Carbonel - Barbara Sleigh

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Questa è la storia di un gatto, di una scopa e di una ragazzina come tante altre, Rosemary, che un giorno compra i primi due al mercato, anche a un buon prezzo. Certo, né il gatto né la scopa sono quello che sembrano, ma il prezzo era davvero troppo buono! Quando Rosemary ha davvero bisogno che qualcosa di buono succeda nella sua vita, Carbonel prende in mano la situazione, e con un po' di magia trasforma la noiosa vacanza della sua padroncina in un'eccitante avventura.

Transcript of Carbonel - Barbara Sleigh

Barbara Sleigh

traduzione di laura guardiani

Casini Editore

Titolo originale dell’opera: Carbonel.Copyright © 1995 by Barbara Sleigh.

Originally published by the Penguin Group,an imprint of the Penguin Books Ltd, Registered Offices:

80 Strand, London WC2R ORL, Englandwww.penguin.com

© 2010 Valter Casini Edizioniwww.casinieditore.com

ISBN: 978-88-7905-173-6

AFabia

e ai fantasmi con i baffi diTibby

TarquinQuince

eSpike

1La fine della scuola

La cartella le rimbalzava allegramente sul-la schiena ogni volta che Rosemary saltellava su e giù dal marciapiede di Tottenham Grove. Le piaceva la scuola, tranne per l’aritmetica e il pesce bollito del venerdì. Ma la fine del-la scuola, come avrete notato anche voi, dà a tutti una deliziosa sensazione di festa (in modo particolare alla fine del trimestre esti-vo), anche se non ci si è poi particolarmente distinti. Rosemary Brown era eccitatissima da quella sensazione, mentre saltellava su e giù dal marciapiede.

Aveva appena raggiunto la buca delle lette-re all’angolo quando arrivò Mary Winters con la sua amica Arlene.

— Ciao Rosie! — disse Mary. — Andiamo a Blackpool domani!

— Mia zia dice che Blackpool è banale. Noi andiamo a Bournemouth. — Per andare a scuo-la, anche se non era permesso, Arlene indossa-va spille e, a volte, un braccialetto d’oro. Sua zia riteneva che un gran numero di cose fosse banale. — Tu dove andrai, Rosie?

Rosemary saltò giù dal bordo del marciapie-de, cambiò passo e con molta calma tornò su di nuovo.

— Da nessuna parte! — rispose nel modo più indifferente che le riuscì.

— Poverina! — commentò Arlene con in-sopportabile compassione, e le due amiche cor-sero via insieme ridacchiando.

Rosemary continuò ostinatamente a saltel-lare, ma la sensazione di festa non era più così frizzante. Mary e Arlene sapevano benissimo che lei difficilmente sarebbe andata in vacan-za. Per sua madre era già abbastanza dura ti-rare avanti, non aveva altre entrate se non la sua pensione di vedova e quel che guadagnava cucendo. Rosemary smise di saltellare. La car-tella iniziava a farle male, quando rimbalzava. Pesava molto perché era piena di aggeggi da fine trimestre: un modellino di argilla piutto-sto floscio, le scarpe da indossare a scuola, un grembiule sporco e anche alcuni libri. Corse per il resto del tragitto su Tottenham Grove con le corte trecce che le molleggiavano in su

e in giù, come le lame di un vecchio paio di forbici.

Rosemary e la madre vivevano al numero 10, in tre stanze ammobiliate all’ultimo piano, con utilizzo del bagno il martedì e il venerdì e la cucina in comune. Non era una sistemazione molto piacevole, perché i mobili erano brutti (la maggior parte era ricoperta da crine di caval-lo che riusciva a pungere anche attraverso un giaccone invernale), e il bagno era sempre de-corato dal bucato degli altri inquilini. Ma era economica, e doveva andar bene fino a quando non avrebbero trovato un posto non ammobilia-to, così avrebbero di nuovo potuto usare le loro cose, comode e logore.

