.

L’ordine non è quindi da trovarsi nel Cielo o nella Terra, quanto più nell’ordine e nei riti

fabbricati dal sovrano o nel maestro.

Inoltre, anche se il li trovasse parte del suo fondamento nella natura cosmica, di fatto,

l’uomo sarebbe impossibilitato a parteciparne, essendo la sua natura malvagia. Infatti, il

Cielo e la Terra si limitano a dare la vita, non fornendo né particolari strutture ordinate della

natura né le strutture del li, che per forza di cose devono essere poi creare dal sovrano.

Caposaldo, e per certi versi principio della filosofia di Xunzi, è quello per cui la natura

dell’uomo è cattiva. Ma allora, come può una natura dell’uomo che per sua natura è

malvagia riconoscere nel li le sue proprie finalità, o come può da questa generarsi il li?

Questo ricorda in parte l’aporia a cui porta la teoria dell’uomo allo stato di natura. Come fa

un uomo allo stato di natura riconoscere e accettare l’ordine, se allo stato originale

appetisce tutto, ed è incapace di ogni ordine? O ancora Xunzi dice che “I riti sono ciò che

nutrono”76, così come la bocca si nutre di cibo, il naso di profumi, il rito dovrebbero essere

il “naturale” nutrimento del corpo. Ma com’è possibile se l’uomo comune non lo riconosce

come qualcosa già presente in sé, perché la sua natura non gli permette di riconoscerlo?

18

75 Ibid. 76 KNOBLOCK, Xunzi, A Translation and Study of the Complete Works, cit., 19.1b, p. 55.

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Un’altra conferma dell’artificialità del li e quindi della sua innaturalezza è il passaggio

sotto riportato in cui Xunzi risponde alle domande di un obiettore fittizio, i riti ( liyi 礼

义 ) sono fabbricati dai santi, non sono affatto naturali:

Domanda: Se la natura umana è malvagia, allora da dove provengono i riti e il senso morale?

Risposta: I riti e il senso morale sono nati dall’opera dei santi, non sono stati

originariamente prodotti dalla natura umana. Allo stesso modo, quando il vasaio

modella l’argilla per farne dei recipienti, questi nascono dalla fabbricazione del vasaio, e non

della sua natura…

Domanda: I riti e il senso morale, la parte fabbricata che è stata accumulata, sono insiti nella

natura dell’uomo, ed è per ciò che il santo è in grado di generarli?

Risposta: Niente affatto. Il vasaio che modella l’argilla dà nascita a un vaso; l’argilla del vaso

è forse per questo nella natura del vasaio?....V’è tra il santo e riti e senso morale lo stesso

rapporto di generazione che intercorre fra il vasaio e l’argilla; come si può dunque affermare

che i riti e il senso morale, la parte fabbricata che è stata accumulata, sono insiti nella

natura dell’uomo?77

Inoltre Xunzi, sebbene parli di dao, natura, e xing, natura umana, in realtà separa la sfera

umana da quella naturale:

“quando piove dopo che si è eseguita la cerimonia per la pioggia, che significato ha

questo? Nulla. Sarebbe lo stesso anche se la danza non si fosse eseguita. Compiere il rito

per riparare all’eclissi di sole o di luna, eseguire la danza della pioggia quando v’è siccità,

praticare la divinazione prima di decidere questioni di gran conto, tutto questo non mira ad

ottenere ciò che si chiede, ma a preservare la cultura.”78

Il rito, il li, lo dice quindi Xunzi stesso79, è cultura, convenzione, e questa cultura, non si fonda

neanche sulla natura dell’uomo. Una natura che abbiamo visto essere malvagia ed incapace

di generare il li, ma solo con uno sforzo, veramente ‘disumano’, di rivestirsi di una cultura

ed un li artificiali, di educarsi con il li e con la cultura fabbricata da santi antichi.

In sintesi in Xunzi “l’umanità non sta nella nostra natura ma nella nostra cultura”80,

artificialmente acquisita. Secondo Cheng “l’uomo”, per Xunzi, “non deve scoprire la struttura

dell’universo…ma deve conferirvi ordine (li 理 )”81. È quasi come se l’ordine del dao, della

natura stessa avesse bisogno dell’ordine conferito dall’uomo li 理82; compito del Cielo e della

Terra è solo quello di dare la vita all’uomo, ma di lasciarlo poi in uni stato di caos.

19

77 CHENG, Storia del pensiero cinese, I. Dalle Origini allo studio del mistero, cit., p. 221. 78 Idem, p. 213. 79 Idem, p. 214. 80 Idem, p. 220. 81 Ibidem. 82 Xunzi travolge il significato di questa parola, prima di lui infatti, soprattutto in ambito Taoista, il li 理 era

considerato come la struttura naturale interna ad ogni cosa. Mentre con Xunzi diventa artificio, ossia un ordine dato alle cose dall’uomo.

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2.1.4 Il li naturalizzato del Li ji

Per indagare la naturalizzazione del li, in questo paragrafo ci si riferirà alle

sezioni più significative del Li ji che contengono rimandi alla natura.

