Branded content and television...
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DIPARTIMENTO DI IMPRESA E MANAGMENT: CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
MARKETING
CATTEDRA: NEWSMAKING AND BRAND STORYTELLING
“Branded content and television entertainment”
RELATORE:
PROF. FRANCESCO GIORGINO CANDIDATO:
MATR. 687261
CORRELATORE:
PROF. LUCA BALESTRIERI
ANNO ACCADEMICO: 2017/2018
1
INDICE:
INTRODUZIONE (pg.3)
CAPITOLO 1
LA TELEVISIONE AL SERVIZIO DEL CONTENT MARKETING
1.1 Come cambia la televisione (pg.7)
1.1.1 Tv convergente, tv liquida (pg.9)
1.2 Il nuovo pubblico televisivo (pg.14)
1.3 L’evoluzione del rapporto tra brand e televisione. (pg.21)
1.3.1 Breve excursus storico: le origini della convergenza tra l’advertising e la TV
(pg.23)
1.3.2 Dal product placement al branded entertainment passando per la brand integration
(pg.25)
1.3.3 Il Branded Content and Entertainment all’interno dell’industria televisiva
(pg.30)
1.3.4 Il mercato italiano del branded entertainment nel 2018: alcuni dati e trend (pg.35)
1.3.5 Esempi riusciti di branded content & television entertainment (pg.37)
a) Il pubblico Co-crea contenuti →“Intel: The beauty inside”
b) Contenuti tv di qualità che trasmettono i valori del brand: il caso Illy “Artisti
del Gusto” (National Geographic)
CAPITOLO 2
IL FORMATO TELEVISIVO BRANDED CONTENT ED IL RUOLO DELLE SOCIETà DI
PRODUZIONE
2.1 Un nuovo attore in gioco: la società di produzione Tv (pg.44)
2.2 L’intreccio tra “brand ––> società di produzione TV––> broadcaster” (pg.52)
2.2.1 Processo di produzione di un formato branded content digitale e possibili
sbocchi sul mercato televisivo (pg.57)
2
CAPITOLO 3
IL BRANDTELLING ALL’INTERNO DI FORMATI TELEVISIVI “STAND BY ME”.
3.1 “Un viaggio da Campioni” (Italia 1, Stand By Me e Mastercard) (pg.65)
3.2 “Chasing Paper” (National Geographic, Stand By Me e Sofidel) (pg.71)
3.3 “Ivan lo Zar della Pallavolo” (Italia 1, Stand By Me e Redbull) (pg.77)
3.4 Analisi cross-mediale (pg.85)
3.4.1 L’approccio della sentiment analysis (pg.96)
CONCLUSIONE (pg.107)
APPENDICE (pg.109)
BIBLIOGRAFIA (pg.111)
3
INTRODUZIONE
Sin dagli albori della nascita del mondo delle telecomunicazioni il messaggio mediale e quello
pubblicitario sono sempre coesistiti. Già dai primi programmi della paleotelevisione italiana a
scopo pedagogico (es: Carosello) infatti era possibile notare come la pubblicità fosse un elemento
imprescindibile che accompagnasse lo svolgimento stesso del protoformato televisivo
adeguandosi alle necessità di un pubblico che oltre ad apprendere nuove informazioni si divertiva
ad assistere ad intervalli pubblicitari di marche di ogni genere1.
Il rapporto tra brand e televisione è dunque molto stretto ed antico ma con il passare degli anni
ha subito un forte cambiamento derivante da vari fattori esogeni ed endogeni che ne hanno
modificato non solo le relazioni ma anche i rapporti di potere al loro interno. Ma quali sono
questi cambiamenti avvenuti? E a cosa hanno portato?
Scopo di questa tesi è quello di accompagnare il lettore all’interno di tutto il processo di
cambiamento e sviluppo delle relazioni tra brand e televisione fino ad arrivare all’apice dei giorni
d’oggi in cui il brand, spogliatosi dalle vesti di comparsa occasionale all’interno di un più ampio
formato televisivo, diventa in prima persona editore e produttore di contenuti mediali seguendo
le logiche di un nuovo fenomeno in continua evoluzione che viene definito branded content and
entertainment. Questo processo di cambiamento di prospettiva da parte del brand ha però radici
profonde e va inquadrato in un discorso più ampio di cambiamento generale di visione del mondo
della telecomunicazione moderna. Due sono i fattori principali che hanno portato al cambiamento
generale dell’universo televisivo e che hanno spinto il brand a relazionarsi in maniera più incisiva
con i vari broadcaster: il cambiamento del concetto di televisione e il ruolo sempre più attivo e
pervasivo dell’audience.
Questi due fattori sono inoltre legati ad un avvenimento epocale che ha cambiato per sempre la
storia della comunicazione mondiale: l’avvento del digitale.
Attraverso l’avvento del digitale e di internet cambia proprio il modo di concepire la televisione
ed i suoi prodotti. La disintermediazione e la frammentazione del formato televisivo attraverso
l’utilizzo di più device contemporaneamente ha portato i vari broadcaster a rivedere il dogma
principale stesso del modo di fare televisione. La televisione è divenuta “convergente e liquida”
mettendosi a disposizione del consumatore in maniera transmediale e crossmediale e proponendo
più esperienze diverse di fruizione di un canale o programma attraverso più piattaforme digitali.
D’altronde i broadcaster devono necessariamente promuovere questa sempre crescente diversità
di vie d’accesso ai contenuti audiovisivi e sono quasi costretti a cavalcare quest’onda per non
rimanere ancorati ad un tradizionalismo televisivo e fuori da quel mercato nuovo che si sta
1 Un esempio pratico lo si può evincere dalle varie pubblicità di lunga durata presenti all’interno del programma Carosello (ES: Pubblicità biscotti Talmone e Moka Express).
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delineando e che ha due padroni assoluti: pubblico e brand. Ed è proprio il pubblico televisivo
moderno ad essere l’ago della bilancia di questo nuovo fenomeno commerciale. Un’audience
divenuta attiva e predominante nel processo di creazione di un qualsivoglia formato televisivo
(branded o non branded) che interagisce direttamente con l’azienda ed il broadcaster per
indirizzare il contenuto futuro del programma. Uno spettatore user-generated content che grazie
all’avvento del digitale ha preso in mano le redini del gioco.
Questi sono i due aspetti preliminari che vanno esaminati e che hanno favorito il delinearsi di
uno scenario più ampio di avvicinamento da parte del brand a dinamiche che fino a poco tempo
fa erano proprie esclusivamente del broadcaster.
All’interno dunque del primo capitolo verrà analizzato il processo di avvicinamento e di
inserimento sempre più forte del brand all’interno delle dinamiche televisive. Un marchio che
gradualmente si è reso conto delle potenzialità da lui inespresse all’interno di questo mercato e
che è passato dalle prime forme di product placement dei primi anni 80 all’ibrido della brand
integration nei primi anni 2000 fino alla nascita della nuova logica del branded content and
entertainment di questi anni. Un’excursus nozionistico e tecnico che verrà fatto attraverso
l’utilizzo di alcuni studi sperimentali in materia che hanno tentato di spiegare questo lento e
graduale cambiamento di prospettiva. Una volta giunti al concetto di branded content and
entertainment televisivo si cercherà di inquadrare meglio i trend di questo mercato e capire quali
siano i vari attori che vi sono in gioco e il loro potere. In sintesi, il branded content and
entertainment applicato al mondo della televisione non è altro che un contenuto mediale output
finanziato totalmente o parzialmente da un brand che ha lo scopo di promuovere i valori della
marca attraverso l’utilizzo di determinati messaggi atti ad attrarre l’audience (attiva) in una logica
di engagement basata sul modello “pull” che ha come fine ultimo quello di informare, intrattenere
ed educare lo spettatore alle logiche e alla value proposition del brand stesso. Dalla definizione
riassuntiva del fenomeno escono fuori due considerazioni: la prima è che il brand sta diventando
a tutti gli effetti editore e produttore di contenuti mediali in prima persona, acquisendo sempre
più autonomia e forza ai danni del broadcaster, e la seconda è che esso si è distaccato da una
logica commerciale tipica del product placement per abbracciare una logica valoriale e di
contenuto che è il vero motore di questo fenomeno di marketing televisivo.
Una volta spiegato tale fenomeno in tutti i suoi aspetti teorici, avvalendoci anche dell’utilizzo di
alcuni esempi pratici di formati televisivi branded di successo, inizierà la vera e propria parte
sperimentale che sarà mirata allo studio dell’evoluzione odierna di questo nuovo modo di agire
del brand all’interno dell’universo televisivo visto da una finestra d’eccellenza: quella della
società di produzione tv (Stand By Me). Tale studio sarà sia di stampo qualitativo che
quantitativo e cercherà di dare una risposta alla seguente domanda: questa continua evoluzione
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delle dinamiche di branded content and television entertainment arrecherà reale giovamento
agli attori in gioco in questo processo?
L’evoluzione del branded content and entertainment la si può analizzare attraverso tre vie
ripercorse all’interno della tesi.
In primo luogo per capire meglio come evolve tale fenomeno è necessario analizzare la sua
struttura di base e le relazioni che intercorrono all’interno del processo produttivo di un formato
branded entertainment. Più nello specifico bisogna dunque osservare come si strutturano i
rapporti tra i tre attori principali all’interno della filiera produttiva che sono: Il brand, il
broadcaster e la società di produzione televisiva. Soprattutto la società di produzione televisiva
svolge un ruolo di assoluta importanza all’interno di questo processo fungendo da mediatore tra
brand e broadcaster e da elemento di forte impatto creativo per quanto riguarda la produzione di
contenuti ad alto valore di storytelling. Il ruolo di tale società, come vedremo, varierà con il
modificarsi delle strategie di branded content ma manterrà sempre la funzione di importante
fucina di contenuti valoriali e di storie da applicare al vision del brand specifico. All’interno del
secondo capitolo si cercherà quindi di evidenziare, attraverso l’utilizzo di interviste qualitative
mirate con alti esponenti del settore del branded entertainment, sia il ruolo di questo attore in
gioco (più nello specifico la Stand By Me dove ho avuto l’onore di lavorare) e sia si proverà a
spiegare per la prima volta al livello produttivo il passaggio da “branded content classico” al
fenomeno recentemente emerso del formato cosiddetto “content”. Tale passaggio è il fulcro
dell’evoluzione delle strategie di brand all’interno del mercato televisivo ed è l’oggetto principale
della parte sperimentale di questa tesi.
Per spiegare meglio in senso pratico questo passaggio è stato necessario apportare all’interno
dell’elaborato anche lo studio di tre casi di format televisivi branded prodotti dalla Stand By Me
in collaborazione con tre importanti aziende internazionali come Mastercad, Sofidel e Redbull.
Studiare al livello sia qualitativo che quantitativo questi tre programmi ha permesso di
evidenziare in maniera ancora più chiara il cambiamento del ruolo del Brand all’interno di questo
mercato e ci ha permesso di indagare sui possibili risvolti e trend positivi di questa nuova
strategia.
La seconda e la terza via per spiegare l’evoluzione del branded entertainment sono quindi state
evidenziate attraverso lo studio di questi tre formati che, nonostante abbiamo argomentazioni
protagonisti e struttura concettuale e temporale diversa, sono uniti tra loro da un elemento
cardine: la bravura nel mettere in piedi una strategia di brandtelling da parte della società di
produzione televisiva seguendo le esigenze e la value proposition del marchio commissionante.
Ed è proprio attraverso l’evoluzione del brandtelling evidenziata in questi tre formati che
vengono messi in risalto i meccanismi di avvicinamento costante del brand alla produzione e
creazione in prima persona di contenuti mediali televisivi. Come vedremo si passerà da una
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logica di creazione di contenuti spettante di base alla società di produzione tv ad una logica di
“co-creazione diretta” in cui il brand è in prima linea nella strutturazione del racconto. Un
racconto che non sarà più solo legato ai valori del brand ma che si prefiggerà di narrare una storia
di vita più che di marca. Si analizzerà dunque all’interno del terzo ed ultimo capitolo la struttura
narrativa dei tre formati attraverso un’analisi crossmediale di stampo qualitativo per poi
soffermarci sull’ultimo tassello dell’evoluzione dei meccanismi di branded entertainment che
verterà sull’ analisi, in termini di dati inerenti ai programmi andati in onda, dell’effettiva riuscita
di questo nuovo fenomeno. Un’analisi quantitativa dunque dell’efficacia di questo cambio di
strategia sia sul lato del Brand che su quello del broadcaster. Capire sostanzialmente, aiutandoci
con i numeri inerenti allo studio del livello di reach e share (lato broadcaster) riguardanti tutte le
fasi di messa in onda del singolo formato, se si stia andando incontro ad un effettivo
miglioramento del sistema di marketing televisivo e quindi evidenziare un ipotetico trend
positivo di questa continua evoluzione delle dinamiche del branded content and television
entertainment. Un’analisi dei vari programmi che verrà fatta per cercare di trarre una conclusione
sullo sviluppo futuro negativo o positivo di tale fenomeno. Nella parte conclusiva della tesi si
cercherà infine di andare oltre attraverso lo studio del fenomeno della sentiment analysis. Uno
studio che, come vedremo, sta prendendo sempre più piede come possibilità concreta di
analizzare l’atteggiamento dei consumatori-spettatori nei confronti del brand attraverso i canali
social di riferimento. Verrà trattata inoltre la figura sempre più preponderante dell’“influencer”
(che nel caso Redbull è anche il vero protagonista del racconto oltre ad essere main sponsor del
brand) come elemento preponderante dell’aumento di sentiment nei confronti del consumatore
in relazione alla campagna social del formato. Un personaggio che racconta la sua vita attraverso
il programma sponsorizzandosi in prima persona attraverso i suoi canali ufficiali.
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CAPITOLO 1
LA TELEVISIONE AL SERVIZIO DEL CONTENT MARKETING
1.1 Come cambia la televisione
Televisione e società, società e televisione sono sempre stati definiti dai vari studiosi della
sociologia2 come due facce della stessa medaglia. È quindi indispensabile in un periodo storico
come quello dell’età contemporanea in cui viviamo, dove la comunicazione e i suoi strumenti3
giocano un ruolo fondamentale nel processo di socializzazione e cambiamento di prospettive
delle persone in termini di fruizione dei contenuti, soffermarci sui vari rapporti che intercorrono
tra le parti e su come si sono evoluti nel tempo.
È quasi scontato dire che questa sarà un’analisi non solo sociologica ma anche soprattutto
economica del rapporto in fieri tra Tv e audience che l’avvento del digitale e del Marketing
hanno cambiato radicalmente.
Negli ultimi 50 anni di storia della comunicazione in Italia si è assistito, infatti, al passaggio
graduale di consegna della rappresentatività dalla carta stampata nei confronti del contenuto
mediale. L’immagine ha sostituito il discorso4.
Tale immagine è quindi un messaggio trasmesso all’audience ma tale messaggio è veicolato in
maniera decisiva dal medium di riferimento. È quindi il mezzo di comunicazione specifico che
da un significato personale al messaggio e non il contrario. Ogni mezzo di comunicazione ha
una sua linea editoriale e un suo orientamento mediatico e comunicativo5.
Tutto questo però era giusto finche si poneva la televisione in un rapporto superiore e
pedagogico verso il pubblico, tipico dei primi anni della televisione generalista.
Era infatti logico pensare che in uno scenario iniziale come quello che va dal dopoguerra ai
primi anni 80, in cui vi era la presenza di una sola rete televisiva di servizio pubblico che
trasmetteva i suoi contenuti senza il confronto con alcun competitor, si potesse andare incontro
a due scenari strutturali evidenti: unidirezionalità imposta del messaggio e audience passiva che
può solo accettare i contenuti che gli vengono trasmessi.
Ma è proprio dagli anni 80 che cambia letteralmente lo scenario.
2 Tra questi è opportuno citare nomi come quello di Mcluhan, Serge Daney, Regis Debray. 3 N.B. Per strumenti di comunicazione non si intendono solo quelli classici come radio Tv e giornali ma soprattutto quelli fuoriusciti dal contesto digitale come social Network Pay Tv web Tv etc. Strumenti che hanno cambiato radicalmente il rapporto tra audience e mezzo di comunicazione stravolgendo in modo copernicano la prassi che finora era in vigore (cfr. pg. seguenti) 4 Carlo Freccero, “televisione”,Bollati Boringhieri editore, Torino (2013) 5 Mcluhan M. and Quentin Fiore “Il medium è il massaggio”,Corraini editore, Milano (2011)
8
La televisione commerciale prende il posto di quella di servizio pubblico e cominciano a
fuoriuscire nuove reti televisive in concorrenza con quelle nazionali che fornivano altri
messaggi e una nuova possibilità di scelta al consumatore.
Ma è un’altra la novità fondamentale che viene introdotta dalla Tv commerciale e che
rivoluzionerà in modo netto il rapporto tra pubblico e broadcaster: i dati Auditel6.
È un vero e proprio rovesciamento dei ruoli, una rivoluzione copernicana della comunicazione.
L’emittente basa la sua programmazione a seconda delle tendenze del suo pubblico in un
rapporto di dipendenza da esso con lo scopo di aumentare i suoi ascolti.
“La nascita del telecomando7” ha dunque rivoluzionato non solo in termini sociali ma soprattutto
commerciali l’universo dei media, attirando interessi economici da parte di attori che prima
d’ora avevano collaborato solo in modo superficiale.
