Difesa strategica e armi a energia...

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SCI ENTI FIC ALNI E R1CAN LE SCIENZE numero 231 novembre 1987 anno xx volume xxxix Il gruppo di studio dell'American Phy-sical Society che ha stilato il rapporto «Science and Technology of Directed Energy Weapons» Nicolaas Bloembergen, copresidente Harvard University C. Kumar N. Patel, copresidente AT&T Bell Laboratories Petras Avizonis Air Force Weapons Laboratory Robert Clem Sandia National Laboratories Abraham Hertzberg University of Washington Thomas Johnson US Military Academy Thomas Marshall Columbia University Bruce Miller Sandia National Laboratories Walter Morrow MIT Lincoln Laboratories Edwin Salpeter Cornell University Andrew Sessler Lawrence Berkeley Laboratory Jeremiah Sullivan University of Illinois James Wyant University of Arizona Amnon Yariv California Institute of Technology Richard Zare Stanford University L. Charles Hebel, dirigente Xerox Corporation Alex Glass, consulente KMS Fusion, Inc. Istituito il 20 novembre 1983 dall'American Physical Societv, il gruppo di studio incaricato del rapporto si è riunito colo nel novembre 1984. Il lavoro; ha richiesto circa 21 mesi (A periodo di gestazione di un elefante», secondo Patel) prima di essere reso noto il 24 aprile 1987. Gli ultimi sette mesi sono serviti per la revisione del Department of Defense. Difesa strategica e armi a energia diretta I cop residenti di un gruppo di studio, istituito dall'American Physical Society, riassumono le conclusioni del rapporto stilato in merito alle possibilità di realizzazione pratica del programma di «scudo spaziale» di C. Kumar N. Patel e Nicolaas Bloembergen N el novembre del 1983, circa otto mesi dopo l'appello lanciato dal presidente Ronald Reagan alla comunità scientifica degli Stati Uniti affinché venisse sviluppato un sistema «capace di intercettare e distruggere missili strategici balistici prima che toc- chino il nostro suolo», l'American Physi- cal Society aveva commissionato uno studio inteso a valutare lo stato delle ar- mi a energia diretta. La valutazione, che è stata finalmente consegnata questa pri- mavera, è focalizzata su argomenti rela- tivi alle potenzialità per la difesa strate- gica dei laser e dei fasci di particelle. Il comitato di 17 membri, da noi copresie- duto, ha cercato di presentare una rela- zione che facesse da punto di riferimento tecnico a ulteriori discussioni sulle pos- sibilità di attuazione dello «scudo spazia- le» ideato dai fautori della Strategic De- fense Initiative (scii), il programma sca- turito dall'appello del Presidente. Que- sto articolo si basa appunto sulle analisi e sulle conclusioni alle quali siamo per- venuti con il nostro rapporto. Alcuni membri del gruppo di studio vennero prescelti sulla base della loro competenza nei vari campi scientifici e tecnologici connessi alla realizzazione di armi a energia diretta. Tutti proveniva- no da un'ampia gamma di laboratori ac- cademici, governativi e industriali, molti dei quali erano coinvolti attivamente nello sviluppo sia del settore nucleare con le relative applicazioni belliche, sia delle opportune tecnologie di sostegno. Preparando lo studio in questione abbia- mo avuto accesso a informazioni coperte da segreto. Sebbene la pubblicazione del rapporto sia stata differita di sette mesi per dare al Department of Defense degli Stati Uniti il tempo di esaminarlo, il ma- teriale censurato è stato minimo. I tagli più significativi imposti al rapporto ri- guardano la vulnerabilità dei sistemi di- fensivi e le possibili contromisure. 13

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SCI ENTI FIC

ALNI E R1CAN

LE SCIENZE numero 231novembre 1987anno xxvolume xxxix

Il gruppo di studio dell'American Phy-sical Society che ha stilatoil rapporto «Science and Technology of Directed Energy Weapons»

Nicolaas Bloembergen, copresidenteHarvard University

C. Kumar N. Patel, copresidenteAT&T Bell Laboratories

Petras AvizonisAir Force Weapons Laboratory

Robert ClemSandia National Laboratories

Abraham HertzbergUniversity of Washington

Thomas JohnsonUS Military Academy

Thomas MarshallColumbia University

Bruce MillerSandia National Laboratories

Walter MorrowMIT Lincoln Laboratories

Edwin SalpeterCornell University

Andrew SesslerLawrence Berkeley Laboratory

Jeremiah SullivanUniversity of Illinois

James WyantUniversity of Arizona

Amnon YarivCalifornia Institute of Technology

Richard ZareStanford University

L. Charles Hebel, dirigenteXerox Corporation

Alex Glass, consulenteKMS Fusion, Inc.

Istituito il 20 novembre 1983 dall'American Physical Societv, il gruppo di studio incaricatodel rapporto si è riunito colo nel novembre 1984. Il lavoro; ha richiesto circa 21 mesi (Aperiodo di gestazione di un elefante», secondo Patel) prima di essere reso noto il 24 aprile1987. Gli ultimi sette mesi sono serviti per la revisione del Department of Defense.

