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ALIA Antropologia di una comunità dell’entroterra siciliano A cura di Brunetto Chiarelli, Renzo Bigazzi, Luca Sineo MEDICAL BOOKS

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ALIAA n t ropologia di una comunità

d e l l’ e n t roterra siciliano

A cura di

Brunetto Chiarelli, Renzo Bigazzi, Luca Sineo

MEDICAL BOOKS

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Alia : Antropologia di una comunità dell’entroterra siciliano / a cura di BrunettoC h i a relli, Re n zo Bigazzi, Luca Si n e o. – Fi re n ze : Fi re n ze university press ; Palermo :Medical Books, 2002. – 95 p. : ill. ; 28 cm.

ISBN 88-8453-036-9ISBN 88-8034-034-4573.6 (ed. 20.)1 Antropometria – Alia 2 Alia – BiodemografiaI Titolo II Chiarelli, Brunetto

L’edizione elettronica di questa pubblicazione è disponibile su: http://epress.unifi.it

Il volume è stato pubblicato con il contributo del Comune di Alia.

Precedentemente pubblicato a stampa da Medical Books, 2002© 2002 by Firenze University Press

Firenze University PressBorgo Albizi, 2850122 FirenzeItalyhttp://e-press.unifi.itemail: [email protected]

Printed in Italy

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Presentazione, 7Brunetto Chiarelli

Capitolo 1Alia: storia di un paese, 11Guccione I.

Capitolo 2Le vittime dell’epidemia di colera del 1837: note di biologia scheletrica, 15Bigazzi R., Crisafulli R., Lazzerini L., Tartarelli G.

Capitolo 3Studio biodemografico della popolazione di Alia nel XIX secolo, 21De Iasio S., Guccione I., Tulumello S., Bigazzi R.

Capitolo 4Analisi demografica delle crisi di mortalità: l’epidemia di colera del 1837, 37Bigazzi R., Torres Joerges X., Tulumello S., De Iasio S.

Capitolo 5Alia: alcune considerazioni di antropologia molecolare, 43Vona G., Ghiani M.E., Vacca L., Mameli G.E., Succa V., Calò C.M.

Capitolo 6Studio delle immunoglobulinee delle emoglobine nella popolazione di Alia, 51Cerutti Giorza N., Rabino Massa E.

Capitolo 7Il colera e la fibrosi cistica:cosa accomuna due patologie così diverse?, 63Sineo L.

Capitolo 8Analisi genetica di popolazioni storiche:il caso di epidemia colerica ad Alia, 67Bramanti B.

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Indice

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Capitolo 9Il museo etnoantropologico di Alia, 73Cedrini R.

Capitolo 10“Le cose importanti della mia età”. Un esperimento fotograficoper la popolazione giovanile del territorio di Alia, 79Chiarelli C., Tartarelli G.

Docenti dei Campi Scuola di Alia (1996-2000), 93

Eventi correlati con le ricerche antropologiche in corso ad Alia, 95

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Sono trascorsi più di sei anni da quando il Sindaco di Alia, Gaetano D’An-drea, si mise in contatto con il Dipartimento di Biologia di Palermo chiedendola disponibilità di un esperto per un sopralluogo alla “grotta del Cimitero Vecchio”,situata appena fuori del paese.

Nella primavera del 1995, durante i lavori di risanamento del muro che nechiudeva l’ingresso, erano difatti tornati alla luce i resti scheletrici delle vittimedell’epidemia di colera del 1837, qui frettolosamente inumati.

Tramite il compianto professor Goffredo Cognetti fui personalmente interes-sato della faccenda, in quanto allora docente incaricato di Antropologia presso laFacoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali di Palermo. Inviai pertanto ungruppo di miei giovani collaboratori dell’Istituto di Antropologia di Firenze perun primo studio: Giuseppe D’Amore, Renzo Bigazzi, Giandonato Tartarelli, Lu-ca Lazzerini, Rachel Crisafulli e Francesca Iandelli, affiancati in seguito da Anto-nio Valletta, Sara Tulumello, Xaviera Torres, Iole Guccione, Angelo Piazza, Gia-coma Brancato, Barbara Bramanti, Myrta Vianello.

La prima indagine portata a termine fu quella di Rachel Crisafulli, una giova-ne italo-americana che frequentava in quel periodo il Master di Antropologia eArcheologia per la Regione Mediterranea la quale produsse un elaborato sottoforma di tesi, ora diligentemente custodito nella Biblioteca Comunale di Alia.

Da quel momento il progetto Alia si è sviluppato senza sosta, analizzando l’e-voluzione biologica della popolazione aliese mediante le metodologie di studio ti-piche di differenti discipline antropologiche quali la biologia scheletrica, la gene-tica di popolazione, la biodemografia. Assieme a studiosi dell’ Un i versità diFirenze hanno lavorato e stanno tuttora compiendo le loro ricerche esponentidelle Università di Palermo, Parma, Cagliari, Torino e Göttingen.

Le quattro edizioni del Campo Scuola di Alia, la mostra “Antropologia ad Alia”,la realizzazione del Museo Antropologico e di quello Etno-Antropologico, il rior-dino dell’Archivio Storico, il XII Congresso dell’Associazione Antropologica Ita-liana, i cicli di conferenze e un concorso fotografico, sono solo alcuni degli even-ti che hanno visto Alia al centro dell’ i n t e resse antropologico nazionale edinternazionale. Momenti in cui il paese è stato felicemente “invaso” da giovanistudenti ed affermati ricercatori, italiani e stranieri, in cui tra la popolazione e gliospiti si è creato un legame umano che spero rimanga a lungo impresso nel ri-cordo di tutti.

A tal proposito vorrei esprimere un apprezzamento particolare e personale aTanino D’Andrea, artefice dell’attuale trasformazione di Alia. Da piccolo centroagricolo delle Madonie con forte tendenza emigratoria negli anni del suo man-dato, Alia è diventata “città giardino”. Anche il viandante più distratto che tran-sita sull’antica strada che da Palermo conduce a Catania, passando per il bivio che

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Presentazione

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si inerpica verso Alia se ne rende conto. L’accesso alla strada è curato con pianteda giardino che destano interesse anche al turista più sbadato. Cura di insiemi edi particolari che si apprezza ancor più all’interno dell’abitato, in cui il contrastoarchitettonico fra i palazzi residenziali pre-bellici e le costruzioni abitative post-belliche viene smorzato da angoli con giardini pubblici e piccoli monumenti.Una tendenza all’ordine e alla cura non sempre presenti in altri contesti urbanisiciliani o anche nazionali. In questi anni Alia si è anche dotata di una piscina co-perta e di un eliporto, attrezzature di tutto rispetto per una cittadina nelle Ma-donie a 70 km da Palermo.

La recente gestione comunale ha inoltre incentivato il turismo, con la crea-zione di case-albergo e l’attivazione di agriturismi, con la valorizzazione dell’arti-gianato (i meravigliosi ricami) e dei prodotti locali. Importante è poi l’attivitàculturale promossa ad Alia e l’incentivazione del turismo congressuale, il tuttoc o r redato da un’attività editoriale di tutto rispetto, frutto anche della passataesperienza giornalistica di Tanino D’Andrea. Alcuni dei titoli pubblicati con gliauspici del Municipio di Alia sono il volume di Liborio Guccione “Giorni vissu-ti come fossero anni”, “Gioie e lacrime: il Brigantaggio in Sicilia” di Lucio Dra-go Salemi, “Con la patria nel cuore” di Matteo Teresi; letture queste che permet-tono di addentrarsi nell’animo degli Aliesi e nella profondità dei sentimenti delpopolo siciliano. Questa, unitamente a pubblicazioni sulla storia di Alia e dei suoiresti archeologici, nonché alla promozione di concorsi letterari, hanno fatto diAlia un centro di attrazione culturale di rilievo a livello regionale e internaziona-le. L’amministazione comunale non ha infatti trascurato gli Aliesi emigrati inpaesi diversi (Stati Uniti e Nord Europa); una fitta rete di contatti lega Alia ai suoifigli migrati per necessità in terre lontane.

Nel chiudere questa presentazione voglio sottolineare la collaborazione, oltreche dell’amministrazione tutta e di Don Antonino Di Sclafani, dei signori Gioiadi Fontanamurata, della contessa Stella Maurigi e dei signori Rinchiuso dell’A-griturismo Villa Dafne, che con il loro gentile sostegno hanno facilitato moltevolte il nostro stare ad Alia e ai quali va la nostra gratitudine. Desidero inoltre rin-graziare Daniela Carrillo per il fattivo contributo alla revisione di questo volume.Niente di questo e di altre cose antropologiche sarebbe stato possibile fare senzal’acuto, accorto e silenzioso aiuto del compianto collega Goffredo Cognetti e al-l’entusiasmo e alla disponibilità di Nino Cardella. Alla memoria di entrambi, conil consenso dei contributori, dedico questo volume, la cui realizzazione vuole es-sere principalmente un ringraziamento a tutta la gente di Alia da parte di coloroche per più tempo hanno avuto la fortuna di lavorarvi accanto.

BRUNETTO CHIARELLI

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Dedica di B. Chiarellia Tanino D’Andrea

e alla popolazione di Alia

Un sindaco come Tanino D’Andrea, Alia avrebbe dovuto inventarlo se non fosseesistito realmente! Da piccolo centro agricolo delle Madonie con forte tendenza emi -gratoria negli anni del suo mandato, Alia è divenuta “città giardino”. Anche il vian -dante più distratto che transita sull’antica strada che da Palermo conduce a Catania,t ransitando per il bivio che si inerpica verso Alia se ne rende conto. L’accesso alla stra -da è curato con piante da giardino che destano interesse anche al turista in tra n s i t o.Cu ra di insiemi e di particolari che si apprezza ancor più addentrandosi all’ i n t e rn od e l l’abitato il cui contrasto architettonico fra i palazzi residenziali pre-bellici e le co -s t ruzioni abitative post-belliche viene smorzato da angoli con giardini pubblici epiccoli monumenti. Una tendenza all’ o rdine e alla cura non sempre presenti in altricontesti urbani siciliani o anche nazionali. In questi anni Alia si è anche dotata diuna piscina coperta e di un eliport o, attre z z a t u re di tutto rispetto per una cittadinaa 70 km da Pa l e rm o.

Ma la gestione di Tanino D’ An d rea non si è limitata alla valorizzazione abi -t a t i va della città con l’ i n c e n t i vazione di case-albergo, dell’ a rtigianato locale, con lavalorizzazione dei prodotti locali e l’ a t t i vazione di agriturismi; importante è l’ a t t i -vità culturale e l’ i n c e n t i vazione del turismo congressuale, il tutto corredato da un’ a t -tività di stimolazione editoriale di tutto rispetto, frutto anche della sua passata espe -rienza giorn a l i s t i c a . Alcuni dei titoli pubblicati con gli auspici del Municipio diAlia sono il volume di Liborio Guccione “Gi o rni vissuti come fossero anni”, “Gi o i ee lacrime: il Brigantaggio in Si c i l i a” di Lucio Drago Salemi, “Con la patria nel cuo -re” di Matteo Te resi; letture queste che permettono di addentrarsi nell’animo degliAliesi e nella profondità dei sentimenti del popolo siciliano. Questa, unitamente apubblicazioni sulla storia di Alia e dei suoi resti archeologici, nonché alla pro m o -zione di concorsi letterari, hanno fatto di Alia un centro di attrazione culturale dir i l i e vo a livello regionale e intern a z i o n a l e . Tanino D’ An d rea infatti non ha tra s c u -rato gli Aliesi emigrati in paesi diversi (Stati Uniti e No rd Eu ropa); una fitta re t edi contatti lega Alia ai suoi figli migrati per necessità in terre lontane; e questo èquanto dovuto a Tanino D’ An d re a .

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Alia è un paese rurale di circa 4000 abitanti, si-tuato sulle pendici occidentali delle Madonie a circ a700m sul livello del mare. La sua superficie, che hau n’estensione di 45,67 Kmq, confina con i comunidi Roccapalumba, Mo n t e m a g g i o re, Valledolmo eC a s t ro n ovo. L’insediamento viene citato sin dal 117d.C. ma comincia ad essumere dimensioni di abita-to solo alla fine del 1200. Nel 1366 il feudo dive n n ep roprietà di Rainaldo Cr i s p o. Tornò ad essere consi-derato come casale all’inizio del secolo XVI, sempresotto il protettorato della famiglia Cr i s p o. Solo nel1600, si consolidò un ve ro e proprio abitato.

A questo periodo si fanno risalire le origini so-cio-economiche del paese quando Pietro Celestri,barone e marchese di Santa Croce, figlio di GiovanBattista XIII, supremo reggente del Consiglio d’I-talia a Madrid, ebbe in dote il feudo di Lalia per-ché sposò la “nobile donzella” Francesca CifuentesImbarbara. La famiglia Imbarbara, molto influen-te anche nel resto della Sicilia, lasciò un segno sul-le terre di Lalia che, per tutta una serie di matri-moni e di discendenze, re s t a rono sotto la loroamministrazione per parecchi anni).

Nel 1617 donna Francesca, rimasta ve d ova ,prese l’investitura del feudo e, nel 1623, a cinqueanni dalla morte del marito, ottenne il regio per-messo (dal Re Filippo III) di poter fabbricare ilpaese che fu costruito e popolato dai marchesi diSanta Croce.

Il paese, per circa due mesi, rimase sotto la giu-risdizione di baroni e marchesi che, essendo titola-ri del feudo in cui furono costruite le prime case,erano riconosciuti “signori” del borgo e, in quantotali, esercitavano il loro potere sugli abitanti e suiforestieri che vi si trovassero di passaggio.

Il comune prese il nome di Feudo di Lalia, mapresto cominciò ad imporsi nell’uso corrente la de-nominazione di “Terra dell’ A l i a” per indicare inmaniera specifica il centro abitato. In seguito, tale

denominazione prevalse in maniera definitiva fin-chè rimase la forma più semplice di “Alia” o “Co-mune di Alia”. La locuzione originaria ha avuto econtinua ad avere maggiore resistenza nella parla-ta dialettale del luogo e dei centri vicini.

Lalia sicuramente non nacque sotto buoni au-spici: la peste si era diffusa da Tunisi a Trapani at-traverso un veliero con a bordo alcuni contagiati,si era propagata nella Val di Mazara e aveva co-minciato a colpire Palermo. Nell’estate del 1624 lasituazione era estremamente grave. L’epidemia sidiffuse subito a Misilmeri e così via fino a rag-g i u n g e re i paesi intorno al feudo di Lalia. Gr a-dualmente la peste si esaurì e, solo nel 1627, ven-nero chiusi ufficialmente i lazzaretti.

Nei primi decenni, dunque, la situazione eco-nomica non fu molto florida, pur tuttavia non esi-stevano casi di estrema miseria. I fondatori, alloscopo di incrementare la colonizzazione, fecero ditutto per mettere gli immigrati nelle condizioni disfamarsi e di conserva re qualcosa per affro n t a reeventuali periodi difficili.

L’economia di Alia era prevalentemente agrico-la, venivano coltivati grano, mandorli e viti, maanche cereali e legumi; estesi appezzamenti di ter-reni dei vari latifondi vicini venivano utilizzati apascolo. L’allevamento portò una discreta produ-zione casearia malgrado non vi fossero dei veri epropri caseifici. Oltre all’allevamento dei bovini,equini ed ovini, era da tempo conosciuta, anche sein proporzioni limitate, l’apicoltura. Infatti nellecampagne si trovano molti piccoli alveari, con fi-scelli preadamitici: uno splendido alveare fu im-piantato, un tempo, dal cav. Guccione Gioacchinoin Porcheria, una delle più belle tenute della sua vi-stosa proprietà terriera.

Il commercio, basato dunque sul grano e so-prattutto sul formaggio, era controllato dai grossiproprietari, che ne decidevano la destinazione e i

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Capitolo 1

ALIA: STORIA DI UN PAESEGUCCIONE I.

Laboratori di Antropologia, Dip. Biologia Animale e Genetica,Università degli studi di Firenze

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prezzi; il resto della popolazione viveva in condi-zioni di miseria.

La religione ebbe un ruolo fondamentale nellaformazione di una prima coscienza comunitariatra gli originari abitanti. Un aspetto che, durante isecoli XVII e XVIII, risultò rilevante per la na-scente vita comunale di Alia, fu che i sacerdoti, ol-tre al loro principale compito spirituale, svolgeva-no un vero e proprio servizio burocratico e socialea favo re del borgo: le registrazioni di battesimi,matrimoni, morti.

Me n t re in Francia, dopo la Rivoluzione del1789, si assisteva allo spez zettamento delle pro-prietà nobiliari ed ecclesiastiche con il declino delregime feudale e all’incremento della piccola pro-prietà contadina, in Sicilia tutto rimaneva immu-tato. Le sorti della Sicilia erano sempre nelle manidell’aristocrazia terriera, ossia dei baroni e dei mar-chesi, i quali possedevano immense distese di ter-reno e godevano di ogni tipo di privilegio.

La terra dell’Alia conobbe inoltre il tipico feno-meno dei “gabellotti” che fu comune in Sicilia aquasi tutti i paesi feudali. Negli ultimi tempi, an-che i baroni del luogo preferirono la vita di città aquella monotona e disagiata dei latifondi.

Le terre vennero, quindi, affittate mediante ga-belle ad imprenditori che, subaffittandole a conta-dini, ricavarono grossi guadagni: ai baroni davanopoco e dai contadini pretendevano molto. Questiultimi vive vano miseramente guadagnando, congrossi sacrifici, quel minimo indispensabile per so-pravvivere. Naturalmente il canone era fisso e nonin rapporto alla produzione dell’annata; per cui,spesso, erano costretti a chiedere dei prestiti adusurai o agli stessi gabellotti.

Il passaggio da terra dell’Alia a comune di Alia e,cioè, da paese feudale a paese demaniale, non cam-biò la situazione per la maggior parte degli aliesi.

Coloro che occupavano la posizione sociale edeconomica più agiata presero il posto della nobiltàcontrollando l’economia del paese: era il cosiddet-to ceto dei “borgesi” che rappre s e n t a va la classemedia del paese; accanto a questi ultimi comincia-vano ad emergere gli artigiani, che dive n t a ro n osempre più numerosi. In aumento erano anche i“letterati” (Guccione E., 1991), anche se il nume-ro rimase sempre ristretto, ai quali si possono as-s o c i a re i preti che appart e n e vano anch’essi alleclassi più abbienti, così come i “g a l a n t u o m i n i”(“notabili” ed impiegati municipali).

I contadini, che costituivano la maggioranzadella popolazione nella classe sociale inferiore, era-

no malnutriti e denutriti e vivevano in piccoli ter-reni in subaffitto.

Al di sotto di tutti esisteva un ceto senza nomeche veniva chiamato “dei miserabili”; praticavanoi lavori più umili, vivevano in condizioni igienico- sanitarie pessime e ciò li esponeva spesso a note-voli rischi di infezione.

Anche in questo estremo lembo d’Italia, dovenon giungevano emissari rivoluzionari, per la di-stanza della capitale dell’isola e per le vie allorainaccessibili e pericolose, covava l’odio contro ladominazione borbonica e si cospirava segretamen-te per abbatterla.

“ L’ i n s u r rezione della plebe, ispirata alle ideedell’89, era intesa come guerra di sterminio controi cosidetti “galantuomini”, perciò, nei piccoli co-muni, come Alia, degenerò in rivolta contro lepersone” (Cardinale C.L., 1995). Nel 1820 fu as-salita la casa del giudice distrettuale e, con un in-cendio, venne distrutto quasi totalmente l’archiviocomunale cancellando così una preziosa docu-mentazione sul passato della comunità; nel 1837,Alia fu colpita dall’epidemia di “cholera morbus”(che, per la provenienza venne chiamato “c o l e r aasiatico”) provocando centinaia di vittime. Da lu-glio a novembre si contarono più di trecento mor-ti (Re g i s t ro defunti 1837) e alcune famiglie siestinsero completamente.

Alia, come quasi tutti i comuni della Sicilia, nonera in grado di affro n t a re adeguatamente un’ e p i d e-mia di quella gravità. Non esistevano fognature, re-te idrica, strade e quegli accorgimenti necessari perb l o c c a re o ridurre le conseguenze dell’ e p i d e m i a .Per l’occasione, fu utilizzata come fossa comuneuna grotta naturale che gli aliesi, in rispetto ai de-funti, denominarono “c a m p o s a n t o” e che, in segui-to, per distinguerlo dal cimitero in contrada “Sa n-t u z z i”, lo chiamarono e continuano a chiamarlo“camposanto ve c c h i o”; “m e n t re il colera imperve r-s a va tremendamente, mietendo centinaia di vitti-me, con la scusa di inve i re contro coloro che l’ i-gnorante plebaglia cre d e va autori del fatale morboasiatico, armata questa di pietre, di randelli e di fu-cili, fece scempio di parecchi innocui concittadinie funzionari dello St a t o” (Cardinale C.L., 1995).

I moti del 1848, scoppiati a Palermo il 12 gen-naio, contagiarono molti comuni della Sicilia e an-che il popolo aliese insorse bruciando le carte del-la polizia e della giustizia e mettendo in fuga ipochi agenti borbonici che si trovavano in paese.

“Alla vigilia del passaggio dai Borboni ai Sa vo i aa v venuto, come è noto, dopo la discesa dei Mi l l e*,

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con il plebiscito del 21 Ot t o b re 1860, tramite ilquale i sudditi del Regno delle due Sicilie espre s s e rola volontà di annessione al Regno di Vittorio Em a-nuele, le condizioni di Alia erano quelle di un tipicopaese rurale medioevale, in cui mancavano ancora inecessari servizi pubblici quali le fognature, la con-duttura dell’acqua potabile, strade interne accessibi-li, vie esterne di collegamento con le arterie princi-pali, scuole pubbliche idonee a dare una cultura ou n’ i s t ruzione professionale ai molti giovani, un col-legio per le ragazze” (Guccione E., 1991). Tale si-tuazione si protrasse per buona parte del XX secolo.

Tra gli antichi casali di Alia, riveste notevo l eimportanza il Casale della Gurfa dove sono situatele omonime grotte. A circa 5Km dal centro abita-to ci si trova dinanzi ad un vero e proprio monu-mento di architettura ru p e s t re, le Grotte dellaGurfa, nome che in arabo significa “camera sotter-ranea scavata nella roccia”. Sia per la loro posizio-ne strategica che per la fertilità e abbondanza disorgenti d’acqua delle zone circostanti, sono statedi grande attrattiva in tutti i tempi. Nei loro pres-si si sono rinvenute monete del periodo romano,bizantino e spagnolo. Non sembrano esserv i c itracce di iscrizioni, né all’esterno né all’interno. Ivecchi narrano che un tempo si vedevano sul fron-tespizio dei geroglifici indecifrabili dei quali ogginon rimane più nulla. In realtà, uno sguardo piùapprofondito rivela la presenza di alcuni segni ille-gibili, corrosi dalle piogge. Essi si trovano in corri-spondenza delle aperture dall’esterno verso la scu-deria e verso il tempio; al di sotto di questi segni silegge la seguente dicitura: 1767 usque 1775 e poiin un altro punto il numero 1740, nelle quali epo-che si crede siano stati costruiti il caseggiato e lachiesetta tra le cui macerie è stato trovato un fon-te in marmo per l’acqua benedetta datato 1741.

“Le monete di conio romano, greco e dei tem-pi di Carlo V (1557) e di Filippo II (1568) en-trambi “Rex Siciliae”, i diversi oggetti come il piat-to, l’anello, la scimitarra, il cimelio e i sepolcretiche si sono rinvenuti e che continuano a trovarsi inquei dintorni e che, a quanto pare risalgono adepoche diverse e lontane le une dalle altre, nondanno alcuna indicazione precisa sull’origine del-l’antichità di tali grotte” (Cardinale C.L., 1995).

Lo storico castronovese L. Tirrito (1873) credeche risalgano all’epoca delle abitazioni trogloditi-che e che poi, dopo il decreto di espulsione gene-rale degli Arabi dalla Sicilia, fossero state occupatedai Saraceni, i quali ne fecero il centro del casaledella Gurfa.

“Altri credono, partendo dal concetto che i tro-gloditi (essendo popolo primitivo e perciò man-cante delle più elementari cognizioni di architet-tura e avendo l’abitudine di scavare i sotterraneiper sfuggire agli ardori del clima) non potevano es-sere assolutamente capaci ed avere tempo di co-struire un’abitazione come quella, che è un mira-bile monumento di architettura, che le grotte indiscorso rimontino a sei settecento anni prima diCristo, quando i Raseni soggiogarono una partedei Pelasgi e costrinsero gli altri a ritirarsi nella Tri-nacria, dove cercarono di nascondersi e di fortifi-carsi” (Cardinale C.L., 1995). Durante il Conve-gno di studi storico – archeologici sulle Gro t t edella Gu rfa tenutosi nel dicembre del 1995 adAlia, è stata comunicata la scoperta di una iscrizio-ne fenicia su una delle loro pareti. Nonostante tut-to, purtroppo, non si sa con certezza quale sia laloro origine e quale sia stata la loro funzione e, acausa degli inevitabili effetti del tempo, non è pos-sibile riconoscere i “segni” del passato.

La presenza di numerose documentazioni, il ri-trovamento in una grotta naturale di reperti osseidi oltre trecento individui, vittime dell’epidemiadi colera del 1837, la presenza di un archivio distato civile completo e di uno parrocchiale, ha da-to il via ad una serie di ricerche nel campo delleScienze Antropologiche.

Il progetto è nato nell’estate del 1996 e coin-volge le Università di Firenze, Palermo e Parma. Alprimo camposcuola di Antropologia per lo studiodei reperti ossei ne hanno fatto seguito altri tre fi-nalizzati ad uno studio di Genetica di popolazioni,Biologia Scheletrica e Biodemografia sulla popola-zione aliese.

BibliografiaAA.VV.,1995. La Gurfa e il Mediterraneo. Comune di Alia.Cardinale C.L., 1995. Alia, monografia in: Dizionario illu-

strato dei Comuni Siciliani a cura di F. Nicotra. Comu-ne di Alia, Palermo.

Guccione E., 1991. Storia di Alia 1615-1860. Sa l va t o reSciascia, Palermo.

Tirrito L., 1873. Sulla città e comarca di Castronovo di Si-cilia, ricerche storiche, topografiche, statistiche ed eco-nomiche. Tipografia Priulla, Palermo.

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* Garibaldi, accompagnato da circa mille uomini, sbarcò a Marsalal’11 maggio 1860 con l’intento di annettere la Sicilia all’Italia. Il 2agosto 1862 giungeva ad Alia che, esultante, lo accoglieva festosa-mente. Pernottò in casa di Don Matteo Guccione e infatti sulla fac-ciata del palazzo di quest’ultimo, in ricordo di tale avvenimento,venne apposta una lapide (Cardinale C.L., 1995).

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Nella primavera del 1995, in seguito ai lavori diconsolidamento del muro eretto a chiusura di unriparo sotto roccia poco distante dal centro abita-to di Alia – conosciuto come Camposanto Vecchio(fig. 1) – è tornata completamente alla luce un’in-gente quantità di ossa umane (fig. 2).

Lo studio di documenti storico-archivistici re-periti in loco ha permesso di collegare i resti sche-letrici ai defunti dell’epidemia di colera che – do-po aver investito gran parte del continente euro p e oa part i re dal 1835 – raggiunse anche la Sicilia e, perquanto ci attiene, l’abitato di Alia nel luglio del1837. Uno dei prov vedimenti emanati dalle auto-rità per limitare il pericolo del contagio fu infatti dip rov ve d e re alla sepoltura dei morti – inve ro getta-ti in una sorta di fossa comune – in una zona ab-bastanza lontana e insieme facilmente raggiungibi-le dal paese.

Il lungo ricove ro in un ambiente con notevo l iinfiltrazioni d’acqua, la frequentazione sporadicada parte di animali, l’occasionale ingresso nelcorso degli anni di giovani aliesi in cerca di un“r i c o rd o” dei propri antenati, la rimozione delleossa da parte di personale non specializzato, ha

p u rt roppo causato la perdita di ogni connessioneanatomica.

Il materiale scheletrico, raccolto in 29 grandisacchi, era frammisto a terra e calce – versata suic a d a veri probabilmente allo scopo di arginare ilpropagarsi del morbo.

Dopo un sopralluogo preliminare si è dato ini-zio allo studio dei reperti, che ha comportato unaprima fase di ripulitura delle ossa, un parziale re-s t a u ro e una successiva suddivisione delle stesseper distretti scheletrici.

2.1. Calcolo del numero minimo di individui

Le prime informazioni ottenute sono quelle re-lative alla consistenza numerica del campione, ri-levata tramite il conteggio del numero minimo diindividui presenti (tab. I). Per fare ciò sono staticonsiderati i distretti scheletrici maggiormenterappresentati – calvari, mandibole, femori e tibie.

I dati ottenuti sono peraltro concordi con il nu-m e ro effettivo ricavato dal re g i s t ro parro c c h i a l edei defunti dell’anno 1837, il quale elenca 306morti causati dall’epidemia.

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Capitolo 2

LE VITTIME DELL’EPIDEMIA DI COLERA DEL 1837:NOTE DI BIOLOGIA SCHELETRICA

BIGAZZI R., CRISAFULLI R., LAZZERINI L., TARTARELLI G.Laboratori di Antropologia. Dipartimento di Biologia Animale e Genetica

Università degli Studi di Firenze

E-mail: [email protected]

Distretto Classe di età N° minimo

Adulti 220 (occipitale)

Calvari Bambini 52 (frontale)

Totale 272

Adulti 250

Mandibole Bambini 46

Totale 296

Femori Adulti 253 (lato destro)

Tibie Adulti 264 (lato destro)

Tab. I – Calcolo del numero minimo di individui presenti nel campione

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2.2. Analisi morfometrica dei crani

Uno studio a livello individuale è stato possibi-le soltanto attraverso l’analisi dei 119 calvari integridisponibili, sui quali sono state effettuate undicim i s u re necessarie al calcolo dei principali indici e diquelli che, in base alle nostre prime impressioni, sir i t e n e vano più indicativi per il campione in studio.

Le misure, eseguite seguendo le indicazioni for-nite da Martin e Saller (1959), sono le seguenti:

1 - Lu n g h ezza massima del cranio (Glabella -Opistocranion)

5 - Lu n g h ezza della base cranica (Nasion - Ba s i o n )8 - L a r g h ezza massima del cranio (Eurion - Eu r i o n )17 - Altezza del cranio (Basion - Bregma)20 - A l t ezza “a u r i c o l a re” del cranio (Porion -

Bregma)40 - Lunghezza della faccia (Basion - Prostion)45 - Larghezza della faccia (Zighion - Zighion)48 - Altezza della faccia (Nasion - Prostion)49a - Distanza interorbitale (Dacrion - Dacrion)60 - Lunghezza del palato (Prostion - Alveolare)61 - Larghezza del palato (Ectomolare - Ectomo-

lare)

Da queste sono stati derivati i seguenti indici:

Indice cranico orizzontale (8/1) – descrive laforma del cranio visto superiormente

Indice vertico - longitudinale (17/1) – descrivela forma del cranio visto lateralmente

Indice vertico - trasversale (17/8) – descrive laforma del cranio visto posteriormente

Indice vertico - longitudinale auricolare (20/1) Indice vertico - trasversale auricolare (20/8)Indice facciale superiore (48/45) – descrive la

forma della faccia

Indice alve o l a re (40/5) – descrive il grado diprognatismo

Indice cranio - facciale longitudinale (40/1) Indice cranio - facciale trasversale (45/8) Indice alveolare - mascellare (61/60) – descrive

la forma del palato

In base agli standards proposti da Ma rtin e Sa l-ler (1959), gli individui riesumati dal CamposantoVecchio di Alia, risultano nel complesso: Do l i c o c ra -n i (cranio lungo e stretto visto superiormente), Or -t o c rani (cranio, visto lateralmente, in cui il rappor-to fra altezza e lunghezza è medio) e Ac ro c ra n i(cranio alto e stretto visto posteriormente) (Me t r i o -c ra n i in base all’indice ve rt i c o - t r a s versale auricola-re). Si riscontra poi una generalizzata Me s e n i a ( f a c-cia mediamente alta e larga), rivelata dai va l o r iottenuti calcolando l’indice facciale superiore. Il pa-lato risulta in media piuttosto largo rispetto allal u n g h ezza (Bra c h i u ra n i a), anche se è presente unac e rta variabilità. In base all’ Indice Gnatico (40/5) isoggetti in esame appaiono per lo più Ort o g n a t i ( p a-lato “p i a t t o” in relazione alla faccia) e Me s o g n a t i(con valori medi).