Dagli anni 80 fino ai primi anni 2000 però questo cambiamento è stato solo parziale. Vi erano
sicuramente più reti generaliste e dunque più possibilità di scelta dei vari contenuti però non si
era ancora raggiunta la totale libertà mediatica.
Il cambiamento finale lo hanno portato due fenomeni importanti: il passaggio storico
dall’analogico al digitale e l’avvento di internet in tutte le sue sfumature.
Nascono le varie reti tematiche che soppiantano il modello generalista apportando al mondo
televisivo la teoria economica della “Coda Lunga8”.
La Televisione inizia a fondersi con Internet e tutto quello che da esso deriva, dalla smartphone
Tv allo streaming via Pc, diversificandosi e divenendo un medium con regole proprie e distinto
dal vecchio concetto di televisione caminetto.
È in questa fase che ci si trova davanti ad un bivio che può essere sintetizzato con queste parole:
“Il re è morto, viva il re”. Il concetto è molto semplice. Ci troviamo di fronte ad una crisi
importante del modello tradizionale di Tv generalista ma allo stesso modo notiamo come si stia
cercando, attraverso la convergenza con altri strumenti di comunicazione e di socializzazione
dell’era digitale, di “colonizzare” con contenuti e produzioni gli altri mezzi di comunicazione
non tradizionali.
La tv entra nei computer nei cellulari e più in generale in internet e trova diverse sfaccettature
che prima non aveva. Sotto il concetto di televisione possiamo trovare infatti realtà diverse e
distanti tra loro come la pay tv, la smart tv e la mobile tv.
6 L'Auditel è un siatema di rilevazione nato a Milano il 3 luglio 1984 per raccogliere e pubblicare dati sull'ascolto televisivo italiano. I dati di ascolto sono diventati nel tempo la misura del successo o dell'insuccesso delle trasmissioni televisive italiane. 7 Metafora che sta a significare la comparsa di più canali e più emittenti diverse. 8 La teoria della “Coda lunga” di Chris Anderson è un modello di marketing famoso che spiega come i ricavi per un’azienda derivino non solo dalla vendita di grandi unità di pochi oggetti, ma anche da poche unità di molti oggetti. Apportato all’universo televisivo questo vuole dire che un’audience importante si cattura non solo con poche reti generaliste ma soprattutto sommando le tante piccole audience destinate a programmi in canali di nicchia costituiti da fan, specialisti e amatori di generi marginali.
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1.1.1 TV convergente, TV liquida
Il modo di concepire i mezzi di comunicazione tradizionali sta cambiando e questo ormai è
sotto gli occhi di tutti. Vi è un vero e proprio mutamento strutturale che ha portato alla
sovrapposizione, mescolamento e combinazione dei maggiori mezzi di comunicazione di massa
che sono stati resi più flessibili e malleabili agli usi e alle esigenze sia dei consumatori che della
tecnologia sempre più pervasiva.
Ed è proprio per questi motivi che si va delineando in questa era digitale un nuovo modo di
concepire la televisione e i suoi strumenti che prende il nome di “convergenza”.
Produzione e consumo nel mercato televisivo si inter-relazionano seguendo vie nuove ed
eterogenee. I maggiori broadcaster devono far fronte ad una sempre crescente diversità di vie
d’accesso ai contenuti audiovisivi e sono quasi costretti a cavalcare quest’onda per non
rimanere ancorati ad un tradizionalismo televisivo e quindi fuori da quel mercato nuovo che si
sta delineando e che ha due padroni assoluti: pubblico e brand.
Il programma televisivo stesso inoltre sta cambiando. La possibilità di connettersi in vie
traverse al canale e di collegarsi ad un formato televisivo attraverso altre piattaforme fa si che
il testo televisivo diventi sempre più un oggetto complesso che ha certamente nella messa in
onda il suo fulcro ma che però vive di innumerevoli altre estensioni con un intervallo temporale
indefinito e trasversale9.
La convergenza dei media, che si mescolano e si sovrappongono l’uno attraverso l’altro per
soddisfare l’esigenza sempre più marcata di infotainment, vede nella televisione il fulcro
centrale di propagazione. D’altronde è ancora la Tv il medium predominante nella nostra
società. I cambiamenti maggiori e più significativi da rintracciare ed evidenziare in questo
fenomeno di convergenza si ancorano a due settori facilmente intuibili: Offerta e
consumo/domanda.
Sul piano dell’offerta, come anche precedentemente anticipato, gioca un ruolo fondamentale la
digitalizzazione della filiera produttiva televisiva. L’avvento del digitale con l’aiuto di Internet
ha moltiplicato il numero di device in grado di trasmettere contenuti audiovisivi portando il
cliente a cambiare la sua “dieta mediatica” utilizzando in maniera complementare e
crossmediale i vari mezzi di comunicazione. Tale offerta, denominata multiscreen rende
necessario da parte dei broadcaster fare un uso strategico delle varie piattaforme10. Tali
piattaforme, definite “New Tv” dall’Agcom nel “Libro bianco sui contenuti”, si sono negli anni
9 Un programma televisivo di oggi vive di una crossmedialità evidente. Il suo prima ed il suo dopo si riverbera su altri media attraverso estensioni appositamente prodotte: siti web, social network, merchandising etc. 10 cit. L. Balestrieri
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modificate fino a poter essere definite di tre tipologie diverse: l’IPTV, la Web Tv e la OTT
Tv11.
Questo scenario di mutamento continuo porta i broadcaster a dover sempre stare al passo con
le nuove modalità trasversali di fruizione dei contenuti per non essere inghiottiti dalla
digitalizzazione. L’Ottimizzazione degli strumenti digitali a scopo televisivo in un’ottica di
sempre maggiore fidelizzazione dell’audience deve essere il percorso chiave di ogni rete
commerciale.
Ma come si rende fedele lo spettatore? Che ruolo ha l’audience in questo meccanismo?
Qui entriamo nel secondo settore di rilevanza assoluta in questo fenomeno di convergenza: Il
consumo, la domanda. La parola chiave in questo caso è interattività. Oramai il consumatore-
spettatore non guarda più la tv in modo totalmente passivo ma la sfrutta come risorsa, sia
materiale che simbolica, per documentarsi, per discutere, per relazionarsi, sia online che
offline.12 È l’esperienza stessa dell’essere pubblico che cambia, ci sono nuovi usi e nuovi
rapporti tra spettatore e Tv. Lo spettatore è parte attiva del processo di creazione di contenuti
mediali. I vari broadcaster devono tener conto all’interno delle loro logiche produttive delle
preferenze del consumatore o di quella nicchia di clienti a cui aspirano. L’audience infatti non
viene più vista come passiva, in una prospettiva monodirezionale tipica delle prime tv
generaliste a scopo pedagogico, ma acquisisce importanza nel contesto di co-creazione di
contenuti soprattutto dal momento in cui l’avvento del digitale ha frammentato i vari prodotti
creando un mix variegato di offerte audiovisive. “Lo spettatore non sente ma ascolta” e
interagisce direttamente con il broadcaster, fruendo dei vari contenuti in modo totalmente
disintermediato (file sharing, social networking) oppure addirittura creando e distribuendo
contenuti propri (User generated content and prosumer)13.
Offerta (broadcaster) e consumo (audience) si sono dunque modellati e adattati a questo nuovo
mercato più ampio e frammentato modificando strutturalmente il loro operato.
Ma, andando ancora più nello specifico, è possibile individuare tre elementi che hanno
evidenziato in maniera netta la trasformazione del “circuito televisivo” attraverso il loro stesso
11 La Web Tv e una tecnologia che sfrutta la rete internet per permettere l’accesso libero ai contenuti digitali pubblicati dagli utenti. Gli editori costruiscono dei portali dove caricano i contenuti e li offrono al cliente attraverso una serie di servizi gratuiti e solo una minima parte di contenuti premium a pagamento (modello Freemium). L’IPTV e, invece, “una tecnologia che permette agli operatori di telecomunicazioni di distribuire contenuti sulla propria rete IP modulando la capacita trasmissiva necessaria per soddisfare la domanda di contenuti degli utenti (modello managed)”. Tendenzialmente questi servizi sono gestiti assieme ad un content provider e la loro offerta è composta da una selezione di canali basic e premium, da servizi quindi PPV (pay-per-view) e VOD (video on demand). Nelle offerte OTT infine gli operatori distribuiscono prodotti audiovisivi online con protocollo IP su reti non di proprieta costruendo una parte della rete a banda larga formata da un sistema di web server dove vengono immagazzinati i contenuti. Questi server vengono posizionati nei punti della rete piu vicini agli utenti, in modo da utilizzare la capacita trasmissiva in maniera piu efficiente. (M.Temporelli, “Il messaggio e il mezzo. Tecnologia della tv” infra “Storie e culture della televisione italiana” a cura di Aldo Grasso, Mondadori editore, Milano, 2013; A.Preta, “Televisione e mercati rilevanti”, Vitaepensiero editore, Milano, 2012) 12 Come ha dichiarato Henry Jenkins nel suo saggio Cultura convergente: “il pubblico e il primo protagonista della cultura convergente”. 13 Di questo argomento ne parlerò in modo più approfondito nei paragrafi successivi.
11
cambiamento: estensione, accesso, brand. Su questi tre livelli fanno leva le principali
innovazioni della Tv convergente14.
Ogni testo o prodotto tv contemporaneo possiede delle caratteristiche diverse a seconda del
target che vuole raggiungere e delle tematiche che vuole raccontare, ma ci sono comunque delle
peculiarità che accomunano i vari formati mediali e che li rendono “convergenti”. Una di queste
è sicuramente l’estensione. Il testo tv contemporaneo non è più semplicemente un programma
ma diventa un testo esteso che ha alla base un prodotto centrale ma che poi è affiancato da una
moltitudine di prodotti secondari che lo completano e che sono creati sia da attori istituzionali
che dagli stessi spettatori. I programmi diventano dunque il punto di partenza di numerose
estensioni e ramificazioni che allargano il marchio del prodotto verso numerose e differenti
direzioni permettendogli di avere un respiro più ampio e un ritorno d’awareness ed economico
notevole. Si tratta di una pianificazione strategica messa in atto in maniera metodica da attori
centrali del processo quali società di produzione Tv e broadcaster.15 Questo fenomeno di
ramificazione testuale dettato dalla convergenza mediale segue due direzione nette a seconda
degli attori in gioco che le generano. Ci sono da una parte le prevedibili estensioni messe in atto
dalle istituzioni principali che attraverso dei touchpoints specifici accompagnano il
consumatore all’interno del processo di fruizione del contenuto anche passando per vie traverse
e che creano un engagement maggiore all’interno della loro customer journey. Il pubblico più
è coinvolto e più si lega al programma. Dall’altra parte invece assistiamo in maniera pratica al
cambiamento di rapporto tra audience e tv che ho anticipato in maniera generale nelle pagine
precedenti e che spiegherò meglio in quelle successive e che consiste nella produzione
spontanea di contenuti grassroots derivanti da feedback diretti da parte degli spettatori
attraverso un rapporto di co-creazione di contenuti che mette in evidenza il ruolo sempre più
importante del “consum-attore16”. Questo scambio di informazioni avviene attraverso
piattaforme specifiche quali community presenti sui maggiori social network o blog.
Fino a qualche anno fa la temporalità della televisione era perennemente lineare, i programmi
andavano in onda in orari determinati e anche al livello socio-culturale vi erano quei momenti
fissi in cui il nucleo familiare si riuniva davanti ad uno schermo in orari standard della giornata
(es: il programma della serata, il tg dell’una etc.). Non esistevano ancora quelle possibilità di
anteprima o di visione anticipata di un programma dettate dalla logica dello streaming e del
digitale. L’accesso dei consumatori ai prodotti mediali è quindi cambiato e si articola in tre
possibili scenari definiti “temporalità”. Abbiamo, come detto in precedenza, una situazione in
cui il pubblico non rispetta i ritmi imposti dal broadcaster cercando al di fuori i contenuti che
14 “Televisione Convergente: La Tv oltre il piccolo schermo”, M. Scaglioni A.Grasso, RTI editore, Roma (2010) 15 Di questo processo di produzione che lega formato tv a brand e dell’entrata in scena di nuovi attori che giocano un ruolo fondamentale in tale meccanismo ne parlerò dettagliatamente nel secondo capitolo. 16 Il termine “consum-attore” è stato coniato nel marketing esperienziale per evidenziare la nuova figura attiva del consumatore che si rende attore principale nel processo di creazione di un contenuto.
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esso trasmette attraverso piattaforme streaming, una seconda temporalità in cui vi è una
sincronizzazione di orari tra pubblico e palinsesto televisivo con l’aggiunta fondamentale però
del commento live sulle piattaforme social e sui blog, ed infine una fase da definirsi post-
produttiva in cui lo spettatore si confronta con il testo mediale già andato in onda e può sfruttarlo
in qualsiasi momento successivo (on demand).
Il terzo elemento che evidenzia il cambiamento di prospettive messo in atto dalla convergenza
televisiva è la forza del brand specifico all’interno del formato. In un contesto nel quale
l’economia diventa sempre più pervasiva in scenari come la televisione, in cui in precedenza
aveva giocato un ruolo minore, l’identificazione ed il rafforzamento del brand specifico
all’interno di un programma televisivo divengono fondamentali per arricchire la loyalty del
pubblico verso di esso. Il brand è una firma che funziona da garanzia del prodotto e da traino
verso altri della stessa categoria. È una specie di aura che nasce da un prodotto televisivo e si
riverbera a catena sul resto. La forza di un brand deriva dai suoi elementi interni che lo
costituiscono e che, mescolandosi insieme, formano una image specifica del prodotto televisivo
nella sua interezza. Una sorta di sotto-brand17 che uniti formano “il brand tv”.
È una tv dunque che moltiplica l’offerta e che, per citare Massimo Scaglioni, “esce dal
televisore”18 e diversifica la sua distribuzione attraverso nuove piattaforme derivanti dal mondo
digitale di internet. Una tv di seconda generazione (2.0) che con l’avvento del digitale viene
cambiata dall’interno (dal must see al must click) influenzando anche la sua progettazione
editoriale e le forme di consumo. I nuovi users digitali la vivono connected e nella dimensione
social, fruendone sempre di più attraverso svariati device e preferendo l’on-demand e il replay
con l’utilizzo di vere e proprie applicazioni dedicate (app Raiplay, Mediasetplay etc.).
È stato coniato un termine ad hoc che specifica ancora di più quella che è l’evoluzione portata
avanti dal digitale e conseguenza diretta della convergenza dei media con il web, il concetto di
“Televisione liquida”.
Tale nozione di tv liquida è ormai una realtà consolidata nel panorama italiano. Lo ha anche
sottolineato recentemente il presidente dell’AGCOM19 Angelo Marcello Cardani all’interno
della Relazione Annuale dell’Autorità svoltasi alla Camera dei Deputati l’undici luglio 2018:
“Crescono le forme di accesso non tradizionali alla tv; in tal senso il 2017 può essere ricordato
anche come l’anno della definitiva consacrazione della 'televisione liquida', con una stima di
circa 3 milioni di cittadini che guardano abitualmente la tv in streaming (si stima che a maggio
17 Tra questi possiamo evidenziare loghi, claim, idee o spin off inerenti ad un singolo programma televisivo (Es: “CSI”, Lost, loghi di programmi tv o colonne sonore storiche). 18 Massimo scaglioni: “la tv dopo la tv. Il decennio che ha cambiato la televisione: scenario, offerta, pubblico”. Vitaepensiero editore, Milano (2011) 19Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
13
2018 si sia arrivati a 3,5) e in numero 3/4 volte superiore che scaricano abitualmente contenuti
televisivi sui propri device"20.
Questi numeri identificano come ormai la tv tradizionale stia lasciando il posto ad un ibrido
televisivo dai confini indefiniti e onnipervasivo. Un “liquido” appunto che si modella a seconda
delle continue e svariate esigenze tecnologiche e commerciali del digital. Fare televisione non
è più solo compito dei broadcaster tradizionali. Le stesse imprese e brand diventano esse stesse
autori ed editori di formati televisivi (es: Amazon e Netflix) dando il là al fenomeno delle
Business Tv21.
È stato necessario dunque, per la tv generalista, dover cambiare pelle ed adattarsi a questo
nuovo universo digitale per evitare di esserne fagocitato. Da qui dunque il concetto di tv
convergente e liquida che è diventato condizione necessaria ai fini commerciali per
sopravvivere in questo nuovo panorama mediale. Un cambiamento questo che sarà lento ma
inesorabile e che è cominciato in concomitanza con l’affermazione del digitale.
Essendo dunque un processo in itinere e con le sue tempistiche, per ora la tv tradizionale ancora
resiste nella percezione del consumatore manifestando importanti segni di tenuta sia in termini
di risorse che di ascolti con 25 mln di contatti medi nel prime time e con i maggiori broadcaster
che si spartiscono equamente la fetta di ricavi proveniente dal loro settore22 che si attesta a 14,6
miliardi (in calo dello 0,9%) sui 54,2 complessivo di tutto il settore della comunicazione23.