Difesa strategicae armi a energia diretta

I cop residenti di un gruppo di studio, istituito dall'American PhysicalSociety, riassumono le conclusioni del rapporto stilato in merito allepossibilità di realizzazione pratica del programma di «scudo spaziale»

di C. Kumar N. Patel e Nicolaas Bloembergen

N

el novembre del 1983, circa ottomesi dopo l'appello lanciatodal presidente Ronald Reagan

alla comunità scientifica degli Stati Unitiaffinché venisse sviluppato un sistema«capace di intercettare e distruggeremissili strategici balistici prima che toc-chino il nostro suolo», l'American Physi-cal Society aveva commissionato unostudio inteso a valutare lo stato delle ar-mi a energia diretta. La valutazione, cheè stata finalmente consegnata questa pri-mavera, è focalizzata su argomenti rela-tivi alle potenzialità per la difesa strate-gica dei laser e dei fasci di particelle. Ilcomitato di 17 membri, da noi copresie-duto, ha cercato di presentare una rela-zione che facesse da punto di riferimentotecnico a ulteriori discussioni sulle pos-sibilità di attuazione dello «scudo spazia-le» ideato dai fautori della Strategic De-fense Initiative (scii), il programma sca-turito dall'appello del Presidente. Que-sto articolo si basa appunto sulle analisie sulle conclusioni alle quali siamo per-venuti con il nostro rapporto.

Alcuni membri del gruppo di studiovennero prescelti sulla base della lorocompetenza nei vari campi scientifici etecnologici connessi alla realizzazione diarmi a energia diretta. Tutti proveniva-no da un'ampia gamma di laboratori ac-cademici, governativi e industriali, moltidei quali erano coinvolti attivamentenello sviluppo sia del settore nuclearecon le relative applicazioni belliche, siadelle opportune tecnologie di sostegno.

Preparando lo studio in questione abbia-mo avuto accesso a informazioni coperteda segreto. Sebbene la pubblicazione delrapporto sia stata differita di sette mesiper dare al Department of Defense degli

Stati Uniti il tempo di esaminarlo, il ma-teriale censurato è stato minimo. I taglipiù significativi imposti al rapporto ri-guardano la vulnerabilità dei sistemi di-fensivi e le possibili contromisure.

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Sono illustrate le quattro fasi di volo di un missile balistico interconti-nentale (Icnm), di un missile lanciato da un sommergibile (SCBM) e diun missile a raggio intermedio (ntum). La prima fase, quella di spinta(in giallo), ha inizio quando il missile lascia la base di lancio e terminaquando il carico utile si separa dal propulsore. Durante una tipica fasesuccessiva a quella di spinta (in arancione chiaro) un «bus» espelle nu-

merosi missili più piccoli, i veicoli di rientro, ossia le testate. Nella faseintermedia (in arancione scuro) i veicoli di rientro e tutte le esche simuovono in traiettorie ravvicinate. Il volo ha termine con la fase di rien-tro (in rosso). Considerato il grande numero di bersagli associato allafase intermedia, i momenti migliori in cui contrastare un attacco nemicosono durante la fase di spinta e quella immediatamente successiva.

TESTATAIN UN PALLONE

RAZZOA TRE STADI

TESTATA NUCLEARE

5 MINUTI

BUS

ESCA

Che cosa abbiamo scoperto? Rispettoalla lunghezza del rapporto (424 pagine)le nostre conclusioni sono brevi. Citia-mo dallo studio stesso. «Sebbene negliultimi due decenni siano stati fatti note-voli progressi in molte tecnologie relati-ve alle DEW (armi a energia diretta), ilgruppo di studio rileva significative lacu-ne nella comprensione scientifica e tec-nica di molte questioni associate allo svi-luppo di queste tecnologie. La soluzionepositiva di questi problemi è determi-nante per estrapolare i livelli di presta-zione che sarebbero richiesti in un effi-cace sistema di difesa antimissili balisti-ci. Allo stato attuale, non ci sono infor-mazioni sufficienti per stabilire se siapossibile o meno pervenire alle necessa-rie estrapolazioni. Alcuni elementi diimportanza cruciale per un sistema DEWhanno assoluto bisogno di un potenzia-mento di prestazioni di parecchi ordinidi grandezza. Poiché questi elementi so-no in relazione fra loro, occorre che imiglioramenti in questione vengano ap-portati in modo reciprocamente coeren-te. Noi riteniamo che, anche con il favo-re delle circostanze, ci vorrebbero 10 an-ni o più di intense ricerche per acquisirele cognizioni tecniche necessarie perprendere una decisione ben documenta-ta sulla potenziale efficacia e capacità disopravvivenza dei sistemi di armi a ener-gia diretta. Inoltre, le importanti que-stioni relative all'integrazione e all'effi-cacia globale dei sistemi dipendono in

maniera determinante da un tipo di in-formazione di cui, per quanto ne sappia-mo, non si dispone ancora.»

T o studio è stato focalizzato sulle armia energia diretta perché se ne preve-

derebbe l'impiego in quasi tutte le fasi dipossibile distruzione di un missile: lan-cio, localizzazione e inseguimento delbersaglio, discriminazione fra testate edesche, distruzione del bersaglio stesso everifica dell'avvenuta distruzione. Lostudio, esplicitamente, non ha preso inesame l'altra principale classe di armi,quelle a energia cinetica: cannoni chimi-ci (razzi) e cannoni elettromagnetici.Una difesa antimissili balistici che per ladistruzione di un bersaglio facesse affi-damento sulle armi a energia cinetica di-penderebbe pur sempre dalla tecnologiadell'energia diretta per svolgere le altreoperazioni testé schematizzate. Un effi-cace sistema di difesa antimissili balisticidipende pertanto in grande misura dalladisponibilità di una tecnologia dell'ener-gia diretta matura e affidabile.