A Tottenham Grove le case erano tutte simi-li: altissime, strettissime, dotate di vernice graf-fiata in abbondanza e intonaco pieno di crepe. In passato avevano sfoggiato il loro splendore con servitori nel seminterrato, carrozze che ar-rivavano davanti all’ingresso principale e dame con larghi cappelli e stretti vitini. Glielo ave-va raccontato sua madre. Ma Rosie non se ne preoccupava. Sapeva a occhi chiusi qual era il numero 10, e corse su per i dodici gradini così velocemente che andò a sbattere contro Mrs Walker, la proprietaria, che stava sbattendo lo zerbino contro uno dei pilastri dalla vernice graffiata, nel porticato.

— Mi dispiace tanto, Mrs Walker! — escla-mò Rosemary senza fiato.

— Lo spero bene! — rispose Mrs Walker con tono acido. — A casa per le vacanze? Per quanto tempo questa volta?

— Sei settimane — la informò Rosie.— Beh, dico io! Sei settimane! Mi verrebbe

da pensare che una signorina grande come te potrebbe impegnarle facendo qualcosa di utile.

Gettò lo zerbino ancora impolverato al suo posto, e Rosie salì lentamente al piano di sopra trascinandosi dietro la cartella, che sbatteva a ogni gradino. Aprì la porta del salotto e vide che la tavola era già apparecchiata e accostata alla finestra.

— Mamma, che cena deliziosa!— Beh, è il primo giorno di vacanza — dis-

se allegramente la madre — e Mrs Pendlebury Parker mi ha appena assegnato un lavoro di tre settimane, quindi ho pensato che dovessimo festeggiare.

C’era un mazzo di calendule al centro della tovaglia bianca e blu, una costellazione di pic-coli soli scintillanti. C’erano involtini, lingua in scatola e insalata, e una bottiglia di una bevanda rosa e frizzante per Rosemary.

— Dopo c’è il gelato con la frutta cotta — aggiunse la mamma, — ma prima appendi le tue cose e lavati le mani.

— Raccontami di Mrs Pendlebury Parker! — disse Rosemary quando forchetta e coltello cominciarono a muoversi più lentamente. — Ti piace quello che devi cucire? Puoi portarti il lavoro a casa?

Le storie su Mrs Pendlebury Parker e i fasti di Tussocks, la casa che lei possedeva appena fuori città, erano sempre motivo di meraviglia per Rosemary.

— Temo che dovrò andarci tutti i giorni per le prossime tre settimane — disse la mamma. — Mi dispiace tanto doverti lasciare sola così a lungo, tesoro, ma paga molto bene, non me la sono sentita di dirle di no. Ho paura che si tratterà soprattutto di rammendare della bian-cheria, quindi non potrò portare a casa il lavoro.

Rosie lasciò che la palla di gelato che aveva in bocca si sciogliesse completamente prima di rispondere, poi disse più allegramente che po-teva: — Non fa niente, almeno credo. Com’è brutto che tu debba rammendare la biancheria, quando invece dovresti creare bellissimi abiti!

Mrs Brown sorrise. — Non importa, teso-ro. Pensa a tutte le cose che avrò da raccontarti quando tornerò a casa la sera!

— E forse, — disse Rosemary, rallegrandosi — poi sarai abbastanza ricca da poter comprare uno di quei trabiccoli che fanno funzionare a elettricità la macchina da cucire, e guadagnerai

così tanti soldi in più che potremo andare a vive-re da un’altra parte, dove saranno le tue signore a venire da te, invece che dover andare tu a casa loro, anche sotto la pioggia. E io indosserò un vestito di raso nero e dirò: «Da questa parte, Ma-dame!» — La mamma rise.

— E io potrò dire: «No, Mrs Pendlebury Par-ker, temo di non poterle fare dodici camicie da notte di flanella per dopodomani. Non cucio mai tessuti meno pregiati del crêpe de Chine!» — Entrambe risero, e la cena si concluse in allegria.