2.3. Stima dell’età di morte

La mancanza di connessioni anatomiche ha re s oimpossibile l’applicazione integrale dei metodicombinati, multifattoriali, per la determinazioned e l l’età di morte (Açsàdi e Nemeskéri, 1970; Lo-ve j oy et al., 1985). Necessariamente, quindi, si è do-vuto ricorre re, rinunciando ad una diagnosi accura-ta, a metodi meno raffinati. Abbiamo concentratola nostra attenzione sullo studio dei calvari corre-lando l’età di morte al grado di s i n o s t o s i (di chiusu-ra) delle suture craniche, secondo la metodica pro-

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Fig. 1 - Grotta del “Camposanto Vecchio”. Fig. 2 - Recupero di due crani all’interno della grotta.

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posta da Love j oy et al. (1985), e al grado di u s u rad e n t a r i a r i c a vata secondo il metodo di Mu r p h y, co-sì come standardizzato da Smith (1984).

Un’indagine più accurata è stata eseguita suisoggetti giovanili, sfruttando lo schema propostoda Ubelaker (1978), che deriva l’età di morte dalgrado di eruzione dentaria.

Il risultato di quest’indagine permette di con-frontare il grado di rappresentazione delle diverseclassi di età nel nostro campione. Il confronto conil risultato dell’analisi demografica, effettuata suiregistri dei defunti (parrocchiali e civili), porta adidentificare il campione dei calvari a nostra dispo-sizione come altamente rappresentativo della po-polazione deceduta durante l’epidemia di coleradel 1837, tenendo presente la maggiore difficoltàdi reperimento e di studio delle porzioni ossee ap-partenenti al campione sub-adulto.

2.4. Stima del sesso

Per la determinazione del sesso ci siamo avvalsidel metodo combinato di Açsàdi e Ne m e s k é r i(1970) così come applicabile limitatamente ai cal-vari. Le caratteristiche particolari del campionehanno poi indotto ad ipotizzare una rivalutazionedei valori (Crisafulli, 1996) che, nel calcolo com-binato, determinano l’importanza di ciascun trat-to morfologico. Sono stati infine calcolati i gradi

di sessualizzazione anche in base alla revisione for-mulata da Ferembach (1979).

I risultati ottenuti con questi tre procedimentinon presentano sostanziali differe n ze, come evi-denziato dalla tabella II.

2.5. Caratteri epigenetici del cranio

Lo studio dei caratteri discontinui si è rivelatoessere metodica particolarmente utile per la ricer-ca delle distanze biologiche tra popolazioni, inquanto scarsamente influenzati dall’ambiente.

Nel campione scheletrico di Alia, l’analisi deitratti epigenetici è stata effettuata seguendo il pro-tocollo proposto da Berry e Berry (1967) che pre-vede il rilievo della presenza o assenza di trenta ca-ratteri morfologici del cranio (tab. III).

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Tab. II – Confronto tra differenti metodi per lastima del sesso nel nostro campione

Metodi Maschi Femmine Indeter-minati

Açsadi-Nemeskéri (1970) 45 29 37

Ferembach (1979) 47 30 34

Revisione su Alia 47 27 37

1 Linea nucale suprema presente

2 Ossicino al lamdba

3 Ossicino lambdoideo presente

4 Foro parietale assente

5 Osso al bregma presente

6 Metopismo

7 Ossicino coronale presente

8 Osso epiterico presente

9 Pterion a X o a K

10 Osso incisura parieto-temporale

11 Ossicino all’asterion

12 Toro auditivo presente

13 Foro di Huschke presente

14 Foro mastoideo assente

15 Foro mastoideo extrasuturale

16 Canale postcondilare evidente

17 Faccetta condilare doppia

18 Tubercolo precondilare

19 Canale ipoglosso diviso (doppio)

20 Foro ovale incompleto

21 Foro spinoso aperto

22 Fori palatini minori multipli

23 Toro palatino sagittale

24 Toro mascellare

25 Foro zigo-facciale assente

26 Foro sopraorbitario completo

27 Foro frontale (incisura)

28 Foro etmoidale anteriore extrasuturale

29 Foro etmoidale posteriore assente

30 Foro infraorbitario accessorio presente

Tab. III - Caratteri morfologici del cranio (Berry e Berry, 1967)

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I dati ottenuti sono quindi stati confrontati conquelli di popolazioni coeve di differente prove n i e n-za geografica, italiane (s i racusana, emiliana, tosca -na, piemontese, ligure, lombard a) e straniere (p e ru -v i a n a), al fine di determinare la loro maggiore om i n o re “affinità genetica” con il campione di Alia.

I campioni di confronto provengono tutti dal-le collezioni osteologie del “ Museo Nazionale diAntropologia e Etnologia” di Firenze.

I risultati dell’analisi statistica dei C l u s t e r s(UPGMA) effettuato sulla matrice di distanza(CHI quadro) è sintetizzata nel d e n d ro g ra m m adella figura 3.

Due particolari caratteri non appartenenti all’ e-lenco precedente, quali il t u b e rcolo zigo-mascellare ela c resta del processo mastoideo del tempora l e, anche senon utilizzati nel confronto con le altre popolazio-ni, si sono rivelati particolarmente frequenti in que-sta serie scheletrica e spesso presenti anche con unm a rcato grado di espre s s i o n e .

2. 6. Studio odontologico

C e rc a re di ottenere informazioni re l a t i ve alleabitudini alimentari e all’igiene orale dall’ a n a l i s iantropologica e patologica delle strutture residuedell’apparato stomatognatico è una pratica diffusanegli studi dei resti umani, così come si ritrovanoin contesti archeologici.

Spesso, tuttavia, manca un riscontro oggettivotra i dati rilevati e quelli proveniente da altre fon-

ti. Ciò porta, seguendo un percorso obbligato, adipotizzare la causa dall’effetto. Disponendo, comenel nostro caso, di fonti storiche accurate relativea l l’economia del territorio, possiamo viceve r s aavere come punto di partenza un quadro qualitati-vo della dieta della popolazione.

L’economia di Alia nella prima metà dell’otto-cento era ancora di semplice sussistenza e basata suagricoltura e pastorizia condotte con mezzi rudi-mentali. Il riflesso di quest’economia sull’alimen-tazione era una dieta povera e sbilanciata. Le fonticaloriche principali erano rappresentate da cereali(soprattutto grano, nelle diverse varietà, ed orzo) elegumi, consumati anche sotto forma di “sfarina-ti”, possibilmente integrati con uova e latticini.

Fra le poche fonti alimentari esterne alla pro-duzione locale merita citare le acciughe conservate

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Fig. 3 - Diagramma che illustra l’affinità genetica della popolazione aliese con differenti gruppi geografici

Fig. 4 - Esempio di “ipoplasia dello smalto” con i denti sol-cati dalle tipiche striature.

Dendrogram

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sotto sale, se non altro per il fatto che nei ceti me-no abbienti spesso rappresentavano, con le olive insalamoia e le cipolle, l’unica forma di “companati-co”. Molto sporadico e non in tutta la popolazio-ne era il consumo di carne.

Per quanto riguarda l’ a p p o rto di carboidratisemplici, esso era limitato al consumo di frutta sta-gionale spontanea, quali ad esempio fichi d’india enon, ciliegie, more, gelsi. Questa frutta poteva es-s e re naturalmente conservata e consumata sottoforma di marmellate e composte.

Lo studio del materiale scheletrico ha eviden-ziato un’incidenza delle diverse patologie orali so-lo parzialmente allineabile alle conoscenze storichesulle abitudini alimentari sopra citate. Po s s i a m odifatti notare come la frequenza di carie, ascessi,parodontosi e perdite intra vitam, siano superiori aquelle che ragionevolmente potremmo attenderci.Una parziale spiegazione di tale discrepanza puòessere attribuita ad un’insufficiente igiene orale e apossibili disturbi dell’odontogenesi, conseguenzadi condizioni di vita piuttosto depresse e di unadieta sensibilmente sbilanciata.

Per quanto riguarda le patologie dentali – carie,ascessi, parodontosi, tartaro, perdita ante-mortem –

sono state riscontrate frequenze superiori a quelleattese in base alle notizie storiche sul tipo di ali-mentazione, attribuibili con ogni probabilità aduno scarso livello d’igiene orale.

L’alta presenza di ipoplasia dello smalto (fig. 4) –diminuzione dello spessore dello smalto dentariod ovuta ad un disturbo nell’amelogenesi – che col-pisce l’83,9% del campione, dà un’indicazione dellap robabile alta incidenza di patologie verificatesi du-rante l’infanzia, quali le ipovitaminosi A e D – con-seguenza di forti care n ze alimentari – il diabete ma-terno, l’asfissia e l’ i t t e ro neonatale, le gastroenteriti.

Il quadro che emerge è coerente con quello ri-scontrato in altre popolazione ad economia preva-lentemente agro-pastorale di semplice sussistenza.

2.7. Studio paleopatologico

Durante la suddivisione, il materiale osseo chepresentava segni evidenti di patologie è stato sepa-rato e classificato a parte.

Da uno studio pre l i m i n a re dello scheletropost-craniale è emersa la presenza di i n d i c a t o r is c h e l e t r i c i di numerose patologie di diversa natu-ra. Il rilievo di un’ a p p rezzabile incidenza di trau-

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Fig. 5 - Frattura scomposta di ulna e radio Fig. 6 - Tracce di malattia infettiva (sifilide?) sull’osso fro n t a l e .

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mi (fig. 5) e di alterazioni delle articolazioni, inp a rticolar modo a livello della colonna ve rt e b r a-le, sono in buon accordo con il tipo di vita di unapopolazione rurale come quella aliese del XIX se-colo, che esercita attività richiedenti un intensol a vo ro fisico.

Lo stesso dicasi per la frequenza di lesioni in-fiammatorie causate da patologie infettive ascrivi -bili ai batteri più comuni, quali osteoperiostiti dellatibia (20,5 %) e della fibula. Un caso a parte risul-ta essere quello testimoniato da un cranio (fig. 6),il cui aspetto morfologico mostra ampie zone di“erosione” e “proliferazione” ossea (manifestazionio s t e o r i d u t t i ve e o s t e o p ro d u t t i ve) concordi con la pre-senza di una specifica patologia infettiva quale la s i -filide. La mancanza di ossa del post-cranio, sicura-mente attribuibili allo stesso soggetto e con lemedesime caratteristiche, priva purtroppo la dia-gnosi di un importante riscontro.

La massiccia incidenza di “c r i b ra orbitalia”(23,7%) e di “iperostosi porotica” (10,2%) – lesio-ni riscontrabili rispettivamente sul tetto delle orbi-te e sul tavolato della volta cranica – testimonia in-fine una presenza diffusa di stati anemici,spiegabile sia con un’alimentazione povera di ferroche con la probabile presenza della talassemia.

Bibliografia

Acsadi G., Nemeskery J., 1970. History of human life span andmortality. Akadémiai Kiadò, Budapest

Berry A.C., Berry R.J., 1967. Epigenetic variation in the hu-man cranium. Journal of Anatomy, 101: 361-379

Crisafulli R., 1996. A Cholera Outbreak in Rural XIXth Cen-tury Sicily. Thesis of European Masters in Anthropology,University of Florence

Ferembach D., Schwidetzky I., Stloukal M., 1979. Raccoman-dazioni per la determinazione dell’età e del sesso sullo sche-letro. Rivista di Antropologia, 60: 5-51, Roma,

L ove j oy C., Owen R.S., Meindl T.R., Prizbeck J.R., Me n s f o rt hR., 1985 Chronological Metamorphosis of the AuricolarSurfaceof the Ilium: A New Method for the Determinationof Adult Skeletal Age at Death. American Journal of Ph y-sical Anthropology, 68: 15-28

Martin R., Saller R., 1959. Lehrbuch der Anthropologie. Fi-scher Verlag, Stuggart

Smith B.H., 1984. Patterns of molar wear in hunter-gatherersand agriculturalists. American Journal of Physical Anthro-pology, 63: 39-56

Ubelaker D.H., 1989. Human skeletal remains: escava t i o n ,analysis, interpretation. In Manuals on Archeology 2. Smi-thsonian Institution, Washington.

R i n g r a z i a m e n t i : gli autori ringraziano i colleghi e amici Gi u s e p-pe D’Amore, Francesca Iandelli e Antonio Valletta, per il lorofondamentale contributo e i giovani di Alia, Ro b e rto Fa l c o n e ,Rosolino Di Prima e Jonathan La Barbera per l’aiuto, l’ e n t u s i a-smo e l’ i n t e resse manifestato durante tutte le fasi dello studio delmateriale effettuato in loco.

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I dati contenuti negli atti nominativi di nasci-ta, matrimonio e morte dei registri Parrocchiali edi Stato Civile possono essere elaborati al fine dimettere in correlazione le informazioni relative adogni singola persona e famiglia, in modo da rico-s t ru i re le storie individuali (nascita, morte edeventuali matrimoni), le storie familiari (per ognimatrimonio, la sua origine, durata e comport a-mento riproduttivo) e le genealogie ascendenti ediscendenti attraverso le “fiches de familles”.

Esse forniscono osservazioni sperimentali suicomportamenti della popolazione in relazione allep roprie vicissitudini storiche e sulle modalità dievoluzione da un punto di vista strettamente de-mografico, biologico e sociale.

Solo dopo aver effettuata la ricostruzione, risul-tano attendibili le analisi di alcuni parametri dellastruttura biologica della popolazione, quali i co-gnomi, le loro variazioni nel tempo e la compara-zione tra i risultati ottenuti analizzando separata-mente le fonti.

I cognomi, le loro frequenze e variazioni dia-croniche, consentono di indagare sulle caratteristi-che di struttura e sull’evoluzione biologica di unapopolazione. Essi, nelle comunità patrilineari,possono essere considerati alla stregua di forme al-leliche di un gene sito sul cromosoma Y e trasmes-so lungo la linea maschile (con l’eccezione dei figliillegittimi non riconosciuti che mantengono il co-gnome della madre). La loro presenza, la diversadistribuzione e rilevanza sono dovute all’interazio-ne tra fattori socioculturali, biologici e demografi-ci, con particolare riferimento al comportamentomatrimoniale, riproduttivo e migratorio della po-polazione. Trattandosi di alleli ad elevato polimor-

fismo, i cognomi hanno alta capacità di tipizzazio-ne e sono in grado di differenziare finemente traloro popolazioni diverse.

Essi, inoltre, definiscono per ciascun individuoun’identità al tempo stesso biologica e culturale,che si riflette a livello di popolazione, la cui com-posizione in cognomi può quindi contribuire adindividuare e definire l’identità culturale e biologi-ca del proprio gruppo di appartenenza.

La comparazione tra le distribuzioni dei cogno-mi dedotte da fonti diverse può dare ulterioriinformazioni sul differente comportamento de-mografico della popolazione: in particolare, i co-gnomi tratti dagli atti di nascita sono rappresenta-tivi della frazione di popolazione che si riproducee presentano alta ripetitività specialmente nei pe-riodi a più alta fecondità.

I matrimoni consentono di valutare la struttu-ra matrimoniale e forniscono indicazioni sugli in-c roci isonimici e sugli scambi tra popolazioni. Icognomi, desunti dai registri dei decessi, sono por-tati dalla quota vivente nella popolazione e forni-scono risultati che risentono della struttura peretà, dell’incidenza della mortalità infantile e dellaconsuetudine di attribuire alle donne coniugate ilcognome del marito.

3.1. Classificazione delle famiglie

“La famiglia costituisce il luogo pre f e renziale oveavviene la trasmissione dei caratteri biologici e nelquale si attua in parte, la trasmissione culturale”.

Il canale attraverso cui si entra nell’intimo mec-canismo di evoluzione di una popolazione, è pro-prio lo studio delle famiglie (come si formano, co-me si estendono, e come si sciolgono), poiché sonola causa principale della variabilità genetica in-fluenzando la probabilità di trasmissione di un ge-ne da genitori a figli.

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Capitolo 3

STUDIO BIODEMOGRAFICO DELLAPOPOLAZIONE DI ALIA NEL XIX SECOLO

DE IASIO S.*, GUCCIONE I.**, TULUMELLO S.**, BIGAZZI R.*** Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale. Università di Parma

** Laboratori di Antropologia, Dipartimento di Biologia Animale e Genetica. Università di Firenze

E-mail: [email protected]

Ricerca sostenuta con il cofinanziamento della “FondazioneDino Terra” di Lucca

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L’analisi demografica sulle famiglie deve essereaffrontata in modo rigoroso poiché si deve dispor-re di elementi precisi per poter valutare corretta-mente l’età dei coniugi al matrimonio, alla nascitadei loro figli, allo scioglimento della loro unione –dato molto significativo specie se riferito alla don-na –. Le fonti aggregative sicuramente non forni-scono risultati così precisi ed attendibili comequelle nominate, pur riferendosi ad una quantitàdi dati più consistenti.

La ricostruzione nominativa delle famiglie èuna tecnica messa a punto da Louis He n ry all’ i-nizio degli anni Cinquanta con lo scopo di arri-va re ad una corretta misura della fecondità dellepopolazioni del passato superando il doppio li-mite imposto dalle fonti storico-demografiche: laquasi totale assenza sia degli “status animaru m”nelle parrocchie francesi, sia dell’età della madrealla nascita dei figli nei registri parrocchiali dib a t t e s i m o.

Questo metodo si articola in due fasi netta-mente distinte:

• Dalle informazioni contenute nei registri siarriva a ricostruire la vicenda demografica diciascuna “famiglia biologica”;

• Dalla “scheda di famiglia (biologica)” siriaggregano i dati individuali per arrivare amisure di fecondità, nuzialità e mortalità.

In sostanza, dunque, si ricostruiscono biografieindividuali all’interno di storie familiari. Quandola ricostruzione delle storie familiari avviene a par-t i re dagli atti di matrimonio si possono ricre a req u a t t ro tipologie familiari, che, secondo la no-menclatura di Henry, assumono le seguenti deno-minazioni:

1. Mariage Fermé: si conosce la data esatta del-lo scioglimento dell’unione dovuta alla morte diuno dei coniugi (in epoca attuale causa alternativapuò essere anche il divorzio), quindi si sa con pre-cisione in quale periodo di tempo cercare i figli le-gittimi. In questo caso è nota la durata del periodofertile della coppia, cioè il lasso di tempo in cui igenitori possono aver procreato figli legittimi.

2. Exterieur Fermé: all’opposto del tipo prece-dente di queste famiglie è conosciuta la data di fi-ne unione ma non quella d’inizio; anche in questocaso non si può sapere la durata del matrimonio.Esse derivano da coppie sposatesi all’ ” e s t e r n o” esuccessivamente immigrate nell’area studiata.

3. Mariage Ouvert: non è possibile conoscerela data di scioglimento dell’unione coniugale,quindi è nota la durata precisa del periodo fertiledella coppia; i figli legittimi saranno cercati in unlasso di tempo che va dalla data di matrimonio alcompimento del quarantacinquesimo o cinquan-tesimo anno della madre, età in cui viene conside-rato finito, per convenzione, il periodo fertile del-la donna. In linea di massima, queste famiglie sisono formate ed hanno vissuto nell’area oggetto distudio, per poi migrare altrove; di conseguenzanon sono rintracciabili gli atti di morte dei coniu-gi. Assimilabili agli MO sono le famiglie ricostrui-te sulla base dei soli atti di matrimonio e nascitadei figli, come nel presente caso: infatti, non es-sendo ancora stati presi in esame i decessi, non èpossibile conoscere la data di scioglimento del ma-trimonio e, di concerto, stimare la durata del pe-riodo fertile della coppia (in altri termini, non sipossono definire gli “anni donna”).

4. Exterieur Ouvert: non si conosce né la datadel matrimonio né quella di fine unione della cop-pia. Se ne ha notizia perché in zona sono nati i lo-ro figli. Si tratta di famiglie formatesi all’esterno,rimaste in zona il tempo necessario per avere al-meno un figlio e poi sono migrate altrove.

3.2. Il caso di Alia

Lo studio biodemografico sulla popolazione diAlia (PA) è stato condotto a partire dagli atti no-minativi di nascita, matrimonio e morte dello Sta-to Civile del Comune (disponibili dal 1820 inavanti), integrati con quelli dei registri parrocchia-li per alcuni anni antecedenti e per altri di con-fronto.

Il volume della popolazione di Alia varia nel-l’ Ottocento da 3855 abitanti (1798) a 6045(1901). In conformità con l’ i n c remento della po-polazione, il trend delle nascite si presenta in cre-scita per tutto l’ Ottocento, quasi raddoppiandogli eventi rispetto all’inizio del periodo di osser-vazione.

Dagli atti di nascita del periodo 1815-1899, sisono potute ricostruire 5397 coppie con figli e l’a-nalisi è stata fatta sull’età della donna alla nascitadi ciascun figlio.

Il confronto dei dati tra generazioni diverse èstato semplificato considerando due coorti di 25anni ciascuna, cioè un intero arco generazionale.La prima coorte comprende 1297 donne nate dal

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1800 al 1824, la seconda 1438 donne nate tra il1825 e il 1849.

I tassi di natalità generici - calcolati per i perio-di 1820-29 e 1890-99 - danno rispettivamente va-lori di 34.24 ‰ e 44.16 ‰. Essi sono stati calco-lati su 1630 (I periodo) e 2697 (II periodo)nascite, con una popolazione media che ammon-tava rispettivamente a 4.760 e 6.108 unità.

Per le analisi relative alla fecondità dagli atti dimatrimonio, si sono stabilite tre coorti di confron-to: le prime due ventennali (1820-1839; 1830-1859), l’ultima quindicennale (1860-1875). Infat-ti, il periodo utile per la loro formazione ècompreso tra il 1815 ed il 1875, per un totale di60 coorti annuali di matrimoni; ma, considerando1) che gli atti relativi al primo quinquennio (1815-19) non riportano l’età della sposa e 2) che man-cano gli atti relativi al 1860, il numero effettivo dicoorti annuali utilizzabili è 55, suddivise nel mo-do indicato.

Dalla tab. I si vede che in totale sono state rico-struite 70 famiglie su 100: le coppie escluse dallaricostruzione (il 30% circa) si suppone siano, peril 10%, coppie che effettivamente non hanno avu-to figli e il restante 20%, invece, sia escluso dai li-miti imposti dal programma per effettuare linkage

corretti. Infatti, sono stati considerati solo bambi-ni i cui atti abbiano tutte le chiavi di ricerca pre-senti (cognome e 1° nome del padre e cognome e1°nome della madre): per quelli con informazionimancanti o differenti occorre la ricostru z i o n ecompleta della storia individuale (compre n s i vadunque anche dei decessi). Inoltre la terza coortestudiata, pur presentando un numero minore dimatrimoni rispetto alla coorte precedente perchériferita ad un range temporale inferiore di 5 anni,ha la più alta percentuale di famiglie ricostruite: idati dei registri sono sicuramente riportati in mo-do migliore e completo.

Osservando il numero medio di figli per fami-glia MO ricostruita, si può osservare che aumentap ro g re s s i vamente nel succedersi temporale cre-scendo da 4.25 a 5.03: ciò può essere imputabilead un abbassamento dell’età media al matrimonioe quindi ad una maggior durata del periodo fe-condo a cui contribuisce anche la diminuita mor-talità che nelle prime coorti, invece, incideva mag-giormente sia sui genitori sia sui figli. Qu e s t oconcorda in pieno con una precedente ricostruzio-ne basata sulla fecondità delle coppie determinatesulla base dei soli atti di nascita. Tutto ciò può es-sere ricondotto al fenomeno della transizione de-

23

Coorti Totale Famiglie MO N. figli % famiglie MO N. figli perdi celebrazioni matrimoni ricostruite nelle famiglie sul totale famiglia MO

(almeno 1 figlio) MO dei matrimoni ricostruita

1820-1839 645 436 1855 67.60 4.25

1840-1859 980 645 2911 65.82 4.51

1860-1875 824 643 3232 78.03 5.03

TOTALE1820-1875 2449 1724 7998 70.40 4.64

Tab. I - Tabella generale della ricostruzione della famiglie di Alia suddivisa in 3 coorti

Anno di nascita Nati Totali Nati nelle famiglie MO % nati in famiglie MOrispetto al totale

1820-1839 3212 1797 55.95

1840-1859 3847 2628 68.31

1860-1879 5090 3252 63.89

1880-1899 6019 1106 18.38

TOTALE 1820-1899 18168 8733 48.34

Tab. II - Confronto tra il numero totale di nascite del periodo ed i figli attribuiti alle coppie provviste di atto costitutivo di matrimonio

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mografica, secondo il quale le popolazioni, da re-gimi ad alta natalità ed alta mortalità, passano a re-gimi a bassa natalità e bassa mortalità attraversouna fase intermedia nella quale ad una mortalitàgià in progressiva diminuzione fa riscontro una na-talità che si mantiene ancora elevata, con un con-seguente alto livello del tasso di incremento natu-rale della popolazione.

La tabella II riporta la situazione dei nati percoorti ventennali: circa il 50% dei nati non è statoattribuito ad alcuna famiglia. In questa percentua-le sono compresi:

• tutti i figli illegittimi;• tutti i bambini appartenenti a famiglie EF o

EO, di cui non si possiedono gli atti di ma-trimonio;

• tutti i bambini nati nel primo ventennio daattribuire a coppie sposatesi prima del 1815;

• tutti i bambini nati nell’ultimo ve n t e n n i oda attribuire a genitori sposatisi dopo il1875.

3.3. Calcolo della data di nascita presuntadella madre/sposa

In linea generale, la data di nascita della ma-dre/sposa riportata sugli atti di matrimonio è piùattendibile di quella riportata sugli atti di nascita.Partendo da questo presupposto e nel caso sianopresenti le date su entrambe gli archivi, si è deciso

di calcolare la data di nascita presunta della ma-dre/sposa con questo metodo:

1. si considera la data di nascita della sposas e m p re riportata eccetto che in 18 atti dimatrimonio;

2. si osserva la data di nascita stimata della ma-dre nell’archivio dei nati per ogni figlio avu-to e se ne valuta la compatibilità con quelladella sposa cui si riferisce;

3. si fa una media tra le date risultate compati-bili e quella stimata al matrimonio.

Applicando questo metodo ad Alia si ottengo-no i seguenti risultati:

La tab. III mostra, per la popolazione di Alia,l’età della sposa al matrimonio, stimata facendo ladifferenza tra la data di nozze e la data di nascitacalcolata tramite la ricostruzione delle famiglie. Latab. IV riferisce i dati osservati a 1000 matrimonie ne mostra l’andamento per coorti. L’età media ri-portata nelle due tabelle diminuisce col passare deltempo da 24,4 a 23,2 anni per un’età media tota-le di 23,9 anni: ciò concorda con l’ipotesi che mi-gliori progressivamente la qualità della vita e che,quindi, le coppie si sposino prima. In riferimentoal grafico, infatti, si nota che la prima classe d’etàsi fa sempre più consistente col passare del tempo,che la classe 20-24, aumentando le sue dimensio-ni, rimane la classe modale in ogni ventennio ana-lizzato e le classi più alte (già dai 35-39 anni in su)sono inconsistenti.

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Coorte <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-> Totale Etàmatrimonio media

1820-39 200 415 250 83 32 16 5 1000 24.4

1840-59 254 377 209 102 42 12 3 1000 24.2

1860-75 337 400 140 59 42 17 5 1000 23.2

Totale 271 395 194 81 39 15 4 1000 23.9

Tab. III - Matrimoni Mo ricostruiti. Età della sposa al matrimonio. Dati osservati

Coorte <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-> Totale Etàmatrimonio media

1820–39 87 181 109 36 14 7 2 436 24.4

1840–59 164 243 135 66 27 8 2 645 24.2

1860-75 217 257 90 38 27 11 3 643 23.2

Totale 468 681 334 140 68 26 7 1724 23.9

Tab. IV - Ma t rimoni Mo ri c o s t ruiti. Età della sposa al matrimonio. Dati osservati ri f e riti a 1000 matri m o n i

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3.4. Età della sposa alla nascita del primo figlio

Lo studio dell’età della sposa alla nascita dei fi-gli è particolarmente importante dal punto di vistabiologico poiché esiste una stretta correlazione tral’elevata età della madre e la comparsa di mutazio-ni nel neonato. Madri aventi figli a giovane età, peril resto del loro periodo fertile avevano avuto unafecondità minore: su questi risultati, Henry ipo-tizzò che la gravidanza prima che sia raggiunta lapiena maturità fisiologica interferisca con la nor-male capacità riproduttiva per tutto il resto del pe-riodo riproduttivo.

Supponendo che la maggior parte delle nascitesia legittima, l’età al matrimonio influenza in modoconsistente la f i t n e s s della popolazione, sia quandola sposa è giovanissima (ne risente la dimensione),sia quando non lo è più (ne risente la qualità).

In caso di fecondità legittima, l’età della donnaalla nascita del primogenito dipende dall’età allaquale si sposa e dall’intervallo temporale tra la da-ta di nozze e quella del primo parto (interva l l oprotogenesico). Quindi, i fattori che intervengonoa determinare l’età al matrimonio, influenzano diriflesso anche l’età della donna al primo figlio.

L’analisi viene anche qui condotta analizzandole famiglie ricostruite, aggregate in coorti venten-nali. L’età della sposa alla nascita del primogenitoviene calcolata facendo lo scarto tra la data di na-

scita del primogenito meno la data nascita stimatadella madre; l’intervallo protogenesico medio vie-ne invece trovato sottraendo la data di nascita delprimogenito alla data del matrimonio e trasfor-mando in mesi il risultato (Ta b. V). Così comel’età media della sposa al matrimonio, anche l’etàmedia della madre alla primogenitura diminuiscecol passare del tempo (da 26,4 ai 25,6 anni), men-tre lo scarto tra le due età (intervallo protogenesi-co medio) aumenta progressivamente da 24,4 ai29,1 mesi, per un valore medio di poco più di 2anni (26,4 mesi) in quasi tutto l’arco dell’ottocen-to (Tab.VI).

In tab. VI sono riportati i dati osservati re l a t i-vi alle età della sposa alla primogenitura. L’ a n d a-mento osservato alla primogenitura segue quellodelle spose in funzione della loro età al matrimo-n i o. Le donne vengono raggruppate in classi d’ e t àdi 5 anni.

Il confronto può essere fatto con i dati riferiti a1000 matrimoni (riportati in tab.VII):

In entrambi i casi, la classe modale è la classed’età dai 20 ai 24 anni e le classi meno giovani sonoquelle a dimensione minore; le nascite di primoge-niti con madri aventi meno di 19 anni sono minoririspetto ai matrimoni, ciò significa che chi si sposag i ovanissimo non fa immediatamente figli; inoltrela classe modale c’è un maggior numero di primo-g e n i t u re rispetto ai matrimoni per classi d’ e t à .

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Tab. V - Età della sposa alla nascita del primogenito. Intervallo protogenesico medio.