Lo studio non ha d'altronde neppuretentato di discutere nei particolari molteimportanti questioni riguardanti il co-mando, il controllo, le comunicazioni ele informazioni segrete (C 31), l'hard-ware, la creazione di software, l'affida-bilità per la gestione del combattimentoe la complessità globale dei sistemi. Fragli altri problemi che sono stati indivi-duati, ma non affrontati, vi sono il fab-

bisogno di manodopera, i costi e la vali-dità dal punto di vista dei costi, il con-trollo delle armi e la stabilità strategica,nonché le implicazioni di politica nazio-nale e internazionale. Molti di questi ar-gomenti sono stati oggetto di accesissimediscussioni nel corso dell'anno successi-vo all'allocuzione del Presidente sulle«guerre stellari»; risulta piuttosto sor-prendente il fatto che uno degli aspettianalizzati con minore obiettività e detta-glio sia stato proprio quello tecnologico.

L'efficacia di qualunque difesa anti-missili balistici dipende dalla precisionecon la quale vengono tenute sotto con-trollo le quattro fasi di volo di un missile:la fase di spinta, la fase successiva a quel-la di spinta, la fase intermedia e la fasedi rientro nell'atmosfera. La fase di spin-ta o di propulsione, che di solito duracirca tre minuti, inizia quando il missileabbandona la base di lancio e terminaquando il carico utile si separa dallo sta-dio propulsore. Durante una tipica fasesuccessiva a quella di spinta, che ha unadurata di circa cinque minuti, un «bus»espelle numerosi missili più piccoli, i vei-coli di rientro (chiamati tipicamente te-state multiple a bersaglio indipendente,o miRv). Per dirigere ogni testata sulproprio bersaglio si attivano propulsoriausiliari. Spesso per fase di spinta si in-tende il periodo completo che va dal lan-cio alla liberazione di tutte le testate. Noiinvece ci riferiremo a due fasi distinte,poiché diversi sono gli elementi caratte-

ristici a disposizione della difesa, per ilrilevamento, durante i due momenti.

La fase più lunga è quella intermedia.durante la quale le testate e le esche simuovono insieme, in traiettorie quasiprive di attrito, molto al di sopra dell'at-mosfera. La fase intermedia dura circaventi minuti per i voli intercontinentali.Infine, i veicoli di rientro attraversanol'atmosfera e, in un intervallo di tempoinferiore a sessanta secondi, colpisconoil suolo.

Forse i momenti migliori in cui con-trastare un attacco nemico sono la fasedi spinta e quella immediatamente suc-cessiva. Per varie ragioni le armi a ener-gia diretta non hanno un ruolo di granderilievo nella fase finale di rientro nell'at-mosfera. Il maggior tempo a disposizio-ne durante la fase intermedia è un van-taggio controbilanciato da un numeromaggiore di «oggetti minacciosi» (testa-te ed esche) rispetto a quello delle fasi dispinta e successiva. Dato il numero at-tuale dei razzi propulsori sovietici e datele loro caratteristiche, si ritiene che, incaso di attacco, potrebbe venire dispie-gato mezzo milione o più di oggetti mi-nacciosi. Perfino una difesa che interve-nisse nella fase di spinta, efficace nellamisura dell'80 per cento, lascerebbe pursempre entrare nella fase intermedia100 000 o più oggetti. L'inseguimento ela discriminazione di centinaia o migliaiadi oggetti sottoporrebbero a uno sforzoformidabile i sensori e i calcolatori pre-posti alla gestione della battaglia.

Il dispositivo che dirige il fascio laser è progettato per inseguire oggetti in volo e focalizzare su

di essi il fascio stesso. Lo strumento fa parte del laser chimico nell'infrarosso medio ( SIIRACL),

installato al White Sands Missile Test Range nel New Mexico. Un laser chimico emette unfascio mediante reazioni chimiche fra gas. In questo caso i gas sono idrogeno e fluoro.

Sono attualmente quattro i tipi di laser considerati armi di distruzione im-

piegabili durante la fase di spinta: laserchimici, a eccimeri, a elettroni liberi e araggi X. I fasci prodotti da tutti questilaser viaggiano alla velocità della luce, ilche significa che per ogni intento prati-co qualunque bersaglio potrebbe essereraggiunto istantaneamente. I laser chi-mici, la più matura delle tecnologie pre-se in considerazione, generano radiazio-ni per mezzo di reazioni chimiche fra duegas quali idrogeno e fluoro o deuterio efluoro. I laser a fluoruro di idrogeno(acido fluoridrico) o a fluoruro di deute-rio hanno emissione continua, con po-tenze di uscita superiori a un megawatt(106 watt); per dare un termine di con-fronto ricorderemo che un fascio laser da10 chilowatt può tagliare in pochi secon-di una lastra d'acciaio dello spessore dioltre mezzo centimetro.