Quando ebbero finito, Mrs Brown dovette an-dare in città per scegliere alcune sete, così Rose-mary riordinò e lavò i piatti della cena. Poi mise a posto le cose di scuola e indossò un vestitino di cotone, continuando per tutto il tempo a pensare a cosa avrebbe fatto nelle tre settimane succes-sive. Si chiedeva: poteva davvero fare qualcosa di utile, come aveva suggerito Mrs Walker? Era stato piuttosto ingiusto da parte sua chiamarla “signorina grande”, perché era abbastanza bassa, per avere dieci anni. Comunque pensò che sa-rebbe stato fantastico guadagnare dei soldi senza che sua madre ne sapesse niente per poi far cade-re con disinvoltura una pioggia di monete tintin-nanti alla fine delle vacanze, lasciandola attonita!

“Il problema è che non so cosa potrei fare”, rifletteva tra sé e sé. “Non sono abbastanza bra-va a cucire. L’unica cosa che so fare è tenere

le nostre stanze pulite e ordinate. Durante le vacanze lo faccio sempre quando la mamma è occupata. Sono capace di spazzare a terra, lucidare e lavare”.

L’idea le piacque abbastanza e quando riuscì a sconfiggere lo scomodo bottone sulla schiena del suo vestito, Rosemary aveva ormai preso la sua decisione. Sarebbe andata ogni giorno a fare le pulizie.

Supponeva di dover portare l’occorrente con sé, proprio come la madre portava il suo dita-le, gli aghi e le forbici quando andava a lavo-rare. Stracci e spazzola non sarebbero stati un problema, ma Mrs Walker non l’avrebbe mai lasciata uscire con una scopa in mano senza chiedere spiegazioni, e poi non sarebbe stata più una sorpresa.

— Beh, non posso fare altrimenti — pensò. — Dovrò comprarne una.

Dopo aver scosso a lungo il suo salvadanaio e averci infilato dentro un coltello, ne uscirono due penny e mezzo e tre monete da un quarto.

“Forse a Fairfax Market potrò trovare una scopa che costi poco” rifletté dubbiosa. — È piuttosto lontano, ma penso che potrei andare e tornare per l’ora del tè.

2Fairfax Market

Rosemary si mise i soldi in tasca e lasciò un biglietto alla madre; quindi si avviò verso Fair-fax Market. Si trovava nella parte vecchia della città, su una piazza di ciottoli. Sapendo che due penny e mezzo e tre monete da un quarto non erano molto per comprare una scopa, decise di non sprecare soldi prendendo l’autobus.

S’incamminò decisa, fermandosi solo ogni tanto per guardare la vetrina di qualche nego-zio. Ma fu un tragitto caldo e polveroso. Sem-brava che il marciapiede le stesse abbrustolen-do la pianta dei piedi attraverso le suole di gom-ma dei sandali. Come se non bastasse, una delle fibbie si ruppe. Quando arrivò al mercato scen-deva una pioggerella leggera, e l’orologio sul tetto della Market Hall batteva le quattro. Ma non c’era la solita allegra confusione provocata

dalle urla dei venditori che proponevano la loro merce, dalle risa e dal trambusto; i proprietari delle bancarelle stavano già smontando. Rose-mary si avvicinò a una donna robusta intenta a riordinare le stoviglie che prima doveva aver esposto per terra.

— Per favore — chiese Rosemary con aria ansiosa — mi saprebbe dire dove posso com-prare una scopa?

— Non puoi — rispose seccamente la don-nona, senza alzare lo sguardo. — Adesso non puoi. — Poi si drizzò con un grugnito e guardò il viso deluso di Rosemary.

— Non bisogna mai chiedere un favore a una donna grassa quando è piegata, — disse con più gentilezza. — Almeno, non se vuoi una risposta civile. Non ve lo insegnano, questo, a scuola?

