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    RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA / a. LI, n. 3, luglio-settembre 2010

    NOTE CRITICHE

    Periferie italiane

    di AndreA Mubi brighenti

    Caritas Italiana Mauro Magatti (a cura di), La citt abbandonata: dovesono e come cambiano le perierie italiane, Bologna, Il Mulino, 2007.Paola Briata, Massimo Bricocoli e Carla Tedesco, Citt in perieria:politiche urbane e progetti locali in Francia, Gran Bretagna e Italia,Roma, Carocci, 2009.Franco Ferrarotti e Maria I. Macioti, Perierie: da problema a risorsa,Roma, Teti, 2009.Antida Gazzola, Intorno alla citt: problemi delle perierie in Europa ein Italia, Napoli, Liguori, 2008.

    Laura Bovone e Lucia Ruggerone (a cura di), Quartieri in bilico: pe-rierie milanesi a conronto, Milano, Mondadori, 2009.

    Linteresse per il tema delle perierie urbane oggi variamente ribat-tezzate citt abbandonata, citt negata, citt senza citt, quartierisensibili o altro che orito in anni recenti nella sociologia italianapu essere letto in modo ambivalente. Da un lato inatti esso corredei rischi, dallaltro ore per delle importanti possibilit. I rischi sonolegati al atto che lagenda degli interessi della ricerca sociale vengadettata dai mass media e dalle priorit di questi ultimi. Nel momentoin cui i media sollevano a gran voce i temi della sicurezza urbana,agitano lo spettro dei quartieri-ghetto e dipingono le perierie come ilricettacolo di tutti i cancri sociali del paese, la ricerca sociale in uncerto senso orzata a correre a vericare, ma loperazione corre sempreil rischio di nire per adottare e pi o meno inconsciamente avallaree legittimare tutta una serie di retoriche e parole dordine di stampopolitico-mediatico. Come cantava Battiato, non acile restare calmi eindierenti mentre tutti intorno anno rumore. Dallaltro, in positivo, unaserie di possibilit sono aperte da quelle ricerche, di cui vorrei parlarein questo breve testo, che hanno prodotto dei risultati interessanti esoprattutto hanno saputo diendere la specicit epistemica e, non daultimo, la temporalit propria della ricerca sociale una temporalitche per sua costituzione dovrebbe contrapporsi ai ritmi brillanti, ai

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    rifessi condizionati del pensiero e alla mancanza di memoria a lungotermine che caratterizza i mass media.

    Mentre il discorso mediatico interpreta le perierie come sinonimodi problemi sociali e di degrado, la ricerca permette di eviden-

    ziare una diversit territoriale e locale di congurazioni sociali comediviene particolarmente evidente in ricerche etnograche di tipo im-mersivo, ad esempio quella di Ferdinando Fava (2008) sullo Zen diPalermo. Calcando la mano sul clich, inatti, risulta sin troppo aciledipingere scenari apocalittici delle perierie e, se ci non permettedi comprendere i reali e complessi processi in corso, permette pera ortiori di comprendere perch molte perierie abbiano soerto esorano di una orte stigmatizzazione territoriale (Wacquant 2007).Ricostruendo la traiettoria storica di una decina di perierie-simbolo

    dellItalia del dopoguerra e della svolta postindustriale dei tardi anniSettanta (Librino a Catania, Zen a Palermo, San Paolo a Bari, Scam-pia a Napoli, Corviale a Roma, Begato a Genova, ecc.), sia la ricercadel gruppo di Magatti, condotta per conto della Caritas italiana, siaquella di Antida Gazzola e Roberta Prampolini, commissionata dallaFondazione Unipolis, hanno atto ben emergere i attori ondamentalidello sviluppo storico di questa dimensione urbana.

    I tratti principali della storia e delle caratteristiche delle perierieitaliane vengono comunque ripercorsi pi o meno da tutte le ricerche

    qui prese in esame. Si parte dalla cattiva pianicazione nellediliziasociale pubblica, descritta da Gazzola e Prampolini non tanto e nonsoprattutto nei termini dei modelli architettonici (molto spesso ispiratidallarchitettura razionalista di Le Corbusier), quanto rispetto alle incoe-renze e discrasie tra progettazione ed esecuzione, che hanno portato adavere quartieri costruiti a met e per laltra met incompiuti, a vuotiurbani afitti da mancanza di inrastrutture. Se i punti deboli dellapianicazione pubblica modernista consistevano nellacquartieramentodella classe operaia in grandi palazzi (casermoni) dentro quartieri in