Nonostante l'impressionante potenzadei laser chimici e l'alta qualità del lorofascio, noi riteniamo che, anche per leapplicazioni meno impegnative della di-fesa strategica, occorra incrementare dialmeno un fattore 20 gli attuali livelli dipotenza, mantenendo al tempo stesso ilfascio esente da distorsioni e riducendo-ne al minimo la divergenza. Per una di-stanza tipica tra un bersaglio e un laser,poi, la potenza necessaria potrebbe ri-chiedere un incremento supplementaredi un fattore quattro. La geometria dei

laser chimici, che ha prodotto potenzedell'ordine dei megawatt, non permettedi salire ancora a potenze molto più ele-vate. L'incremento richiesto non po-trebbe quindi essere ottenuto che conuna geometria ancora da studiare. Restaquindi ancora da vedere se sia possibileo meno rendere abbastanza potente unlaser chimico.

Inoltre, la lunghezza d'onda della luceemessa da un laser a fluoruro di idrogeno(2,8 micrometri, cioè milionesimi di me-tro) viene assorbita dall'atmosfera. Diconseguenza un laser a fluoruro di idro-geno dovrebbe essere collocato su baseorbitante, il che comporterebbe proble-mi dovuti alle vibrazioni e alla produzio-ne dell'energia necessaria. Tuttavia po-tremmo sottolineare il fatto che l'atmo-sfera è virtualmente trasparente ai fascidei laser a fluoruro di deuterio e a iodioatomico, i quali hanno una lunghezzad'onda rispettivamente di 3,8 e di 1,3micrometri. Per questa ragione, se ve-nissero soddisfatti i necessari requisiti dipotenza, i due tipi di laser potrebberoavere base a terra. Va infine evidenzia-

to, a nostro parere, che i laser chimicidovrebbero essere incrementati in po-tenza di almeno cinque ordini di gran-dezza (un fattore 100 000) rispetto alleloro attuali capacità.

I laser a eccimeri sono il secondo tipodi laser preso in considerazione come ar-ma a energia diretta. Il termine eccimeroderiva dall'inglese excited dimer (dimeroeccitato): si tratta di composti instabilicostituiti da due molecole. Una scaricaelettrica eccita le molecole facendo sìche esse formino una struttura dimericaa legame ionico. Il dimero si dissociaemettendo energia. Un laser a eccimeriproduce luce in brevi impulsi. Fra i lasera eccimeri più potenti vi sono i laser afluoruro di cripto, attualmente in fase disviluppo presso il Los Alamos NationalLaboratory. Questi laser hanno una lun-ghezza d'onda di 0,25 micrometri, laquale ha lo svantaggio di una trasmissio-ne atmosferica relativamente modestarispetto alla luce visibile, o alla radiazio-ne di opportuna frequenza dei laser in-frarossi. Nel caso dei laser a eccimeri dimaggiore interesse, la trasmissione mo-

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Il laser a eccimeri in costruzione presso il Los Alamos National Laboratory produrrà luce sottoforma di rapidi impulsi. La parola «eccimeri» è una contrazione di excited dimer (dimeroeccitato), un composto instabile costituito da due molecole. Una scarica elettrica eccita le mole-cole, sicché queste formano una struttura dimerica a legame ionico. Il dimero si dissocia conemissione di radiazione. In questo caso l'eccimero è il fluoruro di cripto. I grandi magneti ovaliassicurano che la scarica elettrica (di un fascio elettronico) interessi in maniera uniforme tuttoil fluoruro di cripto. Il fascio laser stesso oscillerebbe in direzione perpendicolare alla pagina.

Il laser a elettroni liberi, chiamato PALADLN, del Lamrence Li% ermoreNational Laboratory, irraggia nella regione infrarossa dello spettroelettromagnetico. Un fascio di elettroni v iene accelerato a energie di 50

milioni di elettronvolt (MeV). Gli elettroni passano poi attraverso la se-rie di magneti «oscillanti» (wiggler) qui mostrati. I magneti provocanola vibrazione degli elettroni con la conseguente emissione di radiazioni.

desta è causata non dall'assorbimento,ma dalla grande diffusione da parte dellemolecole dell'atmosfera. (Questo parti-colare tipo di diffusione, noto come dif-fusione Rayleigh, è inversamente pro-porzionale alla quarta potenza della lun-ghezza d'onda della radiazione.) È pos-sibile ottenere un miglioramento au-mentando la lunghezza d'onda del lasera eccimeri mediante l'«effetto Raman».

Abbiamo stimato che, per applicazio-ni nel campo della difesa strategica, i la-ser a eccimeri con base a terra debbanoprodurre energia in misura di almeno100 megajoule in un singolo impulso osequenza di impulsi, con durata compre-sa tra alcuni e parecchie centinaia di mi-crosecondi . Gli attuali laser a eccimeripossono emettere circa 10 chilojoule dienergia in un impulso che dura circa unmicrosecondo; è necessario incrementa-re questa energia di almeno quattro or-dini di grandezza. La lacuna si potrebbeforse colmare combinando molti laser,ma la fattibilità di una soluzione simile èda appurare.

I l terzo tipo di laser in fase di studio, impiegabile nella difesa antimissili ba-

listici, è quello a elettroni liberi. Questolaser funziona inviando un fascio di elet-troni attraverso una serie di magneti«oscillanti» (wiggler), che provocano lavibrazione degli elettroni con conse-guente emissione di radiazione. Varian-do la distanza tra i magneti oppure l'e-nergia degli elettroni, il laser può esseresintonizzato in modo da emettere teori-camente a qualunque lunghezza d'onda.