Coorte Matrimoni MO Età media Età media Intervallomatrimoni ricostruiti della madre della madre protogenesico

al matrimonio alla primogenitura medio (in mesi)

1820-39 436 24,3 26,3 23,4

1840-59 644 24,2 26,4 25,4

1860-75 642 23,1 25,5 28,8

TOTALE 1722 23,87 26,07 25,87

Coorte <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-> Totale Etàmatrimoni media

1820–39 47 159 135 64 18 13 0 436 26.4

1840–59 85 252 156 81 50 14 6 644 26.4

1860-75 114 262 141 60 39 19 7 642 25.6

Totale 246 673 432 205 107 46 13 1722 26.1

Tab. VI - Matrimoni MO ricostruiti. Età della sposa alla primogenitura. Dati osservati

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3.5. L’intervallo protogenesico

Il valore di accrescimento di una popolazione èmisurabile anche attraverso il numero di figli (na-scite) insieme con i valori relativi alla loro morta-lità. Questo, a sua volta, è influenzato da fattoribiologici e sociali che interessano sia quanto, delperiodo ripro d u t t i vo, è utilizzato effettiva m e n t eper la riproduzione sia la frequenza e la cadenzadelle nascite durante il periodo fecondo.

Quanto, del periodo riproduttivo, è utilizzatoeffettivamente per la riproduzione è un aspetto de-scritto mediante l’analisi dell’età al matrimonio. Ilperiodo fecondo è delimitato da fattori biologici esociali che decretano quando una coppia ha “il di-ritto” di riprodursi. Generalmente ci si riferisce al-l’età della donna perché la sua fertilità varia più ve-locemente in funzione del tempo rispetto a quellad e l l’ u o m o. La frequenza e cadenza delle nascitedurante il periodo fecondo è un aspetto descrittomediante l’analisi degli intervalli protogenesico edi n t e r g e n e s i c o. Il primo si riferisce al periodo ditempo tra il matrimonio e la nascita del primo fi-glio, il secondo, invece descrive l’intervallo tempo-rale tra un figlio e l’altro. La durata di questi inter-valli permette di va l u t a re il comport a m e n t oriproduttivo di una popolazione specie se esistonomeccanismi di controllo delle nascite o se si è, alcontrario, in regime di “fecondità naturale”, conriferimento alle popolazioni pre-moderne che nonoperavano un deliberato controllo a priori del nu-mero e della distanza tra la nascita dei figli.

In un regime a fecondità naturale, la durata de-gli intervalli intergenesici si scompone nei seguen-ti fattori: durante il periodo di infecondabilità (2-3 mesi dopo il parto) non si verifica l’ovulazione.Questo periodo dipende anche dall’eventuale al-lattamento che può variare nelle diverse culture o,all’interno di una stessa società, in funzione dellediverse classi sociali di appartenenza: comunque, è

probabilmente il primo “strumento” utilizzato perprolungare l’intervallo intergenesico.

Accanto a questi, si trova anche la mortalità in-trauterina: 1 gravidanza circa su 5 avvertite e rico-nosciute non va a buon fine per aborto spontaneo.In questo caso, si avrà un nuovo concepimentopassato il normale tempo medio d’attesa. Le fami-glie MF ed MO costituiscono un eccellente mezzoper indagare su questi parametri: infatti, la data dimatrimonio insieme con la data di nascita di ognifiglio attribuito consentono una precisa valutazio-ne degli intervalli sopracitati. L’analisi va fatta intermini di rapporto rispetto all’ammontare inizialedelle coppie: i risultati sono meglio evidenziatidalle tavole di eliminazione in cui, partendo da uncontingente iniziale di 1000 individui (coorte), losi segue nel tempo e progressivamente si assottigliaman mano che i componenti la coorte subisconol’evento oggetto di studio. Si possono consideraredelle tabelle di sopravvivenza di quel part i c o l a regruppo nel tempo. Nel primo ventennio conside-rato, poco meno della metà delle coppie genera ilprimogenito durante il primo anno di matrimo-nio: ciò comporta che il concepimento avviene neiprimi 2/3 mesi dopo le nozze. Col passare del tem-po, questo valore tende a decrescere.

Allo scadere del settimo anno di matrimonio,l’88% di coniugi ha almeno un figlio e tutti, entroil decimo anno ha prole. Non si esclude che alcu-ne tra le coppie più “attempate” si siano trasferitealtrove durante i primi anni di matrimonio, abbia-no fatto figli altrove e si siano ritrasferite ad Alia.Si osserva come, col passare del tempo, pur spo-sandosi prima, si tenda a controllare maggiormen-te le nascite: infatti, nel 1820-39 e nel 1840-59 ilnumero di primogeniti è costante dal terzo annodopo le nozze in avanti. Dal 1860 al 1875, invece,diminuisce il numero di nati nell’anno della cele-brazione e i primogeniti vengono diluiti meglionel corso dei 10 anni successivi.

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Corte <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45=> Totale Etàmatrimoni media

1820-39 108 365 307 147 39 30 5 1000 24.4

1840-59 130 389 242 129 78 22 11 1000 24.2

1860-75 177 407 219 93 61 30 12 1000 23.2

TOTALE 142 390 250 120 61 27 10 1000 23.9

Tab. VII - Matrimoni MO ricostruiti. Età della sposa alla primogenitura.Dati riferiti ad una coorte di 1000 matrimoni per periodo.

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La distribuzione delle nascite ed i valori medi(in mesi) dell’intervallo protogenesico in funzionedell’età della madre al matrimonio sono riportatiin tab. VIII.

Per le spose più giovani, l’intervallo protogene-sico si aggira intorno ai 2 anni e mezzo dalla datadel matrimonio e,per il periodo 1820-39 diminui-sce molto rapidamente nella classe d’età successivaper poi stabilizzarsi nelle classi intermedie e dimi-nuire ancora nella classe di età <=35 anni.

3.6. Analisi dei cognomi dagli atti di nascita

Da l l’analisi degli atti di nascita di Alia dal 1815al 1894 si riscontrano ben 1.150 forme cognomi-nali diverse, ad occorrenza più o meno elevata. Tu t-tavia, i 20 cognomi a maggiore ripetitività (“f o rm ea l l e l i c h e” più diffuse) costituiscono poco meno diun terzo di tutte le forme presenti (tab. IX).

Un modo più analitico per stimare l’isolamen-to di una popolazione e l’entità degli scambi con

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Primogeniti secondo l’età Intervallo protogenesico medio (in mesi)della madre al matrimonio secondo l’età della madre al matrimonioCoorte

matrimoni<=19 20-24 25-29 30-34 >=35 Totale <=19 20-24 25-29 30-34 >=35 Totale

1820-39 87 181 109 36 23 436 32,2 23,7 18,4 18,1 19.6 23.4

1840-59 164 243 135 66 37 645 28.5 26.8 21.4 25.3 23.7 25.8

1860-75 217 257 90 38 41 643 32.3 28.1 24.8 23.0 33.6 29.1

TOTALE 468 681 334 140 101 1724 30.9 26.5 21.3 22.8 26.8 26.4

Tab. VIII - Matrimoni MO ricostruiti. Intervallo protogenesico medio,in funzione dell’età della madre. Dati osservati.

COGNOME 15-34 25-34 35-44 45-54 55-64 65-74 75-84 85-94 Tot.MICELI 39 44 34 50 49 58 81 73 428TODARO 46 39 37 27 44 75 77 79 424GUCCIONE 36 24 48 45 48 41 57 64 363CARDINALE 26 21 41 30 32 73 75 61 359CHIMENTO 33 20 30 48 37 37 62 62 329COSTANZA 33 27 27 36 32 56 51 36 298BARCELLONA 18 7 22 31 32 52 63 61 286BIONDOLILLO 16 31 31 28 35 44 47 42 274MARTINO 15 20 20 24 32 50 45 47 253ALESSANDRA 13 17 12 23 35 31 49 60 240CENTANNI 17 14 24 25 30 40 52 38 240DI CARLO 15 26 15 27 38 42 49 24 236DITTA 16 15 20 28 25 38 55 39 236INCERTI PARENTI 21 83 79 26 27 0 1 0 228SAGONA 30 18 9 24 22 21 42 46 212DRAGO 39 26 12 15 34 34 18 31 209RUNFOLA 28 23 23 16 26 33 39 19 207SCACCIA 23 10 13 20 29 24 25 58 202FALCONE 19 25 15 13 22 35 36 31 196TARAVELLA 18 16 20 32 27 26 37 20 196

Tab. IX - Frequenze osservate dei 20 cognomi a maggiore ripetitività

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l’esterno consiste nel va l u t a re il grado di “p e r s i-stenza” dei cognomi tra un periodo e il successivo;la quantità di forme cognominali inedite immesse;la proporzione di forme “alleliche” estinte. In unapopolazione isolata sufficientemente ampia, a va-riabilità in cognomi limitata, che non pratica ilcontrollo delle nascite e senza riproduttività diffe-renziale marcata, come Alia, ci si aspetta di ritro-vare i medesimi cognomi da una generazione al-l’altra, con perdita progressiva di poche varietà pereffetto del solo caso (ad esempio la nascita di solefemmine).

L’applicazione di questo tipo di studio agli attidi nascita di Alia è finalizzato alla distinzionee n t ro la popolazione tra autoctoni, emigrati eimmigrati. Gli autoctoni sono coloro che port a n oi tipici cognomi aliesi, ov ve ro i più frequenti. Conla stima dei cognomi perduti, è possibile misura-re la porzione di popolazione emigrata, cioè diquegli individui che pur nascendo ad Alia, perqualche motivo, in un determinato momentodella loro vita vi si allontanano prima di ave rep role. Sulla base del conteggio della quantità dicognomi nuovi immessi nella popolazione è inve-ce possibile individuare i figli di immigrati, ov ve-ro di coloro che nascono da genitori di origine di-versa da quella aliese e che quindi non portano isuoi tipici cognomi.

Suddividendo i cognomi per periodi decenna-li, si sono distinti: (S): quantità di cognomi unicip resenti in ogni periodo; (Si): il numero di cogno-mi nuovi immessi rispetto al periodo pre c e d e n t e ,che non solo rappresentano il numero di immi-grati, ma anche le variazioni linguistiche e i neo-nati abbandonati; (Sp): la quantità di cognomip e rduti rispetto al periodo successivo, rappre s e n-t a t i va non solo dell’emigrazione, ma anche del fe-nomeno della deriva genetica nei casi in cui, peresempio, le coppie abbiano solo figlie femmine;( Spst): la porzione di cognomi comuni tra il pe-riodo in esame ed il successivo, appartenenti adindividui autoctoni che si riproducono e riman-gono ad Alia (Ta b. X ) .

La distribuzione osservata dei cognomi è stataottenuta considerando la popolazione suddivisanegli usuali 8 periodi e per ognuno dei quali sisono conteggiati quanti cognomi compaiono conf requenza 1,2,3… fino a 20, accorpando le fre-quenze comprese tra 21 e 25, tra 26 e 30, tra 31 e39 ed infine tra 40 e 83, valore che rappresenta laripetitività massima riscontrata nello studio sullefrequenze osservate dei 20 cognomi a maggior ri-

petitività. In o l t re si è preso in considerazione ancheil totale di cognomi diversi presenti in ogni perio-do. In questo modo si può fotografare la popola-zione in diversi momenti storici e studiarne le va-riazioni temporali.

Lo studio della distribuzione di frequenza è utileper osserva re i fenomeni immigratori nei diversi pe-riodi, i quali sono tanto più rilevanti quanto più lep e rcentuali dei cognomi in ciascuna classe di fre-quenza presentano valori via via decrescenti; in altritermini il grado di immigrazione è dire t t a m e n t ep ro p o rzionale alle classi di ripetitività più basse. Alcontrario, il grado di isolamento esiste se vi è un’ e-l e vata occorrenza delle classi ad alta ripetitività. Inquesto modo la distribuzione è rappresentabile dauna curva assimilabile ad una binomiale negativa .

È intuibile che tanto più il luogo di origine degliimmigrati è vario e distante tanto più i loro co-gnomi differiscono. Infatti, se la popolazione di undeterminato periodo è aperta, caratterizzata in altreparole da una più alta mobilità geografica, si ha unnumero elevato di cognomi differenti con una solao poche ricorre n ze; al contrario, quando essa èchiusa, la distribuzione dei cognomi presenta unnumero limitato di forme cognominali diverse chesi distribuiscono con elevata frequenza.

3.7. Distanze genetichenella popolazione di differenti periodi

Scopo di quest’analisi è di pervenire ad una mi-sura sintetica della similarità e della differenza inbase alla frequenza dei cognomi identici nelle po-polazioni messe a confronto e di conseguenza

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Periodo S Si Sp Spst

1815-24 289 - - -

1825-34 242 64 111 178

1835-44 242 74 74 168

1845-54 285 102 59 183

1855-64 267 70 88 197

1865-74 452 240 55 212

1875-84 493 241 200 252

1885-94 485 220 228 265

Tab. X - Presenza (S), immissione (Si), estinzio-ne (Sp) e persistenza (Spst) dei cognomi rispettoal periodo precedente (frequenza)

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esplorare l’evoluzione biologica della popolazionedi Alia mediante le relazioni isonimiche.

Considerando nuovamente le popolazioni perogni periodo è stato applicato il coefficiente di si-milarità stimato in base all’isonimia sia di una po-polazione con se stessa sia tra popolazioni diffe-renti (Chen et al., 1983).

Il metodo utilizzato è l’indice di distanza gene-tica di Nei (1973), il quale fornisce una valutazio-ne sintetica della divergenza esistente tra i pool ge-netici della popolazione nei diversi decenni. Esso èbasato sulla probabilità di uguaglianza in alleli aduno stesso locus, estratti a caso dalle popolazioni ac o n f ronto, ponderata sulle probabilità di ugua-glianza all’interno di ciascuna popolazione. I risul-tati ottenuti rivelano che tra le popolazioni in esa-me non si verificano forti differenze genetiche euna maggiore stabilità a partire dal 1855.

3.7.1. Applicazionedel Multidimensional Scaling

Le matrici risultanti di Nei sono state sintetiz-zate da mappe topologiche realizzate tramite ilMultidimensional Scaling (MDS), che non richie-de particolari presupposti statistici e geometricinella distribuzione dei dati. Il concetto centraledell’applicazione del MDS è la corrispondenza trala distanza dij, ossia la distanza nello spazio multi-dimensionale, e la distanza lineare. Considerandoil grafico (fig. 1) ed i risultati ottenuti si possonooperare una serie di considerazioni. Ad Alia la di-stanza genetica più rilevante si osserva nel con-fronto tra le prime quattro popolazioni, le qualipertanto appaiono maggiormente dissimili.

In conclusione: dalle analisi dei cognomi si èpotuto stabilire in che percentuale si siano verifi-cati fenomeni di endogamia, consanguineità e iso-nimia della popolazione oggetto di studio durante

quasi tutto il secolo. Risulta chiaro un apprezzabi-le grado di isolamento ripro d u t t i vo. Tale isola-mento genico si protrae per tutta la prima partedel secolo per poi arrestarsi con l’ Unità d’ It a l i a ,quando si riscontra una maggiore apertura, ovveroun maggiore flusso migratorio della popolazione.

3. 8. Analisi dei cognomidagli Atti di Matrimonio

Il periodo di 60 anni preso in esame è statosuddiviso in quattro sottoperiodi di quindici an-ni il numero totale di atti rilevati è stato di 2692( t a b. XI).

Tab. XI - Atti di matrimonio

Periodo Matrimoni

1815-29 501

1830-44 607

1845-59 760

1860-75 824

Totale 2692

L’ammontare delle fome cognominali differen-ti presenti ad Alia è di 433 per gli sposi e di 381per le spose (in totale 525) così ripartite nei quat-tro periodi (tab. XII).

Tab. XII - Cognomi differenti di sposi e spose

PERIODI SPOSI SPOSE

1815-29 186 172

1830-44 219 197

1845-59 228 212

1860-75 259 246

3. 8. 1. SPOSI - I cognomi più frequenti

Si sono evidenziati i venti cognomi più rappre-sentati nei quattro periodi (tab. XIII).

L’esiguità dei numeri permette solo poche con-siderazioni preliminari: 1. I cognomi presenti tra iprimi venti in tutti i periodi (indice di un anticoradicamento nel territorio) sono cinque (Todaro,Miceli, Costanza, Chimento, Biondolillo). 2. Ilcognome Cardinale, con le frequenze maggiori nelsecondo e nel quarto periodo non figura nel terzo.Fig. 1 - Atti nascita - Distanze genetiche tra periodi

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3. Nel primo periodo non compaiono cognomi as-segnati agli “esposti” (Incerti Parenti, Fiorito), benrappresentati nei successivi. Non vi sono ragioniplausibili per ritenere che tra la porzione di popo-lazione in età da matrimonio non vi fosse una per-centuale di trovatelli analoga agli altri periodi; sipuò ipotizzare una registrazione superiore alla me-dia con il cognome della famiglia adottiva o conun altro assegnato dal funzionario dello stato civi-le (pratica riscontrata ad Alia), ricordando che inquesto periodo si collocano gli atti dal 1815 al1820, ricavati dalle registrazioni parrocchiali, incui le informazioni risultano senz’altro di più dif-ficile comprensione. Analizzando le frequenze per-centuali nei diversi periodi dei 20 cognomi in as-soluto più rappresentati, si è evidenziato che essec o p rono in media – analogamente a quanto ri-scontrato dalle analisi sulle nascite - circa un terzodel totale. Ciò potrebbe essere interpretato comeprimo indicatore di un relativo grado di isolamen-

to della popolazione, massimo nel terzo periodo(31,7 %), minimo nel secondo (26,9%), con unoscarto tra i due di quasi cinque punti.

3.8.2. Presenza, immissione,persistenza e scomparsa di cognomi

Altre indicazioni in merito si possono ricavareanalizzando la presenza simultanea di un cognomein due differenti periodi (tab. XIV).

30

1815-29 N. 1830-44 N. 1845-59 N. 1860-75 N.

TODARO 16 CARDINALE 14 MICELI 28 CARDINALE 20

MICELI 13 CIMO’ 13 TODARO 22 SAGONA 19

RUSSO 10 INCERTI PARENTI 12 CHIMENTO 17 MICELI 19

PANEPINTO 10 BIONDOLILLO 12 COSTANZA 14 DI CARLO 17

COSTANZA 10 GUCCIONE 11 SCACCIA 12 TODARO 16

SCACCIA 9 CHIMENTO 11 MARTINO 12 TAULLI 16

CARDINALE 9 TARAVELLA 10 GUCCIONE 12 BARCELLONA 16

CHIMENTO 8 MICELI 10 RUSSO 11 CHIMENTO 13

BIONDOLILLO 8 DITTA 10 INCERTI PARENTI 11 BLANDA 13

RUNFOLA 7 COSTANZA 10 DRAGO 11 BIONDOLILLO 13

MASCARELLA 7 TRIPI 9 DI CARLO 11 CENTANNI 12

GENOVESE 7 DRAGO 9 BIONDOLILLO 11 MARTINO 11

D’AMICO 7 TODARO 8 TARAVELLA 10 DI MARCO 11

DRAGO 7 TAULLI 8 SAGONA 10 RUNFOLA 10

DITTA 7 SCACCIA 8 PANEPINTO 10 RICOTTA 10

BLANDA 7 MASCARELLA 8 DITTA 10 INCERTI PARENTI 10

LO IACONO 6 MACALUSO 8 CENTANNI 10 GUCCIONE 10

LEONE 6 DI MARCO 8 MARCHIAFAVA 9 COSTANZA 10

CIMO’ 6 CENTANNI 8 MACALUSO 9 BATTAGLIA 10

ALESSANDRA 6 BATTAGLIA 8 FALCONE 9 FIORITO 9

Tab. XIII – I venti cognomi degli sposi più rappresentati nei quattro periodi considerati.

Tab. XIV - Numero di cognomi presenti simulta-neamente (due a due) nei vari periodi.

Periodo 1815-29 1830-44 1845-59 1860-75

1815-1829 186 127 134 115

1830-1844 219 129 135

1845-1859 228 145

1860-1875 259

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Si osserva che le maggiori somiglianze si riscon-trano tra il primo e il terzo e non tra periodi conti-gui. Anche rispetto al secondo intervallo non si notaun andamento lineare col trascorre re del tempo. Di-fatti si ritrovano 129 forme comuni nel terzo contro135 nel quarto periodo. Solamente il periodo post-unitario sembra ave re una successione “c o e re n t e” ,condividendo un numero di cognomi pro g re s s i va-mente maggiore con i periodi a lui più vicini.

Pare quindi che alla maggiore mobilità riscon-trata nel secondo periodo faccia seguito una chiu-sura in se stessa della popolazione fino al momen-to dell’ Unità. È di questo periodo l’inizio dei lavo r iche apriranno le nuove direttrici viarie che lambi-scono Alia, favorendo così una maggiore immigra-zione dall’esterno.

L’aumento del fenomeno immigratorio (afflus-so di cognomi nuovi), dopo la creazione dello St a-to unitario, è abbastanza semplice da compre n d e recon l’abbattimento delle fro n t i e re che facilita la cir-colazione delle merci e delle persone. Più comples-so è spiegare il maggiore isolamento registrato nelperiodo che va dal 1845 al 1859, specialmente do-po l’ a p e rtura determinatasi in quello precedente.

Occorre forse tener conto del fatto che nel se-condo periodo (1830-1844) si colloca la devastan-te epidemia di colera che colpì il paese nel 1836-37, a differenza di quella del 1855, più debole, edell’epidemia di tifo petecchiale del 1816-17, chenon interessò la popolazione siciliana. La consi-stente decimazione di individui in tutte le fasced’età – e in proporzione maggiore quelli delle clas-si intermedie, come vedremo in seguito – potreb-be aver reso necessario un maggiore allontana-mento dal luogo di origine per la ricerca delpartner, diminuendo così il numero di cognomi incomune rispetto al periodo precedente. Il terminedella condizione di “necessità” avrebbe in seguitoristabilito le abitudini precedenti, fino alla nascitadel Regno d’Italia.

L’analisi delle distribuzioni assolute e perc e n-tuali di presenza, persistenza, immissione e scom-

parsa dei cognomi nei quattro intervalli di tempodeterminati può senza dubbio fornire dei dati piùconsistenti per valutare il grado di isolamento o dimobilità della popolazione, permettendo di testa-re così le varie ipotesi (Tabb. XV e XVI).

Continua a delinearsi il quadro che vede Aliachiudersi nel terzo periodo, con un’immissione din u ovi cognomi inferiore a quanto registrato nelprecedente e nel successivo (45,2 % contro 49,5 e50 %). A conferma di quanto affermato, nel terzoperiodo si registra invece un 41,1 % di cognomiperduti contro un 58,9% di persistenti.

3.8.3. Il rapporto S/N

Un buon indicatore per ottenere maggiori in-formazioni riguardo la stima dei flussi migratori eil grado di isolamento della popolazione è costi-tuito dal rapporto tra il numero di cognomi (S) ri-levati rispetto al numero totale dei matrimoni (N).Esso può essere utilizzato correttamente nel nostrocaso per valutare le variazioni nel tempo, in quan-to le popolazioni esaminate mantengono dimen-sioni sufficientemente costanti.

Analizzando gli andamenti e comparandoli conquelli delle curve teoriche, si può ipotizzare il rag-giungimento del nucleo storico. Da l l’ e vo l u z i o n edel rapporto S/N (tab. XVII) si nota come ad Aliaquesto diminuisca leggermente (I-II), poi sensibil-mente (II-III) e quindi risalga, non raggiungendoperò i livelli dei primi due (III-IV).

Occorre tener conto che la diminuzione tra pri-mo e secondo periodo può essere dovuta al valore

31

Tab. XV - Valori assoluti

Periodo Presenti Nuovi Perduti Persistenti

1815-1829 186 0 0 0

1830-1844 219 92 59 127

1845-1859 228 99 90 129

1860-1875 259 114 83 145

Tab. XVI - Valori percentuali

Periodo Nuovi Perduti Persistenti

1815-1829 - - -

1830-1844 49,5 31,7 68,3

1845-1859 45,2 41,1 58,9

1860-1875 50,0 36,4 63,6

Tab. XVII - Rapporto S/N

PERIODO S N S/N

1815-29 186 501 0,371

1830-44 219 607 0,361

1845-59 228 760 0,300

1860-75 259 824 0,314

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di S/N nell’intervallo 1815-1829, probabilmentepiù alto del previsto a causa del numero anomalodelle celebrazioni del 1819, che interessarono in-teri gruppi familiari.

Un sensibile aumento nello stesso anno è dovu-to probabilmente alla già citata abolizione dei di-ritti feudali.

Il comportamento matrimoniale degli sposi,che ricordiamo essere soggetti a mobilità rilevante,sembra comunque far emergere una tendenza pro-g re s s i va all’isolamento della popolazione aliese,con un’inversione dopo l’Unità d’Italia.

3.8.4. Distanze genetiche

Il metodo della distanza di Nei evidenzia la no-tevole omogeneità generale di Alia, con differenzequantitativamente piccole tra i diversi periodi. Siriscontra una maggiore somiglianza tra primo eterzo periodo e nel quarto, mentre sono ancora ilsecondo e il quarto a manifestare le differenze piùevidenti.

Attraverso l’analisi delle prime due componen-ti principali – non si è utilizzato il Multidimensio-nal Scaling, avendo suddiviso il campione dei ma-trimoni in soli quattro intervalli, invece degli ottodell’analisi sulle nascite – si è ottenuta una rappre-sentazione topologica che permette la visualizza-zione delle distanze genetiche tra i diversi periodi(fig. 2).

Seguendo un procedimento analogo, si sonoanalizzati separatamente i dati riguardanti le spo-se, al fine di evidenziare se vi siano differenze ap-prezzabili o meno tra la struttura della popolazio-ne maschile e femminile che contrae matrimonionel comune di Alia.

3.8.5. SPOSE - I cognomi più frequenti

Da l l’ o s s e rvazione dei 20 cognomi più fre q u e n t i( t a b. XVIII) per periodo si nota che sono sei quellis e m p re presenti, tre dei quali lo erano anche neglisposi (Miceli, Chimento e To d a ro). Gli altri tre, pre-senti comunque in almeno un periodo tra i primiventi nei maschi, sono i cognomi Tripi, Sagona eRu n f o l a .

Il cognome Cardinale risulta presente, come neimaschi, nel I, II e III periodo, facendo così ipotiz-zare una migrazione temporanea del nucleo fami-liare nel terzo periodo.

Il cognome Guccione è presente nei tre periodifinali, come negli sposi, con il valore più alto nelterzo e il secondo nel quarto. Considerando chequesto è il cognome della famiglia economica-mente e socialmente più importante di Alia, uncosì alto numero di ricorrenze fa pensare alla pre-senza di molti “rami cadetti”. È abbastanza singo-lare il fatto che sia estremamente scarsa la frequen-za dei cognomi dati ai trovatelli. Non si ritrovaIn c e rti Pa renti, mentre Fiorito appare, come per glisposi, solo nel periodo finale.

Da l l’analisi dei registri delle nascite abbiamoevidenziato un’alta frequenza di questi due cogno-mi, ripartiti più o meno equamente nei due sessi.Non c’è una ragione plausibile che spieghi un ab-bandono pre f e renziale di bambini di sesso maschileo un’adozione maggiore per quelli di sesso femmi-nile. Si potrebbe forse ipotizzare una registrazionecon altro cognome al momento della nascita o laperdita dell’appellativo di “esposto” in seguito al-l’adozione da parte di una nuova famiglia, più fre-quente nelle femmine per una consuetudine di or-dine culturale.

Analizzando le frequenze percentuali nei quat-tro periodi dei venti cognomi in assoluto più rap-presentati, si osserva come “Miceli” sia il più fre-quente di Alia, dato che occupava la medesimaposizione anche negli sposi.

Tra i primi venti, ben tredici sono quelli in comu-ne con il campione maschile (Miceli, Guccione, Chi-mento, Cardinale, Biondolillo, Costanza, Pa n e p i n t o ,To d a ro, Ma rtino, Runfola, Sagona, Centanni,Drago), a testimonianza di un forte radicamento diquesti cognomi nella popolazione aliese.

Si osserva infine che le percentuali complessivedei venti cognomi a più alta ripetitività, rispetto aquelle determinate sugli sposi, risultano più alte ditre punti nei primi due periodi e di un punto nelquarto, mentre si ha uno scarto di oltre due punti

32

Fig. 2 - Sposi. Distanze genetiche tra periodi.

1860-75

1845-59

1815-29

1830-44

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a favore dei maschi nel terzo periodo, da correlar-si forse con l’isolamento maggiore della popolazio-ne in questo momento storico, evidenziato nell’a-nalisi dei cognomi degli sposi.

3.8.6. Presenza, immissione persistenzae scomparsa di cognomi

Dal confronto tra i cognomi presenti contem-poraneamente in due diversi periodi (tab. XIX),emerge che ad Alia – in misura comunque menoevidente rispetto ai maschi – il periodo 1845-1859presenti somiglianze con il primo periodo maggio-ri del secondo. Da questo momento in poi, però,l’andamento si mostra lineare nel tempo, con affi-nità maggiori tra periodi contigui.

Sono state quindi analizzate le fre q u e n ze assolu-te e percentuali della presenza, immissione, scom-parsa e persistenza dei cognomi tra un periodo e ils u c c e s s i vo (tab. X X ) .

33

1815-29 N. 1830-44 N. 1845-59 N. 1860-75 N.

ROTULO 22 CHIMENTO 16 GUCCIONE 25 COSTANZA 25

MICELI 17 MICELI 14 PANEPINTO 17 GUCCIONE 19

CARDINALE 16 CIMO’ 14 BARCELLONA 17 MICELI 17

BIONDOLILLO 15 ROTULO 13 TODARO 16 MARTINO 15

TRIPI 13 CARDINALE 12 FALCONE 15 CHIMENTO 15

RIILI 10 TAULLI 11 MICELI 14 BIONDOLILLO 15

CHIMENTO 10 TRIPI 10 COSTANZA 13 BARCELLONA 15

SEDITA 9 TODARO 10 DRAGO 12 TARAVELLA 14

MASCARELLA 9 SAGONA 10 TRIPI 11 CENTANNI 14

CATALANO 9 GUCCIONE 10 SCACCIA 11 CARDINALE 14

VICARI 8 D’AMICO 10 RUNFOLA 11 PANEPINTO 13

MARTINO 8 CATALANO 10 CHIMENTO 11 TRIPI 12

MACALUSO 8 RUNFOLA 9 SAGONA 10 SAGONA 11

LOMBINO 9 M A RC H I A FAVA 9 RUSSO 10 RUNFOLA 11

SAGONA 7 LO IACONO 9 MARTINO 10 FIORITO 11

RUNFOLA 7 CIRRINCIONE 9 DI CARLO 10 DRAGO 11

M A RC H I A FAVA 7 BARCELLONA 9 TARAVELLA 9 DI MARCO 10

D’AMICO 7 VICARI 8 PECORARO 9 TODARO 9

TODARO 6 PANEPINTO 8 BIONDOLILLO 9 PECORARO 9

TARAVELLA 6 GRANATA 8 VIVIRRITO 8 MACALUSO 9

Tab. XVIII - I venti cognomi delle spose più rappresentati per ogni periodo.

Tab. XIX - N° di cognomi presenti simultanea-mente (due a due) nei vari periodi

Periodo 1815-29 1830-44 1845-59 1860-75

1815-1829 172 121 123 114

1830-1844 197 135 130

1845-1859 212 141

1860-1875 246

Tab. XX - Presenza, persistenza, immissione escomparsa di cognomi. Valori percentuali.