Il Li ji abbiamo visto essere in materia di li l’opera di riferimento principale, che racchiude in sé

quanto si è detto sul li fino alla sua effettiva compilazione del II sec. a.C. La formazione del Li

ji è piuttosto complessa83, è sufficiente sapere che è una condensazione di 46 trattati ad opera

di Dai Sheng 戴聖, chiamato anche Xiaodai 小戴84, del Zhou li 周礼 e dello Yi Li, 仪礼

ripristinati in epoca Han a cui furono aggiunti altri 199 pian sul tema del li.

A questa condensazione di XiaoDai furono aggiunti nel II secolo d.C. altri tre capitoli da Ma

Yong (79-166 d.C.), tra cui lo Yue Ling 月令, che fecero salire il numero totale dei capitoli a 49.

Nel testo tradotto da Legge, usato qui come riferimento, il numero totale dei capitoli rimane

4685.

Il Li ji è stato il testo più influente sul li perchè, oltre a condensare in sé lo Yi li è stato innalzato

a Classico assieme allo ShuJing 书经, allo ShiJing 诗经, allo YiJing 易经 e al ChunQiu 春

秋,influenzando profondamente la storia del pensiero cinese. Quando Zhu Xi sistematizzò i

classici in epoca Song, due delle sue sezioni, la Grande Dottrina e il Giusto mezzo, assieme ai

Dialoghi e a Mencio andranno a formare i nuovi classici confuciani.

Le parti del Li ji che sono state prese in considerazione in questa sezione sono: il

Libro IV, lo Yue Ling, o ‘Procedimenti di Governo nei Diversi Mesi’; il libro VII, Li Yong o ‘Gli usi

cerimoniali: la loro origine, sviluppo, e le loro intenzioni’; il Libro XXVIII, il Zhong Yong, o

‘Giusto Mezzo’; il Libro XXXVI o ‘Il lungo vestito in un pezzo’.

Dal Giusto Mezzo, opera che sintetizza il pensiero confuciano e che tratta nello

specifico il li, emerge una concezione della natura teleologica piuttosto simile a quella della

tradizione realista del diritto naturale. La natura, sia umana, xing, che la natura intesa in senso

cosmico, dao, si sviluppano verso un fine inteso come bene. Tuttavia da questa natura non si

sono derivate né leggi né riti. Il li, come emerge dal Giusto mezzo, non è legato alla natura: “a

nessuno se non al figlio del Cielo appartiene il compito di discutere il soggetto degli usi

cerimoniali; di fissare le misure; di determinare i nomi dei caratteri scritti”86.

Le regole di condotta sono trattate alla stregua delle misure artificiali: “ora, attraverso

tutto il regno, le carrozze hanno le ruote della stessa larghezza; tutto ciò che è scritto è

con gli stessi caratteri; e per la condotta, ci sono le stesse regole”87.

20

83 Vedi HSÜ, The political Philosophy of Confucianism, op. cit., p. 92; LEGGE, The Sacred books of China, the texts

of Confucianism, cit., Vol III, pp. 4-9; LOEWE, Early Chinese Texts, A Bibliographical Guide , op. cit., pp. 293-297; WU, The Chinese Heritage, op. cit., Cap. IX, pp. 364-395.

84 Chiamato Xiao Dai 小戴 per distinguerlo dallo zio Dai De 戴德, chiamato DaDai 大戴, il quale, come il nipote aveva condensato il Zhou li, lo Yi li ed i 199 pian, in una trattazione più lunga di 85 capitoli. Tuttavia, all’opera di Dai, che andò perduta, venne preferita quella di Xiao Dai.

85 LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol III, p. 8 86 Ibid., II:43. 87 Ibid., II: 44.

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Regole, che come le misure delle ruote dei carri e dei caratteri, sono stabilite dal sovrano

convenzionalmente.

Come poi descrive il passaggio successivo, il sovrano nel “fare”, nel “creare” nel

“fabbricare” ex novo i riti e la musica deve avere certe virtù, ma deve pur sempre essere

sovrano.

Uno può occupare il trono, ma se non ha la giusta virtù, non può pretendere di fare i riti e la

musica. Uno può avere la virtù, ma se non ha il trono, allo stesso modo non può

pretendere di fare riti e musica.88

Inoltre, l’autorità degli antichi, così come in Confucio non è messa in discussione, tanto è

vero che per il li il massimo di perfezione non si trova nella natura, ma nei fondatori delle

tre dinastie. Il criterio ancora una volta non è la natura, ma ciò che è stato detto e fatto dagli

imperatori mitici.

Se colui che ottiene la sovranità di tutti i regni dà la giusta importanza alle cerimonie dei tre

regni (Xia, Yin, Zhou), v’è grande possibilità che ci siano pochi errori...(L’uomo superiore)

esamina le sue istituzioni attraverso la comparazione con quelle dei fondatori delle tre

dinastie, e trova queste senza errori.89

Un altro importante libro per il discorso che si sta portando avanti in questo

lavoro la sezione IV del Libro VII dove grande è l’influenza della scuola dello Yin e dello Yang.