(tabella Agcom 2018 su divisione del mercato delle comunicazioni)
20 Relazione Annuale dell’Autorità. 21 Del concetto di Business Tv ne parlerò in modo dettagliato nell’ultima parte di questo capitolo. 22 I primi tre operatori televisivi che detengono nel 2017 circa il 90% delle risorse complessive e "quote non dissimili fra di loro" sono i seguenti: al primo posto si colloca 21st Century Fox - Sky Italia - con una quota del 33% (in crescita di 1 punto); a seguire il gruppo Rai con oltre il 28%, pur in contrazione (-1,5 punti rispetto al 2016). Al terzo posto, con un peso pari al 28% (sostanzialmente invariato), il gruppo Fininvest- Mediaset. (Relazione Annuale dell’Autorità, Agcom) 23 Ibidem
14
1.2 Il nuovo pubblico televisivo
Dalla nascita della televisione come servizio pubblico all’attuale epoca digitale di integrazione
dei media, il pubblico televisivo ha subito una trasformazione radicale passando da mero fruitore
passivo ad artefice attivo della programmazione, fungendo da “attore” e “autore” delle
trasmissioni. La televisione ed il suo pubblico viaggiano in parallelo, cambiando e modificando
le loro caratteristiche l’una in funzione dell’altra durante gli anni.
Infatti se volessimo tracciare una linea immaginaria dalla paleotelevisione alla tv liquida e
multitasking di oggi noteremo che il modo di accedere ad essa da parte del pubblico è
radicalmente cambiato e che è stato inoltre il pubblico stesso il fautore principale
dell’evoluzione della comunicazione televisiva.
Su questo argomento sono illuminanti le parole del ricercatore e sociologo inglese John Ellis
che riassume la televisione in tre grandi epoche: l’età della scarsità (scarcity) che può essere
paragonata al periodo della televisione “unica” pedagogica, l’età della disponibilità (avaibility)
che può essere paragonata al primo periodo della tv commerciale in cui vi erano più broadcaster
ma comunque generalisti, e l’età dell’abbondanza (plenty) che coincide con l’avvento del
digitale e del concetto di tv liquida e multitasking24.
All’epoca del servizio pubblico (anni 50-70) il messaggio televisivo era fortemente accentrato
ed unidirezionale, la tv era a scopo pedagogico25 e gli spettatori ascoltavano passivamente i
programmi che gli venivano imposti dal momento che ve ne erano presenti davvero pochi e tutti
accentrati su un solo broadcaster (RAI)26. Il pubblico si limitava a “sentire” volente o nolente
quello che gli veniva proposto e anche al livello commerciale i primi prodotti pubblicizzati non
subivano le contrattazioni di un mercato frammentato e competitivo come quello di oggi. Gli
inserti pubblicitari dei primi anni della televisione avevano però già anticipato un concetto che
verrà poi ripreso e ottimizzato negli anni da tutti i brand: lo storytelling. L’arte del raccontare
un brand attraverso una storia che intrattenga, colpisca e faccia immedesimare il pubblico
attraverso la trasmissione di valori in cui esso stesso poi ci si identifica27, era già presente anche
se in maniera primordiale negli spot pubblicitari di un tempo28.
Con il passaggio dalla tv pedagogica a quella commerciale e con l’entrata in scena di più
emittenti e dunque più possibilità di scelta il pubblico ha cominciato lentamente ad acquisire
più potere e autonomia. Ma il vero cambiamento, soprattutto al livello commerciale, l’ha
24 Cfr J.Ellis, “Seeing Things”,Tauris,Londra 2000 25 Basti pensare ai primi programmi educativi degli anni 50 come “Non è mai troppo tardi” con il maestro Manzi 26 Freccero C. “L’evoluzione del pubblico televisivo: dalla maggioranza ai nativi digitali.”Articolo pubblicato su “https://italianieuropei.it/” (2009) 27 Cristian Salmon “Storytelling: la fabbrica delle storie” Fazi editore, Roma (2008) 28 Basti pensare ai famosi spot pubblicitari del programma televisivo nazionale Carosello (RAI)
15
stabilito la rivelazione dell’Audience29. Attraverso la misurazione degli spettatori si attribuisce
un’importanza maggiore o minore al livello sia commerciale che televisivo ad ogni singolo
programma. Questo fa si che i broadcaster, per rendere un palinsesto particolarmente appetibile,
debbano attirare un bacino di audience importante. È dunque la maggioranza degli spettatori a
dettare l’agenda setting dei Media e a selezionare le tematiche che più concernono il loro
sentiment.
Il panorama cambia ulteriormente con l’avvento del già citato digitale. La moltiplicazione delle
reti e la frequente iterazione tra media diversi ha portato l’audience a compiere quell’ulteriore
passo verso la disintermediazione dai contenuti audiovisivi emessi dal broadcaster. In poche
parole il consumatore può finalmente acquisire contenuti media senza dover passare
necessariamente dall’ente di riferimento (es: file sharing) ed in più può rendersi addirittura
creatore e distributore di contenuti propri (User generated content & prosumer).
Il consumatore-spettatore oggi non sente più in modo passivo le notizie e i programmi che gli
vengono imposti a seguito di una logica verticale di stampo tradizionalista, ma ascolta le varie
proposte e decide in modo attivo e a seconda delle sue preferenze il contenuto da visionare
seguendo una logica orizzontale. Tale logica gli permette di essere parte integrante del processo
e di poter accedere ai contenuti in qualunque modo, in qualunque luogo e su qualsiasi
piattaforma (any time, any place, any platform) oltre appunto alla possibilità di poterli creare e
distribuire in modo disintermediato.30
Si è passati dunque, nel corso degli anni e a seguito delle varie evoluzioni della comunicazione,
da un concetto di homo videns31 conformista, passivo, legato alla scelta della maggioranza ad
uno spettatore attivo, impegnato in prima persona nella creazione di contenuti own generated e
che ascolta e interloquisce direttamente e in modo autonomo divenendo autore e “prosumer” dei
contenuti mediali e dei programmi32.Rientra anche qui la logica precedentemente citata del
consum-attore che vuole recitare in prima persona un ruolo importante nel processo di creazione
dei contenuti mediali. La rivoluzione copernicana della comunicazione è avvenuta.
La tv digitale però oltre ad aver cambiato la concezione di pubblico lo ha anche reso più
frammentato e dislocato all’interno dell’universo mediale. La Tv liquida è un panorama dai
confini non delimitati che ha al suo interno una miriade di contenuti e di vie. Questo fenomeno
29 La parola Audience è un termine inglese che deriva dal latino Audentia (Ascolto) e dal verbo audire (ascoltare). Il termine sottolinea perciò il cambiamento di percezione che si ha nel passaggio da un pubblico passivo che sentiva ad uno attivo che ascoltava e interagiva. 30 A. Preta, “economia dei contenuti. L’industria dei media e la rivoluzione digitale”, Vita e Pensiero editore, Milano (2007) 31 G.Sartori, “Homo videns”, Laterza, Bari (1997) 32 Sia in ambito giornalistico che di intrattenimento il pubblico recita in prima persona un ruolo di co-autore dei processi mediali. Basti pensare il fenomeno del “reporter diffuso” che con video amatoriali di cui si servono gli emittenti stessi evidenzia un fatto di cronaca (Es: 11 settembre o rubrica Skytg24 dal titolo “io reporter4”), oppure i blog e i fan club delle serie tv o fiction che attraverso i vari dibattiti sviluppano idee nuove e spin-off che vengono poi utilizzate dai registi per nuovi episodi (ES: Lost e la Oceanic Airlines)
16
ha portato a due conseguenze di fondo: un’ampia frammentazione del pubblico33 e il fenomeno
del consumatore multitasking34.
La frammentazione del pubblico e la sua targetizzazione a seconda dei generi è stata resa
necessaria da un contesto di base, quello della tv convergente, che oltre a presentare un
allargamento esponenziale del confine dei contenuti mediali rende lo spettatore libero di
muoversi dis-intermediato all’interno dello stesso macrocosmo potendo scegliere a suo
piacimento i formati che più rispecchiano la sua attidude ed il suo sentiment.
Inizialmente infatti la targetizzazione standard del pubblico della tv commerciale era di base
prettamente biologica35. Con l’avvento della Pay tv e del satellitare invece si è iniziato a formare
un pubblico di piccoli micro-cosmi diversi tra loro ma molto uniti al loro interno (delle vere e
proprie community) con le quali il palinsesto ha dovuto avere a che fare creando formati
televisivi ad hoc (es: programmi sportivi, dating, programmi sul food etc.)
Questa frammentazione ulteriore in piccole sottoculture si è unita ad una distinzione biologica
ormai troppo arcaica.
Il concetto di pubblico che continua incessantemente a frammentarsi e acquisisce sempre più
potere sulle scelte dei media, attraverso ulteriori fonti di contenuto (ad es. Internet) e tecnologia
time-shifting (ad es. DVR), ci porta inoltre ad interrogarci su un altro quesito fondamentale:
Quali sono i driver specifici che portano un individuo a scegliere e guardare un programma
televisivo?
Inizialmente erano presenti due principali tradizioni teoriche che inquadravano la ricerca
sull'esposizione del pubblico alla televisione portando ipotesi diverse su come gli spettatori
televisivi usavano e sceglievano un determinato programma.
Da una parte avevamo un approccio di tipo individuale basato sugli “usi e le gratificazioni” che
inquadrava il pubblico come attivo e ben direzionato nel momento della scelta e del consumo
dei media. Veniva dimostrato come le motivazioni del pubblico, le caratteristiche individuali e
le preferenze si collegavano al comportamento dei media stessi36. I risultati degli studi derivanti
da questo approccio su un campione multiculturale evidenziavano le varie decisioni di scelta e
preferenza dell’audience di un programma rispetto ad un altro37. Tuttavia però, gli studi in questa
tradizione ignoravano empiricamente che l'esposizione non era completamente priva di vincoli.
Fattori strutturali o contestuali, come la disponibilità del membro del pubblico e l'accesso alla
33 Roger Cooper Ph.D. & Tang Tang Ph.D.“Predicting Audience Exposure to Television in Today’s Media Environment: An Empirical Integration of Active-Audience and Structural Theories”. Journal of broadcasting & electronic Media. (2009) 34 Bridget Rubenking, “Multitasking with Tv: Media Technology, Genre, and Audience Influences” Communication Research Reports (2016) 35 Un esempio può essere dato da mediaset che divideva i suoi canali in base al tipo biologico di pubblico (Canale 5= uomini, Rete 4=donne, Italia 1= Ragazzi) 36 Ferguson D.A. and Perse, E.M. ““The World Wide Web as a functional alternative to television”. Journal of Broadcasting & Electronic Media. (2000) 37 Albarran A.B., and Umphrey, D., “An examination of television motivations and program preferences by Hispanics, blacks, and whites”. Journal of Broadcasting and Electronic Media.(1993)
17
televisione o ad altri media, la capacità o la disponibilità a pagare per i servizi multicanale,
nonché i fattori di pianificazione, influivano sull'uso della televisione.
Da qui l’altro tipo di approccio di tipo strutturale che spiega come la scelta del mezzo di
comunicazione non sia in primo luogo dettata da fattori individuali legati appunto alle
inclinazioni dell’audience ma piuttosto a caratteristiche strutturali come la disponibilità del
pubblico al mezzo, l’accesso e i fattori di pianificazione38. I risultati di questo approccio di solito
hanno un impressionante potere predittivo e utilità per spiegare il pubblico di massa, ma non
sono adatti a spiegare le ragioni alla base della scelta del medium o del programma, comprese
in primo luogo le motivazioni individuali per selezionare il medium specifico39.
Questi due orientamenti sull’utilizzo dei media sono dunque diametralmente opposti e
portavano alla luce il dilemma della concezione dello spettatore come “attivo” (approccio
individuale) o “passivo” (approccio strutturale) nel suo utilizzo del mezzo.
Sono due metodi dunque che utilizzano uno strumento di analisi differente: mentre
l’orientamento individuale si basa sullo studio al livello di micro-fattori e del pubblico in quanto
entità attiva in grado di decidere attraverso le proprie inclinazioni quale contenuto mediale
selezionare, l’orientamento strutturale invece valuta macro-fattori generali e definisce il
pubblico in maniera passiva come “massa” che a seconda delle proprie possibilità può accedere
o meno ad un determinato mezzo.
Sono dunque due visioni diverse ma entrambe non del tutto giuste se prese singolarmente. La
vera sfida è integrare questi due approcci per una visione completa ed accurata del rapporto tra
i media e il pubblico. Un individuo può essere (a vari livelli) passivo e attivo in diversi punti, a
volte scegliendo attivamente il mezzo, e altre volte scegliendo il mezzo perché è accessibile o
per abitudine. Pertanto, è logico concludere che sia le variabili individuali che quelle strutturali
dovrebbero avere un impatto sulla scelta della televisione40.
Nell'attuale ambiente multimediale frammentato e robusto in cui centinaia di canali televisivi
erogati attraverso servizi multicanale competono per gli spettatori con nuovi moduli
multimediali (da Internet a iPod), l'influenza relativa delle variabili individuali e strutturali sulla
scelta televisiva si sposta e si adatta.
A tal proposito ecco presente un grafico che rappresenta un modello integrato di esposizione del
pubblico alla televisione e che raggruppa insieme sia fattori strutturali che individuali ponendoli
in relazione tra loro:
38 Webster J.G., Phalen P.F., and Lichty L.W., “Ratings analysis: The theory and practice of audience research (3rd ed.).” Mahwwah, N.J.: Lawrence Erlbaum Associates. (2006) 39 Cooper R. “The status and future of audience duplication research; An assessment of ratings-based theories of audience behavior”. Journal of Broadcasting and Electronic Media. (2009) 40 Cooper R. Ph D. and Tang Tang Ph.D. “Predicting audience exposure to television in today’s media environment: an empirical integration of active-audience and structural theories”. Journal of broadcasting and electronic media. (1996)
18
(Modello integrato dell’esposizione dell’audience41)
Come evidenziato dal modello, la disponibilità del pubblico (avaibility), le motivazioni, l'accesso
alla televisione, l'uso di altri media e le caratteristiche del pubblico, hanno una certa influenza
sull'esposizione alla televisione sia reciproca che individuale.
Ovviamente tutti questi fattori sia strutturali che individuali debbono essere tra loro strettamente
correlati altrimenti l’analisi non reggerebbe. Ad esempio non può esserci una motivazione a
vedere un certo programma televisivo se non si ha la disponibilità del mezzo o viceversa, oppure,
le stesse caratteristiche di un individuo come età, reddito e genere, debbono avere una relazione
con la disponibilità di un individuo e la motivazione per il programma televisivo. Inoltre lo stesso
accesso a canali tv specifici è dettato, da una parte da motivazioni individuali come ad esempio
le inclinazioni culturali o di genere e le caratteristiche del pubblico e dall’altro dalla disponibilità
dello stesso ad accedere a quei contenuti (fattore strutturale). Infine lo stesso utilizzo di nuovi
media con l’avvento di internet può portare all’esposizione al formato televisivo solo se vi è
motivazione da parte del pubblico ad accedervi e se il formato televisivo stesso rispecchi le sue
caratteristiche.
Analizziamo ora in maniera sintetica i diversi fattori che influenzano la scelta del programma Tv
da parte del pubblico.
A) Fattori individuali:
• Motivazione: ci sono due tipi di motivazioni che spingono il pubblico all’utilizzo di
un determinato media che sono di stampo strumentale e rituale. Queste motivazioni
non sono distinte nettamente l’una dall’altra ma sono interconnesse poiché gli
individui le inter scambiano ogni volta nel processo di fruizione di un contenuto.
L'uso strumentale dei media riflette schemi più attivi di utilizzo dei contenuti
multimediali per selezionare informazioni da messaggi ben recepiti. L'uso ritualizzato
dei media invece riflette modi meno attivi di usare i media per riempire il tempo e
41 All’interno di questo modello troviamo integrati e correlati tra loro fattori individuali (Motivations, audience characteristics) e strutturali (Avaibility, access and newer media) che portano il pubblico all’esposizione ai formati televisivi.
19
alleviare la noia42. Inoltre l'uso strumentale richiede al pubblico di essere più attivo e
selettivo nella ricerca di informazioni, mentre per uso ritualizzato si intende un
utilizzo abituale di un mezzo per passare il tempo43.
• Caratteristiche del pubblico: età, sesso, status economico. Studi del caso hanno
sottolineato ad esempio che gli individui di basso livello socioeconomico guardano
più televisione di quelli di più alto status socioeconomico44
B) Fattori strutturali:
• Disponibilità del pubblico: Per decenni, la disponibilità del pubblico è stata definita
dal punto di vista operativo come uso effettivo del mezzo piuttosto che se qualcuno
"potrebbe" guardare la televisione45. Ad oggi, soprattutto con l’avvento di internet e
la possibilità di accedere in diversi modi ai contenuti mediali, è più importante capire
“chi può e vuole” piuttosto che “chi può ma non si sa se vuole”.
• Accesso: disponibilità di accesso alla televisione. I membri del pubblico che pagano
e hanno accesso a centinaia di canali televisivi possono guardare più televisione
rispetto a qualcuno che può accedere solo a una manciata di canali fruibili agli
abbonati non via cavo.
• Nuovi media: L'uso di media diversi dalla televisione influisce sulla quantità di
esposizione alla stessa. L'utilizzo di Internet potrebbe ridurre l'esposizione alla
televisione soprattutto tra le persone più giovani cresciute usando il computer
maggiormente rispetto alla generazione dei loro genitori ma internet e tv in questo
momento stanno coesistendo, legati a doppio filo dal motore principale di tutto il
sistema di comunicazione: l’entertainment.
Il digitale ha dunque stravolto il mondo della televisione e del suo pubblico creando un universo
di contenuti da una parte diversificati a seconda delle caratteristiche delle varie audience
community che li fruiscono e dall’altra accessibili a tutti e su piattaforme diverse dalla
televisione. Da qui fuoriesce il secondo punto fondamentale di questo cambiamento
dell’audience: il pubblico Multitasking.