Periodo Nuovi Perduti Persistenti

1815-1829 - - -

1830-1844 44,2 29,7 70,3

1845-1859 39,1 31,5 68,5

1860-1875 49,5 33,5 66,5

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Rispetto al campione degli sposi, si osservanopercentuali di persistenza più alte in tutti i periodi(indice di un radicamento maggiore per i cognomidelle spose, abbastanza prevedibile).

La percentuale d’immissione è, in generale, piùsimile tra i due sessi. Si differenziano abbastanzanettamente le spose terzo periodo, quando la per-centuale di immissione e di perdita risulta moltopiù bassa (6,1 e 9,6 punti) e quella di persistenzapiù alta (9,6 %) che negli sposi.

3.8.7. Il rapporto S/N

Abbiamo già riscontrato come l’analisi del rap-porto tra il numero totale dei cognomi riscontratie quello dei matrimoni risulti altamente informa-t i vo del grado di isolamento della popolazione.

Seppur con valori leggermente inferiori, l’anda-mento risultante ricalca quello ottenuto per glisposi, con un processo di isolamento progressivo,interrotto dal processo di unificazione del Regnod’Italia. I valori più bassi rispetto al campione ma-schile confermano l’idea di una maggiore mobilitàmatrimoniale di quest’ultimo, riscontrata presso-ché ovunque (tab. XXI).

3.8.8. Distanze genetiche

Al contrario di quanto visto negli sposi, rispet-to al primo periodo (1815-29) è il terzo (1845-59)che appare il più distante. In generale poi si ritro-vano distanze più ampie tra i diversi periodi, sin-tomo di un maggiore ricambio della popolazionefemminile (fig. 3).

3.8.9. Il metodo delle coppie ripetute

Il metodo delle “coppie ripetute”, applicato aicognomi desunti dagli atti di matrimonio permet-te di va l u t a re se all’interno della popolazione inesame esista un’unione matrimoniale preferenzialetra individui appartenenti ad alcune linee familia-

ri, tale da determinare un aumento della frequen-za di omozigoti. La distribuzione dei valori di RP(tab. XXII) rilevati risulta in accordo con il quadrofinora emerso attraverso l’analisi degli altri indica-tori. Per quanto riguarda l’andamento temporale,si osserva che ad Alia si conferma una gradualechiusura della popolazione, massima nel terzo pe-riodo, testimoniata dai valori crescenti di RP. Ilprocesso si inverte al momento della creazione del-lo Stato unitario.

3.9. Conclusioni

Il quadro emerso dallo studio biodemograficodi Alia è, pertanto, quello di un paese nel quale siregistra un progressivo processo di isolamento ge-nico per tutta la prima parte del secolo, processoche sembra arrestarsi e invertire la tendenza conl’avvento dell’Unità d’Italia e solamente fino allamassiccia ondata emigratoria di fine secolo (nel1901 negli Stati Uniti vivevano più di 3.000 indi-vidui originari di Alia).

Ciò concorda sostanzialmente con quanto si de-sume dalle fonti storiche, che descrivono Alia comeun centro interessato solo marginalmente dalle prin-

34

1860-75

1845-59

1815-29

1830-44

Tab. XXI - Rapporto S/N

PERIODO S N S/N

1815-29 172 501 0,343

1830-44 197 607 0,325

1845-59 212 760 0,279

1860-75 246 824 0,299

Tab. XXII – Valori del coefficiente RP

Periodo RP

1815-29 0,0519

1830-44 0,0659

1845-59 0,0697

1860-75 0,0583

Fig. 3 - Spose. Distanze genetiche tra periodi.

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cipali vie commerciali della Sicilia e privo di attrat-t i ve economiche tali da determinare un afflusso im-p o rtante di persone dall’esterno del suo territorio.

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L’ e voluzione demografica dell’ Eu ropa in genera-le e dell’ Italia in part i c o l a re dal medioevo al secoloscorso, è stata influenzata dalle diverse epidemie chein quel tempo si sono succedute. Peste, tifo, va i o l oe colera hanno provocato crisi di mortalità i cui ef-fetti si sono fatti sentire in tutti i parametri demo-grafici. Nel XIX secolo, le malattie che hanno avutom a g g i o re incidenza a livello demografico sono stateil tifo petecchiale o esantematico e il colera. L’ e f f e t-to di entrambe sulla popolazione è stato dive r s ocome diverse sono le loro caratteristiche, sia sulpiano clinico sia su quello epidemico.

4.1. L’epidemia di colera del 1837 in Sicilia

A partire dal 1829 l’Europa fu invasa da unaepidemia di colera che provocò numerose vittimee non pochi disagi, anche di natura politico eco-nomica. Nel Regno delle Due Sicilie al problemad e l l’epidemia colerica fu posta attenzione già a par-tire del 1831, anno in cui fu stabilito un cordonesanitario intorno ai porti dell’Adriatico e del Tirre-no. Questo cordone fu abolito poco tempo dopo acausa degli intralci e difficoltà che esso creava alcommercio. Le autorità borboniche tornarono adoccuparsi seriamente del fenomeno epidemico nel1835, quando l’epidemia, dopo aver percorso l’A-sia centrale, la Russia e l’Europa arriva in Italia. Sidisposero misure preventive di carattere generale,tendenti a formare un cordone sanitario per pre-servare il Regno dal contagio. Il Regno delle DueSicilie fu, nel 1836, l’ultimo stato europeo ad esse-re invaso dal colera.

Agli inizi del giugno 1837 il morbo fece la suaapparizione in Sicilia. La malattia, sviluppatasi aPalermo, andò sempre più assumendo il caratte-

re epidemico e si diffuse rapidamente in alcunicomuni vicini, causando numerose vittime.Anche nell’isola erano stati fatti lavori di pre-venzione e campagne per informare l’ o p i n i o n ep u b b l i c a ; un esempio fu la pubblicazione, nell’a-gosto del 1835, di “Is t ruzione popolare”, nellaquale erano indicati i mezzi di prevenzione, i segnicon i quali il colera si manifestava e le precauzionida osservare prima dell’arrivo del medico. Ogni lo-calità fu anche informata sull’approntamento d’o-spedali e camposanti, sulle regole di trasporto deimorti e sul modo di seppellirli (Leoni F., 1990).

Si voleva informare la popolazione, ma la realtàera che di fronte all’arrivo di quest’epidemia il di-sorientamento tra scienziati e medici era grande, ilpopolo non aveva fiducia in loro, e non badava aiconsigli delle autorità e questo, di certo, non favo-riva l’isolamento della malattia.

Tutti questi fattori, uniti alle condizioni igieni-co- sanitarie delle città, facevano diventare in pra-tica inutili tutti gli sforzi fatti da parte dei governiper cercare di evitare il contagio o almeno per li-mitarne i danni.

La situazione dell’ordine pubblico nell’isola di-ventò a poco a poco preoccupante, perché allapaura dovuta alla malattia si sommavano le cre-scenti difficoltà per conseguire viveri e vettovaglie,conseguenza dello stabilimento di un cordone sa-nitario marittimo.

A questo caos si aggiunsero le voci che propo-nevano che la malattia non era tale, ma un inten-to di avve l e n a re il popolo siciliano da parte dei Bor-boni. Questo fu sufficiente per mescolare le rivoltepopolari frutto del panico con quelle di carattereindipendentista.

Il clima di rivolte ostacolò gli intenti di frenarel’epidemia e come conseguenze di questa situazio-ne, le vittime di colera in Sicilia nel 1837 ammon-tarono circa 70.000.

37

Capitolo 4

ANALISI DEMOGRAFICA DELLE CRISI DI MORTALITÀ:L’EPIDEMIA DI COLERA DEL 1837

BIGAZZI R.*, TORRES JOERGES X.**, TULUMELLO S.*, DE IASIO S.*** * Laboratori di Antropologia. Dipartimento di Biologia Animale e Genetica. Università di Firenze

** Dipartimento di Biologia. Università Autonoma di Madrid *** Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale. Università di Parma

E-mail: [email protected]

Ricerca sostenuta con il cofinanziamento della “FondazioneDino Terra” di Lucca

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4.2. L’epidemia di colera del 1837 ad Alia

La malattia, sviluppatasi a Palermo, assunse benpresto carattere epidemico e si diffuse rapidamen-te in alcuni comuni vicini, tra cui Alia.

L’andamento dei fenomeni demografici è ab-bastanza costante fino al 1837, per il quale si os-s e rva un picco di mortalità – raddoppia il nume-ro dei decessi – e una diminuzione delle nascite(fig. 1). L’anno seguente si assiste ad un pre ve d i-bile calo delle morti e ad una ripresa dei matri-moni, con conseguente aumento delle nascitenegli anni successivi.

Come si può osservare nella figura 2, non si no-tano fenomeni particolari prima dell’epidemia, ched i vampa nei mesi di luglio (116 morti contro ic i rca 20 dei mesi precedenti), agosto (83) e set-tembre (84) del 1837.

A causa dell’accumularsi in un periodo cosìbreve di un elevato numero di decessi, nei mesi se-guenti e fino a tutto il 1838, la mortalità resta a li-velli inferiori al periodo precedente il colera, men-t re il numero dei matrimoni, scarsi in luglio eassenti in agosto, ricresce ben presto, raggiungen-do livelli insoliti nel mese di novembre.

La numerosità delle nascite non sembra risen-tire degli effetti dell’epidemia durante il suo ma-nifestarsi; esse invece diminuiscono nei mesi suc-cessivi, per riprendere, con frequenze anche piùelevate, solo alla fine del 1838.

Nel secolo scorso, la distribuzione delle morti infunzione dell’età (fig. 3) vedeva fortemente colpi-ta la popolazione infantile. La maggior parte dei fu-nerali officiati erano di bambini di età inferiore aicinque anni, con una mortalità leggermente mag-giore nei maschi.

Ciò che si evince dai grafici è un aumento delnumero assoluto di morti pressoché in tutte classidi età nell’anno dell’epidemia. Una visione più at-tenta ci rivela però che non tutte le classi risultanocolpite allo stesso modo. Quelle giovanili, e in par-ticolare i bambini di età inferiore ad un anno, ri-

38

Fig. 2 - Eventi demografici per mese ad Alia 1836-38.

Fig. 1 - Eventi demografici ad Alia 1834-1842.

sentono di meno della crisi di mortalità causata dalcolera e l’incidenza sul totale delle morti arriva a di-mezzarsi (fig. 4).

Di contro cresce nettamente la percentuale didecessi nelle classi adulte, con un picco tra i 15 e i49 anni, che appaiono colpite in modo pre f e re n-ziale dal morbo. Un dato molto interessante, checonferma la diffusione del morbo del colera in tuttaItalia per il periodo considerato, viene da studi con-dotti su un paese montano in provincia di Cu n e o :Be l l i n o. In questo paese sono stati studiati gli an-damenti demografici lungo un arco di tempo didue secoli (1770-1970), analizzando le classi di etàche più ve n i vano coinvolte in crisi di mort a l i t à .Me n t re tra i morti del periodo 1915-1918 e 1940-1945 si osserva un’ e l e vata percentuale di maschi in

Fig. 3 - Decessi per classi d’età 1834-1842. Fig. 4 - Incidenza delle morti per classi d’età.

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età compresa tra i 20 e i 34 anni e non si nota perdetto periodo aumento della mortalità perinatale,nel periodo compreso tra il 1840 e il 1859 si puòr i l e va re un marcatissimo incremento nella perc e n-tuale di mortalità perinatale e infantile. Ciò puòs u f f r a g a re l’ipotesi che la elevata mortalità del pe-riodo 1840-1856, registrata nella comunità, sia do-vuta a una epidemia.

L’analisi settimanale dei decessi durante l’epi-demia ci offre una visione ancora più chiara del-l’insorgenza e dello sviluppo del fenomeno. In-nanzitutto si osserva che all’interno del periodoesistono due picchi di mortalità: uno tra la terzasettimana di luglio e la seconda di agosto ed unaltro nelle prime settimane di settembre (fig. 5).

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Fig. 5 - Decessi per settimana.

Quest’ultima recrudescenza potrebbe essere dovu-ta ad una sottovalutazione della pericolosità delmorbo dovuta a due settimane di bassa mortalità.

Le donne risultano colpite in modo preferen-ziale, ad eccezione della prima settimana di set-tembre, e per un periodo prolungato rispetto agliuomini, indice forse di una maggiore esposizioneal contagio causata dalle cure portate agli ammala-ti. Anche in questo caso in entrambi i sessi, le clas-si intermedie risultano le più colpite dall’ e p i d e m i a .

Si evidenzia inoltre che i decessi maschili avve n-gono in due periodi circoscritti per tutte le classi dietà, mentre l’estensione della mortalità femminileper un periodo maggiore è soprattutto a carico dellafascia di età tra i 15 e i 49 anni (figg. 6 e 7).

L’analisi della mortalità in relazione allo statosociale (tab. I e fig. 8) è stata operata solamente peril sesso maschile, in quanto negli atti di morte lap rofessione delle donne è risultata mancante incirca il 50% dei casi.

Inoltre, non conoscendo il numero totale deicontagiati all’interno delle diverse famiglie e degliappartenenti a ciascuna classe sociale risulterebbea z z a rdato anche solo ipotizzare una maggiore o mi-nore resistenza alla malattia di questa o quella clas-se. È comunque interessante notare il fatto che laclasse meno abbiente viene colpita in maniera cre-scente nel primo mese dell’epidemia, mentre le altre

Tab. I - Decessi maschili per “status sociale”

Mese Contadini Artigiani Possidenti Totale SenzaPastori Commercianti Benestanti classificazione

Luglio-1

Luglio-2 1 3 4

Luglio-3 9 3 3 15

Luglio-4 13 3 2 18

Luglio-Agosto 14 3 1 18 2

Agosto-1 4 1 1 6 2

Agosto-2 3 1 4

Agosto-3 3 1 4 1

Agosto-4 2 2

Settembre-1 20 5 25 1

Settembre-2 5 1 1 7

Settembre-3 2 2 4 1

Settembre-4 3 3

Totale 79 23 8 110 7

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Fig. 6 - Maschi deceduti per grandi classi di età. Fig. 7 - Femmine deceduti per grandi classi di età.

Fig. 8 - Decessi maschili per condizione socio-economica.

due classi tendono a mantenere costante o a dimi-n u i re la mortalità nello stesso periodo. Pa r re b b equindi ragionevole ipotizzare che le classi agiate,dopo le prime manifestazioni del morbo, abbianot rovato il modo di proteggersi meglio rispetto ai piùp overi, grazie forse alle migliori condizioni igieni-che delle loro abitazioni, che fornivano senza dub-bio una barriera più efficace contro il contagio.

Una reazione sociale all’epidemia di colera èdata dalla ripresa del numero dei matrimoni findalla fine del 1837.

Dalle tabelle II, III, IV e V si traggono però anchea l t re notizie riguardo al fenomeno, collegate princi-palmente al fatto che tra le vittime dell’epidemia viera una preponderanza di donne giovani. Si potre b-be ve d e re un risvolto di ciò nel fatto che il giova n e

Tab. II - Matrimoni celebratida settembre a dicembre 1837

Stato civile Donne nubili Donne vedove

Uomini celibi 18 2

Uomini vedovi 8 1

Tab. IV - Matrimoni dal settembre 1837 a tutto il 1838

Età al matrimonio <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55->

<=19 1 1

20-24 7 10 4 1 2 2

25-29 5 11 7 3 1

30-34 3 7 4 4

35-39 4 2 1 3

40-44 1 1

45-49 3 2 1

50-54 2 1

55-> 1 1 2 1

Tab. III - Matrimoni celebratidal settembre 1837 alla fine del 1838

Stato civile Donne nubili Donne vedove

Uomini celibi 59 8

Uomini vedovi 25 7

ve d ovo ha più possibilità di scelta rispetto alla donna,sia nubile che ve d ova. Ma si può anche ipotizzare cheun ve d ovo abbia più bisogno di una ve d ova di ri-sposarsi, perché meno adatto a vive re da solo.

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Tab. V - Matrimoni dal settembre 1837 a tutto il 1838 secondo lo stato civile degli sposi

Uomini vedovi Donne nubili Donne vedoveEtà al matrimonio <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-> <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55->

<=1920-24 1 125-29 5 130-34 1 4 2 135-39 1 1 140-44 145-49 3 1 150-54 1 155-> 1 1 2 1

Uomini celibi Donne nubili Donne vedoveEtà al matrimonio <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-> <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55->

<=19 1 120-24 6 10 4 1 2 125-29 5 6 5 1 1 1 130-34 2 3 4 135-39 4 1 1 140-4445-49 150-54 155->

Donne vedove Uomini celibi Uomini vedovi

Età al matrimonio <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-> <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-><=1920-2425-29 130-34 1 1 1 135-39 2 1 1 140-4445-49 1 250-5455-> 1

Donne nubili Uomini celibi Uomini vedovi

Età al matrimonio <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-> <=19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-><=1920-24 1 10 6 3 4 1 5 4 125-29 1 4 5 4 1 1 3 130-34 1 1 1 1 2 135-39 1 1 1 1 140-4445-49 150-5455->

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Lo studio e l’analisi delle caratteristiche biologichedi una popolazione necessitano dell’ausilio non so-lo dei metodi propri della genetica e dell’antropo-logia, ma anche delle conoscenze che provengonoda numerose altre discipline. Per una corretta in-terpretazione dei dati genetici e antropologici so-no fondamentali, ad esempio, le conoscenze relati-ve agli eventi storici e demografici vissuti dallapopolazione che si vuole studiare. In altre parti delvolume vengono trattati alcuni aspetti storici e de-mografici della popolazione di Alia che sono digrande utilità per interpretare i dati che proporre-mo. Qui è sufficiente ricordare brevemente che letracce archeologiche, che testimoniano della pre-senza dell’uomo in Sicilia, le più antiche delle qua-li risalgono ad alcune decine di migliaia di anni fa,cioè al Paleolitico o Antica Età della Pietra, e gli in-numerevoli documenti storici mostrano che la Si-cilia ha subito influssi da parte di varie aree delMediterraneo fin dai tempi preistorici e fanno ri-tenere che l’isola sia stata sempre un importantepunto d’incontro di culture e rotte commerciali.

E’ importante sottolineare che l’area su cui sor-ge l’attuale Alia vide il passaggio successivo di tut-ti quei gruppi che hanno animato la storia dell’i-sola, come testimoniano i re p e rti fenici, gre c i ,punici, romani, bizantini, arabi, spagnoli.

Il ritrovamento nel 1995 dei resti dei decedutiper il colera del 1837 ha suscitato grande interessenella comunità scientifica italiana e internaziona-le, tanto da richiamare numerosi gruppi di ricercadi varie Università italiane che si sono interessatiallo studio di tematiche diverse riguardanti la po-polazione attuale di Alia. In particolare il gruppodi ricerca dell’ Un i versità di Cagliari, coord i n a t odal Prof. Giuseppe Vona, si è occupato delle carat-teristiche genetiche della popolazione aliese attua-le in rapporto alle altre popolazioni siciliane e del-l’area mediterranea.

5.1. I documenti dell’analisi antropogenetica

Per poter affrontare questo tipo di studio si èp a rtiti dal pre l i e vo di campioni di sangue: circ a150 abitanti, aliesi almeno da tre generazioni, han-no collaborato alla realizzazione della ricerca of-frendo una piccola quantità del loro sangue.

Il sangue è un elemento importantissimo delnostro organismo che contiene una grande varietàdi sostanze, le proteine, necessarie alla vita dell’or-ganismo Il nostro corpo costruisce queste sostan-ze, circa 100.000, partendo da un messaggio che ècontenuto nei “geni”, piccoli tratti di una moleco-la formata da due filamenti avvolti tra loro a spira-le, il DNA, che costituisce i cromosomi situati nelnucleo di ogni cellula.

I 46 cromosomi che ognuno di noi possiedep rovengono metà dalla propria madre e metà dalp roprio padre. Ciò significa che metà del DNA,quindi dei geni, è di origine materna e l’ a l t r ametà di origine paterna. E’ per questo che i figlisomigliano ai genitori. Ma non bisogna cre d e reche la somiglianza tra genitori e figli sia limitataa quei caratteri del corpo che percepiamo coni m m e d i a t ezza come la statura, il colore degli oc-chi e dei capelli, la forma della testa o del corpo.Le somiglianze riguardano moltissimi altri carat-teri che i nostri occhi non percepiscono, comequelli di natura biochimica, ad esempio i gru p p is a n g u i g n i .

Ognuno di noi dovrebbe conoscere il propriogruppo sanguigno per una corretta trasfusione disangue in caso di necessità, cioè dovrebbe sapere seil proprio gruppo è 0, A, B oppure AB. E ancorase è Rh+ oppure Rh-, Kell positivo o negativo. Ilpossedere un gruppo oppure l’altro dipende dallacombinazione di geni che abbiamo ricevuto dainostri genitori. E così è per tutte le altre sostanzepresenti nel nostro corpo.

43

Capitolo 5

ALIA: ALCUNE CONSIDERAZIONIDI ANTROPOLOGIA MOLECOLARE

VONA G., GHIANI M.E., VACCA L., MAMELI G.E., SUCCA V., CALÒ C.M.Dipartimento di Biologia Sperimentale, Sezione di Scienze Antropologiche,

Università di Cagliari

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Il fatto che tutte queste sostanze siano sotto ilcontrollo dei geni che vengono trasmessi dai geni-tori ai figli, quindi da una generazione all’ a l t r a ,rende i gruppi sanguigni, gli enzimi e le proteineottimi strumenti di indagine per lo studio dellastoria genetica di una popolazione, ossia dei mar-catori genetici.

Un’altra importante osservazione è necessaria:le popolazioni umane, come del resto i singoli in-dividui, non sono uguali sotto l’aspetto genetico. Igeni che controllano il sistema AB0 sono tra lorolievemente differenti (alleli) e producono proteineche si somigliano per struttura e funzione, ma nonsono perfettamente identiche. Per questo un indi-viduo può essere di gruppo A e un altro di gruppoB. Potrà accadere che in una popolazione gli indi-vidui portatori del gruppo A siano più numerosidegli individui di gruppo B, come si verifica nellapopolazione siciliana nel suo complesso, mentreun’altra popolazione potrà essere composta di unn u m e ro di individui di gruppo B maggiore diquelli di gruppo A, come accade in alcune popola-zioni dell’Asia centrale.

Per il nostro studio, partendo dai campioni disangue, abbiamo esaminato 13 marcatori geneticie le loro distribuzioni nella popolazione di Alia le

cui frequenze sono state poi confrontate con quel-le di altre aree della Sicilia (Agrigento, Caltanisset-ta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Si-racusa e Trapani).

I polimorfismi genetici studiati sono: 8 sistemienzimatici presenti nei globuli rossi del sangue,cioè la Fosfatasi acida eritrocitaria (ACP), Adeno-sinadeaminasi (ADA), Adenilato Kinasi (AK),Esterasi-D (ESD), Gliossalasi (GLO), 6 Fo s f a t oDeidrogenasi (PGD), Fosfoglucomutasi (PGM) eSu p e rossidodismutasi (SOD); 3 proteine che sit rovano nel siero del sangue: Gruppo specificoComponente (GC), Transferrina (TF) e alfa-1-an-titripsina (PI); e infine i gruppi dei due sistemisanguigni ABO e Rh.

Sono questi i documenti dei quali ci siamo ser-viti per analizzare la struttura genetica di Alia e ab-biamo cercato di ricostruirne la storia biologica.

5.2. Alia e le altre popolazioni siciliane

Dai risultati rilevati dalle distribuzioni dei geninella popolazione di Alia, questa appare caratteriz-zata da alcune frequenze alleliche particolari. L’al-lele AB0*A del sistema sanguigno AB0 si presentacon una frequenza che risulta essere la più bassa fra

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Fig. 1 - Albero genetico ri-cavato dalle distanze gene-tiche che rappresenta lapopolazione di Alia in rap-porto alle altre popolazio-ni della Sicilia.

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quelle riscontrate in Sicilia, mentre la fre q u e n z adell’allele AB0*B è, al contrario, la più elevata. An-cora le frequenze di Alia per gli alleli dell’enzimafosfatasi acida eritrocitaria, ACP*A e ACP*B, co-stituiscono, rispettivamente, i valori più basso epiù alto delle frequenze trovate negli altri campio-ni della Sicilia. È interessante osserva re, inoltre ,che nella popolazione di Alia è stato ritrovato unallele della siero p roteina alfa-1-antitripsina, ilPI*M4, che non era stato rilevato in nessuno deglialtri campioni siciliani studiati in precedenza.

Utilizzando contemporaneamente tutte le fre-quenze alleliche dei marcatori analizzati, attraver-so delle elaborazioni statistiche, è possibile stabili-re il grado di somiglianza genetica di due o più

popolazioni o, in alternativa, quanto le popolazio-ni nel corso della loro esistenza siano divenute dif-ferenti sotto l’aspetto genetico. Questo è reso pos-sibile dal calcolo delle distanze genetiche cheseparano le popolazioni e dalla rappre s e n t a z i o n edei rapporti che dalle distanze emergono attraver-so un grafico a forma di albero.

Nella figura 1 compare appunto l’ a l b e ro cherappresenta le relazioni esistenti tra Alia e le altrepopolazioni della Sicilia, albero che è derivato dal-le distanze genetiche calcolate. Alia si trova su unramo dell’albero che appare molto separato rispet-to a tutte le altre popolazioni indicando un’accen-tuata diversificazione genetica. Questa riguard anon solo quelle popolazioni che sono molto di-

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Fig. 2 - Grafico bidimensionale ottenuto dall’analisi dell’R-matrix.

Fig. 3 - Le distanze genetiche derivate dal-le frequenze dei marcatori esaminati indi-viduano barriere genetiche, una delle qualiisola la popolazione di Alia

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stanti geograficamente da Alia, come Catania eMessina, ma anche le popolazioni di quelle areeche sono limitrofe, come Palermo e Agrigento.Complessivamente l’albero evidenzia una grandevariabilità genetica interna all’isola che è legata ol-tre che agli aliesi, anche alle popolazioni di Ragu-sa, Trapani e Caltanissetta. L’osservazione direttadei valori delle distanze genetiche conferma unaforte caratterizzazione di Alia rispetto alle aree diconfronto: le distanze variano tra 9.3 x 10-3 e 15.5x 10-3, più elevate di quelle che si sono ottenuteper le altre popolazioni (2.0 x 10-3 – 15 x 10-3).

La peculiarità di Alia viene ancora più messa inrisalto da un’altra analisi statistica, quella dell’R-matrix (Harpending e Jenkins 1973), che parten-do dalle frequenze geniche permette di rappresen-tare le popolazioni su un piano in base alle lorosomiglianze o differenze complessive.

Alia si colloca così nella figura 2 in una posi-zione fortemente appartata. E abbastanza isolateappaiono anche le popolazioni di Trapani, Calta-nissetta e Ragusa.

Le distanze genetiche hanno permesso di rica-vare un’altra importante osservazione, sfruttandoun metodo particolare, quello delle triangolazioniangolari e l’algoritmo del Monmonier (1973). Sisono potute così individuare delle barriere, cioèdue zone di discontinuità marcata delle frequenzegeniche all’interno della Sicilia, come mostra inmodo evidente la figura 3. Una barriera genetica èstata disegnata intorno ad Alia, con la sua originetra Alia e Agrigento. Essa, oltre ad isolare comple-tamente la popolazione di Alia, separa anche l’areaoccidentale da quella centro-meridionale. Un’altrazona di improvviso cambio di frequenze genichepercorre l’isola da sud a nord separando la zonaorientale da quella centroccidentale.

5.3. Il DNA mitocondrialee la popolazione di Alia

Oltre ai marcatori genetici che, come si è detto,sono controllati dal DNA nucleare che viene ere-ditato da ambedue i genitori, è stato studiato nel-la popolazione di Alia un altro tipo di DNA quel-lo mitocondriale.

Il DNA mitocondriale è una piccola molecolac i rc o l a re localizzata all’interno dei mitocondri,piccoli corpuscoli situati nella cellula fuori dal nu-cleo, nella parte detta citoplasma. Essi rappresen-tano le centrali energetiche delle cellule. In ognisingolo mitocondrio vi sono numerosi anelli di

DNA (mtDNA), ciascuno dei quali compre n d e37 geni interessati nella produzione di energia.

Una caratteristica del mtDNA è quello di esseree reditato esclusivamente per via materna, vale a di-re che ognuno di noi ha ereditato il mtDNA dallasola madre, a differenza del DNA nucleare, per ilquale, come si è ricordato in precedenza, il padre ela madre contribuiscono in uguale misura nel de-t e r m i n a re il DNA del proprio figlio.

Già dal 1981 si conosce la struttura completadel mtDNA che è stato interamente sequenziato daAnderson e dai suoi collaboratori. Si tratta di un ti-po di DNA a catena singola (aploide), al contrariodi quello nucleare che risulta costituito da una ca-tena doppia (diploide), di 16569 paia di basi (bp).

Il mtDNA è soggetto a cambiamenti, cioè mu-tazioni, che si esprimono con sostituzioni dellesingole unità (basi) che lo costituiscono, che pos-sono essere anche causa di gravi patologie. La fre-quenza con la quale avvengono le mutazioni nelmtDNA è estremamente elevata, circa 10 volte su-periore a quella del DNA nucleare, e questo per-mette di utilizzare il DNA mitocondriale nellostudio dei fenomeni che riguardano l’evoluzione abreve termine delle popolazioni. Le analisi compa-rate di molecole di mtDNA, effettuate su indivi-dui sparsi in tutto il mondo, hanno consentito dir i c o s t ru i re le principali migrazioni degli esseriumani anatomicamente moderni che hanno per-corso i vari continenti. Esse hanno permesso anchedi stabilire date approssimative per il popolamen-to non solo dei diversi continenti, ma anche diaree geograficamente più limitate.

A l l’interno della molecole del mtDNA è pre-sente una zona denominata D-loop, costituita dadue distinti segmenti (I e II), che controlla le fun-zione a cui la molecola è deputata. L’ i n t e resse dimolti ricercatori si è rivolto con una certa pre f e re n-za al segmento I di tale zona, che sembra pre s e n t a-re il più elevato tasso di evoluzione della molecola.

Tenendo conto delle interessanti informazioniche possono deriva re dall’analisi del DNA mito-condriale, è stato effettuato il sequenziamento di388 bp della regione di controllo del mtDNA, com-p rese tra la posizione 16023 e 16410 della sequen-za di riferimento di Anderson, in un campione di49 individui della popolazione di Alia. È la primavolta che nella letteratura scientifica viene riport a t oquesto tipo di dati su una popolazione siciliana.

I risultati ottenuti rivelano anche nel caso delmtDNA, come già per i marcatori genetici classi-ci, che la popolazione aliese emerge per alcune ca-

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ratteristiche sue proprie quando è confrontata conaltre popolazioni di origine euromediterranea. Lanostra analisi ha messo in luce che i Siciliani, perquanto riguarda le sequenze del mtDNA, hannoalcune frequenze intermedie a quelle trovate nellepopolazioni di confronto. Ciò è particolarmenteevidente nella distribuzione di alcune sostituzioni,che collocano il campione siciliano in una posizio-ne centrale tra le popolazioni orientali e quelle oc-cidentali del Mediterraneo. Ad esempio le sostitu-zioni che si registrano nei siti 16069, 16126 e16223 della sequenza hanno delle frequenze chedecrescono passando dal Vicino Oriente verso Oc-cidente (Figura 4).

Servendoci delle frequenze delle varie mutazio-ni è stato possibile calcolare, come per i marcatorigenetici di cui si è parlato in precedenza, le distan-ze genetiche e da queste abbiamo costruito l’albe-ro genetico riportato in figura 5.

Appare subito evidente che alle due estremitàdella parte dell’albero che riguarda le popolazionimediterranee, non tenendo quindi conto dell’Afri-ca e dell’Asia, si trovano le popolazioni del MedioOriente da una parte e i Baschi, unitamente aiCorsi, dall’altra.