Da un lato all’inizio della sezione si parla dell’origine storica del li “gli antichi sovrani facevano

uso degli steli di achillea e dei gusci di tartaruga; facevano sacrifici; seppellivano le loro

offerte di seta; recitavano le loro parole di supplica e benedizione; e facevano i loro statuti

e le loro misure. In questo modo comparvero gli usi cerimoniali dello stato, i

dipartimenti ufficiali con i loro amministratori, ogni divisione aveva il proprio compito,

e le proprie regole cerimoniali nella loro disposizione ordinata”90. Tuttavia “se le regole

cerimoniali hanno la loro origine nel Cielo91, il movimento di queste raggiunge la Terra. La

loro distribuzione raggiunge tutte le attività [della vita]. Esse cambiano con la stagione;

sono in accordo con il cambiamento del fato e della condizione. In quanto all’uomo, esse

servono a nutrire [la sua natura]. Sono messe in pratica attraverso le offerte, gli atti di

resistenza, le parole e i gesti cortesi, nel mangiare e nel bere, nell’osservazione della

vestizione, del matrimonio, del lutto, del tiro con l’arco, della guida del carro, delle udienze,

delle missioni amichevole.”92

Se il li si può radicare nel tian, di fatto osservando cosa implica a livello pratico (offerte,

parole e gesti cortesi, mangiare e bere in una certa maniera), il li sembra corrispondere

ad una serie di maniere e forme, e per quanto queste si ispirino alla natura, non

costituiscono un diritto.

21

88 Ibid., II:45. 89 Ibid., II:46-47. 90 LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, op. cit., Vol. III, VII, IV: 1. 91 Il tian può essere considerata come una nozione simile a quella di “natura” in Occidente. 92 Ibid., IV: 5.

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Inoltre proprio per il fatto di non essere natura ma maniera, il li ha avuto bisogno di

qualcuno, i saggi sovrani antichi, che gli desse una particolare forma: la forma di un abito, la

forma in cui si beve e si mangia, la forma del periodo di lutto in accordo con il proprio

status. In riferimento ai riti, alla politica e a tutti gli affari della vita quotidiana, “in tutte

queste cose noi seguiamo l’esempio dei tempi antichi”93.

Veniamo ora allo Yue Ling, che venne aggiunto al Li ji da Ma Yong (79-166 d.C.)94

ma che, con grande probabilità, venne compilato leggermente prima del 240 a.C.95 Il testo

è di grande importanza per la naturalizzazione del li. Infatti in questa sezione del Li ji

fortissimi sono i riferimenti alla natura. In questo caso saranno trattati i passaggi in cui

materie giuridiche, soprattutto procedimenti giudiziali, siano affrontati in accordo con la

natura e il suo ordine.

La stessa struttura dello Yue Ling si modella sulla natura e sulle quattro stagioni: è diviso in

quattro parti, ciascuna corrispondente ad una stagione, si parte dalla primavera, si passa

all’estate, poi all’autunno ed infine all’inverno della quarta sezione. In accordo con le

stagioni bisogna adempiere certe mansioni, sacrifici e rituali.

Nel testo sebbene vi sia una maggiore attenzione nei confronti della natura e del suo ordine

e si cerchino corrispondenze fra mondo naturale ed eventi umani, il li rimane costume e

convenzione che segue la scansione temporale naturale. La legge in tutti i casi deve essere

applicata in conformità con il tempo naturale. Questo seguire il tempo naturale

nell’applicazione delle leggi è ben diverso dal dedurre principi giuridici da applicare nel

campo giuridico. Ad esempio è come dire che bisogna guidare a destra a primavera e

guidare a sinistra in estate. È una convenzione che si adatta ai ritmi della natura, ma

rimane convenzione. È come se in questa osservazione del cosmo si volesse naturalizzare la

convenzione, la legge. Ma il diritto naturale non corrisponde a leggi umane positive

naturalizzate, sono al contrario le leggi naturali della ragion pratica, e il diritto naturale, il

suo di ciascuno secondo natura, che modellano le leggi positive. Nella concezione classica di

diritto naturale si parte da una natura che già c’è, da una realtà, da una legge già esistente

nel mondo naturale e negli esseri umani. Gli esseri umani partecipano già all’ordine

naturale e le leggi naturali, espresse attraverso la ragion pratica, sono già inscritte in loro.

Le condotte rituali e cerimoniali suggerite nello Yue Ling nei diversi ambiti, così come

la regolamentazione della politica e della giustizia, non si basano su quella fondamentale

distinzione tra natura e costume. È un li naturalizzato nel senso che si riferisce ad un ordine

naturale, ma di per sé rimane convenzione.

22

93 Ibid., I: 9. 94 Ibid., p. 8. 95 BODDE, Law in Imperial China, Exemplified by 190 Ch’ing Dynasty Cases, cit., p. 45.

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Lo Yue Ling rispecchia quella naturalizzazione della legge di cui parla anche Menski96.