La possibilità data da internet di poter accedere ai contenuti mediali da più piattaforme e
selezionare di minuto in minuto i generi che più aggradano il consumatore in un determinato
momento ha portato il pubblico in alcune circostanze a preferire un’attività di multitasking e
42 Rubin, A. M.,“Ritualized and instrumental television viewing”. Journal of Communication. (1984) 43 Ko et al., “Internet uses and gratifications”. Journal of advertisimg (2005) 44 Comstock, G., Chaffee, S., Katzman, N., McCombs, M., & Roberts, D. “Television and Human Behavior”. New York, Columbia University Press. (1978) 45 Webster, J.G., Phalen, P.F., & Lichty, L.W. “Rating analysis: The Theory and Practice of audience research”. Mahwah, N.J. Lawrence Erlbaum Associates. (2006)
20
zapping crossmediale piuttosto che una visione naturale di un programma tv attraverso il piccolo
schermo.
Il fenomeno del multitasking consiste nella capacità da parte di un individuo di mantenere
un’attenzione diffusa e a bassa intensità su una molteplicità di stimoli visivi, per poi poter in un
secondo momento aumentare tale intensità e focalizzarla su alcuni stimoli che richiedono una
soglia di attenzione maggiore.
Sempre più spesso, il "contenuto TV" viene visualizzato da un numero di servizi e da un certo
numero di tecnologie multimediali diverse. Mentre il 63% degli spettatori riferisce che i televisori
sono la tecnologia più utilizzata per visualizzare i contenuti video, un rapporto del 59% segnala
che guardare video sui loro schermi mobili è conveniente.46
Ma quali sono i fattori che determinano un maggiore o minore livello di multitsasking da parte
del consumatore?
Anche in questo caso possiamo parlare di fattori strutturali e individuali.
Tra i fattori strutturali possiamo trovare sicuramente la proprietà del mezzo e l’accesso alle
tecnologie dei media e di visualizzazione Tv che però da sole non bastano a spiegare il livello di
multitasking esistente durante la visione della Tv. Voorveld e Viswanathan (2014) hanno
postulato differenze nel multitasking durante la visualizzazione di diversi generi TV47. Hanno
ipotizzato che il contenuto complesso e cognitivo (cioè, le notizie) e il contenuto che è elevato
nell'impegno narrativo (vale a dire i drammi) richiederebbe un maggiore sforzo cognitivo durante
la visione. Il conseguente esaurimento delle risorse di elaborazione disponibili limiterebbe quindi
il multitasking durante la visualizzazione di questi generi, l’opposto invece accadeva nella
visione di contenuti sportivi (reputati socialmente più facili da elaborare).48
I fattori individuali che portano al multitasking sono invece di stampo demografico (genere, età
etnia, sesso) e di personalità dell’audience. Ad esempio numerosi studi di ricerca hanno rilevato
che l'età più giovane è predittiva di un maggiore multitasking così come il sesso femminile
rispetto a quello maschile49.
46 Dati Nielsen 2014 47 Studi fatti basandosi sul modello a capacità limitata di Lang di elaborazione mediata dei messaggi 48 Voorveld, H. A., & Viswanathan, V. “An observational study on how situational factors influence media multitasking with TV: The role of genres, dayparts, and social viewing”. Media Psychology journal.(2014) 49 Sanbonmatsu, D.M., Strayer, D.L.,Medeiros-Ward N., Watson J.M., and Chambers C. “Who multi-tasks and why? Multi-tasking ability, perceived multi-tasking ability, impulsivity, and sensation seeking”. Plos One scientific journal. (2013)
21
1.3 L’evoluzione del rapporto tra brand e televisione
Abbiamo fino ad ora descritto come sia cambiato negli anni l’ambiente della comunicazione e di
come l’avvento del digitale e di nuove tecnologie e piattaforme comunicative abbia cambiato il
modo di fruire dei contenuti televisivi e non solo. Ci siamo soffermati sugli aspetti generali del
cambiamento della televisione in quanto mezzo e del ruolo di maggiore importanza che
acquisisce il pubblico in questo processo. Lo scopo di questa parte del capitolo sarà invece quello
di soffermarsi su degli aspetti specifici legati ad un risultato di questo cambiamento di
prospettive, e cioè all’evoluzione del rapporto tra marketing e Tv. Un rapporto che è iniziato e si
è sviluppato in concomitanza alla crescita della comunicazione televisiva stessa e che ha come
prodotto finale il branded content and television enterntainment.
Anche per quanto riguarda il settore dell’advertising come per quello televisivo ci si è resi conto
negli anni che una modalità di comunicazione unidirezionale incentrata su una strategia push,
dove il pubblico veniva sommerso da informazioni inerenti il prodotto senza alcuna possibilità
di replica, non fosse idonea e al passo con un cambiamento strutturale di pensiero che vedeva
nella crossmedialità dei contenuti e nell’evoluzione del rapporto tra brand e consumatore un
elemento mainstream di fondo.
La necessità infatti di integrare su più livelli i vari elementi (mezzi di comunicazione con veicoli
di comunicazione, marca con consumatore etc.) ha portato l’impresa a modificare i contenuti
delle sue offerte utilizzando strumenti di infotainment attraverso i vari canali di comunicazione
con lo scopo finale di porsi in relazione sempre più stretta con il consumatore (effettivo o
potenziale) e coinvolgerlo attivamente50.
Il futuro è fatto da relazioni collaborative e comunicative a due vie tra brand e pubblico. I
contenuti di un brand non devono essere incentrati sulle caratteristiche del prodotto e i suoi
vantaggi pratici in forma puramente esplicativa, bensì devono coinvolgere il consumatore e farlo
immedesimare nei valori e negli ideali del marchio in modo tale da intrattenerlo e sviluppare con
lui un rapporto intenso e flessibile. Stimolare il suo coinvolgimento e la sua partecipazione attiva
attraverso l’offerta di esperienze, storie e contenuti valoriali riguardanti il brand in un rapporto
di medio-lungo periodo51.
Tutto questo cambiamento è ritracciabile ed evidenziato dalla nascita di questa nuova forma di
comunicazione di marketing che le imprese stanno sempre di più adottando e che io tratterò
specificatamente nel suo rapporto con la televisione: il branded Content.
50 B.J. Calder- E.C. Malthouse, “Managing media and advertising change with integrated marketing”. Journal of advertising research (2005) 51 R.Varaldo- P.Legrenzi, “La comunicazione nella società post-industriale”, Micro e macro marketing, Il Mulino editore, Milano(1992)
22
Il branded content, in qualsiasi forma e per qualsiasi circostanza lo si tratti, ha come suo
strumento principale e imprescindibile lo storytelling. Raccontare una “storia del brand”, che ne
identifichi la sua value proposition e che colpisca il consumatore attraverso un racconto ben
strutturato facendolo immedesimare nello stesso, aumenta sicuramente nella mente degli
spettatori l’awareness e la loyalty verso l’azienda stessa52.
Dunque la forza e la caratteristica principale di questo nuovo modo di fare marketing è dato
semplicemente dalla capacità dell’azienda di produrre in prima persona contenuti in grado di
attrarre il pubblico su temi e valori facilmente ad essa riconducibili ma non riconducibili
direttamente alle caratteristiche dei suoi prodotti. Che si faccia branded content per radio, tv o
cinema il framework principale deve essere questo. È quindi evidente che il primo passo di
un’azienda che vuole muoversi nel ramo del Branded Content non può che essere
l’identificazione di una sua cultura aziendale sia interna che esterna che permetta al prodotto di
esserne facilmente riconducibile. Bisogna conoscere e condividere in tutti i suoi elementi la
mission dell’azienda e la sua value proposition e offrire quei valori sotto forma di contenuti ai
consumatori, restando fedeli ad essi in linea con lo stile aziendale. Il branded content, come detto
in precedenza, ha una strategia lunga e meticolosa che ha l’obbiettivo finale non di vendere ma
prima di tutto di coinvolgere. Il brand “si spoglia” e si mostra per quello che è ai consumatori,
per i valori che trasmette. Più è vero più risulta credibili e più aumenta la loyalty dei consumatori
verso di esso53.
Per riprendere le parole di David Meerman Scott “Brand must think like a Publisher”. Questo è
un altro cambiamento fondamentale avvenuto grazie soprattutto all’avvento delle nuove
tecnologie e del cambiamento del rapporto tra Brand e consumatore. L’impresa non deve solo
pensare ad una strategia di contenuti ma la deve anche mettere in pratica ragionando come un
vero e proprio “editore”. Ogni azienda è divenuta una Media Company che, collaborando con i
vari attori in gioco nel processo di creazione di un contenuto, crea contenuti nel momento giusto
per il canale giusto e per il consumatore giusto54.
Questa nuova concezione del brand e dell’impresa va quindi ora rivista nello specifico nel
cambiamento storico delle dinamiche tra prodotto e formato televisivo avvenuto in italia che ha
portato al risultato finale del branded content and television entertainment.
È questo avvicinamento sempre più evidente tra i messaggi commerciali proposti dalle imprese
e i prodotti di intrattenimento proposti dai media, in relazione agli sviluppi intercorsi negli ultimi
anni nel settore delle comunicazioni spiegati nei capitoli precedenti, che ha portato
all’affermazione di tale fenomeno.
52 Sasson J.and Bonsignore P., “Branded Content: la nuova frontiera della comunicazione d’impresa”, FrancoAngeli editore, Milano (2014) 53 cit Emanuele Landi, Director Media Sales & partnership. Fox Italia 54 Michael Brito, “Your Brand: The Next Media Company: How a social business strategy Enables better Content, smarter marketing, and deeper customer relationship”,Pearson education, Upper Saddle Ry, Nj
23
Il branded entertainment implica già dal nome come si stia profilando una convergenza tra il
settore dell’advertising e quello dell’entertainment, favorito dall’evoluzione della tecnologia
digitale che ha cambiato il modo di accedere e usufruire dei contenuti audiovisivi. Sono le
imprese di brand, come spiegato prima, che cominciano a creare in prima persona prodotti di
intrattenimento che prima erano di stretto dominio delle Media & Entertainment Industry. Il
coinvolgimento diretto dell’impresa nella progettazione dei contenuti della comunicazione
rappresenta l’elemento chiave che distingue il branded content entertainment dalle preesistenti
forme di product placement che si limitavano a inserire un prodotto in un contenuto mediale già
formato da altri attori (es: broadcaster).
L’intero processo di sviluppo e di convergenza della sponsorizzazione del brand all’interno dei
formati televisivi, dal product placement iniziale alla forma finale di branded content and
television entertainment passando dalla brand integration, sarà oggetto di questa ultima parte di
primo capitolo. Sarà mia premura spiegare chiaramente in cosa consiste questo nuovo fenomeno
di marketing ed il suo rapporto nello specifico con il settore della telecomunicazione. Mi avvarrò
inoltre di dati quantitativi rilevanti, ricavati dall’OBE55, che evidenziano come soprattutto nel
mercato italiano questo concetto stia prendendo sempre più piede.
1.3.1 Le origini della convergenza tra il settore dell’advertising e la Tv
Nel corso degli anni le Advertising Industry e le Media and Entertainment industry hanno
sviluppato, per necessità commerciali e grazie al cambiamento di prospettive del mercato dei
contenuti mediali, un legame di forte interdipendenza acuito nei primi anni del 2000
dall’affermazione della tecnologia digitale che ha portato ad una forte convergenza itersettoriale.
Ma proseguiamo con ordine:
l’avvicinamento tra gli attori dell’Advertising industry (agenzie pubblicitarie e imprese di
comunicazione) e quelli della Media and Entertainment industry ha origini molto antiche e risale
agli albori della televisione e della radio negli anni 30 e del cinema degli anni 20.
Inizialmente il rapporto tra brand e formato televisivo, o pellicola cinematografica era dato da
attività di product placement56. Molte pellicole cinematografiche e programmi televisivi degli
anni 30-40-50 avevano al suo interno marchi sponsorizzati in forma diretta. Le agenzie
pubblicitarie e le imprese del settore dell’advertising infatti si erano sempre più interessate al
settore dei media e soprattutto della televisione che si stava accingendo a diventare il nuovo
55 Osservatorio per il Branded Entertainment. È l’associazione che studia e promuove la diffusione sul mercato italiano del branded entertainment come leva strategica per la comunicazione integrata di marca 56 Spiegato brevemente il Product placement consiste nell’inserimento oneroso in forma audiovisiva di prodotti di marca o di loro segni distintivi all’interno della programmazione dei contenuti mediali (Film o programmi Tv). Si tratta di una primaria forma di sponsorizzazione diretta del marchio di cui parlerò in maniera più approfondita nelle pagine successive
24
catalizzatore della comunicazione di massa. Nasce così il fenomeno dell’Advertiser- funded
programming con la marca che assume un ruolo da protagonista all’interno di programmi
televisivi da essa sponsorizzati e, alcune volte, creati57. Un periodo questo della storia della
televisione in cui le marche provavano a cimentarsi, ma con scarsi risultati, nel ruolo di editori
di programmi televisivi. L’errore però di base di questa fase era stato quello di sfruttare i
programmi in senso commerciale per vendere direttamente il prodotto in sé attraverso
l’intrattenimento e non trasmettendo dunque i valori cardine dell’azienda attraverso il
programma58. Un tentativo goffo di branded che non è andato a buon fine.
Alla fine degli anni 50, a causa dell’elevato aumento dei costi di produzione dovuto alla crescita
in termini di minutaggio di un programma televisivo e alla regolamentazione del product
placement televisivo a pagamento da parte della FCC, il modello dell’advertiser-founded
programming ha cessato di esistere e si è passati alla forma di pubblicità classica dei break tra
un programma e l’altro che ha accompagnato il sistema dell’advertising fino ai primi anni del
2000. Il nuovo millennio è stato un momento di svolta essenziale nel cambiamento di rapporti
tra media e settore advertising grazie all’avvento del digitale.
L’affermazione della tecnologia digitale, come spiegato nelle pagine precedenti, ha portato ad
una progressiva convergenza sia di contenuti che di canali di comunicazione che ha dissolto i
confini della comunicazione stessa. Il contenuto è diventato l’elemento cardine del cambiamento
in atto, svincolandosi dal supporto fisico e dunque dematerializzandosi, mentre i consumatori o
pubblico sono divenuti gli attori principali del processo di fruizione e addirittura creazione del
contenuto (User Generated Content) eliminando l’intermediazione dei media.
In questo contesto evolutivo si sono affermati negli anni nuovi tipi di contenuti che non venivano
prodotti né dai consumatori e nè dai media stessi, bensì dalle imprese: I corporate Generated
Content.
Tali contenuti venivano diffusi dalle imprese attraverso il loro canale di comunicazione definito
Business Tv la cui nascita risale alla fine degli anni 8059, attraverso l’utilizzo di una piattaforma
satellitare, e che poi si è sviluppata consolidandosi attraverso il web.
Il concetto di Business Tv non è altro che la diffusione diretta da parte di un’azienda di contenuti
audiovisivi rivolti sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione in funzione strumentale
rispetto al business principale60. L’impresa in questo caso diventa un vero e proprio editore dei
57 R.Mueller-Lust, “Branded entertainment: How advertisers and networks are working together to reach consumers in the new media environment”, G.Enav editore, Berlino (2010) 58 Tra i programmi più importanti di questa epoca possiamo citare: Man Against Crime (1949-1956) sponsorizzato dalla Camel, e molti programmi “presenting sponsor” come Kraft television Theater, the Texaco Star Theater, Ford Television Theater etc. 59 La Business Tv inizialmente aveva una finalità prettamente legata alla comunicazione interna delle grandi imprese del territorio. Era rivolta quindi ad un pubblico specifico ed interno (es: concessionari per quanto riguarda il settore automobilistico etc.) 60 P.Prestinari- A.Mandelli, “Business TV. Comunicazione d’impresa nell’era digitale”, Guerini editore, Milano 2006
25
contenuti che trasmette e si può far aiutare eventualmente da società esterne per la produzione e
distribuzione dei contenuti.
Vi sono tre tipologie generali di Business Tv:
1) Corporate TV: è un medium di carattere istituzionale. La sua diffusione avviene attraverso
internet ed ha come scopo principale quello di diffondere informazioni e promuovere uno
spirito aziendale all’interno della comunità tramite la diffusione di contenuti informativi e
formativi. Tali contenuti possono essere distribuiti in modalità diverse attraverso interviste,
talk show e notiziari. Il personale stesso dell’azienda è spinto a produrre contenuti user
generated in modo tale da rafforzare il legame con la mission del brand e stimolare la
creatività stessa dei dipendenti. La corporate Tv negli anni si è evoluta sia in termini di
personalizzazione che di interattività divenendo Corporate Interactive tv.
2) Brand TV: in questo caso assistiamo ad un medium teso al rafforzamento della marca in
termini di immagine e di valori che essa trasmette. Le piattaforme su quali opera sono
prettamente on line (Youtube o sito aziendale). Propone contenuti di infotainment atti a
coinvolgere in maniera sempre più attiva il pubblico dandogli massimo spazion per la sua
creatività (sempre nei limiti della value proposition del brand).
3) In Store TV: Classica piattaforma di fruizione di contenuti all’interno del negozio. È fruibile
attraverso rete chiusa ed ha l’obbiettivo di rendere la customer experience all’interno dello
store il più emozionante e coinvolgente possibile.