Rosie scosse la testa, e la donna continuò: — È da trecento anni che il lunedì il mercato chiude alle quattro. O almeno, così mi diceva il mio vecchio padre. Comunque, su col morale, tesoro! Vuoi un bricco di latte per tua madre, piuttosto?

Rosemary scosse la testa di nuovo e prose-guì, tutta triste, tra le file di bancarelle smonta-te e le montagne di mercanzie messe al riparo sotto i tendoni, già luccicanti per la pioggia. Le monete nella sua mano erano calde e appicci-cose, ma non c’era niente da comprare — figu-

rarsi una scopa — e così se le rimise in tasca. Chiese di nuovo, stavolta a un giovanotto che stava caricando balle di un materiale dai colori vivaci su una vecchia macchina.

— Per favore, sa dove posso comprare una scopa?

Ma tutto quello che lui rispose fu: — Fila via, ragazzina! — e così Rosemary filò via.

Continuò a girovagare tra pezzetti di carta e nuvole di segatura finché non arrivò alla fine del mercato, dove ricominciava il marciapiede. Lì trovò un negozietto che vendeva giornali, dolci e piccole cianfrusaglie, così si fermò a guarda-re la vetrina. Pensò se comprare una mela ca-ramellata o una stringa di liquirizia per darsi un po’ di energia durante il viaggio di ritorno a casa. La mela caramellata sarebbe durata di più ma, d’altro canto, avrebbe potuto mangiare un po’ della stringa di liquirizia e usare il resto come corda per saltare, e poi finire di mangiarla più tardi. Si era appena decisa per la mela, vi-sto che non era semplice saltare la corda con un sandalo dalla fibbia rotta, quando sentì qualcosa di umido e peloso strusciarsi contro la sua gam-ba nuda. Guardò in basso e vide un enorme gat-to nero. A Rosemary piacevano i gatti. Se solo Mrs Walker glielo avesse permesso, sicuramen-te ne avrebbe tenuto uno, così si abbassò per accarezzarlo. Ma il gatto scappò via e si mise a

sedere a qualche metro di distanza, guardando-la. Rosemary lo seguì e cercò ancora di accarez-zarlo, ma si allontanò di nuovo e si sedette per leccarsi le zampe. Rosemary rise.

— Credo che tu voglia che ti segua! Va bene, lo farò. Arrivo! — Proseguirono a scat-ti, con Rosemary che cercava di acchiappare il gatto e il gatto che balzava in avanti appena lei era abbastanza vicina da farcela. Anche se il gatto non rideva come lei, era perfettamen-te chiaro che il gioco lo stava divertendo allo stesso modo. Proprio quando stava per affer-rarlo, sbatté contro qualcuno. Era un’anziana signora.

— Mi dispiace tanto! — si scusò Rosie.— Lo spero bene, — ribatté in modo brusco

l’anziana signora — farmi aspettare in questo modo. Ebbene, è tua per due penny e mezzo, ed è un buon prezzo.

— Che cosa? — chiese Rosemary perplessa.— La scopa, ovviamente! È per questo che

sei venuta qui, no? Se il gatto sta cercando di prendersi gioco di me solo perché sto andando in pensione...

Il gatto stava giocherellando con un corian-dolo svolazzante di carta arancione, e aveva un’aria davvero concentrata.

— Oh, sì, voglio una scopa! — esclamò Ro-semary con enfasi.

— Ho venduto la mia scorta e mi sono com-prata un cappello nuovo — continuò inaspetta-tamente l’anziana signora. — Che te ne pare?

Rosemary sperò che non le fosse chiesto di dare un giudizio anche sul resto dell’abbi-gliamento della donna. Il cappello era sicura-mente di gran moda. Era pieno di paillettes e aveva un piccolo velo. Ma, arrampicato sulla chioma selvaggia e grigia di quell’anziana si-gnora, serviva solo a far sembrare più disor-dinati i capelli e più squallidi gli stracci che indossava.