L’analisi della distribuzione delle differenze nel-le sequenze del mtDNA degli aliesi sembra indica-re che, in un passato non molto recente, si sia ve-rificato in Sicilia un episodio di espansione dellapopolazione. La popolazione iniziale costituita dacirca 300-900 individui sarebbe aumentata sino adun numero compreso tra 12.000 e 35.000.

Ma quando si sarebbe verificato tale aumentodemografico della popolazione? Le stime suggerited a l l’analisi delle sequenze del DNA mitocondrialeindicano un periodo che oscilla tra 20.732 e 59.691anni fa, con un va l o re intermedio di 39.679 anni.

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Fig. 4 - Variazioni delle mutazioni presenti nei siti 16126 e16223 della sequenza mtDNA che mostrano un andamen-to decrescente dall’Oriente verso l’Occidente mediterranei.

Fig. 5 - Albero genetico ricavato dalle distanze ottenute peril DNA mitocondriale. L’albero mostra una crescente diffe-renziazione nel Mediterraneo da Oriente verso Occidente.

Anche le popolazioni di confronto mostranoun unico maggiore episodio di espansione che si sa-rebbe verificato in tempi diversi rispetto a quellidella Sicilia, dapprima in Oriente e poi in Oc c i-dente. La popolazione che avrebbe avuto l’ e s p a n-sione più antica, indicata tra 47.000 e 135.000 an-ni fa circa, sarebbe quella del Medio Or i e n t e .A l l’opposto la più recente espansione si sarebbe ve-rificata nei Baschi tra 14.000-41.000 anni fa circ a .

I suggerimenti che quindi vengono dalle diver-se analisi effettuate sembrano concordare con unamigrazione delle popolazioni da Oriente verso Oc-cidente all’interno del Mediterraneo, migrazioneche è stata sostenuta anche da molti altri autori(Comas et al., 1996; Francalacci et al., 1996; Va-resi et al., 2000 ).

Un’altra fonte di informazione che prov i e n ed a l l’analisi del DNA mitocondriale sta nel fattoche nella sequenza di un individuo possono esserepresenti contemporaneamente più mutazioni che,se considerate congiuntamente, costituisconoun’associazione detta aplotipo.

Se analizziamo le frequenze degli aplotipi, no-tiamo che la Sicilia, rappresentata da Alia, ha in al-

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cuni casi dei valori intermedi tra quelli delle po-polazioni mediterranee orientali e quelli delle po-polazioni occidentali. Come ad esempio la fre-quenza dell’aplotipo che corrisponde alla sequenzadi Anderson. In altri casi la popolazione sicilianamostra aplotipi rari comuni solamente ad alcunedelle altre popolazioni del confronto come, adesempio, un aplotipo comune con gli Spagnoli oquello comune con i Sardi. Altri singoli aplotipisono condivisi con i Toscani, con i Berberi e con lapopolazione medio orientale.

Ma possiamo osservare anche che il 45% degliaplotipi ritrovati ad Alia non sono presenti nellealtre popolazioni e sembrano essere quindi caratte-ristici di questa popolazione.

5.4. Alia e il punto di vistadell’antropologia molecolare

I risultati ottenuti analizzando la struttura ge-netica della popolazione di Alia mediante i marca-tori genetici costituiti dai gruppi sanguigni, daglienzimi e dalle proteine del sangue e dal sequenzia-mento del DNA mitocondriale, permettono di ar-rivare ad alcune osservazioni che riguardano sia lastoria biologica di questa popolazione sia, più ingenerale, di quella dell’intera Sicilia.

Secondo alcuni studiosi non vi sarebbe all’in-terno della Sicilia attuale una variabilità geneticatale da permettere una suddivisione in sottopopo-lazioni e nelle sue caratteristiche genetiche non sa-rebbe possibile riconoscere nessuna influenza at-tribuibile ai gruppi e alle popolazioni che nell’arcodei millenni a partire dalla Preistoria sono giuntisul suolo siciliano.

Ma secondo altri autori in Sicilia sono presentidelle differenze genetiche interne che possono es-sere fatte risalire molto indietro nella storia dell’i-sola. Sicani, Elimi, Siculi potrebbero essere all’ori-gine della variabilità attuale e il retaggio da essilasciato avrebbe prodotto una differenziazione tral’area occidentale e quella orientale dell’isola (Piaz-za et al., 1988). Anche la colonizzazione gre c aa v rebbe dato un contributo forte alla va r i a b i l i t àgenetica interna della Sicilia che avrebbe ricevutoun successivo apporto anche dai Cartaginesi, Ro-mani, Arabi, Normanni, Spagnoli ecc. In una ri-cerca condotta da Semino e collaboratori (1989)veniva ipotizzata, in base ai dati rilevati, una mi-grazione di geni dall’Africa nera verso la Sicilia, va-lutabile intorno al 10%. Questi geni sarebbero sta-ti introdotti nell’isola dall’ a r r i vo di schiavi neri

giunti al seguito di Fenici e Romani e/o dalle mi-grazioni arabe. Ma dai dati della nostra ricerca sulmtDNA non emerge alcuna caratteristica comunetra la popolazione siciliana e le popolazioni neredell’Africa, come ci si sarebbe potuto attendere inbase ai risultati del lavoro citato. L’attesa di un’in-fluenza africana era supportata anche dalla consi-derazione che la Sicilia è l’unica regione del Medi-terraneo, insieme con la Grecia, a possedere unafrequenza non trascurabile di emoglobina S e delgene che la determina. Questo, che è responsabiledi una grave forma di anemia detta falciforme o si-clemia, è notevolmente diffuso in Africa tanto daessere un gene caratteristico di molte delle popola-zioni che vivono specialmente nelle aree centrali inquesto continente. La stessa indicazione provienedall’esistenza nel complesso dei geni (pool genico)della popolazione siciliana di altri geni che si ri-tengono di origine africana (Vona et al., 1998,2000). Tuttavia alcuni aplotipi, che emergono dal-le sequenze da noi studiate, risultano comuni ai Si-ciliani e ai Berberi e suggeriscono quindi la possi-bilità che vi sia stato un certo contatto con lepopolazioni dell’Africa settentrionale.

Ma al di là della ricerca delle tracce che una po-polazione o l’altra hanno potuto lasciare nel poolgenico dei Siciliani, cosa possibile solamente in al-cuni casi particolari, una considerazione apparecerta: la Sicilia non è una unità omogenea dal pun-to di vista della sua struttura genetica.

Alcune ricerche, precedenti alla nostra, svilup-pate mediante i marcatori genetici classici (Piazzaet al., 1988) e attraverso l’uso delle frequenze e del-le distribuzioni dei cognomi e dei nomi presentinell’attuale popolazione siciliana (Guglielmino etal., 1991), rivelano l’esistenza tra la parte occiden-tale e la parte orientale dell’isola di una certa diffe-renziazione che a volte si traduce nella comparsa dialcuni cambiamenti graduali delle frequenze da estverso ovest.

La Sicilia non presenta sul suo territorio strut-ture orografiche tali da far pensare che vi siano sta-te forme di isolamento geografico che possanospiegare le differenze che i risultati ottenuti hannomesso in evidenza, ma vi devono essere stati altrimeccanismi che hanno concorso a produrre le di-versità riscontrate. Vi è una variazione culturaleinterna alla Sicilia che viene evidenziata dall’anali-si dei cognomi e dei nomi la cui differente distri-buzione è indicativa di diverse condizioni storichee sociali. Questa analisi suggerisce che la Sicilia èdivisa in differenti regioni e che la principale sud-

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divisione, con un gradiente nella stessa direzionedi variazione delle distribuzioni delle frequenze ge-niche, è in direzione est-ovest (Guglielmino et al.,1991). I risultati dello studio della struttura gene-tica che emergono dai cognomi e dai nomi, sotto-linea inoltre una persistenza dell’influenza gre c aattraverso i secoli.

Un segnale della differenziazione interna vieneanche dal rilevamento dell’esistenza di barriere ge-netiche interne da parte di diversi ricercatori (Bar-bujani et al., 1992; Rickards et al., 1992; Gugliel-mino et al., 1991; Zei et al., 1993). Un improvvisoe significativo cambiamento delle frequenze geni-che è stato ravvisato tra le aree occidentali e cen-trali dell’isola oltre che a sud-est e nord-est (Bar-bujani et al., 1992). Una barriera intorno ad Enna,nel centro dell’isola, e un’altra ad occidente traAgrigento e Trapani sare b b e ro presenti secondoRickards et al. (1998).

I risultati che abbiamo ottenuti ad Alia in rap-p o rto alle altre popolazioni della Sicilia sembranoc o n c o rd a re con quegli autori che sostengono l’ a s-senza di uniformità genetica interna all’isola. No nsolo, ma essi sembrano suffragare anche l’ e s i s t e n z adi una divergenza genetica tra le aree occidentali equelle orientali dell’isola, avendo evidenziato l’ e s i-stenza di alcune barriere genetiche che perc o r ro n ol’isola dividendola in modo abbastanza netto in tregrandi aree. Quindi si può ritenere che la Sicilia at-tuale non è caratterizzata affatto da un’ u n i f o r m i t àgenetica, ma da una certa variabilità interna che simanifesta in alcuni casi attraverso l’esistenza di gra-dienti di distribuzione delle fre q u e n ze geniche, inaltri attraverso significative barriere genetiche. Sip o t rebbe perciò pensare alla popolazione sicilianacome costituita da un insieme di sottopopolazioni.

Ci si potrebbe chiedere in che modo possa es-sere spiegata la particolarità genetica che sembrac a r a t t e r i z z a re la popolazione aliese, quali siano ifattori che l’hanno determinata.

La singolarità di Alia potrebbe essere legata alp a rziale isolamento che per lunghi periodi l’ h acontraddistinta. Infatti, per tutta la prima part edel XIX secolo d.C. la popolazione di Alia visse unprocesso di progressivo isolamento che si interrup-pe solamente dopo l’unificazione dell’Italia (1860)e che riprese con la forte ondata emigratoria che siverificò nell’ultima parte dello stesso secolo. L’ana-lisi dei cognomi rivela, specialmente nel periodocentrale del secolo XIX, un numero estremamenteridotto di cognomi diversi presenti ad Alia: circa13 su 100 (Bigazzi, 2000). Ciò significa che Alia

aveva pochi scambi matrimoniali con le altre po-polazioni, cioè gli aliesi pre f e r i vano scegliere ilp roprio coniuge all’interno della loro comunità.Questo determinò quindi anche uno scambio oflusso di geni veramente ridotto con le popolazio-ni limitrofe. La struttura matrimoniale aliese erabasata su matrimoni che avvenivano preferenzial-mente entro il paese e spesso tra parenti. Così nelperiodo tra il 1830 e il 1844, nel quale cadde l’e-pidemia di colera, Alia conservò solamente 127cognomi diversi dei 219 presenti nei periodi pre-cedenti (Bigazzi, 2000). Questo notevole decre-mento dei cognomi era in realtà l’indice della re-pentina contrazione del numero degli individuiche costituivano la popolazione. E’ possibile cheuna riduzione tanto consistente e improvvisa dellapopolazione abbia in qualche modo rimescolato lefrequenze geniche, abbia potuto cioè aumentare oridurre la frequenza di un particolare gene o di unparticolare aplotipo, modificando casualmente las t ruttura genetica complessiva (fenomeno delladeriva genetica). La popolazione sopravvissuta alcolera avrebbe potuto presentare frequenze geni-che molto diverse rispetto a quelle preesistenti al-l’ e vento epidemico e a quelle delle altre re g i o n idella Sicilia. L’isolamento avrebbe poi favorito ilmantenimento di tale struttura.

Vi è la possibilità che anche un altro fattore ab-bia agito sulla popolazione di Alia. La dive r g e n z agenetica dettata da alcuni dei parametri del DNAmitocondriale e dalla peculiarità di alcune sequenzepuò essere stata causata anche da alcune espansionipiù recenti che essendo più vicine a noi in terminidi tempo non possono essere rilevate dagli attualimetodi impiegati. Tali espansioni potre b b e ro ave ri n c rementato la variabilità mitocondriale locale,mantenuta poi dall’ i s o l a m e n t o. Durante il periododel colera, come si è già detto, scomparve ro ad Aliaun gran numero di cognomi presenti nella popola-zione, ma furono introdotti negli anni successivi unn u m e ro pressoché identico di cognomi nuovi pro-venienti principalmente dalle aree limitrofe.

La posizione occupata dalla popolazione dellaSicilia nel novero del Mediterraneo conferma dauna parte la sua origine antica e dall’altra la con-servazione della sua identità genetica.

Le date del maggior episodio di espansione del-la popolazione della Sicilia Occidentale, che sareb-be avvenuta durante il Paleolitico, concordano conquanto suggeriscono i ritrovamenti archeologici.

Nelle caratteristiche della popolazione di Alia sipossono riconoscere i contatti che la Sicilia ha avu-

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to con le varie popolazioni dell’area mediterraneadei quali permane traccia nella comunanza di al-cune mutazioni e di diversi aplotipi. E’ evidenteche il pool genico dei siciliani attuali è stato inqualche modo influenzato dalle altre popolazionimediterranee. Un contributo da parte delle popo-lazioni del Medio Oriente è indubitabile. Ma ap-p o rti sono pervenuti anche da altre regioni delMe d i t e r r a n e o. Alcune fre q u e n ze, che variano indirezione oriente-occidente o nel senso inverso eche trovano in Sicilia molto spesso il loro valore in-termedio, fanno pensare che l’isola sia stata sempreun punto d’ i n c o n t ro non solamente culturale ecommerciale, ma anche genetico e le popolazioniche hanno in qualche modo attraversato la Siciliasembrano aver lasciato un retaggio non solo cultu-rale ma anche genetico. In molti casi questo puòessere fatto risalire come si è detto al Paleolitico,ma anche durante il Neolitico, cioè nel periododella grande migrazione che accompagnò la diffu-sione dell’agricoltura dal Vicino Oriente verso lea ree occidentali del Mediterraneo, e durante leepoche successive vi furono immissioni di geni.

Ma, dall’ a l t ro canto, alcune caratteristiche dellapopolazione di Alia sembrano essere state modella-te dagli effetti dei fenomeni casuali della deriva ge-netica e conservate dall’isolamento come rive l a n oalcuni fatti storici e alcuni venti demografici.

Rimangono ancora alcuni interrogativi ai qualid a re risposta. Quanto somiglia la popolazione at-tuale di Alia, sotto l’aspetto genetico, alla popolazio-ne che pre e s i s t e va all’epidemia di colera del 1837?Quanto questo evento drammatico che decimò lapopolazione influì e cambiò la struttura geneticadella popolazione che sopravvisse al colera stesso?

Lo studio approfondito che si sta conducendosulla popolazione sub-fossile, rappresentata daglischeletri ritrovati nella grotta del Camposanto Ve c-chio, potrà probabilmente chiarire in un confro n t ocon i dati sulla popolazione attuale quali legami ge-netici tengano ancora avvinta la popolazione attua-le a quella che abitò Alia prima del colera.

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6.1. Presentazione e finalità della ricerca

Con il proposito di contribuire al progetto avviatosu Alia dal Prof. Brunetto Chiarelli, abbiamo con-dotto un’indagine su due sistemi biologici fonda-mentali per la sopravvivenza di tutti gli organismianimali, compresa la nostra specie: le immunoglo-buline, note più comunemente come anticorpi, ele emoglobine.

È noto, infatti, che gli anticorpi rappre s e n t a n ouna delle principali difese immunitarie contro lemalattie causate da microrganismi patogeni (viru s ,batteri, pro t o zoi, funghi, ecc.). Fino alla scoperta dimolti farmaci, primi tra tutti gli antibiotici, l’ u o m oè stato sottoposto a una fortissima selezione natura-le ad opera delle malattie infettive, che, nonostantei grandi pro g ressi medici, giocano ancor oggi unruolo decisivo nella sopravvivenza della nostra spe-cie soprattutto nelle aree del terzo mondo. L’ o s s e r-vazione che non tutti gli individui presentano lostesso tipo di anticorpi (differe n ze allotipiche) e chela distribuzione di queste diverse forme è notevo l-mente differenziata nei vari gruppi umani, indiche-rebbe un probabile vantaggio di tale variabilità. In-fatti le differe n ze allotipiche degli anticorpi(sistema Gm e Km) potre b b e ro riflettere una mag-g i o re resistenza o suscettibilità a certe malattie.

D’altra parte l’emoglobina è sicuramente la pro-teina più conosciuta di tutti i sistemi proteici stu-diati in biologia, soprattutto a causa di certe altera-zioni patologiche ereditarie (in quanto avvenute neln o s t ro patrimonio genetico e quindi trasmissibili)note come emoglobinopatie e talassemie pre s e n t inel Sud Italia e nel Delta Pa d a n o. L’emoglobina èp resente nei globuli rossi, le cellule del sangue, e lasua funzione è quella di trasport a re l’ossigeno daipolmoni a tutti i tessuti del nostro organismo e l’ a-nidride carbonica in senso inve r s o. Risulta eviden-te come la buona funzionalità di questa biomoleco-

la risulti di fondamentale importanza per la nostras o p r a v v i venza. Un trasporto insufficiente di ossige-no, può causare il cattivo funzionamento delle cel-lule che costituiscono il nostro organismo, se nonaddirittura la morte. Infatti, il cervello e tutti gli or-gani, grazie all’ossigeno, possono pro d u r re energiaper svo l g e re le loro funzioni vitali.

Ne l l’uomo, fino ad oggi, sono state evidenziatipiù di 700 difetti emoglobinici per lo più clinica-mente silenti. Si tratta generalmente di alterazionidella struttura o di sintesi delle catene polipeptidi-che che costituiscono l’emoglobina. È noto che l’ a t-tuale distribuzione geografica di alcune emoglobi-nopatie è il risultato di un processo selettivo da part edella malaria, un’ i n f ezione molto grave, talvolta le-tale, causata da un genere di microrganismi parassi-ti, detti Plasmodi, che si moltiplicano all’interno deiglobuli rossi causandone la morte cellulare. Gli in-dividui portatori sani (in quanto eterozigoti, port a-no un allele sano e l’allele difettoso) di alcuni difettie reditari dell’emoglobina presentano una maggioreresistenza alla moltiplicazione del parassita malarico,grazie a una più intensa fagocitosi e distruzione del-le cellule alterate. Così, nonostante il carico geneti-co (infatti coloro che presentano tutti e due gli alle-l i difettosi sono affetti da grave anemia) lepopolazioni in ambienti malarici sono caratterizzateda elevate fre q u e n ze di anomalie emoglobiniche, ditipo diverso nelle varie aree geografiche.

In generale, l’uomo presenta un’ e l e vata va r i a b i-lità nel suo patrimonio genetico. L’esistenza di nu-m e rose forme alternative dei geni (alleli) ha permes-so alla nostra specie di affro n t a re condizioni evariazioni ambientali anche molto rapide. In f a t t i ,grazie alla variabilità funzionale e strutturale dei si-stemi biologici nei diversi individui, naturalmentee n t ro i limiti fisiologici, le risposte adattative posso-no essere molteplici garantendo così una maggiorep robabilità di sopravvivenza della nostra specie.

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Capitolo 6

STUDIO DELLE IMMUNOGLOBULINEE DELLE EMOGLOBINE NELLA POPOLAZIONE DI ALIA

CERUTTI GIORZA N., RABINO MASSA E.Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo. Università di Torino

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I sistemi proteici, dal momento che sono varia-bili da un individuo all’altro, e poiché sono i geniche determinano tale variabilità, sono detti poli-m o rfismi genetici. Essi presentano una distribu-zione molto diversificata tra gli individui e tra lepopolazioni. È stato possibile costruire delle vere eproprie mappe geografiche sulla distribuzione deigeni nei diversi continenti. I caratteri genetici po-limorfici permettono anche di valutare quantitati-vamente le relazioni tra gli individui appartenentia uno stesso gruppo o quelle interc o r renti tragruppi umani diversi, attraverso le distanze geneti-che, stimate a partire dalle frequenze alleliche.

Il principale obiettivo della nostra indagine èstato quello di determinare la struttura geneticadella popolazione di Alia, mediante il sistema Gme Km e i difetti emoglobinici, e di stimare i rap-porti genetici con altre popolazioni mediterraneee.

In alcuni casi sono stati individuati dei geniparticolarmente frequenti in certe popolazioni mararissimi in altre. Grazie a questa peculiarità, taligeni possono essere utilizzati come marcatori dellepopolazioni. Lo studio della distribuzione deimarcatori genetici ci permette quindi di ricostrui-re i flussi di geni avvenuti tra le popolazioni, daquesti stabilire le migrazioni e i contatti secolariavvenuti tra gli abitanti di Alia e gli altri popolidell’area mediterranea.

6.1.1. Il sistema Gm e Km

Le immunoglobuline (Ig) comprendono un va-sto gruppo di proteine chimicamente legate, aven-ti la funzione di anticorpi e rappresentano uno deiprincipali meccanismi immunitari contro le infe-zioni da agenti patogeni. Esse sono prodotte dailinfociti B, grazie all’interazione con i linfociti Thelper, in presenza di antigeni estranei (HLA com-patibili) nell’organismo.

Queste proteine hanno in comune una struttu-ra molecolare costituita da 4 catene polipeptidicheunite da ponti disolfuro, di cui 2 catene pesantiidentiche (H) con p.m. 55.000-75.000 e 2 cateneleggere (L) con p.m. 23.000 (Porter, 1973). I sitidi legame, altamente specifici, dell’anticorpo risie-dono in regioni ipervariabili, localizzate nell’estre-mità amminica terminale delle 4 catene polipepti-diche che costituiscono la molecola.

Sono stati identificati cinque tipi diversi di ca-tene pesanti (G, M, A, D e E) in base ai quali sipossono distinguere 5 classi di immunoglobuline(Ig G, Ig M, Ig A, Ig D ed Ig E), alcune delle qua-

li, in base a differenze antigeniche più lievi, sonoulteriormente divisibili in sottoclassi (IgG1, IgG2,IgG3, IgG4, IgA1 e IgA2). Inoltre, sono stati evi-denziati due tipi di catena leggera (κ e λ), comunia tutte le 5 classi Ig.

Queste catene sono costituite a loro volta dauna serie di unità, chiamate domini, in cui le se-q u e n ze aminoacidiche possono essere identicheoppure diverse nelle diverse molecole Ig. Le catenepesanti presentano quattro o cinque domini, men-tre le catene leggere ne presentano sempre due. Ilprimo dominio, denominato VL per le catene leg-gere e VH per le catene pesanti, parte dalla por-zione NH2 terminale e rappresenta la regione va-riabile della catena, diversa in ogni anticorpo. Ilcomplesso VL e VH costituisce infatti il sito di at-tacco dell’antigene.

Gli altri domini sono regioni costanti e vengo-no denominate rispettivamente CL, per le cateneleggere, e CH1, CH2, CH3 e CH4, per le catene pe-santi. Queste regioni costanti possono essere di-verse negli individui e, dunque, sono polimorfi-che. Come per i più noti gruppi sanguigni AB0 eRh, anche se in modo più lieve, possono scatenareuna risposta immunitaria in caso di trasfusione disangue non compatibile.

Sono stati individuati quattro sistemi polimor-fici nelle immunoglobuline (Gm, Am, Em e Km).Di questi il sistema Gm mostra il più alto grado divariabilità e per questo è il più studiato dai geneti-sti e dagli antropologi. Il polimorfismo Gm è ri-stretto alla sottoclasse IgG1, è localizzato sui do-mini costanti CH1, CH2 e CH3 delle catenepesanti e viene denominato rispettivamente G1m,G2m e G3m.

I geni che codificano per le catene pesanti sonostati localizzati in loci molto vicini sul cromosoma14, al punto da essere ereditati in combinazionifisse, dette aplotipi, poiché molto raramente pos-sono essere coinvolte in processi di ricombinazio-ne (crossing over) durante la meiosi.

Il sistema Km è un altro polimorfismo delle im-munoglobuline, è situato sulla regione costante(CL) della catena leggera κ, presente in tutte le clas-si Ig, e il suo gene è localizzato sul cromosoma 2.

6.1.2. I difetti emoglobinici

L’emoglobina è un’ e m o p roteina composta dauna frazione proteica ad alto peso molecolare(p.m. 64.456) detta globina, e da 4 frazioni nonproteiche a basso peso molecolare (p.m. 616) det-

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te eme o gruppi prostetici formate dalla protopor-firina IX combinata con un atomo ferro. L’assorbi-mento dell’ossigeno da parte dell’emoglobina im-plica un’ossidazione degli atomi di ferro contenutinei gruppi funzionali.

Nell’uomo le emoglobine, riscontrabili nei di-versi stadi dello sviluppo, sono tutte tetrameri co-stituiti da una coppia di catene α o α simili e dauna coppia di catene β o β simili. In condizioninormali, infatti, nel corso della vita, compre s aquella intrauterina, sono presenti diversi tipi diemoglobine che differiscono tra loro per la com-posizione delle catene che costituiscono la globina.Le catene globiniche di tipo α e β sono codificateda due raggruppamenti genici (clusters) localizzatirispettivamente sul braccio corto del cromosoma16 e sul braccio corto del cromosoma 11.

Nell’adulto sono presenti normalmente tre tipidi emoglobina: l’Hb A, l’Hb A2 e l’Hb F. L’Hb Acostituisce circa il 97% dell’emoglobina dell’indi-viduo normale, l’Hb A2 il 2,0-2,5%. L’Hb F è l’e-moglobina propria della vita fetale ed è presentenell’adulto solo in tracce. L’Hb A è composta dadue catene α e due catene β, l’Hb A2 da due cate-ne α e due catene δ, l’Hb F da due catene α e duecatene γ.

In certe condizioni patologiche, la sintesi diemoglobine embrionali e fetali persiste fino ad unperiodo successivo a quello di normale disattiva-zione dei rispettivi geni globinici.

I difetti emoglobinici che interessano le cateneα e β sono le più diffuse (rispettivamente 31% e55%) mentre quelle relative alle catene γ o δ han-no minore rilevanza e sono di più raro riscontro(1.5%).

Le varianti β sono maggiormente conosciute diquelle α, perché in genere queste ultime tendonoad ave re conseguenze cliniche più lievi. In f a t t i ,un’alterazione di una delle quattro copie dei geniα produce effetti meno evidenziabili di quanti neproduca un’alterazione di una delle due copie β.Inoltre, poiché le catene α sono già presenti nelleemoglobine embrionali e fetali, una loro alterazio-ne può essere letale già durante la vita prenatale(aborto precoce), mentre ciò non può accadere perle catene β sintetizzate solo dopo la nascita.

In generale, i difetti delle emoglobine possonoessere distinti in quattro raggruppamenti:

1. le varianti strutturali (alterazioni della strut-tura di una catena polipeptidica con conseguentesintesi di una emoglobina anomala come Hb S,Hb C, ecc.);

2. le talassemie (alterazioni della sintesi di unacatena polipeptidica. Esistono talassemie α, β, δ oγ, a seconda del tipo di catena colpito. Sono cau-sate da mutazioni spesso a livello intronico o a de-lezioni del gene globinico);

3. le emoglobine anomale (costituite da catenepolipeptidiche normali ma unite nel tetramero inmodo anomalo);

4. la persistenza ereditaria di Hb fetale o HPFH(deriva da delezioni geniche che causano la persi-stenza della sintesi delle γ catene nell’adulto senzaun’associazione con la talassemia).

6.2. Svolgimento della ricerca

Il nostro coinvolgimento nel progetto di Aliaparte nel 1997, con la seconda edizione del Cam-po Scuola Estivo di Antropologia, in occasionedella quale, grazie alla vivace collaborazione deglistudenti del Corso di Genetica delle PopolazioniUmane, abbiamo organizzato la raccolta di cam-pioni di sangue presso il piccolo ambulatorio co-munale. Il nostro invito a tutti gli Aliesi, da alme-no due generazioni, a donare un campione disangue per la nostra ricerca è stato accolto da circaun centinaio di volontari. A tutti i donatori è sta-to consegnato gratuitamente un tesserino persona-le con il gruppo sanguigno ABO e Rh, le analisi ditrigliceridi, colesterolo e glicemia. I campioniematici sono stati aliquotati in plasma, siero e cel-lule, congelati fino al momento dello studio.

Nell’estate del 1998, grazie alla gentile collabo-razione della Dott.ssa Maria Grazia Andollina edell’associazione Thalassa, è stato possibile racco-gliere altri prelievi in Alia ed estendere il campio-namento a Palermo e ad altri due piccoli comuni(Cerda e Valledolmo).

Complessivamente sono stati studiati 392 cam-pioni (di cui 145 provenienti da Alia) per il siste-ma Gm e Km delle immunoglobuline, 158 casiper i difetti emoglobinici e sono stati estratti 258campioni di DNA.

L’analisi delle immunoglobuline è stata effet-tuata su siero addizionato di N3Na allo 0.02%conservato a -20°C fino al momento della tipizza-zione. I campioni sono stati testati per gli allotipiG1m 1, 2, 3, 17 della catena pesante γ1, per l’allo-tipo G2m 23 della catena pesante γ2 , per gli allo-tipi G3m 5, 6, 10, 11, 13 , 14, 15, 16, 21, 24, 28della catena pesante γ3 e infine per l’allotipo Km 1della catena leggera κ. Nel presente lavoro è statoimpiegato un test di inibizione dell’emoagglutina-

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z i o n e p a s s i va, metodo comunemente utilizzatonella determinazione degli allotipi umani, che per-mette di fare una stima semiquantitativa della con-centrazione dei determinanti antigenici.

Le fre q u e n ze alleliche degli aplotipi Gm e deglialleli Km sono state calcolate mediante il metododella massima ve rosimiglianza (Ed w a rds, 1984).L’analisi della distribuzione nei diversi gruppi consi-derati è stata realizzata mediante il test χ2 con la cor-rezione di Yates e il test G con la correzione di Wi l-liams, quando il numero di casi era molto piccolo.

Dalle matrici di distanza genetica (calcolate se-condo Nei, Reynolds e Cavalli Sforza) abbiamocostruito dei dendrogrammi, utilizzando i metodicladistici di Fitch (1967), kitsch e neighbor joi-ning (Felsenstein, 1989), per illustrare le relazionigenetiche interc o r renti tra Alia, gli altri comunidelle Madonie e alcune popolazioni mediterranee.La verifica dell’attendibilità dei dendrogrammi ot-tenuti partendo dalle matrici di distanza è statarealizzata mediante tecniche di bootstrap (Felsen-stein, 1985). Sono state programmate 1000 repli-cazioni di bootstrap, ed è stato costruito un alberodi consenso con il metodo del majority rule. Al fi-ne di controllare ulteriormente i risultati ottenutiè stato costruito un dendrogramma direttamentesulle frequenze aplotipiche secondo il principio dimaximum likelihood (Weir, 1990) per controllare ir a g g ruppamenti non verificabili mediante b o o t -strap quando troppo deboli.

Infine sono stati utilizzati metodi di analisimultivariata, quali le componenti principali e l’a-nalisi fattoriale, al fine di concentrare tutte leinformazioni sulle frequenze aplotipiche in pochevariabili e fornire un quadro sintetico sul sistemaGm ad Alia e in altre popolazioni del bacino me-diterraneo.

Per semplificare il carico computazionale sonostati utilizzati alcuni dei software statistici più co-muni, Statistica e Statgraphics, e altri più specifici,quali Genepop v. 3.1 (Raymond et al., 1995), ePhylip v. 3.5c (Felsenstein, 1989).

La caratterizzazione delle emoglobine è stata ef-fettuata su sangue intero in EDTA, conservato a4°C, e poi congelato a -20°C fino al momento del-l’estrazione del DNA per la caratterizzazione mo-lecolare.