È dunque grazie all’avvento del digitale che i rapporti tra Media Industries e settore
Advertising sono cambiati drasticamente. Si è passati gradualmente da una forma basilare di
product placement e pubblicità break all’interno di formati televisivi ad una concezione
nuova di sponsorizzazione del brand più diretta e che fa del contenuto in termini di valori e
dimensione etica un punto essenziale della sua vittoria sul sistema mediale.
1.3.2 Dal product placement al branded entertainment passando per la brand
integration
La crescente integrazione della marca all’interno della struttura narrativa di un contenuto
mediale, proposto da un mezzo di comunicazione come la Tv, è avvenuta negli anni grazie
all’evoluzione del product placement che ha progressivamente generato (nel brand) logiche del
tutto nuove di integrazione del marchio che hanno dato l’inizio al concetto di branded content
entertainment.
Che il branded entertainment sia, a seconda delle diverse correnti di pensiero, un’evoluzione
diretta del product placement o una vera e propria forma autonoma di intrattenimento progettata,
finanziata e realizzata da un’impresa per fini commerciali individuali non ha un’importanza
26
rilevante. Il concetto di base invece è che le imprese ed i brand negli anni hanno capito
l’importanza di avvicinarsi ai media industry, di collaborare con loro, e di assorbire da loro
conoscenze sui contenuti mediali. Tali conoscenze gli hanno permesso di diventare loro stesse
“editori” di contenuti televisivi capaci di trasmettere i valori essenziali del brand e di coinvolgere
ed emozionare i propri consumatori attraverso lo storytelling d’impresa e l’utilizzo di strumenti
di intrattenimento.
Il product placement originariamente nasce come mero messaggio di prodotto a pagamento volto
ad influenzare un pubblico mediale attraverso l’ingresso pianificato e discreto di un prodotto di
marca nel contenuto del mezzo61. In poche parole nasce come un ibrido della pubblicità
tradizionale ma che si differenzia da essa nettamente a causa della sua “invadenza” all’interno di
un contenuto mediale. Negli anni però le opportunità di inserimento dei prodotti si sono evolute
rendendo il prodotto sempre più intrusivo all’interno del contenuto. I collocamenti del marchio
nel testo divenivano sempre più parte integrante dello stesso, creando una relazione organica tra
prodotto e narrativa62.
A questo proposito l’economista Russell (2002) ha constatato come siano presenti diversi tipi di
posizionamento del prodotto che tengono conto di due variabili discriminanti nella loro
catalogazione: Livello di controllo dell’impresa sulle modalità di inserimento del suo brand nel
contenuto di intrattenimento, livello di integrazione del brand all’interno della struttura
narrativa progettata dall’autore del contenuto di intrattenimento.
Queste due variabili fungono da analizzatori dei vari modelli di posizionamento del prodotto
identificandone le varie evoluzioni verso una concezione vicina a quella del B.E.
Vi sono dunque 4 tipologie di product placement:
1) Traditional product placement: inserimento marginale e secondario di un brand in un
contesto mediale come mero arredo scenico. (Basso controllo e bassa integrazione)
2) Ehnanced product placement: inserimento più connesso del brand con la trama di un
contenuto mediale dando all’impresa un maggiore controllo su come viene utilizzato il
marchio anche se lo stesso non diventa parte integrante della trama. (Alto controllo e
bassa integrazione)
3) Product integration: il prodotto diviene parte integrante e alle volte determinante della
trama e punto fisso all’interno del programma tv. L’impresa in questo caso ha un alto
controllo sulle modalità di realizzazione del marchio all’interno del programma.
L’identità del marchio viene trasferita spesso all’interno del contenuto mediale. (Alto
controllo e alta integrazione)
61 Balasubramanian, Silva K., “Beyond Advertising and Publicity: Hybrid Messages and Public Policy Issues,” Journal of Advertising (1994) 62 LaPastina A. “Product Placement in Brazilian Prime Time Television: The Case of the Reception of a Telenovela,” journal of Broadcasting and Electronic Media (2001)
27
4) Product assimilation: il prodotto in questo caso diventa la trama ed il protagonista del
programma tv (es: reality show). Sviluppo narrativo e placement si intrecciano. Il livello
di controllo dell’impresa proprietaria della marca però è basso in quanto le decisioni su
come inserire il marchio spettano all’autore del contenuto di intrattenimento. (Basso
controllo e alta integrazione)
(classificazione delle tipologie di product placement63)
Questo processo di cambiamento delle logiche del product placement evidenzia come si stia
passando progressivamente, attraverso un continuum che raffigura un sempre più crescente
livello di integrazione del marchio nelle dinamiche dell’intrattenimento telvisivo, ad una forma
appunto di branded entertainment che vede nella marca il protagonista principale della trama e
dello sviluppo di un contenuto mediale.
Questo cambiamento è però stato molto lento negli anni. Il problema di fondo è stato che le
imprese inizialmente non si distaccavano da una visione commerciale del prodotto all’interno del
formato televisivo, non prendevano in mano le redini del “giogo mediale” e si limitavano ad
inserire i marchi in una logica di programmazione gestita dal broadcaster.
Questo continuum tra product placement e branded entetainment non spiega l’intero tragitto
dell’impresa fino a divenire “editrice mediale dei suoi contenuti” però evidenzia come si sia
passati da una logica passiva di posizionamento del prodotto fino ad un alto livello di brand
integration dove il marchio si intreccia con la narrazione. Tale percorso è però segnato da alcuni
fattori chiave senza i quali le iniziative di marketing prese in considerazione non hanno
63Kim Bartel Sheehan & Aibing Guo “Leaving on a (Branded) Jet Plane”: An Exploration of Audience Attitudes towards Product Assimilation in Television Content”, Journal of current issues & research in advertising (2012)
28
possibilità di essere messe in pratica come ad esempio la scelta accurata del mezzo utilizzato, lo
studio attento delle caratteristiche del marchio, una precisa attività promozionale dei valori del
brand, l’aumento necessario dell’atteggiamento positivo del consumatore verso la collocazione
del prodotto, un importante collegamento valoriale tra marca e formato tv ed infine un quadro
normativo di base che permetta lo sviluppo di tale processo.
(the product placement- Branded entertainment Continuum)64
Questo percorso intrapreso dalle aziende di avvicinamento e assorbimento delle dinamiche
produttive dei media industries televisive in un’ottica di creazione di contenuti mediali in grado
di trasmettere i valori del brand anche in piattaforme prima di allora difficili da utilizzare ha
portato dunque come risultato finale appunto la nascita del concetto di Branded entertainment.
Per citare S.Hudson e D.Hudson il branded entertainment si configura come l’anello di
congiunzione ultimato e rafforzato tra i due settori principali della comunicazione digitale:
L’advertising industry e l’Entertainment and media Industry65. Il mezzo attraverso il quale il
brand realizza una più forte connessione emozionale con il consumatore divenendo propulsore
di valori e ideali in cui il pubblico si riconosce e che identificano le caratteristiche salienti del
marchio stesso. L’obbiettivo del branded entertainment è infatti quello di comunicare con il
consumatore attraverso l’utilizzo di uno storytelling d’impresa che trasmetta attraverso la
televisione non le caratteristiche fisiche del prodotto ma quello che il prodotto identifica in
termini di valori.
Si può tracciare infine uno schema che identifica il percorso finale che ha portato il brand ad
integrarsi totalmente con la logica della produzione di contenuti mediali televisivi, portando
64 S.Hudson- D.Hudson, “Branded entertainment: A new advertising tecnique or product placement in disguise?”, Journal of Marketing Management, (2010) 65 ibidem
29
dunque il marchio ad essere totalmente integrato nel contenuto che può definirsi quindi
brandizzato. Attraverso tale schema, mettendo nell’asse orizzontale il grado di integrazione della
marca nel contenuto di intrattenimento e nell’asse verticale la percentuale di contenuto
brandizzato presente nel programma, possiamo fare una sintesi finale e ripercorrere le varie tappe
dell’avvicinamento graduale delle industrie dei brand alle industrie televisive dei media spiegate
in precedenza:
1) Fase di product placement: fase già largamente spiegata in precedenza dove il brand si
affaccia per la prima volta all’interno di una logica di contenuti televisiva. Il prodotto ha
un basso livello di integrazione nei confronti del programma e ha una percentuale di peso
molto bassa per quanto riguarda il contenuto.
2) Fase di brand Integration: il prodotto comincia a svolgere un ruolo vero e proprio
all’interno della trama del programma. L’integrazione del prodotto è maggiore e le
imprese cominciano a capire come potersi muovere all’interno dei programmi televisivi
per aumentare l’awareness e l’image del brand.
3) Fase del branded entertainment: Il marchio assume un’importanza imprescindibile
all’interno del programma tv divenendo esso stesso il protagonista. Il livello di
integrazione è totale e il contenuto è gestito dal brand stesso. In questo caso l’impresa
diventa editrice e produttrice del programma infondendo in esso i valori e il sentiment
del brand.
(processo finale di integrazione tra brand e formato televisivo66)
66 Russell, “Advertainment: Fusing advertising and Entertainment”, University of Michigan, Yaffe Center, (2014)
30
1.3.3 Il branded content and entertainment all’interno dell’industria televisiva
Il branded content and entertainment applicato al mondo della televisione non è altro che un
contenuto mediale output finanziato totalmente o parzialmente da un brand che ha lo scopo di
promuovere i valori della marca e attrarre l’audience (attiva) in una logica di engagement basata
sul modello “pull” che ha come fine ultimo quello di informare, intrattenere ed educare lo
spettatore alle logiche e alla value proposition del brand stesso.
L’obbiettivo finale del branded content and entertainment televisivo è dunque quello di veicolare
i valori della marca rivolgendosi prima allo spettatore e poi successivamente al consumatore.
Trasferire la brand identity all’interno di un programma televisivo non è semplice. Deve esserci
un collegamento valoriale tra contenuto mediale e valori trasmessi dalla marca, i vari attori in
gioco nel processo di produzione di un formato televisivo branded devono essere bravi a creare
questo legame67. Il messaggio trasmesso dal programma televisivo dunque non ha nessuna
finalità commerciale sul prodotto da vendere. A volte il brand, pur mettendoci la firma, può
essere assente in modo diretto dalla narrazione (inquadrature del marchio o citazione dello
stesso). La cosa importante è che utilizzi uno storyrtelling adeguato che trasmetta i suoi valori
seguendo un processo meta-discorsivo che lo renda onnipresente a livello di narrazione implicita.
In altre parole all’interno di un buon formato tv branded si deve percepire l’alone del marchio
ma non si deve vedere direttamente.
Questa forte sinergia tra marca e contenuto mediale è il risultato di un allontanamento dalla
prospettiva di una narrazione unidirezionale e prodotto-centrica del brand ed un avvicinamento
ai concetti di condivisione (intesa come capacità di ascoltare il consumatore ed interessarsi alle
sue esigenze) e di coinvolgimento (marca e consumatore si immedesimano reciprocamente nei
valori condivisi).
Il branded content and entertertainment è quindi il prodotto finale di un processo in cui
un’impresa, nonostante non operi nel settore dei Media & entertainment industry, diventa
ideatrice, produttrice e spesso distributrice di contenuti o progetti di intrattenimento mediale.
Tale impresa agisce con il supporto di attori specifici che la aiutano nella creazione di contenuti
che rispecchino in maniera idonea il valore del brand che vuole trasmettere ai consumatori. È
dunque questo coinvolgimento diretto dell’impresa in tutti i settori, dalla ideazione alla creazione
passando per la distribuzione di un contenuto, che differenzia il branded entertainment dai
processi precedenti di product placement.
I valori ed i significati che caratterizzano la brand identity e la value proposition dell’azienda
vengono dunque trasferiti direttamente all’interno dei prodotti di intrattenimento in modo tale
che l’individuo- che prima è spettatore e poi consumatore- li possa far suoi e possa interagire con
67 Di questo rapporto di produzione di un formato televisivo branded tra i diversi attori in gioco ne parlerò nel capitolo successivo
31
essi. È proprio questo l’obbiettivo finale di un’iniziativa branded ben strutturata: coinvolgere un
pubblico sempre più attivo e rendere la sua experience sempre più crossmediale e interattiva
attraverso i vari canali di comunicazione che la televisione liquida mette a disposizione in questo
nuovo scenario digitale. La produzione di contenuti che offrono un valore elevato di
intrattenimento attraverso uno storytelling ben strutturato e che non mirano assolutamente a
colpire l’individuo o a interromperlo nel suo momento di fruizione televisiva con messaggi di
stampo commerciale inerenti alle caratteristiche del brand, pongono l’impresa in una posizione
migliore nella percezione del consumatore che può scegliere liberamente se seguire o no i
contenuti e i valori di un programma tv branded.
Ricapitolando, potremmo sintetizzare le caratteristiche di un branded content and entertainment
televisivo nei seguenti punti:
A) Il soggetto che realizza e diffonde il programma televisivo branded, infondendo il suo
core business attraverso contenuti di infotainment, è l’impresa e non il broadcaster.
B) L’impresa ha il controllo completo sul contenuto e gli stimoli proposti dal prodotto
televisivo ma si può avvalere di forme di partnership, co-creazione o co-produzione con
altri attori lungo la filiera produttiva di un contenuto audiovisivo, condividendo obbiettivi
comuni di innalzamento della qualità del contenuto. All’interno del branded
entertainment televisivo infatti i rapporti che si vengono a creare tra impresa e emittente
televisiva possono coinvolgere anche diversi altri attori della filiera produttiva come
agenzie pubblicitarie e società di produzione televisiva68.
C) L’obbiettivo dell’impresa è valorizzare la sua brand reputation e la sua brand image
attraverso la realizzazione di contenuti che, sfruttando l’infotainment ed una elevata ed
accurata strategia di brandtelling, coinvolgano il consumatore e lo facciano
immedesimare nei valori e negli ideali del brand. La marca nel racconto assume un ruolo
essenziale per i significati culturali e sociali che trasmette e che lo spettatore considera
rilevanti. È per questo motivo che non si parla tanto di promozione commerciale del
prodotto ma bensì di creazione e consolidamento del valore simbolico della marca e di
crescita della customer experience.
D) All’interno del contenuto mediale proposto dall’impresa attraverso un formato televisivo
non è presente solamente il messaggio aziendale. Quello, anche se è lo stimolo principale,
non è l’unico presente all’interno del messaggio. Esso infatti risulta armonicamente
integrato con altri stimoli, inerenti alla marca e ai suoi valori, che nel complesso creano
un significato generale che crea esperienza di valore per il consumatore che ne fruisce.
Inoltre la marca all’interno del racconto non deve essere necessariamente la protagonista
68 Per quanto riguarda il rapporto che si va ad instaurare tra questi attori nel processo di produzione di un formato tv branded vi rimando al capitolo successivo
32
assoluta della narrazione: anzi, proprio per alzare il valore di intrattenimento della
proposta dell’impresa, non vi deve essere un’evidenza tale della marca che possa in
qualche modo infastidire lo spettatore poiché l’accentuazione della stessa creerebbe nella
mente del consumatore un sentimento di repulsione dovuto ad una sensazione di
invasione generata da un bias insito nella mente dello stesso e automaticamente farebbe
perdere l’effetto di attrazione nei confronti del prodotto69. Quindi tale stimolo,
denominato “stimolo commerciale”, deve essere incorniciato all’interno di un insieme
coerente di altri stimoli culturali, sociali e valoriali che devono essere colti dal pubblico
e che lo devono portare ad una adeguata esperienza complessiva legata all’impresa e al
brand che sia inquadrata all’interno di un universo di significati che esprimono il
posizionamento prestabilito dal brand stesso. La marca deve essere percepita dal
consumatore-spettatore come un plusvalore da cui trarre vantaggio e non come una causa
di interruzione di altre attività.
E) Una buona strategia di branded content and entertainment televisivo deve mirare a
costruire un’identità di marca attraverso il prodotto mediale. Tale processo, se vuole
apportare dei miglioramenti sostanziali alla marca, va strutturato in un medio-lungo
periodo e ben pianificato. Deve infatti mirare ad un target specifico di consumatori, e per
fare ciò bisogna valutare bene la scelta del broadcaster da utilizzare70. Inoltre è importante
che utilizzi strumenti narrativi efficaci per trasmettere in modo esaustivo valori del brand
(storytelling).
Queste sono le principali linee guida e caratteristiche del branded content televisivo che vanno
applicate alla creazione di ogni formato per riuscire ad attuare una ottima valorizzazione del
prodotto attraverso la tv.
Una volta stabiliti i principi guida di una strategia di branded content and television entertainment
bisogna andare a indagare su come e perché questo nuovo modo di fare tv da parte dei brand si
sia instaurato nei dettami del mercato televisivo moderno.
Come spiegato nelle pagine precedenti già negli anni 40-50 in America era presente un embrione
del branded content televisivo. Molti brand internazionali come P&G, Colgate, Camel e General
Motors, già a quei tempi realizzavano programmi branded. Ovviamente come spiegato in
precedenza si trattava più di una sponsorizzazione commerciale piuttosto che di una condivisone
di valori del brand attraverso un formato televisivo, però quei quiz show e soap opera erano stati
69 N.B: questo non vuol dire però che il consumatore non sa che il formato televisivo sia brandizzato. Egli è consapevole di fruire di un contenuto proposto da un’impresa attraverso la tv. Ciò appare necessario affinchè i significati evocati, i valori appresi e le emozioni suscitate possano essere facilmente riconducibili all’esperienza complessiva proposta dalla marca 70 Ad esempio se si vuole fare un programma tv branded su un marchio di cucina vanno selezionate le piattaforme tv idonee al raggiungimento di quel target. Canali cioè che già di per sè attirano quel tipo di pubblico. (es: gambero rosso, Sky uno etc.)