— È molto carino — affermò Rosemary. — Ma le tolgo il cartellino del prezzo? Penzola dietro.

— Oh no, non lo fare! — s’inferocì l’anzia-na signora. — Ho speso quasi venti penny per il mio cappello e non intendo togliere nessuna delle decorazioni! Puoi avere la scopa e se vuoi anche il gatto, ma le mie decorazioni non fanno parte dell’affare.

Rosemary si sentì piuttosto offesa dal tono che la conversazione stava prendendo e rispose con un certo ardore.

— Certo che non voglio le decorazioni del suo cappello! Ma vorrei il gatto. — Guardò il bell’animale che se ne stava rannicchiato con la coda perfettamente avvolta intorno a sé e, all’apparenza, profondamente addormentato.

L’anziana signora ridacchiò.— È proprio un bel tipo, lui! — Fece una

pausa, guardò intensamente Rosemary e ag-giunse: — Vale il suo peso in... monete da un quarto.

“Ma se la scopa costa due penny e mezzo mi restano solo tre monete da un quarto, e lui deve valere molto di più!”. Mrs Walker si sarebbe lasciata convincere? Sapeva, comunque, che a sua madre non sarebbe importato. Era assai probabile che la strana anziana signora non fos-se una padrona molto gentile. Rosemary aveva la sensazione che il gatto non stesse davvero dormendo, ma che fosse invece in ascolto, con le orecchie ben drizzate.

— Puoi averlo per tre monete da un quarto, se è tutto quello che hai — disse l’anziana signora.

— Lo prendo! — esclamò precipitosamente. Non appena lo disse, il gatto aprì gli occhi, le lanciò un’occhiata, e li richiuse.

Rosemary tirò fuori i soldi dalla tasca e li mise nella mano non troppo pulita che l’anziana signora stava già tendendo avidamente. La don-na li contò con attenzione, ma erano le monete da un quarto quelle che sembravano interessar-la di più. Se le avvicinò agli occhi per guardarle bene, poi le mordicchiò e rise.

— Lo immaginavo. Sei fortunato, ragazzo mio. Tre Regine per un Principe!

— Sono le mie monete Regina Victoria da un quarto. Per questo le avevo tenute. È tutto quello che ho. Bastano?

— Oh sì, bastano più di quanto immagini — rispose l’anziana signora.

Il gatto ora non faceva finta di dormire. Era del tutto sveglio e fissava Rosemary con i suoi grandi occhi dorati. — Puoi prendertelo — continuò lei, e gli diede un calcetto. — E non dire che non ti ho mai fatto un favore, ragazzo mio. Ma, bada bene, puoi ritenerti sdebitato solo a metà.

Nel momento in cui lo disse, l’orologio di Market Hall batté le cinque.

— Si sta facendo terribilmente tardi — dis-se Rosemary. — Devo andare. Posso avere la scopa, per favore?

— La scopa? Oh, sì, eccola. — Rispose la vecchia, spingendola nelle mani di Rosemary. Poi si girò e scomparve nel vicolo buio di fian-co al negozio di dolci. Passando sotto l’arco abbassò la testa, come se fosse abituata a indos-sare cappelli ben più voluminosi.

Rosemary la guardò allontanarsi. Poi vide la scopa e si rattristò. Non era affatto quel che vo-leva. Era una di quelle scope da giardiniere: un rozzo bastone di legno con un fascio di saggine legate in fondo, di cui però erano rimasti solo pochi e malridotti ramoscelli.

— Che peccato! — sospirò Rosemary. Ri-flettendo su quanto fosse sfortunata non poté trattenere le lacrime, che le rotolarono calde sul viso. La scopa era inutile, almeno per quel che serviva a lei. Non aveva più soldi per comprarne un’altra, e come se non bastasse sarebbe dovuta tornare a casa a piedi con la fibbia rotta, senza neanche la consolazione di una mela caramel-lata. Comunque era una ragazzina coraggiosa, anche se sprovvista di fazzoletto: si asciugò gli occhi con il dorso della mano e decise di reagi-re. Ma proprio in quel momento il gatto disse, in maniera chiara e distinta:

— È un affare migliore di quanto sembri, sai. — Chi ha parlato? — Rosemary non riusci-

va a credere alle sue orecchie. — Io, ovviamente! — replicò il gatto. —

Oh, sì, certo, io parlo. Tutti gli animali lo fanno, ma tu puoi sentire solo me perché hai in mano la scopa della strega.