Tutti i campioni sono stati sottoposti a esamipreliminari che permettono di identificare le va-rianti emoglobiniche o i casi sospetti di α o β ta-lassemia. Per tale caratterizzazione è stato seguitoun iter di protocollo per la diagnostica di I livello

dei difetti emoglobinici che prevede l’esame emo-cromocitometrico e il dosaggio delle emoglobinemediante cromatografia liquida ad alte prestazioni(HPLC). In alcuni casi, sono stati eseguiti esamielettroforetici e il test di falcizzazione, che possonoessere già risolutivi per la caratterizzazione di alcu-ne varianti emoglobiniche.

I campioni, in cui sono state evidenziate ano-malie fenotipiche riferibili a difetti talassemici, so-no stati sottoposti a indagini dirette del DNA, me-diante tecniche quali l’amplificazione genica(PCR), la digestione con gli enzimi di restrizione,il reverse dot blot, ecc..

7. 3. Risultati sui gruppi sanguigni AB0 e Rh

I gruppi sanguigni, scoperti da Karl Landstei-ner cento anni fa, rappresentano i primi polimor-fismi genetici osservati nell’uomo. La loro scoper-ta ha rivoluzionato la medicina permettendo laconoscenza dei meccanismi che stanno alla basedella compatibilità per le trasfusioni di sangue e dii m p o rtanti malattie come l’ e r i t roblastosi fetale.Meno noti ma altrettanto interessanti sono gli stu-di condotti sulla distribuzione dei gruppi sangui-gni nelle popolazioni umane, grazie ai quali èemerso che il sistema AB0 e gli aplotipi Rh, comemolti altri sistemi proteici, sono presenti in fre-quenze molto diversificate nei vari gruppi umani.

I dati relativi ai sistemi AB0 e Rh osservati adAlia, analizzati con il metodo del χ2, sono static o n f rontati con campioni provenienti dall’ It a l i ameridionale, dalla Sicilia e da Palermo. È emersauna differenza statisticamente significativa per ilsistema AB0 (P<0,01) tra Alia e i campioni di con-trollo.

In particolare, Alia presenta un’elevata frequen-za del gruppo sanguigno B (23,5%) che in Siciliageneralmente non supera l’11-12 %. D’altra parteil numero di individui con gruppo A è inferiore al-la media dell’isola (35% circa) poiché la frequenzanon va oltre il 24,5%. I gruppi 0 e AB, invece,hanno frequenze, rispettivamente del 48% e 4%,molto simili al resto della Sicilia.

Lo studio dei gruppi sanguigni è molto interes-sante dal punto di vista non solo genetico ma an-che antropologico in quanto sono state evidenzia-te in diverse popolazioni umane delle associazionicon malattie di carattere epidemico. Tra queste ènota una chiara associazione tra il sistema AB0 e ilcolera. In particolare recenti studi in Bangladeshhanno evidenziato che i soggetti con gruppo san-

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guigno 0 sono affetti più gravemente da questa pa-tologia. Tuttavia la popolazione di Alia, colpita daun’epidemia di colera nel secolo scorso, non sem-bra presentare frequenze del gruppo 0 inferiori aicampioni di controllo.

Per quanto riguarda la distribuzione del fattoreRh, Alia non presenta differe n ze significative ri-spetto alla Sicilia e più in generale all’Italia meri-dionale.

6.4. Risultati sulle immunoglobuline

I fenotipi osservati del sistema Gm e Km risul-tano in accordo con la legge di Hardy- Weinberg,poiché il test del χ2 non è statisticamente signifi-cativo, evidenziando un buon equilibrio del cam-pionamento dei gruppi testati. La legge di Hardy-Weinberg enuncia che l’andamento della variabi-lità in una popolazione non apporta modifiche so-stanziali al quadro genetico generale, si tratta di unrimescolamento dei geni nell’ambito della stabilitàcollettiva. Infatti, in assenza di specifici fattori diperturbazione (quali le mutazioni genetiche, la se-lezione naturale, le migrazioni e molte altre) le fre-quenze geniche nella popolazione restano costantidi generazione in generazione.

Dal punto di vista genetico, Alia, presenta unad i f f e renza statisticamente significativa (0.001< p<0.01), nei confronti di Va l l e d o l m o. L’ e l e vato isola-mento fino al secolo scorso di questi centri potre b-be aver favorito l’ i n s o r g e re di fenomeni micro e vo-lutivi, che potre b b e ro aver interessato in part i c o l a rele immunoglobuline, a causa soprattutto dellegrandi epidemie storiche, come l’ultima di coleradel 1837, che, oltre ad aver sottoposto queste co-munità ad un’enorme pressione selettiva, hannop o rtato ad un ulteriore isolamento imposto dallerigide regole di controllo sanitario.

D’altra parte, abbiamo osservato che le differe n-ze nella struttura genetica tra Alia e Valledolmo so-no causate principalmente dalla presenza nel primocomune di molti caratteri africani, non riscontratiin Valledolmo più vicina invece alle popolazionicontinentali. Sin dalla fondazione, questi comunip o t re b b e ro aver presentato una diversa stru t t u r agenetica, mantenutasi fino ai nostri giorni.

Tenendo presenti le limitazioni relative allo stu-dio di Cerda, a causa soprattutto del campiona-mento di un ridotto numero di casi, sembrerebbeche tra questo comune e Alia non esistano diffe-renze significative, indicando una stretta relazionegenetica tra i due centri rurali.

I gruppi delle Madonie sono stati confrontatianche con il campione raccolto a Palermo, per va-lutare come questi comuni si differenziano geneti-camente dall’ a rea nord-occidentale della Si c i l i a .Alia e Cerda non presentano differenze significati-ve, evidenziando una buona omogeneità con il re-sto dell’isola, mentre Valledolmo si differenzia no-tevolmente (0.001<p<0.01).

Nonostante sia emersa un’influenza africanasulla struttura genetica di questi gruppi, i risultatirisultano compatibili con i dati classici e moleco-lari, presenti in letteratura sulle altre popolazionimediterranee (Rickards et al., 1992; Vona et al.,1998; Calò et al., 1998; Simoni et al., 1999).

Infatti, in tutti i campioni analizzati sono statiindividuati i caratteri genetici tipici del bacino me-diterraneo (Dugoujon et al., 1989) con un’alta fre-quenza degli aplotipi Gm3; 23; 5* e Gm3;…; 5*. Com-p a re inoltre l’aplotipo Gm1, 17;…;21, 28 con unafrequenza intorno al 16 %, valore piuttosto eleva-to se confrontato con le altre aree meridionali.Questo aplotipo presenta un’ampia variabilità nel-le diverse popolazioni del mondo, e mostra nellasua distribuzione un cline da sud-est a nord-ovest.

Di notevole rilevanza risulta anche la presenzadel comune aplotipo africano Gm1, 17;..; 5*, dall’1.5al 5.5 %, dove Alia mostra la maggiore frequenzadi questa combinazione.

L’aplotipo Gm1, 2, 17; …; 21, 28 si presenta con unbassa frequenza, circa il 5%, ma senza una diffe-renza significativa rispetto l’Italia continentale alcontrario della Sa rdegna dove questo carattere èmolto raro (Piazza et al., 1976). Infine, nel comu-ne di Alia, compare un aplotipo (Gm1,2,17; 23; 21, 28)che non è affatto comune nella popolazione uma-na, probabilmente esso rappresenta una nuovamutazione genetica.

Per quanto riguarda il sistema Km, Alia, Cerda,Valledolmo e Palermo presentano l’allotipo Km(1)con una frequenza rispettivamente del 13.10 %,28.00 %, 25.00 % e 18.09 %. Questo carattere èp resente negli europei con una frequenza mediadel 10-20 % (Fraser et al., 1974), negli africanicon il 40-60 % (Loghem, 1986) e negli orientalicon il 30-60 % (De Lange et al., 1985). E’ stata os-servata inoltre un’alta frequenza dell’allele Km(3),tra il 72.00 % e il 86.90 %, caratteristica in tuttele popolazioni europee.

In un precedente studio delle immunoglobuli-ne in Sicilia, condotto da Walter (1997), sono sta-te osservate frequenze elevate, fino al 40 %, di dueaplotipi (Gm1,3;5,*,26 e Gm1,17;10,11,13,15,16) molto co-

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muni nell’ e s t remo oriente (Cina, Giappone) mararisimi nelle popolazioni mediterranee. L’ipotesidi un’influenza importante da parte di questigruppi in Sicilia, risultò difficilmente sostenibiledal punto di vista storico e geografico e suscitò pa-recchie controversie anche tra i genetisti. Il nostrostudio sembra escludere contatti tra l’ e s t re m ooriente e l’isola, poiché non sono stati osservati ta-li aplotipi. L’aplotipo Gm1,3;5*,26 , emerso in quel-l’indagine, potrebbe essere il risultato di un arte-fatto conseguente a un problema di tipizzazionedell’allotipo G1m (17), ed essere in realtà il comu-ne aplotipo mediterraneo Gm1,17;5*.

6.5. Stima dei rapporti geneticicon altre popolazioni mediterranee

S f o rtunatamente le informazioni re l a t i ve alladistribuzione degli aplotipi del sistema Gm nel ba-cino mediterraneo sono ancora frammentarie espesso incomplete. Emerge talvolta una forte ete-rogeneità dei dati presenti in letteratura a causadell’impiego di tecniche di tipizzazione non anco-ra uniformate e frequentemente a causa della ca-ratterizzazione parziale degli allotipi.

In particolare, in molte indagini non viene te-stato l’allotipo G2m(23), nonostante la sua pre-senza o assenza rivesta una fondamentale impor-tanza nello studio delle popolazioni mediterranee.Questo marcatore è caratterizzante più di altri ed èfortemente discriminante per l’aplotipo mediter-raneo Gm3;5*. A tal riguardo, è stata osservata inSardegna (Piazza et al., 1976) una significativa dif-ferenza nella distribuzione del G2m(23) tra areeposte a diversa altezza rispetto il livello del mare,come osservato per alcuni polimorfismi legati auna maggiore resistenza alla malaria..

Inoltre, il campionamento delle popolazioni èspesso discutibile o addirittura scorretto. Non è in-frequente per esempio che i campioni di siero sia-no raccolti in centri trasfusionali senza indaginipreliminari sull’origine dei donatori.

Tenendo conto di queste limitazioni sono statiselezionati dalla letteratura gli studi più significati-vi e, integrandoli con dati inediti del Dott. JeanMichel Dugoujon dell’ Un i versità di To u l o u s e(Francia), è stato creato un archivio su cui condur-re analisi cladistiche e multivariate, al fine di valu-tare le distanze genetiche tra le popolazioni e dun-que le relazioni che intercorrono tra di esse.

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Fig. 1 - Dendrogramma ottenuto dalla matrice di distanza secondo Nei con il metodo del neighbor joining.

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Dalle matrici di distanza sono stati costruiti idiagrammi ad albero, che hanno prodotto dei rag-gruppamenti delle popolazioni in base alle somi-glianze della loro struttura genetica.

La scelta di seguire diversi principi e metodi dir a g g ruppamento cladistici, ha reso possibile unconfronto tra i diversi alberi e constatare una buo-na riproducibilità dei diversi cluster. In tutti gli al-beri si riconoscono infatti sempre tre clusters prin-cipali (Fig. 1) dove il primo ramo raggru p p aalcune popolazioni della penisola italiana (Ferrara,Lazio, Bari), della Grecia, dell’ex Yugoslavia e del-la Spagna. Il secondo comprende le aree nord, cen-tro e sud della Sardegna (viste le sue particolari pe-culiarità genetiche, i gruppi si mantengono cosìsuddivisi) infine il terzo comprende Alia, Palermo

e Cerda, strettamente legati, seguiti dalla Francia ela Corsica, Valledolmo e l’Algeria (Kabilia).

Mediante l’analisi multivariata delle compo-nenti principali sono state concentrate tutte leinformazioni sulle frequenze aplotipiche per forni-re un quadro sintetico del sistema Gm nelle diver-se popolazioni del bacino mediterraneo (Fig. 2).Anche in questo caso le relazioni tra le diverse po-polazioni sono state confermate dai risultati diqueste analisi che, essendo di tipologia diversa daimetodi cladistici, hanno permesso di verificarne laloro riproducibilità.

In generale l’associazione delle popolazionimostra una buona analogia con la loro posizionegeografica, anche se si osserva qualche apparentediscordanza ricorrente nel raggruppamento com-

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Fig. 2 - Analisi multivariata sul sistema Gm in alcunepopolazioni del Mediterraneo mediante il metodo del-le componenti principali.

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prendente Valledolmo e la Francia. Questo datonon è in realtà così inatteso, infatti, storicamentela Sicilia, in particolare l’area nord-occidentale del-l’isola, è stata governata da Normanni, Svevi e An-gioini. Le tracce di queste dominazioni evidente-mente non sono solo storiche, come dimostra lostesso stemma di Valledolmo fondato come Ca -strum Northmandum, ma sono state lasciate anchenei geni della popolazione. La stretta somiglianzagenetica fra il Nord Europa e l’estremità occiden-tale dell’isola era già stata evidenziata da Pa ve s i(1997) mediante l’analisi delle componenti princi-pali costruite sulle frequenze dei gruppi sanguigni,delle aptoglobine e del sistema HLA.

Inoltre, in uno studio sulla Corsica, Calafell eBertranpetit (1996) sottolineano l’esistenza di unagrande affinità genetica tra Sicilia, Campania,Provenza e Corsica mentre la Sa rdegna e l’ It a l i acentrale presentano differenze molto più marcate.

6.6. Risultati sulle emoglobine

Grazie all’indagine sulle emoglobine sono statievidenziati 13 casi con anomalie fenotipiche, diquesti 5 appartengono al comune di Cerda, 7 so-no stati rilevati presso Palermo e un solo caso nelcomune di Alia.

In base alle alterazioni morfometriche dei glo-buli rossi e alle variazioni qualitative o quantitati-ve dell’emoglobina, i campioni ematici di tali sog-getti sono stati sottoposti ad analisi specifiche alfine di identificare la mutazione genetica. Per faci-litarne la lettura, i risultati vengono riportati qui diseguito suddivisi secondo le tipologie dei difettiemoglobinici.

Varianti strutturali

Le varianti emoglobiniche si presentano gene-ralmente nel cromatogrammma (HPLC) comepicchi anomali compresi nell’intervallo dei tempidi ritenzione delle emoglobine (Fig. 3). Nella no-stra indagine sono stati osservati due casi, entram-bi provenienti da Cerda, con dei picchi anomalinel tracciato HPLC, riferibili rispettivamente aHb S e Hb G-San Josè. Tali campioni sono statisottoposti ad analisi più approfondite, di tipo elet-troforetico e biochimico, al fine di accertare la pre-senza e il tipo di variante emoglobinica.

L’analisi elettro f o retica sfrutta le proprietà elet-triche delle molecole, come l’emoglobina e altrep roteine del sangue, che poste su un supporto (ing e n e re acetato di cellulosa o gel di agar) sottopostoa un campo elettrico migrano secondo la loro cari-

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Fig. 3 - Cromatogrammi HPLC: a sinistra soggetto normale, a destra un caso con un picco anomalo nell’intervallo dei tem-pi di ritenzione delle emoglobine, riferibile a una variante strutturale dell’emoglobina.

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ca elettrica verso il polo opposto. Le emoglobinecon struttura diversa da quella normale sono visi-bili nella corsa elettroforetica come bande anoma-le con velocità diversa dovuta al peso molecolared i verso (a causa della sostituzione di uno o piùaminoacidi nelle catene polipeptiche che compon-gono la proteina). Mediante doppia elettroforesi apH acido e alcalino (Fig. 4) è stata confermata lapresenza di emoglobina S (β 6 glu ⇒ val) e G-SanJosè (β7 Glu ⇒ Lys).

L’osservazione di emoglobina S è stata effettua-ta anche mediante il test di falcizzazione dei glo-buli rossi, aggiungendo una goccia di sostanza ri-ducente (soluzione di bisolfito di sodio 1 g/dl) nelsangue. Il fenomeno della falcizzazione, osservabi-le con la diminuzione della tensione di ossigeno, ècausato dalla precipitazione in forma di cristallidell’emoglobina S, che determina la tipica defor-mazione a falce del globulo rosso. Dal punto di vi-sta clinico le emazie falcemiche, irrigidite e defor-mate, rallentano il flusso ematico causandotrombosi vascolari con diversi disturbi circolatori evengono eliminate dai macrofagi con conseguenteanemia emolitica.

Dal punto di vista antropologico, il gene Hb Spresenta una frequenza media dell’1.2% in Sicilia,con considerevole eterogeneità endemica. L’osser-vazione di tale mutazione in quest’area rappresen-ta un caso abbastanza raro. Infatti l’emoglobina S,contrariamente alle mutazioni β talassemiche, nonè uniformemente distribuita nell’isola, ma si pre-senta prevalentemente lungo la costa sudorientalesecondo un gradiente nord-sud (Barrai et al.,1987). L’osservazione della mutazione βS potrebbeessere interpretata come un fenomeno di “effettofondatore” anche se risulta assai difficoltoso stabi-lirne l’origine. Di particolare interesse risulterebbel’accertamento dell’origine mediante lo studio de-gli aplotipi mediante gli RFLP o del sito ipervaria-bile 2 (HS2) appartenente alla regione di control-lo del locus. Infatti le indagini molecolari hannomostrato un’associazione del gene falcemico adaplotipi differenti in tre regioni dell’Africa (Benin– Nigeria, Repubblica centro-africana, Se n e g a l )evidenziando la possibilità di un’origine multicen-trica della falcemia (Pagnier, 1984).

L’aplotipo Benin si presenta pre va l e n t e m e n t enelle popolazioni mediterranee (greci, turchi, si-riani, tunisini, arabi) e raggiunge frequenze moltoelevate sulle coste orientali e meridionali della Si-cilia (Schilirò et al., 1991). Se il caso portasse unnuovo aplotipo si potrebbe ipotizzare una muta-

zione ex novo se invece più verosimilmente fosseassociato all’aplotipo Benin l’allele falcemico, po-trebbe essersi diffuso dalle aree occidentali a quel-le settentrionali dell’Africa, attraverso le migrazio-ni dei popoli trans-sahariani, ed infine raggiungerela Sicilia direttamente dal nord Africa.

L’altra mutazione identificata, l’emoglobina G-San Josè, è una variante β globinica generalmenterara, che tuttavia appare regolarmente in Si c i l i a(Schilirò et al., 1981), anche se con una distribuzio-ne molto limitata (Schilirò et al., 1997). I casi sco-p e rti finora, infatti, sembre re b b e ro prove n i re da fa-miglie residenti o originarie di un piccolo centro a50 km da Catania, Grammichele. Gli eventi storicipossono fornire un’ i n t e r p retazione della peculiaritàgenetica di questo comune. Nel 1693 un terre m o t od e vastante distrusse il villaggio, uccidendo gran par-te degli abitanti. Dopo che il centro fu riedificato,seguì una politica di ripopolamento e con una leg-ge emanata da Carlo II d’ Austria fu trasformato inun rifugio per criminali. La comparsa di Hb G-Sa nJosè in questo centro potrebbe essere interpre t a t ocome “effetto fondatore” e potrebbe essersi conser-vato successivamente grazie alla quasi totale assenzadi immigrazione e il conseguente isolamento gene-tico della popolazione, che port a rono a un’ e l e va t af requenza di matrimoni tra consanguinei.

Presumibilmente questa emoglobina potrebbeessere il prodotto di un unico evento mutazionaleassociato all’aplotipo IV (Cremonesi et al., 1989).

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Fig. 4 - Elettroforesi dei due campioni sospetti portatori diuna va riante emoglobinica. Entrambi presentano infattinella corsa elettroforetica una banda più lenta.

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La presenza occasionale di emoglobina G-San Josèin altre aree, come nel caso di Cerda, potrebbe es-sere il risultato di migrazioni successive.

Difetti talassemici

I casi sospetti di α talassemia (valori ridotti diHb A2) sono stati sottoposti a un’indagine mole-colare volta a verificare la presenza della comunedelezione α3.7, ma sono risultati negativi per talemutazione. I dati emocromocitometrici non indi-cano la possibilità di difetti a talassemici più mar-cati e la presenza di un difetto δ appare poco plau-sibile, considerando la scarsa probabilità di trovareun difetto così raro. L’HbA2 ridotta potrebbe di-pendere da una sottostima dovuta alla possibilitàche i prelievi non fossero in condizioni ottimalioppure da patologie associate quali carenza mar-ziale o di acido folico.

Difetti talassemici

Le mutazioni di tipo β talassemico rappresen-tano in Sicilia i disordini più comuni dei geni glo-binici.

L’anomalia emoglobinica più interessante dellanostra indagine è stata rilevata nel comune di Alia,dove è stato osservato un soggetto con una muta-zione molto rara. I valori elevati di HbA2 osserva-ti nel dosaggio HPLC e i risultati dell’emocromo( i p o c ro m i a - m i c rocitosi degli eritrociti) depongo-no per la presenza di un difetto β talassemico. Dal-le analisi del DNA appare che questo soggetto nonpresenta alcuna delle mutazioni β più comuni, cheinteressano circa il 90% delle mutazioni note nel-la popolazione italiana. È auspicabile un’ulterioreaccertamento al fine di identificare tale mutazione,p resumibilmente di tipo β+, tramite sequenzia-mento nucleotidico diretto del gene β globina.

Nel comune di Cerda sono emersi due casi ete-rozigoti per due mutazioni talassemiche piuttostocomuni in Sicilia: IVS-I-110 (G ⇒ A) e IVS-I -6(T ⇒ C).

La sostituzione IVS-I-110 è una mutazionemolto frequente (24%) e si presenta distribuitauniformemente in tutta l’isola a differenza degli al-tri paesi mediterranei, dove questa mutazione è ca-ratteristica delle coste orientali del bacino (Perrinet al., 1998).

La sostituzione IVS-I-6 è la terza delle muta-zioni più diffuse in Sicilia, dopo la CD 39 e la IVS-I-110, con una frequenza media del 15.4%. La fre-

quenza di questa mutazione è molto elevata nellezone orientali dell’isola (28.9%), nella ex Yugosla-via (29.1%) e in Turchia (18.1%) mentre si riducein Spagna (15%), nei paesi mediterranei del sudquali l’Algeria (3.5%), la Tunisia (3%), il Libano(8%) e Israele (3.5%).

In un soggetto di Palermo è stato evidenziatoinvece un particolare caso di β+ talassemia eterozi-gote per la mutazione del secondo introne (IVS-II)in posizione -745 (C ⇒ G) associato a persistenzaereditaria di emoglobina fetale (HPFH).

Anche questa mutazione è caratteristica dell’a-rea mediterranea, presenta una frequenza del 5%circa in Sicilia (Giambona et al., 1995) e raggiun-ge fre q u e n ze più elevate in Grecia (7%), Cipro(5.5%), Tunisia (7.5%), Egitto (8.3%) e Bulgaria(10.2%).

La persistenza di emoglobina fetale, rileva t anello stesso soggetto, è, come accennato, eredita-ria. La persistenza della sintesi di catene γ nell’a-dulto si verifica anche nella β o δ talassemia percompensare la mancata o ridotta produzione di ca-tene β o δ, ma in questi casi non è ereditaria. L’i-dentificazione della mutazione è stata effettuatamediante digestione con l’enzima di re s t r i z i o n eXmnI. La persistenza ereditaria di emoglobina fe-tale di questo particolare caso è causata da una so-stituzione nel promotore del gene Gg in posizione-158 (C ⇒ T). L’assenza di una quota elevata diHbF (2.3%) fa ritenere, in base ai dati disponibiliin letteratura (Silvestroni, 1992), che la mutazioneo s s e rvata in questo soggetto non sia part i c o l a r-mente grave e dia luogo ad una maggiore produ-zione di catene γ solo in condizioni di stress ema-t o l o g i c o. Dal punto di vista antro p o l o g i c o ,l’HPFH è stata segnalata in diversi popoli medi-terranei e in alcuni gruppi africani (We a t h e r a l l ,1990; Silvestroni et al., 1992).

I dati ottenuti confermano precedenti osserva-zioni, che evidenziano come i difetti emoglobinicinon sono associati a poche e predominanti muta-zioni ma sono molto eterogenei geneticamente.

I difetti emoglobinici, individuati nella presen-te indagine, sono caratteristici in aree geografichediverse, mediterranee e continentali e possono es-s e re interpretati in chiave storica. Costituisconouna prova dei contatti secolari delle Madonie conaltri popoli, confermando come la Sicilia può esse-re considerata al tempo stesso centro di civiltà me-diterranee, africane e medioorientali.

In base ai dati ottenuti e altri presenti in lette-ratura (Schilirò et al, 1997; Fichera et al., 1997) le

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a ree di diffusione di alcune varianti stru t t u r a l iemoglobiniche sembre re b b e ro riflettere la pro i e-zione storica dell’area sudorientale dell’isola versola penisola italiana e la Grecia e dell’area occiden-tale verso l’Africa e la Spagna.

6.7. Conclusioni e prospettive

La Sicilia grazie all’uniformità morfologica dellecoste e, soprattutto alla sua posizione nel bacinoMediterraneo, per secoli è stata centro di incontrodi numerosi popoli che hanno scambiato non solom e rci e tradizioni ma anche i loro geni. In accord ocon la lunga storia di dominazioni e colonizzazioni,recenti studi antropogenetici, anche se ancora piut-tosto frammentari, ave vano già evidenziato unacomplessa struttura genetica nella popolazione sici-liana attuale, sia a livello delle immunoglobine edelle emoglobine che di altri polimorfismi classicip re valentemente eritrocitari e siero p ro t e i c i .

La nostra indagine ha evidenziato un’ e n o r m evariabilità genetica anche nella popolazione di Aliae negli altri comuni, confermando la grande etero-geneità dei siciliani più volte sottolineata nei lavo-ri precedenti.

In generale, in questi gruppi sono presenti deicaratteri genetici principalmente di tipo mediter-raneo anche se è emersa la presenza di marcatori ti-picamente africani, in part i c o l a re nella stru t t u r agenetica del gruppo di Alia e di Cerda, eviden-ziando la possibilità di contatti nel passato con po-poli provenienti dal nord Africa.

Potrebbe trattarsi di migrazioni di popolazionimolto antiche come i Sicani (di origine nord afri-cana, secondo Caracè), che hanno dominato l’areamontuosa delle Madonie per un lungo periodo,mentre il resto dell’isola era interessata da diverse ericorrenti colonizzazioni.

L’introduzione di polimorfismi genetici africa-ni in quest’area potrebbe essere riferibile più vero-similmente alla colonizzazione fenicia, testimonia-ta anche dalle iscrizioni ritrovate nelle grotte dellaGurfa di Alia (Runfola, 1978) o ancora alla più re-cente conquista araba.

Per una migliore comprensione delle modalitàdi popolamento delle Madonie sarebbe auspicabi-le proseguire la ricerca ampliando sia la numero-sità del campione sia il tipo di marcatori genetici.

In particolare, risulterebbe di grande interessel’integrazione dei risultati ottenuti nel presente la-vo ro con lo studio di altri sistemi sietro p ro t e i c icon funzioni biologiche diverse dalle immunoglo-

buline per ottenere un quadro completo sulle pro-teine plasmatiche. In o l t re l’indagine sul sistemaHLA (Human Leucocyte Antigen), un altro impor-tante gruppo di geni altamente polimorfici, po-trebbe procurare preziose informazioni sui geni esull’adattamento alle malattie epidemiche che sto-ricamente hanno colpito queste popolazioni. Ladifesa immunitaria contro le infezioni da agentipatogeni è garantita, infatti, da due meccanismiprincipali: la difesa ad ampio raggio di tipo anti-corpale, svolta dalle immunoglobuline, e la difesamediata dagli antigeni HLA ristretta alle celluleinfettate del nostro organismo. Il sistema HLA èdiventato molto importante per gli studi clinici edi genetica medica poiché è stato riportato un cre-scente numero di associazioni tra i suoi geni e cer-te malattie. In alcuni casi, esiste un’ a s s o c i a z i o n ecombinata o interattiva che coinvolge sia il sistemaGm che l’HLA. Sono state riportate associazionicon il sistema Gm per sclerosi multipla, malattiadella tiroide, lupus eritematoso sistemico, epatitecronica, malattia di Grave, miastemia grave, dia-bete giovanile, morbo di Alzheimer, entero p a t i aglutine sensibile, alcune forme di cancro, neuroblastoma, e molte altre (Dugoujon et al., 1996).

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7.1. Il colera, malattia infettiva

Il Colera è una malattia acuta ed altamente infet-tiva che si manifesta con diarrea continua a cui se-gue vomito incoercibile. Questa situazione deter-mina uno stato di disidratazione parossistica conperdita di liquidi e sali di Calcio e Potassio. L’in-dividuo colpito manifesta una crescente ipotensio-ne e tachicardia, anuria e impossibilità di assume-re cibi liquidi e solidi. Se non interviene unaadeguata terapia farmacologica e una intensa rei-dratazione l’individuo entra in coma irreversibile.

Non sempre il quadro clinico è così intenso: sid e s c r i vono infatti forme cosiddette “a t t e n u a t e”che risultano non letali per gli adulti in buone con-dizioni fisiche ma comunque pericolose nei bam-bini dove l’equilibrio idrico e salino è molto facil-mente alterabile.

Il colera è determinato dalla infezione dellecellule dell’intestino tenue da parte di un mi-c roorganismo, il batterio Vibrio cholera e. I vi-brioni sono una categoria piuttosto ampia di mi-c roorganismi: l’agente eziologico del colera èinfatti classificabile in diversi biotipi, siero g ru p p ie sierotipi. Il vibrione maggiormente coinvo l t onella malattia umana è il V. cholera e detto Et To rN16961 (biotipo), del siero g ruppo 01, siero t i p oOgawa, anche se nel 1992 è stato descritto unn u ovo siero g ruppo eziologico (0139). Il vibrione,entrato nell’organismo, colonizza rapidamente lecellule intestinali e inizia la secrezione della tossi-na che stimola un’intensa secrezione acquosa;questo innesca il meccanismo perverso che port aalla disidratazione dell’ i n d i v i d u o.

Il colera affligge l’uomo e ne modella la sua storiaagendo drasticamente sulle popolazioni da circ aduemila anni. In epoca storica, fino al XIX secolo lamalattia era confinata al subcontinente indiano do-ve presumibilmente assumeva già stato endemico

(Waldor e RayChaudhuri, 2000). A cominciare dal1817 lo stato di epidemia cronica indiana si è tra-sformato in pandemia con l’ e s p o rtazione del vibrio-ne (Ta g a relli et al., 2000).

La malattia, al suo arrivo in Eu ropa, con leestese e terribili epidemie che si verificarono tra il1817 e il 1855, venne studiata in modo esemplareda John Snow, un medico ostetrico inglese. I suoistudi sulle due principali epidemie londinesi del1848 e del 1854, sintetizzati nel lavoro “On themode of communication of Cholera” (i lavori diSn ow sono stati recentemente ripubblicati inte-gralmente dalla University of California, Los An-geles, School of Public Health Department) sonotuttora considerati un classico nella storia dell’epi-demiologia per l’acume delle osservazioni e la mo-dernità metodologica.

L’agente eziologico del colera venne identifica-to per la prima volta da Pacini nel 1854 e fu otte-nuto in coltura da Koch solo nel 1892, in Egitto.

Le pandemie fino ad oggi registrate sono statesette. L’ultima pandemia è iniziata in Indonesia nel1961 e, gradualmente ha interessato l’Asia, l’ A f r i c anegli anni settanta, quindi l’ Eu ropa e l’America lati-na. In Africa e in America latina l’ i n f ezione ha as-sunto dimensioni tali da farla considerare endemica.