L’autore afferma che nel pensiero originario cinese, basti pensare alle scuole dello Yin e dello

Yang e dei cinque elementi e alle varie scuole taoiste, si vede la natura come un essere che si

governa da sé, che ha delle leggi, dao, che governano cielo e terra ed in cui l’uomo si

inserisce in un legame karmatico. Da questa concezione deriva l’idea secondo cui rovinare o

danneggiare questo ordine naturale porterebbe, come tutto lo Yue Ling fa notare, a catastrofi

naturali e a disgrazie nella sfera umana. “Agli occhi cinesi la violazione sociale

corrispondeva ad una violazione dell’ordine cosmico”97.

Queste teorie diventano molto popolari durante la dinastia Han, continua Menski98, con

la conseguente legalizzazione di questa naturalizzazione. E ciò risulta evidente quando si

considera “la credenza secondo cui i procedimenti legali di un certo peso, e specialmente le

sentenze di morte, dovrebbero essere eseguite durante i mesi autunnali ed invernali, in

quanto sono stagioni di morte, e dovrebbero essere totalmente evitate durante i mesi

primaverili ed estivi, in quanto queste sono stagioni di rinascita e crescita.” 99 Ciò è

chiaramente espresso nello Yue Ling.

Nello Yue Ling il bene non viene identificato con l’ancestrale, tuttavia non vi è

neppure una netta separazione fra ciò che è naturale e ciò che è costume, tradizione,

usanza. Lo Yue Ling riconosce un ordine naturale e a questo si conforma per l’applicazione

della legge penale, ma s i adatta a una natura in tesa come momento naturale

giusto. Nulla è detto a riguardo del dover essere, ossia quali siano le ragioni per cui

bisogna seguire quanto detto nello Yue Ling, e soprattutto non si indagano i principi di

fondo della natura, la si segue solo a livello temporale.

Lo stesso modo di seguire la natura si ha ad esempio nel Libro XXXVI dal titolo ‘Il

lungo vestito in un pezzo’100, in cui è descritto l’abito che bisogna indossare secondo il

proprio status. Si potrebbe fare un collegamento fra il modo in cui l’abito è fatto adattandosi

ai 12 mesi e il modo in cui il li stesso sia stato naturalizzato, pur rimanendo di fatto una

creazione umana dei saggi antichi.101 Il li, per quanto in alcuni capitoli si dice che sia fondato

sulla natura, di fatto è artificio, così come il vestito.

23

96 MENSKY, Comparative law in a global context: the legal system of Asia and Africa, Cambridge University

Press, Cambridge 2000, p. 459; BODDE, Law in Imperial China, Exemplified by 190 Ch’ing Dynasty Cases, cit., pp. 43-48; YATES, Five Lost Classics, Tao, Huang Lao, and Yin-Yang in Han China, cit., pp. 10-16.

97 NEEDHAM, Scienza e Civiltà in Cina, II. Storia del pensiero scientifico, cit., p. 642; BODDE, Law in Imperial China,

Exemplified by 190 Ch’ing Dynasty Cases, cit., pp. 43-44. 98 MENSKY, Comparative law in a global context: the legal system of Asia and Africa, op. cit., p. 450. 99 BODDE, Law in Imperial China, Exemplified by 190 Ch’ing Dynasty Cases, cit., pp. 45. 100 O vedi anche il Libro XLVI:1 “Tutti gli usi cerimoniali se guardati nelle loro nobili caratteristiche sono

l’incarnazione delle idee suggerite dal cielo e dalla terra; prendono le loro regole dai cambiamenti di stagione; imitano le operazioni di contrazione e sviluppo della natura; e sono conformi ai sentimenti umani.” Cfr. LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol. IV, XLVI:1. “Il vestito da lutto ha i suoi quattro stili e modelli, i cui cambiamenti sono sempre in accordo con ciò che è giusto: ciò deriva dai cambiamenti delle quattro stagioni”. LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol. IV, XXXVI. Ora si può dire che un vestito è giusto perché le si adatta alle stagioni?

101 “Nel fare l’abito 12 pezzi di stoffa sono usati, che corrispondono ai 12 mesi”, Ibid., XXXVI:3, p. 395.

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Quindi se da un lato non viene indaga la natura della natura dell’uomo, che nella concezione

della scuola realista è la base del dover essere, dall’altro non sono indagati i principi che

stanno alla base della natura, per potere poi dedurre delle leggi, dei principi invariati, la si

segue solo a livello di tempo. Non si parla della natura della natura, ossia perché sia

giusto che il sovrano pulisca le prigioni nella stagione primaverile piuttosto che in

estate. Non è discusso il dover essere: l’uomo deve seguire la scansione temporale dettata

dalle stagioni perché lo dice lo Yue Ling, perché lo dice il Li ji, o perché è la nostra natura a

riconoscere la sua validità?