Per applicazioni nel campo della difesaantimissili balistici un laser a elettroniliberi con base a terra dovrebbe avereuna potenza media di almeno un giga-watt (un miliardo di watt) a una lunghez-za d'onda di un micrometro. Una radia-zione di tale lunghezza d'onda attraver-serebbe agevolmente l'atmosfera.

Potenze di picco dell'ordine di circaun megawatt sono state prodotte allalunghezza d'onda di un micrometro,mentre potenze di picco di circa un giga-watt sono state prodotte alla lunghezzad'onda di otto millimetri (lunghezzad'onda assorbita dall'atmosfera). Man-tenere lunghezze d'onda ridotte al cre-scere della potenza impiegata costituisceun difficile problema tecnico. La fattibi-lità di laser a elettroni liberi di potenzaelevata altamente efficienti, che operinoa lunghezze d'onda di un micrometro,dipende innanzi tutto dalla verifica dinumerosi concetti fisici finora sviluppatisoltanto sul piano teorico.

Probabilmente, il tipo più esotico dilaser attualmente in fase di sviluppo è illaser a raggi X. Il dispositivo è costituitoda un esplosivo nucleare circondato daun insieme cilindrico di sottili fibre me-talliche. I raggi X emessi durante l'e-splosione nucleare fanno sì che le fibre,a loro volta, emettano un fascio coerentedi raggi X, nel breve tempo che intercor-re prima che il dispositivo si distrugga.Gli addetti ai lavori hanno sperimentatoil laser a raggi X in un sito sotterraneo,ma la possibilità di realizzare un laser diquesto tipo utilizzabile militarmente ri-mane incerta. L'assorbimento dei rag-

gi X da parte dell'atmosfera costringe-rebbe a installare il dispositivo a un'al-tezza di oltre 80 000 metri, magari conuna soluzione di tipo «pop up», ossialanciandolo al momento dell'attacco ne-mico; occorrerebbe inoltre trovare ilmodo di focalizzare e concentrare i fascidi raggi X sui bersagli. Prima di potervalutare le possibilità, le problematichee i vantaggi dell'applicazione dei laser araggi X a «pompaggio nucleare» alla di-fesa strategica, è necessario che venganoconvalidati molti altri concetti fisici.

Acche se fosse possibile realizzare la-ser di potenza sufficiente da poter

essere utilizzati nella difesa antimissilibalistici, risulterà necessario superaredei grossi ostacoli per far arrivare i fascifino ai bersagli. In primo luogo, qualsiasifascio laser, per intenso e collimato chesia, subirà una diffrazione nell'attraver-sare lo spazio: il fascio si allargherà, per-dendo quindi di intensità. Per una datapotenza di uscita, l'intensità di un fasciolaser all'arrivo sul bersaglio è proporzio-nale al quadrato del diametro dello spec-chio con il quale il fascio viene focaliz-zato. L'intensità è anche inversamenteproporzionale al quadrato del prodottodella lunghezza d'onda del laser per ladistanza dal bersaglio. Di conseguenza,quanto maggiore è la lunghezza d'onda,o la distanza, tanto più grande deve es-sere il diametro dello specchio per man-tenere la desiderata intensità del fascioall'arrivo sul bersaglio.

Gli specchi più grandi con cui si possapuntare e guidare un fascio hanno dia-metri dell'ordine di circa otto metri, maper compiti che rientrino nell'ambitodella difesa antimissili balistici sarebbe-ro necessari diametri con dimensioni va-riabili da 10 a 40 metri. Queste dimen-sioni efficaci si potrebbero ottenere im-piegando un insieme di piccoli specchi,anziché un unico specchio grande. Glispecchi in questione dovrebbero esserecoordinati per mezzo di attuatori, dispo-sitivi azionati elettricamente. Pur essen-do oggigiorno possibile controllare con-temporaneamente parecchie centinaiadi attuatori, non è ancora dato sapere sepotrebbe essere possibile controllarnesimultaneamente un numero variabileda 10 000 a 100 000, quale si renderebbenecessario ai fini difensivi. Tutto l'insie-me di specchi richiede tecniche di corre-zione di fase in cui le «creste» e i «ventri»delle onde di un fascio siano accurata-mente allineati. Resta da vedere se talitecniche possano adattarsi ai fasci di altaintensità necessari per gli intenti difensi-vi. Una soluzione alternativa, che sfrut-terebbe l'impiego di un'unica membranariflettente, grande e flessibile, è in fasedi sviluppo teorico.

Gli specchi di un qualunque sistemalaser, soprattutto nello spazio, sarebbe-ro vulnerabili alla radiazione di altri la-ser. Perfino un laser relativamente debo-le potrebbe provocare notevoli danni sela sua lunghezza d'onda fosse diversa da

quella per la quale sia stato progettato ilrivestimento. Anche particelle energeti-che di raggi cosmici potrebbero danneg-giare il rivestimento. Sarebbe inoltre ne-cessario raffreddare i piccoli specchi dellaser per ovviare a danni da parte delfascio stesso.