    gran parte monounzionali (dormitori), la controparte sul versante pri-vato non u molto diversa e consistette nel prolierare dellinsediamentospontaneo (Ferrarotti 1970), della costruzione abusiva (Zan 2008) edella speculazione privata con costruzione di edici scadenti per qualite materiali, destinati a deperire nel giro di pochi anni. A questo pro-posito, Briata, Bricocoli e Tedesco sottolineano in particolare come inItalia, nonostante i numerosi interventi legislativi in materia di ediliziapopolare e residenziale, tradizionalmente mancata una politica urbanain senso proprio. Una serie di strumenti ad ambizione pi organica,

    quali ad esempio i programmi integrati di intervento, i programmi diriqualicazione urbana, i programmi di recupero urbano e i contratti diquartiere, sono stati sperimentati sono nel corso dellultimo decennio,ispirandosi a strumenti unzionalmente analoghi predisposti in Franciae Gran Bretagna, sebbene con modalit attuative dierenti.

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    La progettazione degli alloggi popolari degli anni Cinquanta eSessanta aveva una marcata impronta progressista e idealista: in breve,si trattava di ar abitare le masse operaie che venivano inurbandosi eindustrializzandosi. Paradossalmente, quel tipo di discorso progettuale

    urbanistico e architettonico andava in crisi proprio mentre i suoiprodotti materiali venivano costruiti. In seguito, come noto, teoricineoconservatori come Oscar Newman attaccarono gli edici dellediliziapopolare ispirati alle units dhabitation denendoli architetture cri-minogene, una critica in seguito sovente ripetuta anche con notevolesupercialit. Resta il atto che storicamente la crisi del modello indu-striale classico, la terziarizzazione e lavanzare del modello capitalistaneoliberale hanno colpito duramente la congurazione delle perierieurbane in termini di precarizzazione, vulnerabilit, nuove povert e il

    venir meno di unidentit sociale e politica proletaria orte, laddoveessa si era sviluppata.

    Questa trasormazione storica pone anche di ronte a una crisi dellecategorie interpretative. Il gruppo di ricerca coordinato da Magatti,ad esempio, sulla base di una amosa nozione di Foucault, teorizzauna passaggio storico dalle utopie della progettazione dellediliziapopolare alle eterotopie, ovvero a un tipo di utopia realizzata cheriassume in s luoghi incompatibili tra loro. Su queste basi il gruppodi ricercatori della Cattolica arriva a riutare persino la categoria di

    perieria, proponendo in sua vece quella di quartieri sensibili. Ci persottolineare che ci troviamo nella oucaultiana epoca della dislocazione,in cui i luoghi vivono di relazionalit e connessioni reciproche e, sipotrebbe aggiungere, muoiono quando queste connessioni non ci sono.Secondo Magatti, il tratto pi preoccupante di rischio per i quartieri siverica quando lo scollamento tra dimensione unzionale e dimensionesociale-comunitaria (o, con Habermas, tra sistema e mondo di vita) sia proondo e irreparabile. I quartieri sensibili si deniscono dunqueper Magatti non tanto sulla base della loro collocazione geograca nella

    citt quanto sulla base di un disequilibrio sociale presente in essi. Dicerto, di perierie come luoghi chiaramente demarcati e identicabilidiviene pi dicile parlare in situazioni regionali di citt diusa e diurbanizzazione estensiva del territorio.

    Quello che viene spesso dipinto dai media come un pericologhetto della perieria italiana si rivela in realt molto pi spesso unpericolo slum (Wacquant 2008): non si tratta inatti della presenzadi una comunit etnicamente coesa, esclusa, separata e dotata di istitu-zioni proprie, ma di zone di transizione caratterizzate da atiscenza dei

    manuatti, carenza di gestione e di manutenzione, mancanza di servizicommerciali e culturali, precariet o assenza di inrastrutture per la mobi-lit, vicinanza a luoghi indesiderati come campi rom, discariche, svincoliautostradali. Tutti questi attori portano a emarginazione e isolamentodei residenti e quindi alla loro stigmatizzazione. Nel gruppo di Magatti,