Dalla natura dello Yue Ling, non emergono principi, non si deducono regole, ed in ultimo

non si può derivare un diritto. L’unica regola che si può derivare è quella secondo cui in un

certo mese bisogna fare una certa cosa, ma non è questa una legge della natura.

In conclusione si assiste ad una naturalizzazione del li e della legge nel periodo che

precede la Dinastia Han e nella stessa Dinastia Han, ad opera soprattutto di Dong Zhongshu,

grazie a cui il Confucianesimo venne innalzato a filosofia di stato.

Con questa naturalizzazione, l’andare contro al li naturalizzato comportava un

turbamento dell’armonia fra Cielo e Terra, e dell’ordine naturale, come visto nello Yue Ling.

Questa concezione è molto simile a quella occidentale della legge naturale: la violazione

della legge naturale alla pari della violazione di una legge fisica comporta un

perturbamento dell’armonia naturale nell’uomo e nella società in cui è inserito. Tuttavia il li

rimane convenzione, invece di riflettere un ordine naturale, rappresenta un ordine artificiale

naturalizzato superficialmente attraverso l’accordo dell’azione penale con il tempo delle

stagioni.

Il li è fabbricato dall’uomo, convenzione umana, non corrisponde a quello ius naturale che

già esiste e che permette una volta scoperto ed indagato di distribuire i beni e le cariche

secondo appunto un ordine naturale. Nonostante quindi vi siano nello Yue Ling, nel Li yong,

nel ZhongYong e nel Li Yong riferimenti all’ordine naturale del cosmo e della natura umana,

e ad una loro teleologia, questi non bastano per fare del li una vera e propria teoria del

diritto naturale, anche perché non vengono indagati né i principi alla base dell’ordine del

cosmo e della natura né il dover essere. È un seguire la natura quello del li dello Yue Ling e

del Li yong, ma solo nei suoi tempi che non indaga le cause ed i fini.

2.2 Limiti e aporie del li come diritto naturale

Nonostante il li presenti diversi elementi in comune con il diritto naturale e che la

filosofia cinese antica si rivolga alla natura, non si può dire che il li dei Zhou, il li di

Confuciano, di Xunzi e quello naturalizzato sotto gli influssi del Taoismo e delle scuole Yin e

Yang possano essere considerati come il p ien o corrispettivo cinese del diritto naturale.

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Innanzi tutto bisogna dire che, per quanto nel li, soprattutto nel li naturalizzato, vi

siano riferimenti alla natura e al suo ordine, sulla base di una lettura del Li ji, dello Yi li o

del Zhou li risulta chiaro che il li rimane convenzione che riflette qualcosa di artificiale, non

necessariamente basato su un dato naturale. Di conseguenza, se non si pone del tutto

agli antipodi del diritto naturale, tuttavia si differenzia da questo in maniera sostanziale.

In accordo con l’autorevole definizione di Fuldien Li, “idealmente, il li, per i

Confuciani, costituisce la principale guida per il pensiero e la condotta etica di una

persona in conformità con le norme sociali della tradizione, che si presume siano

razionali”102. Il li sembrerebbe quin di derivare direttamente dalla tradizione più che dalla

natura. Si è anche visto che la tradizione riflette dati naturali, ma anche che il diritto naturale

si origina proprio da una distinzione fra ciò che è tradizione, e ciò che viene prima della

tradizione, la natura. Non è che nel li non vi sia affatto una nozione di natura, o che il li non si

basi affatto sulla natura; semplicemente nel li, natura e convenzione sono troppo fusi e

confusi per essere chiaramente distinti. Creel ha definito tale unione o continuum della sfera

umana con quella naturale come “sinismo” 103, o monismo socio-naturale 104. In tale sinismo

non vi è distinzione fra natura e ciò che è sociale, artificiale, convenzione. Al contrario il tutto

è talmente indistinto che non si riesce a stabilire cosa sia il bene per natura e cosa sia il

bene per convenzione. Siamo nello stadio pre-filosofofico della natura in cui il non mangiare

carne dei musulmani è ancora uguale allo scodinzolare dei cani. Tale monismo q u i n d i non

rappresenta quel mettere in discussione l’ordine prestabilito, anzi è proprio basato su un

ordine sociale gerarchizzato preesistente, creato dai saggi e sovrani dell’antichità, dotati di

capacità sovrannaturali. Basti pensare a quanto dice Xunzi, e a cosa emerge anche

dal ZhongYong riguardo a i riti e alla loro “fabbricazione”. O ancora, come esempio di

questa confusione, si riporta nuovamente il passaggio del Libro VII del Li ji, in cui dopo avere

detto che i riti seguono la natura sono presentati alcuni esempi pratici del li: “se le regole

cerimoniali hanno la loro origine nel Cielo105, il movimento di queste raggiunge la Terra. La

distribuzione di questi si estende a tutte le attività [della vita]. Essi cambiano con la

stagione; essi sono in accordo con il cambiamento del fato e della condizione. Quando

riferiti all’uomo, essi servono a nutrire [la sua natura]. Essi sono messi in pratica attraverso le

offerte, atti di resistenza, parole e gesti cortesi, nel mangiare e nel bere, nell’osservazione

della vestizione, del matrimonio, del lutto, del tiro con l’arco, della guida del carro, delle

udienze, delle missioni amichevoli.”106

Oltre al ‘sinismo’, in cui natura e tradizione sono confuse, nel li non sono indagate

quelle leggi e quei principi della natura da cui si può derivare un diritto naturale.