I laser con base a terra, come i laser aelettroni liberi e quelli a eccimeri, pre-sentano vantaggi rispetto a quelli con ba-se nello spazio, in quanto non vi sonoproblemi di peso, potenza e manuten-zione. Anche i laser con base a ter-ra, tuttavia, dipenderebbero sostanzial-mente da componenti ottici montati supiattaforme spaziali, per ritrasmettere leradiazioni laser dirette, per esempio, daun sito a terra negli Stati Uniti continen-tali a un bersaglio al di fuori della visua-le. Inoltre, la turbolenza atmosferica de-graderebbe la qualità del fascio laser.Una tecnica conosciuta come «coniuga-zione ottica di fase» è in via di approfon-dimento come contromisura per la tur-bolenza. Con questa tecnica si misure-rebbe la distorsione del fascio di bassapotenza di un laser faro puntato in dire-zione di uno specchio ripetitore installa-to su una piattaforma spaziale, dopodi-ché si «codificherebbe» l'informazionenel fascio laser di alta potenza emesso daterra, in modo che il fascio abbia una«predistorsione complementare», cosìda emergere dall'atmosfera con l'altaqualità desiderata. La validità di questatecnica è stata dimostrata alle basse po-tenze, ma occorre rapportarla a potenzepiù elevate; inoltre il numero degli attua-tori che risultano necessari per defor-mare uno specchio in grado di produrrela predistorsione del fascio deve essere

aumentato di due ordini di grandezza.Durante il funzionamento di un laser

impulsato (quale un laser a eccimeri), ilcampo ottico associato alla tratta «in di-scesa» dallo specchio di combattimentoal bersaglio sarebbe abbastanza intensoda far diffondere il fascio laser (per unprocesso chiamato diffusione Raman sti-molata) a quote inferiori a 80 000 metri.Il fenomeno modifica la lunghezza d'on-da della radiazione, cosa di per sé nondecisiva, ma che contribuisce a ridurrela potenza disponibile per attaccare ilbersaglio.

Sarebbe necessario infine installare si-stemi laser con base a terra in molteplicisiti lontani fra loro centinaia di chilome-tri, per impedire che condizioni meteo-rologiche avverse, come una coperturanuvolosa, rischino di immobilizzare ladifesa. Ciascuno di questi siti, a sua vol-ta, richiederebbe duplicati dei grandispecchi telescopici a intervalli di qualchechilometro, allo scopo di far fronte acondizioni locali di copertura nuvolosa.

T 'altra categoria di armi a energia di--1-1 retta presa in considerazione per ladifesa antimissili balistici è costituita daifasci di particelle, che possono essereelettricamente neutre o cariche. I fascidi particelle cariche sono costituiti per lamaggior parte da elettroni di alta ener-gia. Noi riteniamo che l'impiego di unfascio di particelle cariche per la distru-zione di un razzo propulsore richieda unaumento di almeno un ordine di gran-dezza per la tensione dell'acceleratore,di almeno due ordini di grandezza per ladurata dell'impulso e di almeno tre or-dini di grandezza per la potenza media.

La discriminazione tra bersagli ed escherichiede un ulteriore incremento di al-meno due ordini di grandezza per la du-rata dell'impulso e di almeno due ordinidi grandezza per la potenza media.

I fasci di particelle cariche presentanolo svantaggio di venire distorti dal campomagnetico terrestre. Essi inoltre tendo-no a «gonfiarsi», ovvero a essere insta-bili, come conseguenza della forza repul-siva che si instaura fra particelle carichedello stesso segno. Sono stati fatti tenta-tivi di risolvere entrambi i problemi ser-vendosi di fasci laser. L'idea di fondo èquella di creare in un gas un canale io-nizzato che guidi un fascio di elettroni dialta energia, proprio come una fibra ot-tica guida un raggio luminoso. Un canaledi questo genere si forma dirigendo unfascio laser attraverso il gas per allonta-nare gli elettroni dagli atomi del gas stes-so. Questo meccanismo di guida di unfascio è stato sperimentato con successoin laboratorio su una distanza di 95 me-tri; per applicazioni nella difesa contro imissili balistici dovrebbe essere efficacesu distanze di 1000 chilometri. Inoltre, ilcanale di plasma creato dal laser per laguida dei fasci di elettroni può essereusato solo a quote alle quali si risentanoancora gli effetti del campo magneticoterrestre, poiché oltre il gas è troppo ra-refatto. D'altro canto a quote basse l'al-ta densità del gas produce instabilità delfascio.

Poiché i campi magnetici non distur-bano i fasci di particelle neutre, i ricer-catori si sono rivolti allo sviluppo di que-sti ultimi. Per generare un fascio neutro,un fascio di ioni negativi (atomi che han-no un elettrone in eccesso) viene dappri-

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Un fascio di particelle neutre viene prodotto a Los Alamos accelerando dapprima un fascio caricodi ioni negatisi (atomi che hanno un elettrone in eccesso). Il fascio così accelerato viene poi re-so neutro allontanando l'elettrone in eccesso in una cella a gas. La grande camera blu, siste-mata alla fine dell'acceleratore, serve per misurare l'energia delle particelle ottenute.