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    Chiara Giaccardi esprime bene questi attori parlando di deprivazionespaziale e angoscia territoriale. La perieria, scrive Giaccardi, soredi intransitivit (dicile arrivarci e andarsene), invisibilit (dicilevederla) e inguardabilit (esteticamente deteriore a vedersi). Analoga-

    mente Ferrarotti sostiene che ci che, nella diversit delle situazioni,accomuna le perierie di tutto il mondo, incluse dunque quelle italiane, il attore dellesclusione sociale, ovvero la marginalit sociale in cui sitrovano a vivere gli abitanti. Le rifessioni che emergono dalle ricerchepresentate sembrano convergere intorno al atto che i problemi localidi tipo amministrativo delle perierie, i quali hanno a che are spessocon mancanza di controllo istituzionale, dicolt di implementazionedi politiche sociali locali ecaci e cos via, non possono venire ade-guatamente arontati se non si tiene presente la questione sociale pi

    ampia in cui essi prendono corpo: disoccupazione, abbandono scolastico,culture del disenranchisement, devianza, criminalit, e non da ultimoheavy policing attore, come ha mostrato ad esempio Cathy Schneider(2009), ondamentale per comprendere molte rivolte delle perieriein Europa e negli Stati uniti. Come mostrano anche Briata, Bricocoli eTedesco evidenziando i limiti dei modelli dellazione locale integrata,la questione si amplia dunque alla gestione (e localizzazione) di quellache Robert Castel (1995) ha chiamato popolazione soprannumeraria e Alessandro De Giorgi (2002) eccedenza.

    Se i pericoli di deriva sociale delle perierie derivano pi dalleet-to slum che dalleetto ghetto, alcuni aspetti del ghetto sono tuttaviarintracciabili in alcune perierie, soprattutto per quanto riguarda lareazione alla stigmatizzazione territoriale. Lo stigma inatti porta a unattaccamento al territorio e una rivendicazione spesso provocatoria, oautoironica, di un senso di appartenenza (sintomatico ad esempio che icerti complessi perierici divengano spesso noti con noti che dileggianole loro architetture come le dighe, le vele, le lavatrici, i bi-scioni) e allo sviluppo di sottoculture locali marcate. Come illustrano le

    ricerche coordinate da Magatti e da Gazzola, in molte perierie italiane presente altres un orte (e coraggioso) associazionismo di base, anchecattolico, cos come mobilitazioni attraverso comitati e movimenti allaricerca di un riscatto per il quartiere tutti attori che rinviano a unadimensione di auto-istituzionalizzazione in assenza delle istituzioni uciali(in alcuni casi il enomeno rileva a volte anche in negativo, laddove ilterritorio viene gestito dalla criminalit organizzata). La situazione delleperierie dunque tuttaltro che immobile, al punto che Ferrarotti eMaciota propongono di cominciare a pensarle come risorsa invece che

    come problema invito che si regge sulla solida constatazione attualeche un terzo della popolazione della capitale risiede in perieria. Il casoromano, da questo punto di vista, particolare e probabilmente nongeneralizzabile, legato a una urbanizzazione senza industrializzazione eallombra lunga della rendita ondiaria sullo sviluppo urbano. Ma la

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    ricerca coordinata da Ferrarotti e Maciota, replica di una precedentericerca condotta da Ferrarotti a ne anni Sessanta sulle tre borgatedellAlessandrina, del Quarticciolo e dellAcquedotto Felice (Ferrarotti1970), illustra anche aspetti ricorrenti se non addirittura tipici di molte

    perierie italiane. Oggi come oggi i quartieri presi in considerazione nonrisultano particolarmente eclatanti, soprattutto rispetto alla situazionedelle baracche e degli accampamenti della ne degli anni Sessanta. Aborgata Alessandrina, Quarticciolo e Acquedotto Felice oggi alloggia unapiccola borghesia quasi sempre proprietaria ma che versa in dicolteconomiche in particolare per i giovani precarizzati e che aticano adarontare i prezzi degli atti in crisi di identit, soerente di unamancanza di luoghi di aggregazione. Qui orse meglio che altrove sivede, come argomenta Ferrarotti, che la perieria non contrapposta

    alla citt ma , e in misura sempre crescente, nella citt stessa. Diconseguenza per il decano della sociologia urbana italiana la sda cheuna politica urbana allaltezza della situazione dovrebbe arontare quella di portare risolutamente il centro (ovvero i servizi e la qualitdella vita) nella perieria.