33
i primi tentativi di rendere la marca “editore” di un formato televisivo mediale che al suo interno
presentasse una forma embrionale di stroytelling d’impresa71.
Queste forme embrionali di branded content televisivo, che possiamo comunemente denominare
Advertiser Funded Programming (programmi tv prodotti o co-prodotti dai brand), sono sparite
negli ultimi decenni del ventesimo secolo per poi rifiorire nelle forme più evolute di branded
content dal 2010. Ma quali sono i motivi che hanno spinto i broadcaster a reinserire nei loro
palinsesti programmi televisivi branded?
Sostanzialmente le motivazioni sono tre:
La prima, di stampo tecnologico, è ’avvento del digitale che, come spiegato abbondantemente in
precedenza, ha cambiato il modo di vedere la televisione e i suoi contenuti secondo una logia
cross-mediale creando il concetto di televisione liquida e spingendola a trovare situazioni sempre
più accattivanti di engagement nei confronti del pubblico.
La seconda, di carattere puramente economico, è data dalla grande crisi economiche dei primi
anni del 2000 che ha fatto registrare un contraccolpo anche alle industries dei media e che,
facendo calare le spese per il mercato pubblicitario standard e del commissioning dei grandi
network, si sono dovute appoggiare ai brand per limitare le perdite aprendo cosi ai programmi
branded.
La terza, di stampo puramente giuridico, è data dall’approvazione di una direttiva Europea del
2007 (entrata in vigore in Italia dal 2010 e definita decreto Romani) che introduceva importanti
novità nel settore audiovisivo. Che delineava il nuovo scenario di convergenza mediale e
consentiva l’inserimento di prodotti di marche anche nei programmi televisivi a patto che si
seguano determinate caratteristiche come l’autonomia editoriale, l’assenza di riferimenti
promozionali e l’obbligo di informativa verso lo spettatore.
Dai primi anni del 2000 in poi dunque il branded entertainment è entrato a far parte gradualmente
del mondo della televisione. Il processo di integrazione infatti è ancora in corso. I programmi
televisivi branded stanno crescendo molto sia in termini di share sia i termini di aumento del
sentiment e dell’awareness nei loro confronti da parte dell’audience. La presa di posizione di
questo fenomeno è riscontrabile anche dal collocamento che era inizialmente stabilito dai
broadcaster all’interno dei palinsesti. I programmi branded venivano posizionati inizialmente
nelle fasce orarie meno privilegiate dal pubblico oppure nelle reti secondarie. Diciamo una sorta
di tentativo preliminare di vedere l’efficacia di questi formati che nel tempo hanno guadagnato
una popolarità tale da far ridiscutere la loro programmazione.
71 Un’esempio tutto italiano di questo tentativo di cambiamento del rapporto tra brand e tv è dato dal già citato programma Carosello. Un formato televisivo di breve durata e con una forte componente di storytelling che andava in onda periodicamente dopo ogni Tg serale. Al livello internazione possiamo citare le soap opera prodotte dalla P&G productions come “As the World Turns” e “Guilding Lights” o programmi come “Colgate comedy Hour” e “Camel News Caravan”
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Il modello di branded content and television entertainment può essere applicato a generi piuttosto
codificati a seconda delle tendenze studiate del target di riferimento. Brand legati al mondo del
cibo possono portare avanti dei cooking show come il caso di Barilla che nel 2016 ha portato
avanti un programma andato in onda su canale 5 dal titolo “Il primo dei Primi” in collaborazione
con Publitalia che esaltava il made in Italy della pasta. Oppure programmi incentrati sul make-
over and tutorial sono stati creati da brand legati al mondo del bricolage come Leroy Merlin che
nel 2015 ha portato avanti una serie tv su Cielo prodotta da FreemantleMedia dal titolo “L’uomo
di casa” che sfatava il mito dell’uomo impacciato nelle faccende domestiche.
Questi sono solo alcuni degli esempi di programmi televisivi brandizzati che dal 2013 in poi sono
cresciuti esponenzialmente nel panorama televisivo italiano catturando l’attenzione di un
pubblico sempre più legato ad una forma di storytelling che va oltre il mero contenuto.
Prima di concludere questo percorso una domanda però sorge spontanea: Come giustificare
l’enorme successo del BC&E televisivo? Un’ultima analisi di stampo scientifico su questo
fenomeno sembra inevitabile.
Tra il 2014 ed il 2015 l’OBE72 ha realizzato insieme all’Omnicom Media Group delle ricerche
che valutavano l’impatto delle attività del branded entertainment nel mercato televisivo nel
periodo 2013-2015 per capire la funzionalità di questo fenomeno73. Sono stati presi ad esempio
alcuni programmi televisivi branded content che sono stati fatti visionare ad un pubblico target.
Dal responso di questo studio è uscito fuori che le attività di branded entertainment televisivo
impattavano sulle variabili più identificative del rapporto tra brand e consumatore: vale a dire la
brand familiarity ed il brand trust.
La brand familiarity, vale a dire il livello di familiarità con la marca, è infatti aumentate del 10%
per i consumatori esposti al programma branded e lo stesso vale per la brand trust (il livello di
fiducia nei confronti della marca)74.
Dunque da questa ricerca si evince come il potenziale del branded content televisivo è notevole
nel cambiamento di percezione in positivo del brand da parte del consumatore, a patto sempre
che utilizzi uno storytelling adeguato e coerente con la sua value proposition e con il canale in
cui si inserisce.
72 Osservatorio per il Branded Entertainment, ibi pg 24 73 È stata condotta una ricerca utilizzando un campione ampio e rappresentativo della popolazione italiana dai 18 ai 60 anni utilizzando la metodologia CAWI (Computer Assisted Web Interviewing). Sono stati valutati il rapporto del pubblico con le marche, con la loro comunicazione, con i programmi e con i broadcaster che hanno trasmesso contenuti tv branded nel periodo di riferimento 74 Dati Omnicon Media Group and Obe
35
1.3.4 Il mercato italiano del branded entertainment in Italia nel 2018: alcuni dati e
trend
Qual è il peso reale ad oggi del fenomeno del branded entertainment in Italia? Che dimensioni
e caratteristiche ha tale fenomeno nel mercato televisivo italiano e non solo? Quali sono gli
obbiettivi che persegue il branded entertainment? E come vengono misurati tali obbiettivi?
A tutti questi interrogativi ha cercato di rispondere la ricerca svolta dall’OBE sul mercato italiano
del branded entertainment datata maggio 2018. Tale studio è stato svolto con un approccio quali-
quantitativo attraverso vari strumenti di campionatura come survey online e interviste telefoniche
ai principali attori del mercato italiano per cercare di comprendere meglio il processo di creazione
di un contenuto brandizzato e attraverso l’osservazione continua del monitor OBE sui principali
progetti di branded entertainment in Italia e all’estero.
La ricerca ha avuto inizio nel lontano 2002 ed è stata conclusa nel 2018.
Il primo dato che fuoriesce riguarda le dimensioni di tale mercato negli ultimi anni. Infatti dal
2016 al 2017 il peso del branded content all’interno dei contenuti mediali è aumentato in
percentuale rispetto ad un più classico approccio di product placement da parte della marca.
Si è passati da un 61% di B.E. del 2016 ad un 72% del 2017, con una diminuzione dunque sul
mercato del P.P. dell’11%. All’interno del branded entertainment inoltre crescono le produzioni
originali rispetto a quelle che prevedevano un’integrazione del brand in un contenuto già creato
dal broadcaster. Si è passati infatti dal 59% di produzioni originali del 2016 ad un 73% del 201775.
Questo incremento denota come il ruolo dei brand sia sempre più acquisendo importanza. Il
brand è sempre più editore in prima persona dei suoi contenuti e dei valori che vuole trasmettere
attraverso uno storytelling d’impresa che tenda ad esaltare i valori del marchio in un contesto
televisivo che fa da contorno:
(dati OBE sulle dimensioni del fenomeno del branded content and entertainment in Italia)
75 Dati Obe 2018
36
E’ dunque evidente dai risultati di questa ricerca che il branded content sia il futuro delle imprese.
I suoi trend di crescita sono dovuti all’opportunità che dà al marchio di essere visto agli occhi
del consumatore con una sfumatura diversa che tenda ad esaltare di più i suoi valori che le sue
caratteristiche fisiche. Ma quali sono le piattaforme più utilizzate dai brand per promuovere
questi valori?
Secondo la ricerca OBE gli investimenti maggiori vengono fatti sulle piattaforme digital video
(28,4%) e sui formati televisivi (22,5%). D’altronde non è sfuggito neanche a loro come ormai i
contenuti non possano più vivere su un solo canale. E’necessario un approccio multichannel e
crossmediale che permetta di declinare il contenuto attraverso più canali di distribuzione.
(i formati più utilizzati per lo sviluppo di branded content da parte delle imprese dal 2016 al
2018. Dati OBE)
Una volta stabilita la grandezza del fenomeno e dove si sta maggiormente sviluppando
l’osservatorio per il branded entertainment si è giustamente interrogato su quali siano gli
obbiettivi che le imprese volevano raggiungere avvalendosi di tale nuova ed innovativa strategia.
Attraverso delle interviste di stampo qualitativo svolte a importanti imprese italiane, e non solo,
che si sono avventurate in questo nuovo scenario si è evinto che tra gli obbiettivi principali di
tale strategia c’erano: l’aumento della brand awareness, la costruzione ed il consolidamento della
brand identity, la volontà di sperimentare un formato innovativo, la volontà di entrare in contatto
diretto con i propri clienti reali e potenziali cercando di capire realmente le loro esigenze e
generare WOM e Buzz on line e off line sulla marca.
Tutti elementi che ancora una volta sottolineavano come la cosa più importante in una strategia
di branded content non fosse la vendita commerciale del prodotto ma l’aumento dell’esperienza
attorno allo stesso. È anche soprattutto per questo motivo che i kpi più utilizzati da parte di un
brand per la misurazione dell’efficacia di una campagna marketing sul branded entertainment
sono legati all’engagement all’awareness e allo share.
37
(obbiettivi principali delle imprese in una strategia di branded content and entertainment.Dati
OBE 2018)
Dando infine uno sguardo più in generale alla grandezza economica di questo nuovo tipo di
mercato basti vedere come nell’ultimo anno (2017) siano stati investiti in totale 360 milioni da
parte delle imprese sui prodotti branded, con un budget medio per progetto di 99.000 euro e un
numero di progetti all’anno che sfiora le 3650 unità76. È un trend questo in continua crescita che
prevede che si arrivi nel 2018 ad una spesa complessiva di 421 milioni di euro (+17% rispetto al
2017):
(trend di investimenti nel settore branded entertainment nel 2018)
1.3.5 Esempi riusciti di branded content and television entertainment
Come spiegato in tutto il capitolo, il fenomeno del branded content & television entertainment è
un processo in fieri che si modifica di continuo seguendo quelli che sono i cambiamenti strutturali
sia del modo di concepire la televisione ed il brand sia nel modo di relazionarsi con un pubblico
sempre più attivo e interattivo che vive in universo mediatico in cui la crossmedialità dei
contenuti la fa da padrone. Un pubblico dunque che è abituato ad interagire con il brand in ogni
76 Dati OBE 2018
38
aspetto della creazione del contenuto televisivo e a creare esso stesso contenuti own-generated.
Dunque questi due fattori (nascita e sviluppo di un mercato digitale e cross-mediale e attenzione
maggiore al consumatore come pro-sumer) debbono influenzare la creazione di un contenuto
televisivo brandizzato fungendo da linee guida per lo sviluppo ottimale dello stesso insieme ad
una nuova concezione valoriale del brand attraverso uno storytelling d’impresa adeguato.
Molte imprese negli ultimi anni si sono cimentate nello sviluppo di formati televisivi branded
content, collaborando con i vari attori in gioco nel processo di creazione e produzione di tali
formati, con risultati alle volte molto interessanti. All’interno del secondo capitolo andremo a
vedere nello specifico il ruolo di questi nuovi attori (società di produzione televisiva) e il loro
rapporto con l’impresa nella creazione di un contenuto branded. Ora però è opportuno chiudere
questo capitolo portando avanti alcuni esempi di formati televisivi branded che, grazie al loro
successo, sono riusciti a far crescere questo fenomeno e portare sempre più marchi ad avvicinarsi
in maniera profittevole a questo mondo:
A. Un esempio ben riuscito di storytelling d’impresa e di co-creazione di contenuti: INTEL “The
beauty Inside”
La Intel è una delle più grandi aziende multinazionali specializzate nella produzione di
microprocessori e circuiti elettronici. Intel negli anni ha avuto sempre un grande successo nel
ramo dell’elettronica ma non è mai riuscita a destare un’attenzione diversa ed emozionare il
pubblico attraverso le sue campagne di promozione. I prodotti poi non sono d’aiuto poiché,
trattandosi di microprocessori, si parla di materiale invisibile all’occhio umano del consumatore-
spettatore che non poteva destare interesse agli occhi dell’individuo. Insomma i responsabili
dell’area marketing di Intel dovevano capire come poter attirare in modo diverso e coinvolgente
lo spettatore attraverso una campagna che producesse contenuti mediali pregni di storytelling.
Ma come fare?
La risposta a questa domanda è stata data nel 2012 quando Intel e Toshiba crearono una
campagna transmediale intitolata “The Beauty Inside”. L’iniziativa si basa su una storia geniale,
innovativa e molto pertinente con i valori intrinsechi della marca:
Viene raccontata la storia di Alex, un uomo in gamba simpatico e pieno di valori che però ogni
giorno ha la maledizione di svegliarsi in un corpo fisicamente diverso dal giorno prima. Una
volta è di colore, l’altra è di razza asiatica e l’altra ancora è albino. All’interno lui è sempre lo
stesso ma fuori il suo corpo cambia. Nonostante questo suo problema Alex riesce più o meno a
vivere la sua vita tranquillamente. Vive la vita alla giornata non creando quindi legami affettivi
profondi poiché impossibilitato dalla sua problematica. Le cose cambiano quando alex si
innamora di una donna. Lì nasce il dilemma ed anche la geniale intuizione del brand.
39
Come potrà fare Alex a far capire il suo problema e a far innamorare la donna di lui?
Qui viene l’intuizione geniale della marca. Sarà il pubblico, interagendo con il brand, a fornire
la soluzione al dilemma di Alex. Intel ha messo in piedi un progetto di branded content basato
su un social film di 6 espisodi dove Alex, attraverso una forma di storytelling interattivo, dialoga
con il pubblico per risolvere il suo dilemma attraverso i social. Inoltre il pubblico stesso crea
contenuti mediali che invia ad Alex (Intel) per risolvere il suo dilemma mettendosi nei panni del
protagonista. I video migliori poi venivano inclusi nella serie. La vera genialità sta nel fatto che
“tutti siamo Alex”. Qualsiasi persona può interagire ed essere protagonista della campagna
creando contenuti Own-generated. In questo esempio di branded content notiamo dunque la forza
di due elementi fondamentali: l’uso accurato di uno storytelling d’impresa, che esalti i valori del
brand, e la volontà di mettere il consumatore allo stesso livello della marca coinvolgendolo e
invogliandolo a co-creare contenuti. Riprendendo le parole di Gabriel Motta Ferreira in un saggio
scritto su questo caso: “poiché Alex cambia il suo aspetto ogni giorno, chiunque può interpretare
il suo ruolo… questo espediente narrativo permette l’interazione dell’audience con la storia in
un modo alquanto innovativo…i componenti dell’audience hanno la possibilità di entrare
realmente in questa storia d’amore77”.
Nulla attrae le persone e crea forti connessioni come le storie. Il pubblico entra nella storia dal
lato del protagonista e vive i problemi come se fossero suoi. Si immedesima nei valori e nelle
vicende del racconto creando un legame stretto con la marca che si accentua all’aumento della
qualità dello storytrelling d’impresa.
B. Contenuti tv di qualità che trasmettono i valori del brand: Illy “Gli artisti del Gusto”
I contenuti televisivi formato branded non hanno una lunghezza standard. Possono variare a
seconda dei casi, dei contenuti al loro interno, e del formato televisivo utilizzato. Negli ultimi
anni alcune emittenti (soprattutto canali tematici come National Geographic, Laeffe, Sky sport
etc.) hanno cominciato a creare formati televisivi “più leggeri” con delle durate inferiori ai
programmi standard (10 minuti circa) e al loro interno una programmazione intensa che
sopperisca a questa riduzione di tempo. È scontato immaginare, quindi, come le storie raccontate
all’interno di questi mini programmi debbano essere ricche di significato e mettere in pratica
nella maniera migliore possibile, attraverso un racconto breve ma conciso, i valori che devono
trasmettere agli spettatori. Ed è su questa linea editoriale che si trova la campagna di Illycaffè
denominata “Artisti del Gusto”. Tale campagna prodotta nel 2013, nata dalla collaborazione tra
Fox factory Illycaffè e Fluid produzioni, si sviluppa attraverso la creazione di 10 mini-film della
durata di 10 min. ciascuno che venivano trasmessi in forma seriale sul canale tv National
77 Motta Ferreira G. (2012), “The Beauty Inside: A transmedia Analysis”, Tallinn University Baltic Film and Media School
40
Geopgraphic. In queste pellicole, attraverso un viaggio in 10 città iconiche d’Italia (tra queste
Roma, Torino, Napoli e l’Aquila), viene descritta la vita all’interno di un bar e più nello specifico
si approfondisce il ruolo storico del barista che lo anima attraverso il modo in cui interagisce con
i clienti e in cui prepara in maniera accurata e con passione una tazza di caffè. Il bar infatti è da
sempre un micro-cosmo pieno di interazioni sociali e di umanità. All’interno dei cortometraggi
l’elemento che viene messo in primo piano non sono le qualità del caffè Illy ma la passione dei
baristi nel loro lavoro. Il marchio Illy non viene mai citato ma si avverte con “disinvoltura” nella
storia che si racconta, in quanto il vero obbiettivo della trattazione è trasmettere l’elemento più
importante che caratterizza la value proposition del brand: La passione. Quella stessa passione
che viene trasmessa da chi da anni ci serve il caffè al banco con amore e fantasia. Ogni film
dunque descrive un particolare barista che aspira a divenire “barista illy di successo” mostrando
la passione che ha per il lavoro che fa e la determinazione nel creare un prodotto di qualità. Lo
scopo della serie è quindi anche quello di innalzare la figura del barista portando il consumatore
a riconoscerlo come professionista alla pari di esperti culinari e sommelièr. Oltre al valore della
passione, all’interno di questo formato televisivo troviamo il richiamo alle tradizioni storiche,
sociali e culturali. Il caffè negli anni ha sancito nell’ideale italiano un rito quasi “sacrale”. In
Italia per ogni regione vi è una storia specifica e dei rituali ad hoc sul caffè che vengono ben
spiegati all’interno della serie.