La turbolenza atmosferica, che riduce la qualità dei fasci laser, potreb-be essere controbilanciata adeguatamente da elementi ottici, in questocaso uno specchio deformabile controllato da calcolatore. Un segnaletrasmesso da un debole fascio laser indirizzato dallo specchio ripetitoreverso il suolo riferisce al sensore del fronte d'onda la natura e l'entitàdella distorsione atmosferica. Un calcolatore ordina allora agli attua-tori, dispositivi azionati elettricamente, di deformare parti di specchio,

così che il fascio laser proveniente da terra venga inviato con una «di-storsione coniugata»: con la propagazione attraverso l'atmosfera, ladistorsione viene obliterata e il fascio raggiunge non più distorto lospecchio ripetitore. Pur essendo attualmente possibile controllare pa-recchie centinaia di attuatori contemporaneamente, non è dato saperese sia possibile controllare simultaneamente tutti gli attuatori - previstiin numero variabile da 10 000 a 100 000 - necessari ai fini della difesa.

TRATTAAL BERSAGLIOPRIMA TRATTA

TURBOLENZA ATMOSFERICAIA_\ BERSAGLIO

SPECCHIODEFORMABILE

ELEMENTOA DIVISIONEDI APERTURA

LASER

TERRA

STAZIONEA TERRA

RICOSTRUTTOREDI FRONTE D'ONDA

CONIUGATOSENSORE

DI FRONTE D'ONDA

LASER DI PROVA

SPECCHIO RIPETITORE

TRATTA TRASVERSALE SPECCHIODA COMBATTIMENTO

ma accelerato all'energia richiesta, di-retto e focalizzato, ed è successivamenteprivato degli elettroni in eccesso. Noi ri-teniamo che gli acceleratori di fasci diparticelle neutre che funzionano ai ne-cessari livelli di corrente debbano esserepotenziati di almeno due ordini di gran-dezza sia nella tensione sia nel ritmo diemissione dei fasci. Si dovrà migliorarein misura notevole la precisione del pun-tamento e la rapidità di ripuntamento.Un altro inconveniente dei fasci di par-ticelle neutre è il fatto che essi interagi-scono intensamente con ogni tipo di ma-teria. A quote più basse, dove la densitàdell'atmosfera è maggiore, essa staccagli elettroni esterni delle particelle neu-tre. Di conseguenza un fascio di parti-celle neutre può trasformarsi in un fasciodi particelle cariche ed ereditarne tutti ilimiti. Ai dispositivi a fasci di particelleneutre dovrebbe essere data una basenello spazio.

ualunque sia il modo con cui un si-stema di difesa strategica cerca di

distruggere un missile - con laser, confasci di particelle, con missili o con can-noni elettromagnetici - il sistema in que-stione non può essere più efficace dellasua capacità di individuare e inseguire ilbersaglio. Per assicurare che il 90 percento dei missili in arrivo venga distruttodurante la fase di spinta e quella succes-,

siva, per esempio, è necessario che ven-ga individuato innanzi tutto ben più del90 per cento dei missili. Inoltre la capa-cità di inseguire e distruggere un bersa-glio durante la fase intermedia dipendedalla conoscenza estremamente esattadella traiettoria del bersaglio durante lafase di spinta. Di importanza ancoramaggiore è la necessità di mantenerebassa la percentuale dei falsi allarmi inmodo che un sistema di difesa antimissilibalistici non venga attivato in tempo dipace.

Tipicamente l'inseguimento di un mis-sile durante la fase di spinta avviene ri-levando l'intensa radiazione infrarossaemessa dal pennacchio di scarico del raz-zo propulsore. La posizione del missileall'interno del pennacchio dipende inmodo complesso dall'altezza, dal tipo dimissile e dal tipo di motore e di combu-stibile del razzo. Di conseguenza l'ubi-cazione precisa del missile è suscettibiledi variazioni apportate dall'offesa chenon sono prevedibili dalla difesa. Per as-sicurare la precisione di mira delle armia energia diretta, sarà necessario inte-grare con altri mezzi l'inseguimento in-frarosso del pennacchio dei missili.

L'inseguimento è pure problematicodurante la fase successiva a quella dispinta e la fase intermedia. A causa delledeboli tracce termiche del «bus» e deiveicoli di rientro, sarà necessario inte-

grare i sensori termici con radar ottici oa microonde. Per la collocazione deglistrumenti di rilevamento sarebbe neces-sario un gran numero di piattaforme conbase nello spazio. Queste piattaformepotrebbero forse ospitare rivelatori sup-plementari per inseguire il bersaglio an-che durante la fase di spinta.

Nella fase intermedia la difesa deveaffrontare un'ulteriore sfida: i veicoli dirientro vanno distinti dalle esche e i mez-zi per confondere o saturare i rivelatoridifensivi sono svariati. Non è da esclu-dere che le tecnologie dell'energia diret-ta possano offrire la possibilità di identi-ficare le esche. I fasci di particelle pene-trano a fondo in ogni sorta di materiale;un fascio di idrogeno neutro di energiavariabile da 100 a 400 milioni di elettron-volt (MeV), per esempio, può penetra-re nell'alluminio fino a una profonditàcompresa tra quattro e 40 centimetri.Perciò dei fasci di particelle diretti su unbersaglio possono «campionarne» il con-tenuto. Il tipo di emissione dall'internodel bersaglio potrebbe essere sfruttatoper stabilire se si tratti o meno di un'e-sca. Tale discriminazione richiederebbeun gran numero di piattaforme spazialisupplementari dotate di armi a energiadiretta. Queste piattaforme dovrebberoessere in grado di funzionare in un am-biente che potrebbe anche conteneregrandi quantità di radiazioni nucleari.

L'applicazione di armi a energia diret-ta per la discriminazione dei bersagli èattualmente in fase teorica e di primasperimentazione.