    Il caso milanese esplorato in dettaglio dal gruppo di ricercadi Bovone e Ruggerone, che hanno lavorato in senso comparativosui cinque quartieri Bovisa, Corvetto-Rogoredo, Lambrate, Molise-Calvairate e Villa Pizzone. Il lavoro riporta i risultati di una ricerca

    promossa dal Comune di Milano vlta a lanciare un programma diincentivazione imprenditoriale; di qui la centralit per il gruppo diricerca del ruolo delleconomia simbolica teorizzata da Sharon Zukin,di tipo culturale e creativo, per la valorizzazione dei quartieri urbani.Secondo il gruppo di ricerca, alcuni quartieri di Milano hanno rispostomeglio di altri e hanno saputo approttare delle opportunit oerteda questo passaggio (Bovisa e Lambrate), mentre altri sono rimasti inbilico (Corvetto e Molise-Calvairate) e altri si sono progressivamentecongurati come quartieri multiculturali (zone di transizione, nella

    dizione classica della scuola di Chicago), con tutta una serie possibilite problemi connessi. La ricerca del gruppo di Bovone e Ruggeroneinsiste soprattutto sulle questioni legate ai vari piani di recupero eriqualicazione dei quartieri. Secondo Giancarlo Rovati, nel caso diMilano il recupero stato sino a tempi recenti pensato soprattuttocome recupero edilizio, mentre sono mancati i piani di rigenerazioneeconomica. Secondo Rovati, questa rigenerazione ha pi probabilit diriuscire laddove le dimensioni del degrado legato a comportamenti esoggetti che generano insicurezza e caratteristiche della popolazione

    residente sono pi contenute e gestibili.Il discorso del recupero urbano non tuttavia processo alienoda una serie di ambiguit. Se inatti alcuni programmi di rilancio deiquartieri possono essere importanti per dare nuove prospettive alleperierie, essi contengono anche il rischio che laumento dei valori im-

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    mobiliari associato a interventi di economia culturale (spesso realizzataattraverso lintervento di archistar e la realizzazione di alcuni simbolidel rinnovamento) si traduca in una gentricazione che migliora ilquartiere nel momento stesso in cui espelle gli abitanti pi poveri,

    pi bisognosi e con minori risorse sociali come ricorda anche, nelgruppo di Bovone e Ruggerone, Antonia Mazzetta. Sarebbe sicuramenteun paradosso se un esito di questo tipo scaturisse proprio da quellaimpostazione descritta da Briata, Bricocoli e Tedesco come derivantedalle esperienze rancesi e inglesi che mira alla valorizzazione dellamixit sociale. Se inatti vero che la mancanza di mescolanza socialerende i quartieri bloccati e incapaci di evolvere, anche vero che,qualora la mescolanza osse solo leetto temporaneo di una progressivasostituzione tra due popolazioni, una afuente in arrivo e una povera

    sempre pi ricacciata ai margini e inne atta sparire, le prospettivenon sarebbero migliori. Da questo punto di vista, proprio Briata,Bricocoli e Tedesco sottolineano, in modo importante, una crescenteincapacit della citt contemporanea di dare luogo agli individui chevivono in condizioni di svantaggio (p. 151). Da parte loro, Gazzola ePrampolini concludono la propria ricerca sostenendo che nelle perierieitaliane si registra oggi un passaggio da un bisogno di casa a un veroe proprio bisogno di citt. Questo certamente vero, e orse eravero anche in passato; tuttavia, la sda che pongono oggi le perierie

    italiane sembra consistere precisamente nel comprendere di che tipo dicitt stiamo parlando, e soprattutto, come si sono chiesti recentementeBrenner, Marcuse e Mayer (2009) di una citt per chi. Dal mio puntodi vista, la questione che emerge in ligrana a tutte le ricerche sulleperierie qui presentate , in ultimo, quella della dimensione pubblicadella citt, relativa cio alla composizione eterogenea di una molteplicitsociale e alla dimensione propriamente educativa, ormativa di socialite di cultura, di tale diversit coesistente.

    RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

    Brenner, N., Marcuse, P. e M. Mayer2009 Cities or people, not or proft, in City, 13, 2, pp. 176-184.Castel, R.1995 Les mtamorphoses de la question sociale, Paris, Gallimard.De Giorgi, A.2002 Il governo delleccedenza, Verona, Ombre Corte.Ferrarotti, F.

    1970 Roma da capitale a perieria, Roma-Bari, Laterza.Schneider, C.L.2009 Police Power, Race Riots and Urban Unrest in Paris and New York, in

    lo Squaderno, 14, pp. 7-10.

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    Wacquant, L.2007 Territorial Stigmatization in the Age o Advanced Marginality, in Thesis

    Eleven, 91, pp. 66-77.2008 Parias urbains. Ghetto, banlieues, tat, Paris, La Dcouverte.

    Zan, F.2008 Citt latenti. Un progetto per lItalia abusiva, Milano, Bruno Mondadori.

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