I paesi attualmente più colpiti da questo flagel-lo sono quelli del terzo mondo, dove è più facileche le elementari norme igieniche siano assenti.L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) se-gue attentamente l’andamento delle epidemie neivari continenti. Il maggior numero di casi di cole-ra si riscontra nel continente africano, che registraanche il maggior numero di decessi, seguito dalsubcontinente latino-americano, dall’Asia, dal-l’Europa (dove il 99% dei casi risulta attualmente“importato”) e dall’Oceania.

L’endemismo e la diffusione della malattia sonoinfluenzate da vari parametri, quali il biotipo bat-

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Capitolo 7

IL COLERA E LA FIBROSI CISTICA: COSAACCOMUNA DUE PATOLOGIE COSÌ DIVERSE?

SINEO L.Dip. Biologia Animale, Università degli Studi di Palermo

E-mail: [email protected]

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terico, la sensibilità individuale alla tossina, ilgruppo sanguigno dell’individuo stesso (Glass etal., 1985), l’intensità del contatto infettante; il vi-brione sopravvive per anni nelle acque stagnantiche funzionano quindi da reservoir di infezione,invisibile alle correnti metodologie di indaginebatteriologica (To r res Codeço, 2001; Colwell eHuq, 1994). L’esplosione dei fenomeni epidemiciin situazione di endemismo è generalmente in re-lazione ad eventi climatici quali il passaggio dallastagione arida a quella umida (Africa), eventi cata-s t rofici quali El Niño, o periodi post-monsonici(America latina e Bangladesh); molto importantea p p a re l’associazione nelle acque temperate, conzooplancton, crostacei e altri organismi acquatici(Torres Codeço, 2001).

Da circa un decennio il colera è nuovamenteuna grande emergenza sanitaria. La problematicacoinvolge lo studio dell’uomo moderno ed il suoposto negli ecosistemi attuali (Epstein, 1993,Islam et al., 1994, Faruque et al., 1998). Il coleraè quindi un problema medico e sociale ma soprat-tutto antro p o l o g i c o. Il tasso di riproduzione emantenimento del colera nelle comunità umane èdefinito dal prodotto di fattori sociali ed ambien-tali, dalla mancata diffusione delle norme di pre-venzione ma soprattutto dalle mutate situazionidemografiche conseguenti alla crescita della popo-lazione, all’abbandono dei modelli comportamen-tali che regolano il rapporto uomo e ambiente edai fenomeni di inurbamento incontrollato.

Oggi conosciamo molto della organizzazionem o l e c o l a re del microorganismo oltre alla sequenzacompleta del suo DNA. La cosa più part i c o l a reche caratterizza la biologia del vibrione è l’ o r g a n i z-zazione del genoma in due cromosomi circ o l a r i ,uno “g r a n d e” con 2.96 megabasi (milioni di cop-pie di basi) ed uno “p i c c o l o” con 1.07 megabasi. Ilc romosoma “g r a n d e” contiene una cosiddetta“a rea o isola di patogenicità”, con le informazioniper le principali funzioni cellulari del batterio (re-plicazione del DNA, sintesi proteica, divisione cel-l u l a re, sintesi della parete) dei rapporti con la cel-lula ospite e del comportamento patogeno (affinitàrecettoriale e determinanti per la tossina). Il cro-mosoma “p i c c o l o” porta informazioni circa alcunip rocessi metabolici ed energetici e i processi di tra-sduzione del segnale. La relazione filogenetica deidue cromosomi sembra antica (Heidelberg et al.,2000) ma molte sono le ipotesi pro p o n i b i l i .

A dispetto delle notevoli conoscenze e della lun-ga frequentazione con questo ospite maligno, l’ u o-

mo ha una crescente difficoltà ad elaborare un effi-cace controllo ed un vaccino adeguato. Il contro l l oe la pre venzione sono spesso vanificati dalle situa-zioni di degrado connessi a flussi migratori grandi opiccoli, mentre la variabilità biologica del vibrionepone problemi alla produzione di un vaccino uni-versalmente efficace o privo di notevoli effetti col-l a t e r a l i.

7.2. La Fibrosi cistica, malattia ereditaria

La fibrosi cistica, nota anche come mucov i s c i-dosi, è una patologia ereditaria autosomica re c e s s i-va a notevole diffusione nella popolazione “c a u c a s i-c a” (per caucasica si intende la popolazione biancaoccidentale). La malattia è causata da un’ alterataidratazione delle mucose, intestinali, re s p i r a t o r i e ,dei dotti pancreatici e spermatici, con conseguenteristagno delle secrezioni. Questo quadro, seguitodalla sovrapposizione di infezioni batteriche re c i d i-vanti è invalidante. Prima della scoperta di ade-guate terapie antibiotiche l’individuo affetto eracondannato a morte certa nei primi anni di vita.Attualmente l’ a s p e t t a t i va di vita si è notevo l m e n t eallungata ma la patologia resta comunque letale.

Il gene coinvolto, localizzato sul cromosoma 7e clonato da Ryordan nel 1989, codifica per unaproteina di membrana di 1480 aminoacidi dettaCFTR (Cystic Fi b rosys Transmembrane Re g u l a-tor). La proteina, costituita da due domini tran-smembrana (TDM), da due domini citoplasmati-ci (NBF) e da un dominio globulare R, vienesintetizzata nel reticolo endoplasmatico e, veicola-ta dal Golgi, migra verso la parte apicale degli epi-teli dove svolge funzione di “pompa del Cloro” re-golando il trasporto degli ioni a livello dellamembrana plasmatica

Il quadro clinico è più o meno grave a secondadella mutazione o delle mutazioni intervenute nelgene. Da un punto di vista molecolare l’alterazio-ne del gene per mutazione (sono state descritte cir-ca 900 diverse mutazioni del gene ma solo una mi-nima parte di esse è patogenetica o assumerilevanza nell’epidemiologia a livello di popolazio-ne) determina la sintesi di una proteina di mem-brana anomala e quindi malfunzionante.

L’incidenza del deficit nella popolazione è di unindividuo affetto ogni 2500 (1/2500) nati, in me-dia, con un individuo “p o rt a t o re”, etero z i g o t e ,ogni 25 individui (1/25).

Abbiamo detto che la Fibrosi cistica è una del-le patologie ereditarie a maggiore diffusione nella

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popolazione. Studiando la distribuzione delle mu-tazioni nelle varie popolazioni si è scoperto che es-se presentano frequenze diverse a seconda della po-polazione considerata. In Italia, che ha un quadromolto eterogeneo di mutazioni, frutto dei moltiflussi migratori e delle molte popolazioni sussegui-tesi in epoca protostorica e storica, vi è una muta-zione dominante, la cosiddetta Delta F 508, che,peraltro, non è così frequente come nel nord euro-pa, e mutazioni locali, “sarde”, “trentine”, “liguri”,chiaro risultato di fenomeni di flusso genico e dideriva genetica.

Relativamente alla storia del gene, non è cosìfacile seguire le varie mutazioni nelle popolazionieuropee alla ricerca del genotipo ancestrale. Sap-piamo comunque che la mutazione più frequente,la già citata Delta F 508, è comparsa presumibil-mente 50.000 anni fa in una popolazione geneti-camente distinta da ogni popolazione europea at-tuale, e si è diffusa attraverso flussi consecutivi(Morral et al., 1994).

7.3. Colera e fibrosi cistica:un’ipotesi di lavoro

Le frequenze dei geni sono correlate alla storiabio-demografica della popolazione regolate da fe-nomeni di mutazione, di selezione naturale e dideriva genetica. I geni malattia sono ancor più sog-getti a queste regole, data la tendenza della selezio-ne naturale a ridurre il numero degli affetti.

La Fi b rosi cistica, malgrado sia una patologiae s t remamente invalidante, non viene efficacementes e l ezionata e la sua diffusione nella popolazione oc-cidentale, mostra invece una chiara tendenza allastabilità, assicurata dalle altre fre q u e n ze di etero z i-goti (abbiamo detto che un individuo su ve n t i c i n-que è un port a t o re con una discreta probabilità dii n c o n t r a re un partner ugualmente port a t o re e di ge-n e r a re figli affetti, oltre che sani o portatori secondole probabilità stabilite dalle Leggi di Me n d e l ) .

Esempi di patologie ereditarie molto diffuse enon adeguatamente selezionate, a causa di unvantaggio degli eterozigoti in particolari situazio-ni ambientali come nel caso della Talassemia o deldeficit della G6PD in ambiente malarico (ve d iC e rutti e Rabino Massa in questo volume) hannofatto ipotizzare a Romeo et al. (1987) che l’alta in-cidenza della Fi b rosi cistica nelle popolazioni cau-casiche possa essere spiegata efficacemente conanalogo modello. Secondo Romeo esiste una re-lazione tra l’alta frequenza di eterozigoti per la fi-

b rosi cistica e la resistenza a patologie da disidra-tazioni parossistiche quali il Colera. L’ipotesi, te-stata sperimentalmente, è risultata plausibile ed èstata successivamente ripresa da Betranpetit e Ca-lafell (1996).

Effettivamente ambedue le patologie, Colera eFibrosi cistica, agiscono sull’equilibrio idro-salinodella cellula, una aumentando (il colera) la perditadi liquidi mediante l’azione della tossina, l’altra (lafibrosi cistica) alterando lo scambio del cloro, trat-tenendo i liquidi e provocando l’aumento di vi-scosità a livello delle mucose ed il ristagno.

L’ ipotesi, che viene proposta e preliminarmen-te testata nel lavo ro presentato da Barbara Br a-manti (vedi capitolo 8 in questo volume), utiliz-zando un campione subfossile della collez i o n escheletrica di Alia, prevede che individui eterozi-goti per la fibrosi cistica, con un danno funziona-le sub-clinico, abbiano una protezione nel caso diinfezione da Vibrio cholerae che determina disidra-tazione parossistica.

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8.1. Il ruolo delle patologie genetichenella storia della nostra specie

Nella storia evolutiva della nostra specie un postop a rt i c o l a re è riservato alle patologie genetiche e,fra queste, a tutti quei casi detti di polimorfismobilanciato, secondo i quali un gene sva n t a g g i a t odalla selezione naturale in omozigosi rimane co-munque con alte frequenze in alcune popolazioniperché in eterozigosi offre un vantaggio verso al-cuni stress ambientali. Esempio classico è la resi-stenza alla malaria offerta dal fenotipo eterozigoteper l’anemia falciforme: rispetto agli omozigotinormali i portatori di anemia sopravvivono all’at-tacco più virulento del plasmodio.

In tempi recenti una teoria molto simile aquella per l’anemia è stata formulata per spiegarel’alta frequenza (1/25 individui caucasici) dei por-tatori di mutazioni del gene per la fibrosi cistica(CF) che negli omozigoti causa una malattia gra-vemente invalidante. Poiché la proteina codifi-cata dal gene è implicata nell’omeostasi idrico-salina a diversi livelli, è stato suggerito che unvantaggio selettivo del gene mutato possa consi-s t e re in un’alta resistenza alle patologie che cau-sano disidratazione parossistica. Alcuni autorihanno proposto in part i c o l a re che possa pro t e g-g e re dall’exitus p e r c o l e r a .

Ad Alia nel 1996 è stato recuperato un interocollettivo di individui deceduti a causa dell’epide-mia di colera del 1837. Questo ritrovamento aprela strada per la prima volta ad una verifica direttadell’ipotesi di relazione fra le due patologie.

8.1.1. Studi di genetica di popolazione

Le mutazioni del gene della CF sono distribui-te in maniera diversa nelle diverse popolazioni.Dalla frequenza degli omozigoti affetti è stato sti-

mato che la frequenza dei portatori sia del 4% frai caucasici non ispanici, del 2,2% fra gli ispanici,dell’1,7% fra i gli africani e gli afro-americani edello 0,7% fra gli asiatici.

Dai dati riportati dal Cystic Fi b rosis Ge n e t i cAnalysis Consortium la frequenza relativa della mu-tazione DeltaF508 fra i caucasici è di circa il 66%,con una frequenza re l a t i va dell’80% nell’ Eu ro p adel Nord (87% fra i danesi) e di circa il 50% nelSud dell’Europa. Nelle regioni mediterranee sonoquindi più presenti altri tipi di mutazioni: per la Si-cilia sono state calcolate le frequenze relative dellemaggiori mutazioni: DeltaF508 52%, G542X 7%,N1303K 3%, W1282X 3%, R553X 3%,2183AA->G 2%, R347P 2% (Rendine et al.1997). Le mutazioni N1303K e 2183AA->G sono,fra l’altro, rappresentate in Italia con la maggiorf requenza re l a t i va rispetto alle altre popolazionicaucasiche. La ragione delle differe n ze delle fre-quenze relative delle varie mutazioni risiede, pro-babilmente, nella diversa storia demografica deipaesi europei e nelle diverse dimensioni delle po-polazioni (Bertranpetit & Calafell 1996). Ciò nonspiega, tuttavia, l’alta incidenza delle mutazionidella CF fra i caucasici.

8.1.2. Ipotesi sull’alta incidenzadelle mutazioni della CF

Sebbene la frequenza della CF non sia unifor-me fra le popolazioni caucasiche, si stima comu-nemente che la sua incidenza sia di uno su 2.500nati vivi. Sulla base del modello di eredità autoso-mica recessiva si calcola che la frequenza degli alle-li mutanti sia del 2%. Per spiegare un’ i n c i d e n z acosì alta sono stati proposti diversi meccanismi,come l’alto tasso di mutazione del gene CFTR( Cystic Fi b rosys Tranomembrane Regulator), unvantaggio degli eterozigoti, fenomeni di deriva ge-

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Capitolo 8

ANALISI GENETICA DI POPOLAZIONI STORICHE:IL CASO DI EPIDEMIA COLERICA AD ALIA

BRAMANTI B.Laboratori di Antropologia - Dipartimento di Biologia Animale e Genetica, Università di Firenze

E-mail: [email protected]

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netica, presenza di loci multipli e aumento dellaf e rtilità negli individui portatori (Ke rem et al.1989).

Smentite all’ipotesi di deriva genetica comecausa primaria sono state proposte prima da Wri-ght e Morton (1968) e poi da Morral et al. (1994).Be rtranpetit e Calafell (1996) fanno notare chedopo la contrazione della popolazione europea av-venuta circa 18.000 anni fa durante l’ultima gla-ciazione, le dimensioni della popolazione europeanon sono mai state tali da permettere un aumentosignificativo della frequenza di un allele recessivoletale (in fondo all’articolo è riportata una interes-santissima discussione al proposito).

Un incremento della fertilità negli eterozigotiera stato descritto da Knudson et al. (1967), conuna evidenza quasi incredibile che è stata successi-vamente smentita da uno studio dettagliato sullefamiglie degli affetti (Jorde e Lathrop 1988).

Per quanto riguarda l’ipotesi del vantaggio deglieterozigoti, è stato proposto che questi siano pro-tetti rispetto a diverse patologie ad eziologia mi-crobica o virale, fra le quali la tubercolosi polmo-nare (Meindl 1987) e l’influenza (Shier 1979).

Nel 1988 Hansson propose (ma l’ipotesi era giàcomparsa in Quinton 1982) che gli individui ete-rozigoti per le mutazioni del gene della CF fosserop rotetti dalle infezioni intestinali che causano diar-rea parossistica, principalmente dovute ad Escheri -chia coli e Vibrio cholerae. Sia la tossina Escherichiacoli LT che la tossina del colera mediano l’apertu-ra dei canali ionici ed elevata secrezione di ionic l o ro, in part i c o l a re nelle cellule delle ghiandoletubolari. L’aumento della secrezione ionica deter-minata dal colera potrebbe essere contrastato dallecellule che hanno canali del cloro difettosi negli af-fetti da CF. Probabilmente, gli eterozigoti per lemutazioni CF esprimono solo nel 50% delle cel-lule le proteine canale alterate, come avviene peraltre patologie genetiche recessive. Perciò in occa-sione di una diarrea la perdita parossistica di liqui-di che è spesso causa di exitum potrebbe risultarenotevolmente ridotta. Questo potrebbe aver pro-curato agli eterozigoti un vantaggio selettivo du-rante le epidemie che colpirono l’ Eu ropa e ave rcosì favorito il mantenimento di alte fre q u e n zedelle mutazioni del gene CFTR nelle popolazionicaucasiche. La resistenza ad esprimere un aumen-to della secrezione in risposta all’esposizione a tos-sine derivate da E. coli e da V. cholerae è stata suc-c e s s i vamente dimostrata in individui affetti (Ba x t e ret al. 1988).

L’ipotesi fisiologica ha trovato ulteriore confer-ma in un modello murino appositamente creato(Gabriel et al. 1994): sotto lo stimolo della tossinacolerica la quantità di secreto e il suo contenuto diioni cloro diminuiscono pro p o rzionalmente allapresenza di alleli mutanti nei topi.

Una critica fondata all’ipotesi di un vantaggiodegli eterozigoti CF rispetto al colera consiste nel-l’osservazione che negli altri casi in cui tale van-taggio è stato dimostrato – come, ad esempio, perl’anemia mediterranea e la malaria – la distribu-zione geografica delle due patologie risultava so-vrapposta (Fontelo 1995). Gabriel (1995) rispon-de all’ o s s e rvazione confermando che la tossinacolerica non rappresenta che un modello di tuttele enterotossine batteriche (incluse le E. coli Sta eLT) che causano diarrea, e auspica che ve n g a n ofatti ancora studi epidemiologici ad ampio raggiosulle popolazioni umane per confermare l’ipotesi.

Del resto, il colera non può essere consideratol’unico agente che ha determinato l’attuale inci-denza della mutazione anche in ragione della suarecente introduzione in Eu ropa (XIX secolo). Con-siderando che la frequenza originale della muta-zione fosse intorno allo 0,002 (cioè vicina alla fre-quenza attuale nelle popolazioni asiatiche eafricane), è stato calcolato che sono necessarie al-meno 23 generazioni (circa 450 anni) perché ilvantaggio selettivo possa esprimersi negli eterozi-goti con l’incidenza attuale media del 2% (Knud-son et al. 1967). Assumendo un equilibrio fra laperdita totale degli affetti da CF e la perdita par-ziale di quelli protetti contro il colera Bertranpetite Calafell (1996) osservano che: se la CF ha rag-giunto allora l’equilibrio, ci devono essere volute670 generazioni (più o meno 13.400 anni) perchéuna mutazione raggiungesse dalla frequenza ini-ziale di 10-6 (mutazione singola in una popolazio-ne) il livello attuale di mutazioni che causano la CF.Se il colera fosse stato l’unico agente selettivo, con-siderando le 5 generazioni durante le quali imper-versò in Europa, si calcola che il 68% di tutti gliindividui in età riproduttiva sarebbe dovuto mori-re di colera ad ogni generazione. E questo non è ilcaso. Perciò, nonostante i risultati di Gabriel et al.(1994) questa malattia non può essere stato il soloagente selettivo che ha permesso di raggiungere alleCF la frequenza attuale in Europa.

Il fatto che il vantaggio evolutivo si sia verifica-to nella sola Europa - pur essendo le forme di diar-rea da E. coli diffuse in tutto il mondo - può esse-re giustificato dalla scoperta di Quinton (1982)

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relativa alla perdita salina aumentata con il sudore:in climi caldi la perdita eccessiva di sale può avers f a vorito i portatori della mutazione, ad esempio inun’epoca in cui la caccia richiedeva lunghe corse, ilche può aver costituito una forma di resistenza ri-spetto all’ipotizzata pressione selettiva subita so-prattutto nel nord dell’ Eu ropa in presenza dellastessa diffusione degli agenti che causano diarreaparossistica.

8.1.3. Alia e l’epidemia di colera (1837)

Alia fu raggiunta dalla prima epidemia nel lugliodel 1837. Alla pagina 482 del Re g i s t ro parro c c h i a-le dei morti si legge: “ Incipit cholera morbus die sep -tima juli millesimo octincentesimo trigesimo septimo1 8 3 7 ”. Da luglio fino a nove m b re furono ufficial-mente registrate 306 vittime del “cholera morbus” .“Il morbo che, per la sua provenienza, venne anche de -nominato ‘c o l e ra asiatico’ si pre s e n t a va con violentescariche di diarrea [... ] vo m i t o, crampi muscolari, ar -resto della secrezione urinaria e collasso. La febbre nons e m p re era una componente costante, ma, se modera -ta, era sintomo di possibile guarigione, mentre, se alta,d i ve n t a va causa di una serie di complicazioni che,n o rmalmente, conducevano alla morte. […] Al i a ,come quasi tutti i comuni della Sicilia, non era ing rado di affro n t a re adeguatamente un’epidemia diquella gravità. Il paese mancava di fognature, di re t eidrica, di strade e di tutti quegli accorgimenti indi -spensabili per bloccare o, quanto meno, ridurre le fu -neste conseguenze della più banale epidemia. Il fattoche desta maggiore stupore non è tanto il pesante nu -m e ro dei morti, quanto il gran numero di superstitiche riuscirono a salvarsi malgrado la totale care n z aigienica dell’ a m b i e n t e” (E. Guccione 1991). Qu e s t ao s s e rvazione rende particolarmente interessante ilcampione in esame per la verifica dell’ipotesi sud-detta. Nello stesso testo si registra inoltre come unaseconda ondata del contagio negli anni successiviabbia provocato solo poche decine di decessi, quasila popolazione sopravvissuta al primo contagiofosse in gran parte “immune” .

I morti del 1837 furono portati in “una grottanaturale, ampliata ai lati, che era stata adibita, perl’occasione, a fossa comune [... ] chiusa con un muronuovo fatto di calce e grossi macigni, al di sopra condue buchi coverti da laminati ferrei portelli” che suc-c e s s i vamente fu denominata Camposanto Ve c c h i o.“I cadaveri, ammucchiati nella grotta, ve n i vano tra t -tati con getti di secchi di calce viva nel tentativo didisinfettare l’ambiente”.

8.2. Ispezione del sito di raccolta

Il Camposanto Vecchio, riaperto nel 1996, perre c u p e r a re gli scheletri ivi presenti, presenta pare t ip r i ve di segni di umidità e muffe. Si può pre s u p p o r-re che l’ a p e rtura superiore lasciasse perc o l a re acquap i ovana, ma questa dove va essere naturalmente ca-nalizzata verso l’esterno perché anche sul pavimentonon permangono tracce di acqua stagnante. No n o-stante il clima caldo e asciutto della zona, la tempe-ratura interna alla grotta non deve aver mai rag-giunto temperature troppo elevate proprio per la suaesposizione. L’ambiente in cui sono state conserva t ele ossa, sia per la costituzione chimica della roccia, siaper la presenza della calce viva, presumibilmente erapiuttosto basico che acido. Tutte caratteristiche che,in base alla nostra esperienza (Burger et al. 1 9 9 9 ) ,consentono normalmente una buona conserva z i o n edella struttura del DNA.

8.2.1. Studi precedenti sul materiale scheletrico

I campioni di Alia consistono di crani e post-craniali non in connessione anatomica. Sono statiperciò raccolti e classificati per tipo di elementoscheletrico con distinzione bilaterale per le ossapari. Le ossa sono conservate in grosse scatole dicartone chiuse ma non sigillate e immagazzinate alprimo piano dell’Archivio Comunale di Alia, sitoin via Galilei.

Le ossa sono state precedentemente contate perc a l c o l a re il Nu m e ro Minimo e il Nu m e ro Ma s s i m odi Individui (per la consistenza e tipologia del mate-riale esaminato si rimanda alla tabella I del capitolo2 di questo volume). I calvari sono stati oggetto diuna indagine osteologica per i caratteri epigenetici edi uno studio sui denti (Bigazzi et al. 1 9 9 7 ) .

8.2.2. Analisi molecolare del materiale osteologico

La possibilità di analizzare porzioni di osso chedatano di più di due secoli se da un lato apre spa-zio alla verifica di ipotesi fino a qualche tempo fainsondabili, dall’altro pone svariati problemi “tec-nici” non sempre facilmente superabili.

La rarità del “pezzo” da analizzare impone unaserie di accorgimenti che permettano l’ottimizza-zione del processo con la minore perdita di cam-pione possibile. Quest’ultimo, d’altro canto, nonsempre è utilizzabile ai fini di un’analisi molecola-re perché molto spesso le modalità di conservazio-ne ne hanno degradato il DNA, riducendo così ilmateriale di studio. La degradazione del DNA im-

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plica una frammentazione delle molecole che altri-menti si trovano sotto forma di lunghe catenesuper-spiralizzate. Il risultato di tali rotture è natu-ralmente la perdita di porzioni di materiale gene-t i c o. Il campione così degradato non risulterà quin-di positivo all’analisi della part i c o l a re sequenzacercata, se questa è andata perduta. D’altro cantoun risultato positivo può essere anche prodotto daagenti contaminanti, ossia DNA eterologo mo-derno e integro che si è sostituito al DNA anticoassente o degradato durante una delle fasi di speri-mentazione alterando così l’analisi. Di conseguen-za, anche in condizioni chimico-fisiche eccellenti ilcosiddetto DNA antico, proprio per la sua caratte-ristica “non integrità”, richiede nelle diverse fasi unambiente di lavoro sterile ossia esente da contami-nazioni di DNA eterologo.

In questo caso il prelievo del materiale da ana-lizzare è stato fatto negli stessi locali di via Galilei(in Alia) in cui si trova in giacenza il materialeosteologico, ove è stato allestito un laboratorio “dac a m p o”. L’ambiente, opportunamente ripulito, eradotato di un unico tavolo sul quale sono stati ef-fettuati i prelievi con la massima attenzione ad evi-tare contaminazioni.

I prelievi di materiale osseo sono stati effettua-ti sui femori per non danneggiare la collezione chepotrebbe essere sottoposta ad altre indagini antro-pologiche. Si è scelto di prelevare campioni dai fe-mori destri. Per ogni osso sono stati raccolti duecampioni, uno nella porzione distale e uno nellaporzione prossimale.

Successivamente il materiale è stato portato incontenitori sterili nei laboratori dell’Istituto di An-t ropologia dell’ Un i versità di Göttingen (Ge r m a-nia) specializzati in studi sul DNA antico. Qui si èprovveduto all’estrazione del DNA contenuto neicampioni e alla sua amplificazione, al fine di ritro-vare la mutazione per la CF.

Il primo passo della ricerca consiste nella valu-tazione dello stato del DNA antico. La scelta deicampioni da sottoporre all’analisi per la fibrosi ci-stica è stata compiuta in base ai risultati dell’inda-gine su microsatelliti autosomici, ottimi indicato-ri dello stato di conservazione del materiale antico.Solo quei campioni che contengono DNA inbuono stato di conservazione sono sottoposti aitest successivi. I risultati di un’indagine condotta indoppio su 50 campioni di Alia mostrano che è pos-sibile effettuare un’analisi sui campioni antichi ot-tenendo profili genetici individuali riproducibili.Dei 50 campioni analizzati per circa il 48% (24 in-

dividui) si è ottenuto un profilo allelico quasi com-pleto; per altri 11 individui (22%) si sono ottenu-ti risultati riproducibili solo per un ridotto nume-ro di loci, il che indica la presenza di DNAamplificabile nel campione seppure in condizionedi forte degradazione. Solo 15 campioni (30%)non hanno reagito all’amplificazione.

Poiché, secondo l’ipotesi di lavoro, nel campio-ne di Alia costituito da deceduti per colera non do-vrebbero essere presenti mutazioni CF analizzabi-li, si è proceduto al calcolo del numero minimo diindividui necessario per provare una reale assenzadi mutazioni per la CF. In questo caso il numerominimo di individui da analizzare è risultato pari a75, questo per ottenere un livello di confidenza del95%. Dagli studi finora condotti, sullo stato diconservazione del DNA ci si aspetta che media-mente 146 individui contengano DNA in buonostato di conservazione. Ci sono perciò ottime pro-babilità che l’indagine condotta sul DNA antico cifornisca gli elementi necessari per la comparazionecon le frequenze della popolazione moderna.

Un primo tentativo di isolare il frammento cheporta l’eventuale mutazione CF ha infatti dato ot-timi risultati su alcuni dei campioni antichi inesame. Il frammento è stato ottenuto con successonella sua forma non mutata in tutti i campioni cheavevano dimostrato uno stato di conservazione ot-timale.

8.3. Prospettive

Le analisi fin qui sommariamente discusse sa-ranno naturalmente approfondite per ve r i f i c a rel’effettiva presenza della mutazione in esame. Laprocedura è lunga e alquanto complessa, ma risul-ta indispensabile per un’effettiva risposta positivaall’ipotesi di base. Confrontare i risultati ottenutida materiale antico, con quello proveniente dai di-scendenti dei sopravvissuti all’epidemia inoltre per-metterà di verificare se è effettivamente osservabi-le un vantaggio evo l u t i vo per i portatori dellemutazioni CF rispetto al colera.

Un ulteriore conforto ai risultati ottenuti dalmateriale scheletrico verrà dalla ricerca per via ge-netica del Vibrio cholera che potrebbe essere anco-ra presente nei vasi sanguigni delle ossa se primadella morte si è verificata una setticemia (He r r-mann & Hummel 1998a e b). Quest’ultima ana-lisi, oltre a confermare la causa della morte, po-t rebbe apport a re un contributo non indiffere n t eallo studio dell’evoluzione del vibrione.

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“Può venire il giorno in cui tutto l’orodel mondo non basteràa darci l’immagine del tempo svanito”.(Artur Hazelius, fondatore del museoSkansen di Stoccolma 1891)

Alle soglie del terzo millennio nuovi parametridi riferimento condizionano la vita e l’esistere diintere comunità. Si è sempre più chiamati a viveree convivere in un villaggio globale dove sono ca-duti gli sbarramenti delle frontiere in nome di unpiù ampio rapporto dialogico tra i popoli.

A questo appuntamento con la storia, gli uo-mini devono presentarsi con i propri modelli di vi-ta e, dunque, la propria diversità, la propria storiaetnica e sociale che coincide con quell’ identitàunica e irripetibile che accomuna e distingue cul-turalmente un popolo dall’ a l t ro e, proprio perquesto, rende ognuno di essi indispensabile nelgrande palcoscenico che le diverse tessere del mo-saico umano disegnano.

L’omologazione a modelli che non appartengo-no ha come conseguenza sbandamento e crisi diidentità destinati a ripercuotersi sulle sorti dellenuove generazioni, determinandone spesso situa-zioni irreversibili.

La cultura tradizionale ha svolto da sempre unruolo determinante nella trasmissione del retaggiodel passato, proponendosi come forza coibente divalori senza i quali s’annullano, in ogni comunità,le ragioni del proprio esistere. E non solo valori.L’identità, infatti, è racchiusa in ogni cosa che l’uo-mo pensa e realizza, in ogni gesto che ripete, intutto ciò che senza rendercene conto esprime conforza l’appartenenza.

Le re s che circondano la vita di ogni uomo,vanno al di là della materia che le racchiude e del-la forma che le definisce. Sono segni e simboli diun ampio universo di rimando.

Anche la fabrilità non è soltanto un processomanuale legato al fare: è espressione di quella wel -t a n c h a u u n g, visione della vita e del mondo, checonnota ogni popolo, è abilità che ha consentito aognuno di essi di attraversare i tempi e gli spazidella storia.

Le attività tecnico economiche, infatti, sonosempre il risultato di processi produttivi legati aconoscenze che gli uomini, nel corso del loro cam-mino, si sono tramessi attraverso un iter assimila-tivo e cumulativo, in una coralità lavorativa che hadeterminato regole, rapporti, ruoli. Le tracce, purse esili, consentono spesso di ricucire gli strappi disecoli silenti e leggere il passato.

Alia, come altri centri dell’Isola, conserva anco-ra oggi tratti forti della propria storia, storia checoincide con quella sociale e economica della co-munità che li ha perpetuati.