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102 Fuldien LI, Confucianism: Ethics and Law, in Antonio S. CUA, Enciclopedia of Chinese Philisophy, cit., p. 80. 103 G. CREEL, Sinism: A Study of the Evolution of the Chinese World View, Open Court Pub. Co., Chicago 1929, pp.

2, 17. 104 HYUNG, Fundamental Legal Concept of China and the West, cit., p. 34. 105 Il tian 天 si è visto, può essere considerate come una nozione simile a quella di natura in Occidente. 106 LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol. III, IV: 5.

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È più un seguire il tempo, le stagioni della natura, la sua scansione temporale che

non le sue leggi, come dimostra anche lo Yue Ling.

Bodde e Morris dicono che il li è ciò che l’uomo sente giusto in base ai sentimenti

umani innati107, e che “deriva la sua validità universale dal fatto che erano stati creati da

intelligenti saggi dell’antichità in conformità con la natura umana e l’ordine cosmico”108. Ma il

diritto naturale non è un sentimento, è semmai una ragione. Ed anche se si usasse

l’argomentazione di Hsü secondo cui il li fu creato dai saggi antichi per rappresentare la Via

del Cielo, della natura, e che il li in realtà corrisponde alle prescrizioni della ragione109,

basterebbe pensare a cosa disse il sovrano Ming, ritenendo innaturale il periodo di lutto di

tre anni.

Sebbene vi siano passaggi in cui si dica che il li derivi dalla natura umana e cosmica110, il li di

fatto non si basa propriamente sulla natura, quanto su un ordine sociale storico particolare,

creato dai saggi antichi. Come Confucio ribadisce nel Li ji, dopo avere descritto alcune

cerimonie e il modo in cui vivevano i saggi antichi, “in tutte queste cose noi seguiamo

l’esempio dei tempi antichi”111. Anche quando nel Libro XL si discute l’importanza della

vestizione, si parte sempre dalla creazione da parte degli antichi del li: “anticamente, quando

si stava per fare la cerimonia della vestizione, essi [i re dell’antichità] divinavano di giorno con

gli steli [di achillea, sulla base del Classico dei Mutamenti]... In questo modo manifestarono il

valore che attribuivano alla vestizione. Attribuendole tale valore, fecero diventare la

cerimonia importante. La cerimonia divenne importante, ed essi stabilirono che fosse alla

base della prosperità dello stato”112.

Dalla confusione di natura e convenzione deriva la particolarità del li, e il suo

legame ad una distinta tradizione e cultura, non ad una natura universale. E’ particolare da

due punti di vista: da un lato nel senso che le cose prescritte dal li, come ad esempio portare

la toga di un certo tipo, il cappellino di lino piuttosto che di seta, lo stare in lutto per tre

anni, il bere ed il mangiare in un certo modo, sono riferite ad una particolare cultura e

periodo storico e non sono applicabili a culture diverse, e secondariamente perché il li

varia in accordo con lo status sociale113.

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107 BODDE, Law in Imperial China, Exemplified by 190 Ch’ing Dynasty Cases, cit., p. 21. 108 Idid., p. 22. 109 Vedi HSÜ, The political Philosophy of Confucianism, cit, pp. 94-96. Confucio disse: “Fu attraverso quelle

regole [il li] che i sovrani dell’antichità cercavano di rappresentare la via del Cielo, e di regolare i sentimenti dell’uomo”. Cfr LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, op. cit., Vol. III, VII: 4; il Maestro disse: ”Gli usi cerimoniali sono prescrizioni della ragione; la musica è l’esatto limite dell’armonia. L’uomo superiore non fa nulla che non sia basato sulla ragione, e non fa nulla senza l’esatto limite”, Cfr. Ibid., XXV: 10.

110 Vedi LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol. III, VII- VIII- XXV. 111 LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol. III, VII:9, che si riferisce a sua volta a ciò

che è stato detto nello stesso libro VII:5-10. 112 LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol. IV, XL: 2. 113 Una differenza fra li e fa è proprio il fatto che il primo differenzia e tratta le persone diversamente in

accordo con il loro status, mentre il secondo cerca almeno negli intenti di non fare eccezione per gruppi e individui. BODDE, Law in Imperial China, Exemplified by 190 Ch’ing Dynasty Cases, cit., p. 29.