QQualunque sistema di difesa strategi-ca che si serva di armi a energia

diretta richiederebbe quantità di energiamolto grandi. Una piattaforma spazialeavrebbe bisogno di una potenza conti-nua compresa tra 100 e 700 chilowatt so-lo per svolgere le funzioni di «normaleamministrazione»: controllo dell'altez-za, raffreddamento degli specchi, rice-zione e trasmissione delle informazionie funzionamento dei radar. Poiché nonesistono progetti ben definiti per questepiattaforme, le esigenze che enunciamodovrebbero essere considerate attendi-bili solo entro un fattore due. In ognicaso un tale livello di potenza potrebbeessere raggiunto efficacemente solo conun reattore nucleare. Ogni singola piat-taforma avrebbe bisogno di un proprioreattore, così che forse sarebbe necessa-rio schierare nello spazio 100 o più reat-tori. Raccogliere questa sfida significainnanzi tutto dover risolvere molti sco-raggianti problemi di ingegneria che nonsono ancora stati affrontati, fra cui il mo-do di raffreddare grandi reattori nuclearicon base nello spazio.

Il fabbisogno di potenza durante unoscontro vero e proprio potrebbe raggiun-gere valori compresi tra 100 megawatt eun gigawatt per un periodo di parecchiecentinaia di secondi, in funzione del tipodi arma a energia diretta con base nellospazio. La potenza dovrebbe essere for-nita da grandi motori orbitanti chimici onucleari, che dovrebbero essere dispostia distanza dalle piattaforme per evitaredisturbi meccanici. Se si facesse uso dimotori chimici, il consumo di combusti-bile per ogni piattaforma sarebbe di cin-que tonnellate per minuto di funziona-mento. Il sistema per trasferire energiadai motori alle piattaforme sarebbe in-dubbiamente complesso. È certo che l'e-sigenza di fornire alle armi a energia di-retta con base nello spazio gli indispen-sabili generatori di energia presenta no-tevoli ostacoli tecnici.

Un'altra questione fondamentale perqualsiasi sistema di difesa antimissili ba-listici è la capacità di sopravvivenza. Lepiattaforme spaziali dovrebbero ospita-re strumenti delicati come sensori, spec-chi ottici e riflettori parabolici di radar,molti dei quali hanno una soglia di dan-neggiamento molto più bassa dei razzipropulsori, dei bus della fase successivaa quella di spinta e delle testate. Pur po-tendo essere protetti durante i lunghi pe-riodi di inattività, i sensori e gli specchiottici sarebbero esposti quando fosseromessi in stato di allarme prima di un at-tacco imminente. Il sistema di difesa sa-rebbe vulnerabile agli attacchi delle armia energia diretta e delle armi a energiacinetica con base nello spazio e a terra.Il sistema sarebbe inoltre particolarmen-te vulnerabile a un eventuale attacco du-

rante la fase di montaggio nello spazio.In definitiva, la capacità di sopravviven-za di un sistema di difesa con base nellospazio è estremamente dubbia.

Anche la capacità di sopravvivenza diattrezzature con base a terra solleva seriinterrogativi. Le attrezzature dovrebbe-ro essere protette efficacemente da unavasta gamma di offese ipotetiche, daimissili da crociera ai sabotaggi. Il piccolonumero previsto di attrezzature con basea terra, ognuna delle quali in grado disvolgere tutte le mansioni di un compo-nente di arma a energia diretta di un si-stema di difesa antimissili balistici, ren-derebbe tali siti bersagli estremamenteappetibili.

La capacità di sopravvivenza è messaulteriormente in discussione dalla sem-plice osservazione del fatto che, seppuretroppo debole per essere utile nella dife-sa antimissili balistici, un'arma a energiadiretta può essere sempre abbastanzapotente nelle mani dell'offesa per minac-ciare i componenti con base nello spaziodi un sistema difensivo. Le piattaformesi muovono in orbite note e possonoquindi essere tenute «sotto tiro» per untempo più lungo di razzi propulsori, buse veicoli di rientro; hanno inoltre com-ponenti più vulnerabili dei razzi propul-

sori e dei veicoli di rientro. Le piattafor-me spaziali immesse in orbite basse pos-sono anche essere attaccate da distanzeinferiori a quelle necessarie per l'inter-cettazione nella fase successiva a quelladi spinta. Inoltre i laser a raggi X. atti-vati da esplosioni nucleari, costituireb-bero una minaccia particolare al delicatofunzionamento dei sensori e della stru-mentazione ottica ed elettronica con ba-se nello spazio.

Bisognerebbe considerare anche laquestione dell'ambiente strategico e tat-tico: per lo sviluppo e lo spiegamento diun'efficace difesa antimissili balistici sa-ranno necessari molti anni. Di conse-guenza si avrà a disposizione un consi-derevole lasso di tempo durante il qualel'offesa potrà sviluppare contromisure.Qualunque sistema di difesa dovrà esse-re progettato in modo da potersi adatta-re a una molteplicità di contromisure,ma è in ogni caso possibile che l'offesaadotti misure che non possano esserepreviste in alcun modo. Si può supporreche sistemi d'arma a energia diretta pro-gettati per far fronte alle minacce odier-ne si dimostrerebbero inadeguati a fron-teggiare le minacce approntate all'epocain cui dovessero, in caso reale, essereimpiegati.

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