Tutto il suo territorio è disseminato di tracce eracconta storie da cui trapelano l’alternarsi di vi-cende, la successione di eventi. Storie segnate nel-le pietre che, se pur possenti, si piegano all’ineso-rabile scorrere del tempo, sottomesse all’insìpidaignavia degli uomini.

Se nel monumento ogni comunità ha preserva-to la memoria di fatti, avvenimenti o personaggi, èalla trasmissione orale che ha affidato l’antico sa-pere, un sapere forgiato attraverso generazioni, fat-to di storie e di fabrilità, di riti e di tecniche, di ce-rimonialità e consuetudini alimentari. In altritermini quell’universo che contribuisce a ricostrui-re la storia anche attraverso microstorie collettive eindividuali.

La storia, si sa, non consente salti, ma passaggie i tempi lunghi a volte – segno apparente di so-cietà immobili – non sono che il necessario arcotemporale per consentire a idee e abitudini di se-dimentarsi, e, alla fine del processo assimilativo,divenire retaggio su cui costruire il nuovo, su cui

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Capitolo 9

IL MUSEO ETNOANTROPOLOGICO DI ALIACEDRINI R.

Università degli Studi di Palermo

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operare i cambiamenti, ma in rapporto armonicocon i tratti determinanti della tradizione.

Gli oggetti, estensioni dell’io collettivo, sonoa n c h’essi testimoni. Ap p a rentemente silenti, inrealtà, raccontano di lunghi percorsi, di incontri dipopoli, di necessità economiche e di risposte cul-turali che ogni comunità si è data. Oggetti pla-smati nel corso del tempo che pur tuttavia man-tengono l’essenzialità dei tratti, indispensabile aricostruirne il cammino a ritroso. Ogni oggetto hasempre una causalità che gli ha consentito di tra-smettersi nel tempo e un peso che inciso anche neirapporti di produzione.

Nella cultura tradizionale non c’e stato mai spa-zio per il superfluo. Ogni oggetto poteva essere re-so più o meno aggraziato, abbellito nelle forme enei decori, ma in ogni caso era sempre espressionedi una funzionalità finalizzata.

La comunità di Alia, avviata anch’essa a ineso-rabili cambiamenti, ha sentito l’esigenza di guar-dare alla propria storia, di riflettere sulle proprieradici per guardare al futuro. Da qui la raccolta ditante “storie” che addensano un teatro di memoriein una magica enciclopedia di messaggi. Queste leragioni che spiegano la nascita di un museo dei be-ni etnoantropologici.

Il meseo prende l’avvio da una raccolta di og-getti, ordinati con cura amatoriale da Rosario DiVitale, a cui va il riconoscimento di averli preser-vati dalla dispersione. La sua sensibilità ha consen-tito che giungesse fino a noi un patrimonio di cul-tura materiale, di oggetti di vita quotidiana, dicuriosità sacre e profane destinate all’oblìo dellamemoria.

Dai comportamenti alle abitudini, infatti, tut-to ciò che ci circonda sembra pre c i p i t a re ve r s ol’”ormai superato”: un’obsolescenza destinata alpiù a divenire flebile traccia da cui leggere un pas-sato che sembra computato in secoli, tanto è forteil distacco che si è venuto via via a determinare.Te-stimonianze della cultura di una società che sem-brano avviate a non lasciar traccia.

In passato la realizzazione di musei – creati dal-l’ Illuminismo come istituzione pubblica per laconservazione e l’educazione – aveva avviato unavisione elitaria e gerarchica della cultura. L’ i n s e-gnamento della scuola francese delle Annales haspezzato i vecchi schemi: ogni traccia è utile alla ri-costruzione storica e pertanto tutto ciò che fa par-te del vissuto è segno: dagli oggetti sacri e profani,ai processi produttivi, alle tecniche, ai modelli dicomportamento, alla gestualità che accompagna il

fare, alle fogge del vestire, alla memoria orale, ognitratto costituisce reperto di una storia che non c’èpiù. Il museo diventa allora mez zo attraverso ilquale ogni comunità rappresenta il rapporto con lala propria storia e si traassforma in “emozione sto-rica” da regalare alle generazioni, perché compren-dano il lungo cammino che ha segnato la vita dicoloro che li hanno preceduti nel tempo.

La realizzazione del museo ha comportato unaprogrammazione di fasi di cui l’allestimento non èstato che il risultato ultimo.

La ricerca e la catalogazione su schede, re g o l a-mentate dalle dire t t i ve ministeriali e re g i o n a l i ,compilate secondo gli attuali criteri metodologici escientifici, hanno delineato mestieri, attività o ci-cli produttivi. Il corredo cromatico, che accompa-gna ogni scheda, rimanda l’ a p p a rtenenza dello stes-so a una attività, mentre l’immagine fotografica,nel visualizzare la specificità dell’ u t i l i z zo, ne chiari-sce anche la tipologia. Gli oggetti, infatti, consen-tono di ricostru i re non solo i cicli lavorativi dellaterra, ma anche i percorsi di vita quotidiana chedalla fucina del fabbro guida alla bottega del cia-battino, del sarto, del barbiere. St rumenti di un sa-p e re antico che è stato patrimonio di generazioni.

Anche se così diversi l’uno dall’altro, i mestie-ri e le attività sono complementari a una vita so-ciale ed economica, in un rapporto inscindibile diinterazione. È impensabile una comunità basata suattività agraria che non abbia la presenza del fab-bro o del falegname.

L’allestimento ha cercato, nell’eseguità deglispazi, di ricostru i re ambienti in cui ricre a re i trat-ti di un sapere antico e di sapienti manualità ca-dute in disuso. Da l l’antica arte di forgiare i me-talli il percorso guida il visitatore a seguire ,n e l l’alternanza delle stagioni, il lavo ro dei campi,nel mito dell’eterno ritorno delle messi, nelle zo l-le che danno solo se i rituali della fatica umana siripetono uguali, carichi di una stessa speranza, neigesti millenari.

Spesso la terra e la pastorizia hanno segnato iconfini tra la vita e la morte di intere generazioni.Gli oggetti da lavoro ne narrano la storia: ma perchi quella storia non l’ha conosciuta il significatopuò essere colto appieno soltanto attraverso il con-testo espressivo della forza delle immagini del pas-sato che affiancano l’oggetto disvelandone un rac-conto. Immagini che svolgono il ruolo preciso eprezioso di documentazione storica, di strumentodi conservazione della memoria collettiva.

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Gli oggetti, segni di una gestualità che legaval’uomo agli animali e alla terra, illustrano il lavorofaticoso che le condizioni strutturali e ambientalihanno imposto agli uomini.

Coltelli di diverse forme e grandezze, accantoalla ruota dell’arrotino allineati nell’attesa del loroturno, rimandano nella tipologia alle attività in cuierano impiegati. Nella cucina a maidda con u sbir -rione ricorda che il pane e la pasta si faceva una vol-ta alla settimana, u smilature che l’impiego delmiele era più diffuso di quello dello zucchero (lap resenza romana!), che le lucerne, anche le piùumili, aggraziate nelle forme, hanno allietato ilbuio con luce diversa a seconda dei tempi.

La sequenza tipologica dei ferri degli animalinella bottega del fabbro richiama l’indispensabilefatica animale accanto a quella umana, consumatain silenzi; i misuratori delle tre culture mediterra-nee per eccellenza, la vita, l’ulivo e il grano riman-dano all’economia del territorio. Accanto, distesoin tutta la sua ampiezza, il ve c c h i o s c a p u l a ru, ilmantello del contadino. Compagno inseparabiledurante l’inclemenza del tempo invernale, il man-tello rappresenta l’abbigliamento tradizionale ma-schile di primaria importanza, La sua ampiezza aruota, con cappuccio e colletto alto fino quasi acoprire tutto il volto, era riparo per l’uomo e la suabestia.

La ricostruzione di spazi con oggetti della vitaquotidiana disegnano un universo fatto di essen-zialità, aggraziato seppure modesto ma non perquesto meno armonico nell’organizzazione: dalletto con la n a c a (la culla) all’angolo cottura, aibummuli (contenitori) per l’acqua al telaio. Lap resenza del telaio lascia intendere il contributofemminile all’economia della casa, contributo nonindifferente che l’adagio popolare ricorda nel det-to che u tilaru è zapponi, per sottolinearne la fati-ca e l’introito economico, pari a quello di uno jur -natari (un lavoratore a giornata) in campagna.

Spesso il telaio costituiva la dote che la donnaportava all’atto del matrimonio, dote arricchita dalcorredo che la stessa aveva prima tessuto e poi im-preziosito con l’arte del ricamo. Ma il telaio nonassolve solo la produzione di stoffe per il corredo:con il telaio si realizzano i tappeti – utili anche du-rante la barchiatura delle oliveo, in ogni caso nellaattività di raccolta – tessuti spesso con la stoffa deivestiti dimessi. In un mondo dove l’economia erabasilare alla sua sussistenza lanche la tessitura lascialeggere il retaggio del passato. Le diverse zone diproduzione della Sicilia si differenziano l’una dal-

l’altra per caratteristiche proprie. I colori, le tipo-logie, i disegni, nonché il gioco degli abbinamentic romatici, infatti, rimandano a mspecificità chenel corso della storia le singole comunità hannoperpetuato. Si pensi, oltre ad Alia, ad esempio, adErice, in provincia di Trapani, ad Alcara Li Fusi, inprovincia di Messina, dove le losanghe, le strisce, icolori, nell’armonico e ingenuo interrelarsi, mar-chiano un’identità.

L’universo femminile contadino ha sempre le-gato la propria attività alla filatura e alla produzio-ne di quanto necessario al fabbisogno familiare .Ecco la ragione per cui fusi, conocchie e navette,nella leggerezza dei disegni e delle forme, trovanospazio nel museo: parlano della capacità di manicallose ad alternare la fatica dei campi con la rea-lizzazione di trine e merletti, spesso destinate ad al-tre spose.

Le testimonianze dell’impiego delle primemacchine per affiancare la fatica di uomini e don-ne, lascia intendere il dialogo che tradizione e in-novazione hanno avviato anche in centri per certiversi ai margini dei grandi circuiti di comunica-zione. Le macchine ormai da tempo costituisconoanch’esse testimonianza per la ricomposizione sto-rica di vicende economiche e sociali. La loro pre-senza e obsolescenza documentano anch’esse la vi-ta e la storia di una comunità: segnano qui comealtrove il cambiamento che passa anche attraversoi primi passi della industrializzazione: documentidi archeologia industriale che segnano il cambia-mento, il desiderio di adeguare le tecniche al tem-po che passa.

Il Museo non è e non vuole essere contenitoredi una raccolta di oggetti ormai caduti in disuso,patinati dal tempo, nè un monumento al lavorod e l l’uomo, ma testimonianza della storia di unacomunità, di quella comunità, che è passata attra-verso quei reperti, materiali segnati da microstorieapparentemente personali. Testimonianze di unacultura senza le cui tracce non si affronta, né si per-segue il futuro.

“ Quando un popolo non ha il senso vitale delsuo passato, si spegne – scrive va Cesare Pa vese. Lavitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Sid i venta creatori anche noi quando si ha un passato. ”

I segni del lavoro e della fatica sono parte dellaidentità di ciascuna comunità. Impressi non solosulle mani, sul viso e sul corpo di intere generazio-ne essi sono documenti su cui costru i re anche igrafici sociali dell’andamento della nostra econo-mia. Sono tratti di un tempo che non è passato in-

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vano, nè il vissuto di una storia che si perimetralontana da noi. La conoscenza e il saper passanoanche attraverso quelle vicende. Per molto tempodi quella storia non si è sentito parlare, non valevala pena parlarne. La vergogna tendeva ad esclude-re quella che Oscal Lewis definiva “la voglia dicancellare la cultura della povertà”. Era una cultu-ra di stenti, di fatica, di povere cose che però dava-no il senso alla vita.

Un museo, sia che lo si chiami dell’identità odella cultura tradizionale o ancora dei beni etnan-tropoligici, non disegna mai solo il cerchio preca-rio di una comunità con un’economia essenziale.Se è vero che ogni cosa che appartiene all’uomo fi-nisce sempre per raccontare una storia – non im-porta quanto grande, non importa quanto sempli-ce – quegli oggetti sussurrano di una cultura,semplice forse, ma tuttavia capace di incidere sul-le umane vicende, scandendo i tempi della storiasu un vissuto apparentemente sempre uguale.

Il museo etnoantropologico di Alia aveva tra gliobiettivi che si era prefisso quello di corredare glioggetti in sito con proiezioni a circuito chiuso dacui evincere la fruizione e il contesto lavoratvo de-gli stessi. Un museo, infatti, dovrebbe avvalersi ditale materiale, perché la conservazione imposta dairapidi mutamenti suggerisce i criteri di un’antropo -logia urgente: preservare non soltanto gli strumen-ti del passato, gli attrezzi, ogni cosa che valga lapensa musealizzare, ma anche tutto il loro corredofatto di consequenzialità dei gesti, di posture, dicanti, di organizzazione lavorativa.

È questo un intento che proponevano gli stu-diosi già nei primi anni del secolo scorso, perchéera già chiaro, da quei prodromi, il ritmo accelera-to che il mutamento avrebbe preso di lì a poco. Unsuggerimento che la scuola di Gottingen avrebbemesso in opera verso gli anni Cinquanta, realiz-zando L’enciclopedia con unità enciclopediche, do-ve ogni attività umana, nei vari paesi del mondoera stata regolarmente ripresa e sintetizzata in treminuti: quanto bastava a corre l a re ogni oggettoesposto nel museo alla sua funzione.

In paesi come il nostro, dove sulla cultura si in-veste quanto basta per non dimenticare, l’esempiodi Alia dovrebbe richiamare altre comunità a fare iconti con la propria storia, non per evidenziare ilritrovamento e la musealizzazione del trecentesi-mo aratro a chiodo, ma per scoprire le peculiaritàlocali che nel corso della storia hanno connotatouna comunità piuttosto che un’altra. Si pensi ai ri-cami (Santa Caterina Villermosa, Comiso) o alla

lavorazione della ceramica (Bugio, Sciacca, SantoStefano – Galtagirone lo ha già allestito) o alla rea-lizzazione di campane (Bugio), o ancora alla speci-ficità delle sedie (Bivona con le sedie anche per lericamatrici), o alla lavorazione della seta (la pro-vincia di Messina).

Anche i primi passi verso l’industrializzazioneandrebbero preservati. Si pensi a un’antica cartierasorta a Borgo Molara vicino Monreale, o a un’altracartiera realizzata dai baroni Turrisi nei pressi diCastelbuono, Tracce a volte ancora disseminate sulterritorio, tal’altra irrimediabilmente fagocitatedalla speculazione edilizia.

La salvaguardia delle identità locali passa ancheattraverso un rapporto di interdisciplinarietà tra ivari interessi culturali che pertengono il territorio.

Un tratto culturale, come ad esempio quello le-gato alla tessitura di Alia, potrebbe costituire mo-mento di riflessione per la storia e le tecniche diquesta antica arte, finalizzata non solo ad un usodidattico, ma anche di comunicazione tra i diversimusei, con una lettura che dalla storia dell’arte ab-braccia la storia delle arti minori, la storia econo-mica, l’antropologia.

La produzione differenziata, attuata attraversomodalità e tecniche che segnano le peculiarità diogni retaggio tradizionale, esita, infatti, in tipolo-gie legate alle diverse lavorazioni: dal feltro, allatessitura a telaio, nonchè ai capi realizzati a unci-netto o a ferri.

Lo studio comparato e lo scambio di informa-zioni sulla storia e sulle tecniche di sviluppo dellaproduzione dei tessuti, a seconda delle diverse tra-dizioni delle zone di produzione, potrebbe costi-tuire prezioso materiale di confronto.

Il progetto – a partire dalla fase di ricerca finoalla diffusione dei risultati ottenuti – nella misurain cui potrebbe essere attivato lo scambio di infor-mazioni, di materiale fotografico e d’archivio at-traverso incontri conferenze, dibattiti, produzionidi film e scambi di oggetti e manufatti tra loro in-terrelati, potrebbe sensibilizzare altri centri.

Dalla realizzazione del progetto potrebbero sca-t u r i re esperienze e conoscenze tali da re n d e re lostesso progetto “esperimento pilota”, p a t t e rn d e lsettore per altri musei interessati a questa peculia-rità di ricerca. L’interscambio potrebbe avve n i reattraverso azioni dimostrative attuate nelle diffe-renti sedi dei patners.

I risultati del progetto potrebbero andare a co-stituire materiale cartaceo e non CD Room – di-

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dattico e tecnico – video cassette, interscambi concomputer

Un’altra storia che andrebbe la pena poter scri-vere.

“Gli oggetti del quotidiano cheaccompagnano la vita di ogniuomo, pur se umili ricordanola dignità di una storia troppoa lungo considerata minore”.

(Fernand Braudell)

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Nel corso dei laboratori e dell’attività di ricerc ae di didattica multidisciplinare che ha visto coin-volta la città di Alia e il suo territorio a part i re dal1996 e i cui risultati sono pubblicati in questo vo-lume, la presenza partecipe e curiosa dei bambinidel luogo è stata sempre un elemento costante.Lungi dall’ e s s e re un fattore di intralcio o di distur-bo, i piccoli gruppi di bambini e di ragazzi che se-g u i vano i ricercatori impegnati nelle loro attività, sisono rivelati anzi un felice e utilissimo veicolo di in-terazione con la popolazione locale. Per questo mo-t i vo, nei coordinatori del progetto scientifico ad unc e rto momento è sorta quasi spontanea l’esigenza dif a vo r i re un maggiore e più diretto coinvo l g i m e n t odella popolazione giovanile nelle attività di ricerc a .

Si è dunque pensato di proporre una sorta diesperimento visuale, che ha preso la forma di unconcorso fotografico sul tema della auto-rappre-sentazione, dal titolo “Le cose importanti dellamia vita. Autoritratto per immagini”.

La finalità dell’esperimento era duplice: da unap a rte quella di ancorare la ricerca al territorio, contri-buendo a sensibilizzare e re s p o n s a b i l i z z a re la popola-zione nei confronti del progetto ponendo le basi perla prosecuzione di un dialogo; dall’altra quella di ar-r i c c h i re i dati della ricerca di una documentazione“d a l l’ i n t e r n o”, altrimenti difficilmente re p e r i b i l e .

È necessario pre c i s a re che fin dal momento del-la stesura del regolamento si è optato per una im-postazione metodologica libera e non rigorosa. Leuniche indicazioni riguard a vano i limiti di età (6-15 anni), e la strumentazione, consistente in unamacchina “usa e getta” con rullino a colori di 24 po-se, fornita direttamente dai proponenti del concor-so al momento dell’iscrizione e ritirata dagli stessi altermine della realizzazione del lavo ro, e comunqueprima che il rullino venisse sviluppato e stampato.

La scelta della macchina usa è getta è stata de-terminata, oltre che dalla volontà di offrire uno

strumento identico per tutti i partecipanti, dallecaratteristiche specifiche del mezzo, che permettedi valutare il risultato nella sua sequenza origina-ria, senza manipolazioni o selezione preventiva daparte degli stessi autori.

Il tema è stato invece lasciato di proposito intermini generici. La speranza degli organizzatoriera infatti quella di raccogliere una documentazio-ne più vasta possibile di soggetti e situazioni diver-se, una sorta di catalogo visivo degli stimoli cultu-rali e sociali della popolazione giovanile di Alia.

C o o rdinato dalla locale Biblioteca Comunale, ilconcorso ha riscosso un notevole interesse del qualeè solo parzialmente indicativo il numero dei ru l l i n isviluppati e stampati (16), in quanto i partecipanti sisono spesso riuniti in coppia o in piccoli gru p p i .

Le immagini riprodotte nelle pagine seguentirappresentano una selezione del materiale perve-nuto. Appare superfluo sottolineare che il criterioadottato per la selezione non ha tenuto conto del-l’aspetto estetico-formale quanto della valenza si-gnificativa.

Una prima riflessione, che traspare solo parzial-mente dalla selezione presentata, è la serietà, purnella dimensione del gioco, con la quale i parteci-panti hanno svolto il tema del concorso. Sebbenenella maggior parte dei casi il medesimo apparec-chio sia stato utilizzato da più partecipanti, oppu-re più gruppi di bambini abbiano percorso insie-me i medesimi luoghi e situazioni e quindi non siapossibile attribuire i risultati a personalità indivi-duali, il risultato complessivo risponde pienamen-te agli obiettivi proposti, offrendo uno sguard otutt’altro che banale e monocorde, e anzi moltoben articolato della realtà aliese.

Questa impressione è confermata anche a livel-lo dei singoli rullini. Nella sequenza originale de-gli scatti, ogni lavoro comprende una progressionecalcolata di soggetti, che risponde all’insieme dei

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Capitolo 10

“LE COSE IMPORTANTI DELLA MIA CITTÀ”UN ESPERIMENTO FOTOGRAFICO PER LA

POPOLAZIONE GIOVANILE DEL TERRITORIO DI ALIACHIARELLI C., TARTARELLI G.

Museo di Antropologia ed Etnologia. Università degli Studi di FirenzeLaboratori di Antropologia - Dipartimento di Biologia animale e Genetica. Università degli Studi di Firenze

E-mail: [email protected]

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luoghi, delle persone e delle situazioni importantidella vita e del contesto sociale dei partecipanti. Ese in alcuni casi vi è una maggiore insistenza su diun singolo soggetto, come nel caso dell’allevamen-to di bestiame o di quello degli struzzi, oppure nel-la sequenza sul mercato (Tavola VII), questo fattoappare piuttosto il risultato di una scelta pondera-ta e consapevole, una sorta di “reportage” di docu-mentazione su alcuni aspetti che hanno particolar-mente incuriosito gli autori.

Venendo ora ai soggetti più frequenti, nella ta-vole che seguono essi sono stati accorpati entro al-cune categorie tipologiche.

Nella quasi totalità dei casi, i partecipanti hannoritenuto di documentare il territorio. Le immaginia venti per soggetto vedute o dettagli di un luogo oun edificio sono in totale 216. Tra di esse pre va l g o-no le vedute della città (121; cfr. Ta vola I), rappre-sentata nei suoi luoghi salienti (monumenti, piaz-ze), come pure in semplici scorci stradali o angolip r i vati. E’ possibile notare inoltre un’ a t t e n z i o n ep a rt i c o l a re per gli arredi e gli abbellimenti urbani-stici recenti, segnale di un generale apprez z a m e n t oe s t e t i c o. Generalmente però manca in queste ripre-se uno sguardo selettivo. Fa eccezione un part e c i-pante, che utilizza l’ i n t e ro rullino per effettuare unacampionatura “s i s t e m a t i c a” del patrimonio art i s t i c olocale urbano ma anche rurale, andando a cerc a reanche luoghi apparentemente abbandonati.

La campagna è altrettanto rappresentata (95;cfr. Tavola II), anche se quasi sempre in vedute pa-noramiche che comprendono la città. Solo quan-do la campagna diventa il soggetto privilegiato delpartecipante si hanno rappresentazioni più vissute,nelle quali, oltre alla documentazione dello spaziofisico è presente una attenzione per le attività con-tadine e produttive.

Gli interni delle abitazioni sono invece estre-mamente rari (Ta vola V). Le sole tre immagininelle quali gli ambienti domestici siano soggettoprincipale e non solo di contesto per una ambien-tazione familiare (ritratti di genitori o pare n t i ) ,rappresentano una cucina (apparentemente nuo-va) con una televisione accesa, un locale non iden-tificato con un crocifisso, un deposito con un let-tino accanto a un trattore. Naturalmente parte diquesta carenza è dovuta a limiti tecnici (il funzio-namento del flash), ma non è da escludere un cer-to pudore dei partecipanti nel rappresentare unadimensione così privata.

Le fotografie che ritraggono persone (autori-tratti, parenti, amici, per un totale di 32 scatti; Ta-

vole III e IV), pur non molto numerose, sonoquelle nelle quali si coglie un coinvolgimento piùprofondo che si riflette sugli esiti spesso felici an-che da un punto di vista estetico-formale.

A questa categoria di immagini appart e n g o n ogli auto-ritratti dei protagonisti. Da soli o in picco-li gruppi, i partecipanti indulgono volentieri nellaa u t o - r a p p resentazione, facendosi ritrarre in uncontesto domestico, oppure cittadino. In pro p o s i-to è interessante notare la sequenza riprodotta nel-la Ta vola III, nella quale gli stessi protagonisti pri-ma si fanno fotografare in gruppo e poi ciascunoper sé, sottolineando nelle pose e nelle espre s s i o n iuna dimensione al contempo ludica e rigorosa.

La tavola IV riproduce alcuni ritratti di com-ponenti del nucleo familiare. Da un punto di vistaquantitativo, sebbene in questo caso le informa-zioni sul grado di parentela possono risultare ine-satte, è interessante notare la netta prevalenza diimmagini di coetanei (fratelli, cugini, etc.); all’op-posto è da segnalare la pressoché totale assenza diritratti paterni; le madri sono un po’ più rappre-sentate, mentre con maggiore frequenza sono ri-tratti i componenti anziani.

Come si è già detto, solo in alcuni casi è possi-bile evidenziare un percorso individuale focalizza-to su di un tema specifico di appro f o n d i m e n t o.Tra questi ci è sembrato utile proporre tre esempi(Tavola VII), dei quali il primo è particolarmentesignificativo in quanto documenta, attraverso im-magini realizzate in un mercato e in diversi nego-zi, la dimensione del commercio, che viene addi-rittura sottolineata da una insolita inquadratura diun mazzo di banconote.

* * *Al di là del va l o re e della consistenza numerica del

materiale, il risultato dell’esperimento appare stimo-lante per ulteriori approfondimenti. Quello che na-s c e va come un saggio collaterale alle ricerche in cor-so si delinea ora come una dire t t i va di ricerca bencaratterizzata ed estremamente promettente. Il mate-riale raccolto si presta a rappre s e n t a re il primo nucleodi un ipotetico archivio visivo del territorio aliese.D’altra parte, una auspicabile riproposizione perio-dica della medesima iniziativa e il suo allargamentoad altri comuni della regione siciliana, permetterà di“m o n i t o r a re” su scala temporale e territoriale, i rifles-si sulla comunità giovanile dei cambiamenti socio-culturali in atto. Finalità che il costituendo “Mu s e oA rchivio per la Fotografia della Sicilia e del Me d i t e r-r a n e o” della città di Alia dov rebbe porre come prio-ritaria della sua attività istituzionale.

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TAVO L E

I. Il territorio: la città

II. Il territorio: la campagna

III. L’uomo: autoritratti

IV. L’uomo: il nucleo familiare

V. Interni domestici

VI. Aspetti del lavoro

VII. Approfondimenti (il commercio, l’allevamento di struzzi, l’allevamento tradizionale)

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Nota:

Data la natura collettiva del progetto le singole immagini non riportano il nome degli autori. Siè ritenuto invece doveroso trascrivere qui di seguito l’elenco completo dei partecipanti:

Davide Calà, Antonino Cannata, Orazio Cannata, Simone Cimento, Vincenzo Cimò, GiuseppeColletto, Mario Faro, Paola Faro, Matteo Ferrara, Angelo Fricano, Anthony Gabiino, Mario Gan-gi, Salvatore Inguaggiato, Grazia Mezzatesta, Roberto Minnuto, Salvatore Pagnotta, Luigi Pinni-si, Salvatore Porretto, Antonino Riili, Luciano Sangiorgi, Carmelo Scaccia, Giulia Si r a g u s a ,A l e s s a n d ro Valenza, Antonino Valenza, Emanuela Vicari, Giuseppe Vi c a r i .

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Tavola I – Il territorio: la città

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Tavola II – Il territorio: la campagna

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Tavola III – L’uomo: autoritratti

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Tavola IV – L’uomo: il nucleo familiare

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Tavola V – Interni domestici

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Tavola VI – Aspetti del lavoro

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Tavola VII – Approfondimenti (1)

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Tavola VII – Approfondimenti (2)

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I partecipanti ad una sessione del Campo Scuola di Alia (1997).

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Agnesi Valerio – Università di Palermo

Becker Marshall J. – Università della Pennsylvania

Bigazzi Renzo – Università di Firenze

Bove Annalisa – Università di Pisa

Bramanti Barbara – Università di Firenze

Cedrini Rita – Università di Palermo

Cerutti Nicoletta – Università di Torino

Chiarelli Brunetto – Università di Firenze

Cognetti Goffredo – Università di Palermo

Crisafulli Rachel – Università di Firenze

D’Amore Giuseppe – Università di Firenze

De Iasio Sergio – Università di Parma

Francalacci Paolo – Università di Sassari

Herrmann Bernd – Università di Göttingen

Iandelli Francesca – Università di Firenze

Lazzerini Luca – Università di Firenze

Lucchetti Enzo – Università di Parma

Masseti Marco – Università di Firenze

Meaglia Donatella – Università di Torino

Porcella Paola – Università di Cagliari

Rabino Massa Emma – Università di Torino

Raimondo Francesco Maria – Università di Palermo

Sarà Maurizio -– Università di Palermo

Scalfari Francesco – Università di Torino

Sineo Luca – Università di Palermo

Tartarelli Giandonato – Università di Firenze

Vernesi Cristiano – Università di Firenze

Vona Giuseppe – Università di Cagliari

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DOCENTI DEI CAMPI SCUOLA DI ALIA(1996-2000)

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1995

• Sopralluogo del dott. G. D’Amore alla Grotta del “Cimitero Vecchio” e primo inventario del mate-riale osteologico umano ivi rinvenuto (settembre).

1996

• Inizio dello studio del materiale da parte dei dottori R. Bigazzi, R. Crisafulli, F. Iandelli, L.V. Lazze-rini e G. Tartarelli (10 - 18 giugno, 22 luglio - 4 agosto);

• Campo Scuola di Antropologia ad Alia (22 luglio - 4 agosto), coordinato dalla dott. C. Di Gaetano;

• Conferenze estive in Piazza Garibaldi dei seguenti relatori: V. Agnesi, B. Chiarelli, R. Cedrini, G.Cognetti, F. M. Raimondo, M. Sarà;

• Riordino dell’Archivio Storico comunale di Alia, coordinato dal dott. R. Bigazzi;

• Mostra “Antropologia ad Alia: uno studio multidisciplinare”, curata dal dott. R. Bigazzi, presso l’Or-to Botanico di Palermo (15 dicembre 1996 - 12 gennaio 1997) e quindi a Firenze presso l’Istituto diAntropologia.

1997

• Campo Scuola di Antropologia (15 luglio - 8 settembre), coordinato dal dott. R. Bigazzi;

• Conferenze estive in Piazza Garibaldi dei seguenti relatori: B. Chiarelli, R. Cedrini, L. Sineo;

• Realizzazione del Museo Didattico di Antropologia e del Giardino Botanico di specie endemiche, al-lestiti da G. Saladino, L. Zanca e M. Sarà, curata per la parte archeologica e antropologica da R. Bi-gazzi, A. Bove, L. V. Lazzerini, , G. Tartarelli, presso la Grotta del “Cimitero Vecchio”;

• Realizzazione del Museo Etno-Antropologico, curata dalla prof. R. Cedrini.

• XII Congresso degli Antropologi Italiani (Palermo, Alia, 16-20 settembre).

1998• Campo Scuola di Antropologia (24 agosto - 6 settembre), coordinato dal dott. R. Bigazzi.

1999

• Conferenze estive in Piazza Garibaldi dei seguenti relatori: M. J. Becker, B. Bramanti, B. Chiarelli,G. D’Amore, M. Ernandez, B. Herrmann, E. Lucchetti, M. Masseti, L. Sineo, G. Vona.

2000

• Campo Scuola di Antropologia, coordinato dalla dott. S. Tulumello.

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EVENTI CORRELATI CON LE RICERCHEANTROPOLOGICHE IN CORSO AD ALIA

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Pubblicatonell’anno 2002