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A riguardo, si può controbattere Hyung nella sua critica a Hu Shih. Hyung sostiene la

stessa tesi di Needham ed identifica il diritto naturale con il li114. Hu Shih critica Needham

dicendo che il li è troppo particolare per essere associato al diritto naturale. Hyung allora

ribatte dicendo che Hu Shi in realtà tiene in considerazione solo una piccola parte del Liji,

ossia lo Yi li 仪 礼 composto da 300 regole di comportamento ed etichetta, non tiene in

considerazione la parte del classico dei riti wei yi 威仪 che ha più di 3000 regole e che copre

gli affari di tutte le classi e che successivamente divenne parte del diritto pubblico cinese.

Quindi, conclude Hyung, la critica di Hu Shih in cui dice che il li non è il diritto naturale

occidentale perché riflette solo una piccola fetta della popolazione, è imprecisa. Per quanto

la fetta della popolazione che il li copre possa essere vasta, esso rimane particolare, legato ad

una tradizione e ad una cultura, quella cinese, ed è ben lontano dall’essere universale, ma

ancor di più, è lontano dal fondarsi su una nozione coerente di natura.

Un altro elemento che distingue il li dal diritto naturale e che lo rende troppo

particolare, è il suo generarsi e realizzarsi in forme gerarchizzate. Come sostiene anche Liang

Zhiping, il li è stato derivato dal sistema delle relazioni etiche familiari115. MacCormack dice

che “l’obiettivo ultimo dei rituali, sia quelli usati per segnare i riti di passaggio che quelli

usati nella vita di tutti i giorni, era quello di instillare nelle persone l’idea di un modo di

comportarsi giusto, ossia, quel rapporto creatosi nella gerarchia famigliare in accordo con la

propria posizione. Ciò che è più enfatizzato nei rituali è il rispetto dovuto ai parenti e agli

antenati”116 . A partire dalla sfera famigliare e allargando questa fino ad includere la società,

l’individuo deve trovare il proprio posto nei rapporti famigliari e sociali, comportandosi

secondo il proprio status. Ciò detto, non si vuole negare una certa gerarchia nel diritto

naturale. A partire dal nucleo sociale originario, la famiglia, esistono d e l l e gerarchie

naturali che dovrebbero essere rispettate. Lo stesso vale all’interno della società117. In

questo senso è utile riflettere su come Platone abbia inteso il debitum e il senso del dovere,

che nasce proprio da differenze che si ritrovano all’interno dell’anima stessa, e poi all’interno

della società. È in queste differenze, de r ivan t i dall’impossibilità di bastare a sé stessi, che

Platone ritrova l’origine del debitum118.

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114 HYUNG, Fundamental Legal Concept of China and the West, cit., p. 52. 115 LIANG Zhiping, “Faziran yu ziranfa” (Following Nature and the Natural Law), Zhongguo shehui kexue, N. 2,

1989, in Faxue, Renmin daxue, n. 4, 1989, pp. 139-51, citato in R. C. KEITH, The New Relevance of “Rights and Interests”: China’s Changing Human Rights Theories, in “China Information” 1995, 10, 38.

116 G. MACCORMAK, The Spirit of Traditional Chinese Law, Georgia, Athens 1996, p. 44. 117 Non bisognerebbe essere troppo rigidi nell’osservare e nel giudicare in rapporto al diritto naturale, le

gerarchie che esistono all’interno del li. Ad esempio il furto in famiglia, anche secondo il diritto naturale, viene trattato diversamente: se un fratello ruba qualcosa all’altro fratello, il furto verrà punito in maniera diversa che non se fosse stato un estraneo a rubare qualcosa. Tale diversità di trattamento all’interno del nucleo famigliare è espressa nei Dialoghi di Confucio, Libro XIII:18 “In Duca di She, dialogando con Confucio, disse: ‘Nel mio paese vi è un tale chiamato ‘ l’Onesto’. Un giorno suo padre rubò una capra ed egli lo denunciò’. Confucio disse: ‘Nel mio paese gli uomini onesti agiscono diversamente: un padre copre il figlio e questi il padre. Ecco dove si trova l’onestà’.” Cfr. CONFUCIO, I Dialoghi, cit., p. 155.

118 Per approfondire vedi GENTILE, Filosofia del diritto, cit., pp. 166-169.

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A riguardo ci si può riferire al Li ji quando Yan Yan chiede a Confucio un resoconto dei

riti, Confucio dice: “ Lo scopo di tutte le cerimonie è di fare scendere dall’alto gli spiriti,

perfino i loro antenati, ciò serve [anche] a rettificare le relazioni fra chi governa e chi è

governato; a mantenere il sentimento di magnanimità fra padre e figlio e l’armonia fra

fratello maggiore e fratello minore; a regolare le relazioni fra chi sta in alto e chi sta in basso;

e a dare il giusto posto a moglie e marito”119.

Altra caratteristica del li è che morale e diritto sono confuse assieme. Nella

tradizione realista del diritto vi è una moralità: il fine del diritto è la giusta distribuzione dei

beni, e la promozione di quelli che sono i fini propri dell’uomo, del bene comune.

Contrariamente alla posizione sostenuta dai positivisti, il diritto non può non includere in sé

la morale, ma allo stesso tempo non può diventare una forma di moralismo autoritario. In

questo senso si può richiamare la distinzione elaborata da MacIntyre tra moralità della

virtù e moralità della legge120.