Dunque anche in questo caso possiamo notare due elementi fondamentali in questa strategia di
branded content and entertainment che abbiamo già trattato all’interno del capitolo e che sono
essenziali per una buona riuscita di un formato tv: la presenza indiretta del marchio non in quanto
prodotto commerciale ma in quanto fonte di valori da condividere, e un uso importante dello
storytelling d’impresa e della crossmedialità dei contenuti.
In termini di risultati questa campagna ha generato un AMR78 superiore del 68% alla media di
canale scatenando anche un grande coinvolgimento al livello social con oltre 1 milione di
impressions. Inoltre è aumentata anche la curiosità sul marchio da parte di nuovi potenziali clienti
che attraverso questi mini-film hanno scoperto i valori del brand.
Altri esempi di questo nuovo genere di branded content ma su concept televisivi diversi e con
tematiche diverse sono riscontrabili in programmi come:
1) Hashtag: Formato tv prodotto da ENI e trasmesso su Laeffe nel 2013, strutturato in una serie
di espisodi in cui si esplorava la contemporaneità italiana incentrata sui social e la tecnologia
e si cercava di capire la sua evoluzione futura attraverso lo sguardo di personalità autorevoli
del mondo della cultura e della scienza. Ogni puntata aveva un hashtag specifico (es:
#commedia #innivazione etc.) che diveniva argomento di discussione da parte di queste
78 Average Minute Rating
41
eccellenze del made in Italy. Ci si soffermava anche sui progetti promossi e sostenuti da Eni
su quei temi.
2) L’arte del calcio: format prodotto da Mazda in onda su Sky sport che raccontava, attraverso
l’host Giorgio Porrà, le più importanti innovazioni calcistiche che venivano paragonate alle
opere degli artisti più famosi del mondo (es: da Pasolini a Totti, da Pirlo a Kubrick etc.)
3) Love snack: Prodotto televisivo di Pubblitalia in collaborazione con McDonald’s che andava
in onda su Italia 1. Si trattava di una Sketch-com divisa in più puntate in cui i due protagonisti
(Matteo Branciamore e Brenda Lodigiani) erano alla ricerca della loro anima gemella e si
incontravano nei vari ristoranti della catena per raccontarsi le loro vicende amorose di fronte
ad un buon panino. Il tutto condito da uno stile narrativo divertente.
42
CAPITOLO 2
IL FORMATO TELEVISIVO BRANDED CONTENT ED IL RUOLO DELLA
SOCIETA’ DI PRODUZIONE
Il processo di creazione di un formato televisivo branded è stato il risultato di una lunga battaglia
portata avanti dalle brand industries all’interno dell’ambiente televisivo per vedersi riconosciuta
un’importanza diversa nella creazione e sviluppo di contenuti mediali.
Anche in questo caso l’importanza del passaggio al digitale con conseguente trasformazione della
modalità di fruizione di contenuti mediali e il cambiamento dei rapporti tra media e pubblico e
tra pubblico e industry ha accelerato il processo di verticalizzazione delle modalità di produzione
televisiva. Dunque l’avvicinamento tra media e brand descritto nel capitolo precedente non ha
portato solamente alla nascita di questo nuovo modo di creare contenuti televisivi, ma ha portato
anche allo stravolgimento dei rapporti di creazione di tali contenuti che ora vedono coinvolti più
attori nella filiera produttiva.
In effetti, mentre attraverso le inziative di product placement il brand si limitava a fare da
spettatore passivo del processo di ideazione di un formato televisivo, con l’avvento del branded
content and entertainment la marca è parte integrante (se non predominante in alcuni casi) del
progetto. Il marchio come abbiamo visto è divenuto co-produttore ed editore dei contenuti
mediali e collabora in un rapporto di parità con l’emittente79.
Ma, sebbene questi due (Brand e Media) siano gli attori principali di tale processo, non possono
creare da soli un contenuto brandizzato che abbia il giusto storytelling in grado di trasmettere
determinati valori.
Fino a qualche anno fa il modello dominante per la creazione e la distribuzione di contenuti
editoriali si basava su strategie di commissioning o autoproduzione. I media potevano
commissionare appunto un progetto ad un produttore indipendente che seguiva la linea editoriale
del canale in modo tale da non disorientare l’audience e creare un formato tv coerente. Ma con
l’emergere dell’importanza dei brand nel ramo della produzione tv il processo è radicalmente
cambiato, mettendo in gioco nuovi attori che sostanzialmente fanno da intermediari tra Brand e
Media nel processo di produzione. Si può definire come una sorta di rivoluzione industriale del
settore televisivo in cui la filiera produttiva si è allargata ed il prodotto viene creato e perfezionato
da più attori in gioco. Lo scopo finale deve essere un prodotto di qualità assoluta che possa
portare un surplus mediatico e commerciale importante a chi lo ha prodotto. Tali progetti dunque,
79 Possiamo constatare con l’avvento del digitale un parallelismo molto interessante: Come il pubblico ha cambiato i propri rapporti di forza con il broadcaster ed i brand nella dinamica di fruizione di un contenuto mediale (divenendo attivo e spesso pro-sumer) lo stesso è avvenuto tra brand e broadcaster nel ramo della creazione di contenuti mediali. Anche il brand ha acquisito più importanza in tale processo divenendo attore alla pari e non alle volte superiore rispetto al Media
43
essendo realizzati a volte a 6, 8 o addirittura 12 mani, sono molto complessi sia dal punto di vista
creativo che soprattutto relazionale. Si tratta infatti di mettere in relazione professionisti diversi
che si devono confrontare l’un l’altro e conoscersi, comprendendo i reciproci bisogni per poter
poi convergere verso un obbiettivo finale e comune: progettare un contenuto che crei audience e
sia rilevante per il target di riferimento al fine di imprimere un’attitude positiva verso il brand
senza ledere l’affidabilità del mezzo.
Come con il fenomeno in generale, anche nei confronti del suo processo di produzione e delle
forme di partnership che si vanno ad instaurare con il passare del tempo sono avvenuti dei
cambiamenti. Questa rapida e continua evoluzione di tali rapporti è anche dettata da un quadro
di riferimento normativo non ancora definito.
Possiamo quindi concludere affermando che a seconda del tipo di investimento del brand e del
contenuto da portare avanti i vari protagonisti collaborano insieme per la realizzazione di un
formato tv il più possibile inerente ai valori di fondo che si vogliono trasmettere.
Ma quindi quali sono questi attori? Che ruolo hanno nel processo di produzione di un formato
tv branded? Come lavorano e con quali strumenti?
Queste sono le domande principali a cui cercherò di dare una risposta all’interno del secondo
capitolo, soffermandomi sul ruolo predominante della società di produzione televisiva come
intermediaria principale all’interno dei rapporti tra Brand e Media e punto nevralgico del
processo di ideazione e realizzazione di contenuti con un alto valore di Brandtelling.
D’altronde le società di produzione televisiva sono il vero terzo attore preponderante all’interno
del mercato mediale. Il loro ruolo di raccordo tra le strategie del brand e quelle dei media e la
loro capacità di creare contenuti creativi e a forte impatto nei confronti dello spettatore-
consumatore le mettono al centro del processo produttivo. Inoltre, fiutando l’opportunità sempre
più crescente di sviluppo del mercato del branded entertainment, molte case di produzione tv (tra
cui la Stand By Me) si sono munite al loro interno di dipartimenti legati solamente alle strategie
di branded content and brand solution per ottimizzare tale processo.
Come, dunque, viene creato un programma tv branded? quali e quanti sono i diversi rapporti
commerciali che intercorrono tra società di produzione tv, media e brand? Sono domande a cui
cercherò di dare una risposta accurata grazie alla mia esperienza all’interno di una importante
società di produzione Tv di Roma (Stand By Me) e attraverso delle interviste qualitative da me
svolte a degli attori che occupano un ruolo fondamentale in questi processi.
44
2.1 Un nuovo attore in gioco: la società di produzione televisiva
Abbiamo accennato a come le società di produzione televisiva siano diventate l’anello di
congiunzione tra gli interessi dei media e quelli dei brand al fine di creare un contenuto televisivo
appropriato per la realizzazione dei loro obbiettivi di share (per quanto riguarda la tv) e di
valorizzazione dei vari kpi sui quali il marchio fa affidamento (per quanto riguarda il brand). A
far collimare tali interessi ci pensa dunque la società di produzione televisiva che attraverso
l’utilizzo di uno storytelling adeguato e delle conoscenze mirate all’interno del processo di
ideazione e creazione di un formato televisivo aiuta il brand a rapportarsi in maniera adeguata al
mondo della televisione. Infatti all’interno di tali società orbitano profili di autori, registi,
produttori ed ideatori di contenuti mediali con un’esperienza tale da renderli fondamentali per un
brand che si vuole affacciare per la prima volta nel mondo della tv.
Tra gli attori in gioco nel processo di creazione di un formato televisivo branded non ci sono
ovviamente solo le società di produzioni tv oltre al brand e al broadcaster, ma sono presenti
(nonostante in maniera non sempre fissa) anche le concessionarie che si appoggiano al
broadcaster e i centri media che fanno capo al brand. Questi due enti sono in un certo senso
dipendenti dalle logiche dei loro sovra-affiliati e dunque non hanno la stessa autonomia
strutturale delle società di produzione tv.
In Italia si possono contare molte società di produzione televisiva tra cui Magnolia, Endemol,
Freemantle e la stessa Stand By Me che sarà oggetto di studio più approfondito.
La Stand By Me nasce come società di produzione televisiva indipendente nel 2010 e da 8 anni
realizza contenuti originali sia per la tv che per le imprese ed i loro brand. L’obbiettivo principale
dell’azienda è la creazione, produzione e adattamento di format di intrattenimento per network
televisivi e media interattivi in Italia e all’estero. Dal 2015 l’azienda si è aperta a nuove frontiere:
ha iniziato ad orientare la sua esperienza verso la creazione di contenuti multimediali all’interno
del mondo delle brand industries creando a tal proposito nel 2016 una business unit con sede a
Milano specializzata nel settore del branded content and entertainment. L'avvicinamento della
Stand By Me a delle prospettive marketing oriented l'ha portata a relazionarsi con le necessità di
clienti, neofiti nei confronti del mondo della televisione, che hanno manifestato l'esigenza sempre
più forte di utilizzare nuovi contenuti televisivi branded per le loro campagne.
Questi sono in linea generale i compiti svolti dalla Stand By Me; ma per rendere più chiara la
mission e la sua value proposition riporto le parole del suo fondatore (nonché CEO e Produttore
creativo) Simona Ercolani a cui ho svolto una breve intervista chiedendogli cosa rappresentasse
per lei la Stand By Me e che valori voleva trasmettere attraverso questa azienda.
Queste le sue parole:
45
“La Stand By Me è la casa del formato originale italiano. È nata dal coraggio da parte nostra e
dei nostri giovani di pensare che ci fosse spazio in Italia per formati originali e non solo per
adattare quelli stranieri già in uso. Possiamo lavorare per noi, perché dobbiamo lavorare per
altri o su idee di altri? Questa sana arroganza costruttiva e positiva spinge i miei ragazzi a
rischiare, a mettersi in gioco per creare contenuti innovativi e lungimiranti. Perché parlo di
coraggio e presunzione? Perché i miei giovani devono poter pensare che la loro idea può piacere
a milioni di persone. Non a caso il “cuore” della mia azienda si trova nella stanza di fronte al
mio ufficio, dove un’equipe di ragazzi affamati e incoscienti crea ed elabora contenuti che poi
hanno fatto la storia della nostra società. Tutto nasce da lì. Da quei valori che io ho sempre
inculcato nella mente dei miei dipendenti: ottimismo della volontà, arroganza costruttiva,
coraggio e sana incoscienza.
Un buon programma branded contemporaneo deve giustamente pretendere un format
originario, un vestito che tu fai su misura per il cliente e che si adatta perfettamente alle sue
esigenze”.
La Ercolani ha battuto molto su questo paragone affermando che: “La Stand By Me è come una
buona sartoria che cuce idee e sogni per i suoi clienti. I materiali che essa usa sono artigianalità
(filo) creatività (stoffa) coraggio e presunzione (accessori e bottoni). Una sartoria che sta
acquisendo fama in tutta Italia ma che nonostante si stia espandendo in più filiali mantiene
sempre una caratteristica del suo lavoro di stampo artigianale. Un imprinting di base dunque
genuino che fa dell’amore e della cura dei dettagli il suo ideale di fondo. Le caratteristiche
dell’abito fatto su misura per il modello (brand) devono sposare perfettamente con la cerimonia
per cui è stato creato (programma) e destare meraviglia agli occhi dei commensali (spettatori),
è per questo che viene creato e che i nostri clienti lo chiedono a noi”.
Alla domanda sullo spirito aziendale che c’è dentro la Stand By Me la Ercolani ha risposto in
questo modo: “Noi cerchiamo di creare un clima accogliente all’interno della società
riproducendo in grande scala (contiamo circa 300 dipendenti) il concetto base di una famiglia.
Attraverso questo clima di “caos creativo” riusciamo sempre a portare a casa i risultati con
programmi che hanno avuto un grande successo in Italia e non solo. La prerogativa di base è
quella di dare sempre una possibilità ai giovani che si mettono in gioco80per esprimere la loro
creatività. Fare impresa per me ha una fortissima valenza etica, io credo che la televisione sia
fatta di talento e di professionalità. Il nostro obbiettivo a medio-lungo termine deve essere
entrare nei meccanismi televisivi internazionali vendendo idee nostre all’estero ed invertendo il
trend contrario di questo periodo”.
Infine una domanda spontanea sorge sul motto della Stand By Me “We Tell Stories”:
80 Su questo tema della valorizzazione dei giovani posso testimoniare in prima persona
46
“Questo è quello che noi facciamo, uno dei motivi per cui ho creato questa società. Raccontare
storie originali, essere in grado di capire le esigenze dei nostri clienti e trasformarle in racconti
e formati capaci di emozionare e di coinvolgere il pubblico. Tutti i nostri programmi hanno un
qualcosa di originale e di nostro all’interno, un’idea o un’intuizione creativa da parte dei nostri
giovani che si è tramutata in un formato televisivo. Da quando abbiamo espanso i nostri orizzonti
anche al mercato della comunicazione dei brand e quindi del branded content and entertainment
molte aziende sono venute da noi con un’esigenza di trasmettere i loro valori e la loro mission
all’interno di un mercato televisivo che non le aveva mai viste prima d’ora protagoniste. Il
risultato? è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo creato formati televisivi molto apprezzati sia dal
brand che dal broadcaster che li ha trasmessi. Formati che hanno portato benefici a tutti e 3 gli
attori di questa filiera. Da “Chasing Paper” (in collaborazione con Fox e Sofidel) passando per
“Un viaggio da campioni” (con Mastercard e Mediaset) siamo stati in grado di raccontare i
valori del brand seguendo la nostra sana incoscienza e creatività.”
Il motto della Stand By Me, oltre ad evidenziare il fattore di creatività originale da parte
dell’azienda (come evidenziato qui sopra dal CEO Simona Ercolani), ci da lo spunto per chiarire
un fattore che è divenuto preponderante nel settore del branded content and entertainment, e di
cui la stessa società di produzione televisiva ne è un precursore in Italia: il Brand storytelling
(oppure BrandTelling).
Il brandtelling non è altro che il racconto attraverso un contenuto mediale di storie riguardanti il
valore di un brand per renderlo rilevante nel mercato di riferimento e al pubblico target di
riferimento. Tali storie possono riguardare l’azienda in sè, i suoi prodotti, l’innovazione del brand
o la vita di chi ci lavora per o dentro. Il punto essenziale di questa nuova logica di racconto è
costituito dal riuscire a connettere le persone ed il brand attraverso una storia che sia rilevante,
reale e ripetibile. Una storia dunque che sia chiara, comprensibile e facilmente assimilabile dai
clienti e che sappia rispettare determinate prerogative a lungo termine quali la prevedibilità, la
continuità della rappresentazione e la relazionalità81.