Rosemary la lasciò cadere all’istante. Poi, rendendosi conto che così non avrebbe potuto sentir parlare il gatto, la raccolse.

— E io dovrei trattarla con rispetto — pro-seguì l’animale con una punta d’ironia. — Non c’è molta energia in quel povero arnese, altri-menti non l’avrebbe venduto per così poco, puoi starne certa! Peccato che tu non abbia sentito le cose che le ho appena detto! — Sembrava sod-

disfatto del suo discorso, e spiegò:— Non l’ho coperta di insulti, certo. Sarebbe stato volgare; però l’ho cordialmente rimproverata! — La sua coda si contrasse, al solo ricordo.

Rosemary rammentò come la strana donna sapesse esattamente quanti soldi lei aveva con sé, senza che gliel’avesse detto.

— Ma è davvero una strega? — sussurrò con voce spaventata.

— Silenzio! — disse il gatto, guardandosi su-bito dietro le spalle. — Meglio non usare quella parola. Lo era, fino al momento in cui hai com-prato me e la scopa. Ora è in pensione; dice che sta per diventare una persona rispettabile. — Ag-giunse con sdegno: — Anche un pesce potrebbe dire che ha deciso di non nuotare. Non avresti qualcosa come un piattino di latte, con te?

Rosemary scosse la testa. — Peccato. tu–sai–cosa ha i suoi vantaggi. lei era in grado di far spuntare un piattino di latte ovunque fossi-mo, al centro di Salisbury Plain o giocando a fare la lotta con l’Aurora Boreale.

— Comunque era carino da parte sua — disse Rosemary.

— Non proprio — chiarì il gatto. — Se era di cattivo umore, cosa che accadeva spesso, con tutta probabilità era acido.

— Bene, appena arriveremo a casa avrai tut-to il latte che vorrai. Ma temo che dovremo an-

dare a piedi. Non ho i soldi per l’autobus. E poi non so se i gatti possono salire sugli autobus.

— Allora andiamo con la scopa — propose il gatto.

— Con la scopa? — ripeté Rosemary, un po’ perplessa.

— Spero che non continuerai a ripetere tut-to — commentò seccamente il gatto. — Inten-diamoci, non volerà molto in alto. Non puoi pretenderlo, non nello stato in cui è adesso la vecchia poverina. Ma ci porterà a destinazione sani e salvi. Bene, andiamo; perché non monti?

— Montare? — chiese Rosemary.— Lo hai fatto di nuovo! È semplice. Ti ci

metti sopra a cavalcioni e dici dove vuoi anda-re. Meglio se in rima. È più educato, e quella poverina è suscettibile, ora che è così vecchia.

— Non ci sono molte rime da fare con Tot-tenham Grove numero 10, ultimo piano — os-servò Rosemary, dubbiosa.

— Lascia fare a me — la rassicurò il gatto. — Tottenham Grove, Grove Tottenham... an-diam... saltiam... Ce l’ho. Non è molto elegante, ma farà al caso nostro. Ora, monta e tienti forte!

Si mise delicatamente in equilibrio sulle sag-gine della scopa. — Ora ripeti dopo di me:

Al numero 10 di Tottenham Grove, ultimo piano,Per la finestra diretti passiamo!