V’è differenza fra l’essere giusto e l’essere misericordioso o amorevole. Lo stesso San

Tommaso D’Aquino ha ben chiara la differenza fra gli ambiti della vita soprannaturale della

carità e quello del diritto e della vita sociale dall’altra. In Confucio non v’è riferimento ad un

ordine soprannaturale, ma ad un ordine umano in cui però “Confucio non chiede una

giustizia legale, ma un sentimento di umanità”121. Quello del li diventa così un moralismo

che fa rientrare nel diritto la morale privata, una morale delle intenzioni. A dimostrazione di

quanto appena detto si può considerare quanto dimostrato da Liu e Cheng122 per cui in Cina

il li viene identificato con la moralità yi, non quindi con ciò che è il giusto giuridico ius.

Sebbene il diritto naturale si riferisca all’universo morale, quello del li è un giusto

eccessivamente morale, che guarda troppo allo spirito rituale e alle intenzioni per poter

essere un giusto giuridico. L’ideale confuciano è quello del santo che non si può applicare

all’ambito diritto. Confucio parla di essere amorevoli, mentre il diritto naturale, sebbene

sia anche morale, parla di essere giusti, non misericordiosi. Anche Hsü, quando si

riferisce al governo confuciano parla di rule of virtue invece di rule of law123. Quello di

Confucio è un governo della virtù, regolato attraverso il li, in cui non ci si limita a prevenire le

persone dal fare azioni “cattive” che potrebbero disturbare l’armonia sociale. Nel governo

della virtù di Confucio, si va oltre a ciò, e si guarda l’intenzione e la morale privata.

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119 LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol. III, VII: 10, ma a riguardo vedi anche

Ibid., VII:3 120 Vedi paragrafo 1. MacIntyre sottolinea anche la stretta relazione che esiste fra le due moralità, soprattutto

in quella virtù della giustizia propria del giurista, di attribuire il suo di ciascuno alle parti. A. MACINTYRE, cit., pp. 150-152

121 PEERENBOOM, Law and Morality in Ancient China, The Silk Manuscripts of Huang-Lao, cit., p. 128 122 LIU, Origins of Chinese Law, p. 60; CHENG, Storia del pensiero cinese,I Dalle Origini allo studio del mistero, cit.,

pp. 58-62 123 HSÜ, The political Philosophy of Confucianism, cit., pp. 160-173

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Inoltre, nei primi due li viene a mancare quel legame fra li e fa, diritto naturale e

legge che caratterizza un certo diritto naturale. Come dice anche Liu, il li non si basa sul

fa124, anzi, il rapporto tra questi è conflittuale: il li non scende fino alla gente comune e il fa

non sale fino ai saggi125. La natura di tale relazione è legata al sospetto con cui in Cina fino al

periodo degli Stati combattenti si vedeva la legge126. Come dice Hsü “sotto il sistema

feudale, l’uniformità politica e sociale era cercata attraverso la tradizione, gli usi, il decoro

sociale, e gli ordini del governo. Non v’era un governo di legge nel senso moderno del

termine. In quel periodo ci si riferiva solo alla legge penale. Non v’era diritto civile e ci si

riferiva quindi alla giustizia penale non civile”127. Di conseguenza il li che trattava materie

che si potrebbero definire civili, era quasi incompatibile con il fa. In Cina quindi, la legge,

esclusivamente penale, non poteva fino alla fine degli Stati Combattenti fondarsi sul li e su

una natura confusa con la convenzione.

In conclusione, vi sono dei limiti nell’associazione del li al diritto naturale, perché

q u e s t o d i p o n e c o m e convenzione creata dai santi e sovrani antichi dotati di qualità

sovrannaturali, la cui autorità non è messa affatto in discussione; quando vi è un

riferimento alla natura questa è confusa con la maniera ed il modo di seguire la natura non

indaga le sue leggi; il li è di conseguenza particolare, in primo luogo in quanto si riferisce

ad una particolare cultura di un particolare periodo, e in secondo luogo perché varia a

seconda dello status sociale e familiare; il fine del li è una moralità della virtù e non della

legge, in cui il tipico rapporto fra diritto naturale e legge, almeno fino al li di Confucio, viene

meno. Sebbene il li non sia assimilabile completamente al diritto naturale, soprattutto a

partire dalle prime codificazioni della Cina Imperiale, esso iniziò ad influenzare la

codificazione, a fungere come limite del diritto positivo e come modello di giustizia. Quella

del li rimane infine un tipo di giustizia morale e convenzionale piuttosto che naturale.

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124 LIU, Origins of Chinese Law, cit., p. 90. 125 LEGGE, The Sacred books of China, the texts of Confucianism, cit., Vol. III, I: 68. 126 Vedi BODDE, Law in Imperial China, Exemplified by 190 Ch’ing Dynasty Cases, cit., pp. 44, 14, 15. 127 HSÜ, The political Philosophy of Confucianism, cit., pp. 163-164.