Appena Rosemary lo ripeté, il manico tremò leggermente e la scopa si sollevò, pian pianino, di un paio di metri dal suolo; poi girò tanto bru-scamente da farla quasi cadere e proseguì diret-ta alla volta di Tottenham Grove. Andò avanti, ignorando i semafori, sfiorando le strisce pedo-nali e lasciandosi alle spalle uno strascico di pe-doni attoniti. All’inizio Rosemary non poté fare altro che chiudere gli occhi, serrare la presa e pregare di non cadere giù. Ma procedevano con un’andatura calma e piacevole, e si accorse che il gatto le stava dicendo qualcosa. Così aprì gli occhi.

— Io... temo di non aver sentito quello che hai detto.

— Stavo dicendo — ripeté il gatto — che dovresti sempre puntare la scopa nella direzio-ne in cui vuoi andare. Conoscevo una giovane strega che una volta è stata sbalzata giù.

— Oh, cielo! — esclamò Rosemary. — E cosa fece?

— Niente. Non c’era molto da fare. La scopa se ne andò. Brutto affare che le scope scappino, in aggiunta alla spesa per comprarne una nuova e alla seccatura di doverla rodare.

Ormai Rosemary stava iniziando a diver-tirsi. Sapeva che le automobili non potevano sfrecciare a più di trenta miglia orarie, in città, e poiché superavano in continuazione qualsia-

si cosa stesse circolando sulla strada si disse: — Forse non vale per le scope delle streghe.

Fuori dal municipio un poliziotto tentò di acchiapparli, prima di capire che si trovavano a cavallo di una scopa. Quando se ne rese conto rimase talmente sbalordito che perse la concen-trazione, e l’ingorgo che si creò liberò la stra-da a Rosemary fino all’incrocio con Tottenham Grove.

Quando furono vicini al numero 10 la sco-pa ebbe l’accortezza di tener duro e mostrare quanto valeva. Si preparò a un tremendo sforzo, salì velocemente, piombò attraverso la finestra nella camera da letto e crollò a terra esausta. Rosemary si alzò sfregandosi il gomito. Poi prese di nuovo la scopa.

— Meglio nasconderla nell’armadio — disse il gatto.

— Grazie, scopa! — sussurrò lei, e la ripose in piedi in un angolo, dietro il suo giaccone in-vernale. Sentì sua madre alle prese con la mac-china da cucire, nella stanza accanto.

I libri cambiano il mondo

Casini Editore

I libri cambiano il mondo

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Casini EditoreVia del Porto fluviale, 9/A – 00154 [email protected] Finito di stampare nel mese di ottobre 2010Stampato per Casini Editore dalla Arti Grafiche la Moderna – Roma

Casini [email protected]

Carbonel è il gatto, ma è anche la storia del gatto, e di un manico di sco-pa, e di una scolaretta qualunque. Rosemary acquista la scopa e il gatto al mercato a un prezzo davvero bassissimo. Come avrete già capito, sia la scopa che il gatto non sono esattamente quel che sembrano, e rivelano la loro vera identità proprio quando Rosemary ha un bisogno disperato di qualcosa di divertente. Grazie al gatto e al manico di scopa, Rosemary imparerà incantesimi e magie che trasformeranno una noiosissima vacanza in un’indimenticabile avventura senza fine.

— Vieni, Fuffy! Adesso possiamo farci

una bella chiacchierata.

— Non se mi chiami con quel nome rivoltante. Fuffy!

— Mi dispiace tanto Fu... cioè, come devo chiamarti, allora?

— Puoi chiamarmi Carbonel. È il mio nome.

Barbara Sleigh nacque nel 1906 nel Warwickshire. Si dedicò ben presto a scrivere racconti per bambini. Ai propri figli diceva sempre che il suo interesse principale nella vita erano «i bambini e i gatti, suoi e degli altri». Carbonel fu il suo primo libro, e grazie alle strabilianti avventu-re del gatto e della bambina con la scopa da strega, fu nominato “Libro del mese” dallo «Young Elizabethan Magazine» quale «storia fantastica più bella e verosimile». Barbara morì nel 1982. Carbonel, mai.