È quindi compito delle aziende in primis, e delle società di produzione televisive o centri media
poi, di mettere in piedi uno storytelling d’impresa adeguato alle esigenze di trasmissione dei
valori del brand. Un “corporate storytelling” che sia interno ed esterno all’azienda e che sappia
utilizzare a seconda dei casi gli strumenti di cui essa ha a disposizione nella creazione di valore.
Brand e società di produzione televisiva fungono allo stesso momento da story architect e story
holder nei confronti di un contenuto mediale, in un rapporto di co-creazione che ha come fine
ultimo la soddisfazione dello storylistener (consumatore-spettatore)82.
81 Giorgino F., Mazzù M.F., “BrandTelling”, Egea editore, Milano, 2018 82 Ibidem
47
L’azienda dunque, nella creazione di un contenuto brandizzato in linea con le nuove logiche di
entertainment, organizza un briefing preliminare con l’agenzia media o società di produzione
televisiva in cui spiega quali sono i valori della marca che devono essere raccontati attraverso il
formato branded e collabora in prima persona con questi enti per massimizzare a pieno il valore
del racconto.
Il terreno del branded entertainment è il più fertile per far sviluppare a pieno questo concetto di
brandtelling da parte dell’impresa. Per citare Daniel Bo (CEO del Branded Content Institute)
“bisogna far evolvere la marca sul piano simbolico e farle esprimere il suo punto di vista sul
mondo in modo tale che essa abbia la possibilità di far parte del patrimonio culturale collettivo”83.
Ovviamente tutto questo deve mantenere un presupposto di base: un buon brandtelling è definito
tale se l’impresa presa in considerazione riesce sempre a mantenere un’immagine interna ed
esterna in linea con i dettami della sua proposta di valore e mission. In altre parole se l’azienda
si comporta in modo eticamente sbagliato (se vi è cioè una forte discordanza tra l’immaginario
creato e comunicato attraverso un formato branded da parte della società di produzione tv e la
realtà dei fatti) si possono creare danni a volte irreversibili alla credibilità e all’immagine del
brand stesso che possono screditare non solo il business aziendale ma anche l’intero panorama
che lo circonda. Il concetto di “social responsability” va al di fuori delle regole pratiche del brand
storytelling ma è visto comunque come una “conditio sine qua non” nell’ottica di una
costruzione del brand purpose e della brand value. Quella di adottare una responsabilità sociale
all’interno delle proprie campagne marketing è una scelta libera dell’impresa che però deve
essere tramutata in fatti concreti in modo tale da non minacciare la credibilità del brand. Per
concludere è necessario dunque che attraverso l’utilizzo di un formato televisivo branded, con
all’interno un brandtelling adeguatamente strutturato grazie all’aiuto della società di produzione
tv o dell’agenzia media, si racconti un’immagine veritiera e non distorta o eccessivamente
ottimistica del brand e di tutto quello che rappresenta in modo tale da fidelizzare il consumatore
e aumentare il sentiment stesso verso il marchio.
Ma come fare a creare un branded content and entertainment televisivo adeguato? Quali sono
gli strumenti da utilizzare? Quali sono i passaggi da tenere in considerazione? Ed ancora quali
gli elementi interni di un formato televisivo che vanno salvaguardati?
Il compito di creare un nuovo formato televisivo, come forse non molti sanno, spetta a dei reparti
specifici all’interno di un’agenzia media o società di produzione televisiva formati da autori,
grafici e produttori che uniscono le loro menti per creare qualcosa di innovativo e vantaggioso
sia per l’azienda che per il broadcaster.
Tali reparti vengono chiamati format department. Durante la mia esperienza all’interno della
Stand By Me ho avuto la fortuna di lavorare all’interno di questo settore e sono venuto a
83 Daniel Bo, “Branded content Strategiquè: le contenu comme levier de creation de valeur” Brand Content Institute, (2018).
48
conoscenza delle numerose tecniche e procedimenti utilizzati per creare e produrre un contenuto
televisivo di qualità, branded o non branded.
A tal proposito mi sono fatto aiutare da un mio superiore Claudio Moretti84 (a capo del format
department della Stand By Me) per spiegare in maniera esaustiva tutti i passaggi e le procedure
di creazione di un formato televisivo a cui io stesso ho assistito.
Queste le sue parole:
“La parola programma è una parola vecchia, di stampo prettamente italiano e risalente ad un
gergo degli anni 80-90. Ormai si parla di formato.
All’interno del processo di creazione di un formato televisivo, brandizzato o non, bisogna
distinguere tre approcci di modus operandi diversi: la creazione di un formato originale, la
creazione di un formato originale seguendo il brief di un’azienda che vuole dare un imprinting
definito al programma, oppure il riadattamento in chiave nazionale di un formato già esistente
su scala internazionale. Per quanto riguarda il processo di creazione originale il procedimento
è semplice: noi (inteso come format Stand by Me) possiamo interessarci ad un particolare tema
o genere di programma (ad es: factual, dating, quiz show etc.) e da lì cominciamo a buttare giù
insieme al nostro team creativo delle idee su quella determinata lunghezza d’onda. Una volta
strutturata un’idea valida e forte si decide di svilupparla in automatico senza quindi nessun
imprinting iniziale da parte di un canale o un’azienda nello specifico. Si cerca di trasformare
un’idea di programma in un format vero e proprio dotato di una struttura solida85.
Tale imprinting invece viene cercato da noi nella seconda modalità di creazione di un format
televisivo. Le aziende creative infatti ogni lasso di tempo si recano dai broadcater principali
nazionali e dalle più importanti aziende attive nel ramo del branded entertainment a chiedere
dei brief” -Ma cosa sono questi brief?- “Sostanzialmente per brief intendiamo idee specifiche e
linee guida che l’azienda o la rete ci trasmettono su dei tipi di programmi che vogliono portare
avanti a seconda del target di pubblico che vogliono raggiungere, la fascia oraria in cui vogliono
posizionare il programma all’interno del palinsesto (daytime, access, prime time, seconda
serata) e i valori che vogliono trasmettere all’interno del formato (nel caso dei Brand).Ricevuto
il brief dalle società sta a noi del laboratorio creativo creare un formato televisivo che rispetti a
pieno la mission ed i keypoints dati. La terza via invece è il riadattamento in chiave italiana di
un formato televisivo già esistente nel mondo. Ogni formato televisivo infatti contiene al suo
interno delle caratteristiche di base fisse che gli danno la possibilità di poter essere riadattato.
Questo ti permette di poter rielaborare dei formati creati in Israele, Cina, Croazia o Argentina
84 Claudio Moretti, assieme a Simona Ercolani, è stati l’ideatore del programma televisivo “Sfide” andato in onda anni fa sulla Rai ed incentrato su alcune storie di vita di personaggi legati al mondo dello sport. Questo programma, a detta di molti tra i più giornalisti italiani, è stato il primo tentativo ben riuscito di apportare lo storytelling sportivo all’interno di un formato televisivo 85 Di solito la struttura di un programma prevede un Intro iniziale dove si spiega perché è venuta questa idea in relazione al conteso sociale di riferimento, poi vi è una fase dove viene spiegato il concept del programma, una in cui vengono descritti gli elementi distintivi (Host, regole, ambientazioni, effetti scenici) e la parte finale del budget di produzione e del timing
49
in chiave specificatamente nazionale, prendendo quel programma e dandogli una sfumatura o
un gusto prettamente italiano. Tale “tocco” nazionale lo si evince da: scelta del casting, scelta
del’host, scelta delle prove da svolgere (se si tratta di un game-show), nella scelta delle storie
(se si tratta di un’emotional) etc. Tutto questo non va quindi ad intaccare la struttura di base del
programma che rimane sempre la stessa86. I formati di oggi sono quindi altamente specifici e
specializzati e queste due loro caratteristiche gli permettono di poter essere riadattabili in tutto
il mondo e quindi riproducibili in maniera ottimale”
Ma in un laboratorio creativo come quello della Stand By Me oltre ai formati creati in prima
persona dai ragazzi arrivano periodicamente delle proposte di format tv dall’esterno che loro
sono tenuti a valutare per capire se possono essere valide o potenzialmente riadattabili.
Ma come fare a distinguere un formato televisivo di qualità da uno non degno di questo nome?
“Molte volte un’idea non è un programma” spiega Claudio “la maggior parte delle persone pensa
che basti un’idea per fare un programma. L’idea è importante, quello è fuori di dubbio, ma non
basta. Ad esempio se io faccio il geometra e penso sia bello un programma su questo mestiere
non è detto che se l’idea piaccia a me sia un’idea vincente. Il mio gusto non è quello del
pensionato milanese o del ricercatore di Torino. Prima di scrivere un programma devi studiare
il terreno dove poi lo andrai a posizionare. Capire cioè a che target vuoi puntare, a che fascia
oraria lo vuoi posizionare, quali sono le caratteristiche in termini di consumi mediali dello
spettatore, cosa vedono solitamente, e anche qual è la filosofia del canale in cui posizionerai il
prodotto mediale. Osservare dunque i trend del mercato televisivo di riferimento è essenziale per
la creazione di un buon contenuto. Quindi la differenza tra una semplice idea e un formato vero
e proprio è enorme. Questa differenza è data da quei paletti di struttura del contenuto di cui ho
parlato in precedenza. Tali paletti non sono altro che elementi di base che distinguono il tuo
programma da altri simili al tuo facenti parte del tuo stesso orientamento strutturale. Elementi
che ti distinguono dagli altri formati e che danno un imprinting forte al programma. Nella
scrittura di un format più paletti metti, più criteri ed indicazioni specifiche metti e più sei
originale ed intaccabile. Questi paletti sono di varia natura e anche se alle volte sono quasi
impercettibili servono a distinguere nettamente un contenuto da un altro. Le regole del gioco, il
numero di partecipanti (se si tratta di un game), la scelta del conduttore, l’allestimento scenico,
le musiche, il timing, ed addirittura il modo di posizionare le luci durante la diretta87, tutti questi
sono elementi strutturali imprescindibili che distinguono un programma da un altro nella mente
del consumatore-spettatore e vengono allegati al formato nella cosiddetta “Bibbia”. Ogni
programma infatti nella sua messa in onda segue la sua “format bible”: un documento in cui
sono presenti tutti i dettagli ed elementi strutturali che gli autori e i produttori del programma
86 Esempi pratici li possiamo riscontrare in format di successo come “Il grande fratello”, “chi vuol esser milionario”, “x factor” etc. 87 Un esempio di questo tipo lo possiamo trovare nella bibbia del format del vecchio “Chi vuol essere miliardario” in cui veniva spiegato addirittura come dovevano essere disposte le luci e le camere e come deve essere il tono del presentatore durante le riprese
50
devono apportare necessariamente all’interno dello stesso. Oltre agli elementi citati in
precedenza bisogna fare una menzione a parte riguardo il discorso inerente al budget del
programma.
All’interno del budget l’azienda, il broadcaster, e la società di produzione tv o centro media
fissano dei paletti di spesa dei vari elementi interni ed esterni al progetto. Il costo dei macchinari
da scena, del conduttore, dello studio, dei registi ed autori, delle varie campagna di promozione
prima durante e dopo la messa in onda etc. Tutto questo veniva allocato nella sezione budget del
“format bible” e serviva a far capire le reali intenzioni da parte sia dell’impresa che del
broadcaster riguardo la portata generale del programma. Ovviamente più il budget era alto e
più il programma era ricco al livello quali-quantitativo (es: scelta di un conduttore famoso, girati
in esterna, montepremi più alto etc.)”.
Dunque sono questi in linea generale i vari processi e i vari elementi necessari per la creazione
di un formato televisivo originale e di qualità, sia branded che non.
Il mercato dei format è diventato inoltre, in questi ultimi anni, molto proficuo anche grazie allo
sviluppo del branded content and entertainment e del content marketing in generale che hanno
attirato un forte interesse soprattutto delle imprese. Molte aziende, società di produzione tv e
broadcaster partecipano infatti ogni anno a fiere ed eventi del settore, come quella che si svolge
a Cannes (MIPTV88), per comprare, vendere co-produrre e finanziare contenuti d’intrattenimento
ritenuti di qualità.
Per quanto riguarda, inoltre, il riadattamento di formati internazionali esistono delle piattaforme
multimediali specifiche che le agenzie creative e le società di produzione televisiva utilizzano
per osservare il panorama mediatico e televisivo che le circonda andando a scoprire i programmi
di tendenza nel mondo, le novità più interessanti tra i nuovi formati mediali e i programmi più
riusciti all’interno di alcuni generi specifici (factual, dating, quiz-show etc.).
Queste piattaforme sono delle vere e proprie “enciclopedie del format tv” che attraverso ricerche
specifiche in base ai vari filtri utilizzabili (orario di messa in onda, piattaforma in cui viene messo
in onda il format, durata del format, provenienza geografica, scelta di un broadcaster specifico
etc.) ti indirizzano a programmi vicini al tuo orientamento e che puoi quindi riadattare89.
Un tema ribadito fortemente nelle mie interviste all’interno della Stand By Me, sia dalla Ercolani
che da Claudio Moretti, riguarda questo tentativo da parte delle società di produzione televisive
italiane di andare in controtendenza rispetto al passato nel processo di creazione di un format
televisivo. In breve ci sono delle case di produzione televisiva italiane che stanno iniziando a
vendere con successo contenuti originali all’estero piuttosto che importarli già fatti per poi
88 Il MIPTV (Mercato Internazionale dei Programmi Televisivi) è un evento nato nel 1964 che si svolge ogni aprile a Cannes. Consiste in un mercato che tratta la co-produzione, l'acquisto, la vendita, il finanziamento e la distribuzione di contenuti d'intrattenimento, dove industrie broadcaster e società di produzione tv possono scoprire, tramite delle conferenze specifiche tenute da altri membri del congresso, le tendenze future e comprare i diritti commerciali di un prodotto a livello globale 89 Le piattaforme più utilizzate sono TheWitt e All3media
51
riadattarli in chiave nazionale. Questo elemento è di straordinaria importanza poiché sottolinea
quella che Simona Ercolani definiva “l’arroganza del coraggio” di mettere in mostra contenuti
originali e nuovi che vanno al di là di un’idea già creata da altri. Un esempio su questo filone può
essere dato dal format creato dalla casa di produzione “Magnolia” dal titolo “Undressed”.
Un’idea semplice ma altamente formattizzata che è stata venduta in oltre 15 Stati.
Le idee semplici e ben strutturate sono sempre le più vendute d’altronde.
Andando infine più nello specifico dell’intervista mi sono soffermato con Moretti sul tema
sempre più attuale del format tv branded chiedendogli se ci fossero (ed eventualmente quali
fossero) delle differenze nel processo di creazione di un formato televisivo branded rispetto ad
un formato televisivo normale.
Queste le sue parole:
“La differenza sostanziale tra un programma tv normale ed un branded content sta nell’aggiunta
all’interno del secondo di un elemento nuovo e imprescindibile che l’azienda pretende in forma
tassativa: il sentiment.
Incanalare il sentiment del brand, la sua value proposition e la sua mission all’interno di un
programma è il punto di maggiore importanza all’interno del processo di creazione di un
branded content and entertainment televisivo. A questo proposito quando l’azienda collabora
con noi per un progetto branded organizza ripetuti brief inziali dove cerca di spiegarci in
maniera dettagliata ciò che vuole trasmettere ed ogni nostro sviluppo del formato deve sempre
passare dall’approvazione del brand stesso. È cambiato dunque il modo di collaborare con un
marchio in ambito televisivo. Ora il brand è a tutti gli effetti editore di contenuti, partecipa
attivamente al processo di creazione e pretende che lo storytelling d’impresa sia trasmesso nella
maniera migliore possibile all’interno del formato televisivo branded. Come è cambiato il suo
ruolo è cambiato anche il suo modo di manifestarsi all’interno di un programma. Mentre anni
fa, con le logiche del product placement, il prodotto all’interno di un formato televisivo veniva
mostrato direttamente a fini commerciali ed il brand non aveva nessuna voce in capitolo nella
scelta e produzione di contenuti (apparendo in maniera inequivocabile e ad intervalli scaglionati
all’interno della programmazione) adesso la sua logica è cambiata. Ora si racconta il sentiment
del brand senza mai mostrarlo. Tu ti accorgi che il prodotto televisivo è brandizzato solo alla
fine del programma. Inoltre spesso e volentieri i temi trattati dal formato televisivo sono poco
riconducibili alle caratteristiche tecniche del brand (es: Redbull e lo sport) ma vogliono
raccontare invece i valori di cui il brand si fa portatore e che lo identificano positivamente nella
mente del consumatore.
Noi a Stand By Me raccontiamo “storie di brand” che incarnino tutte le emozioni di cui si fa
portatrice l’azienda stessa senza cadere nel mero racconto di sponsorizzazione. Questa è la
nostra più grande sfida: seguire e rappresentare il sentiment del brand senza cadere nel banale.”
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Attraverso queste due interviste di stampo qualitativo ho dunque descritto quelle che sono le
caratteristiche principali e la vision aziendale della Stand By Me, evidenziando il modo in cui
viene strutturata la sua mission interna e il suo stile di approcciarsi al mercato della produzione
e della distribuzione di contenuti televisivi. Il ruolo di una società di produzione televisiva è però
duplice. In questa prima parte del capitolo abbiamo analizzato al livello tecnico la nascita di un
programma televisivo branded (come viene sviluppato e quali sono i suoi elementi principali).
Abbiamo visto, attraverso le parole del CEO (Simona Ercolani), quali debbono essere i
prerequisiti per una buona attività di produzione e distribuzione di contenuti e ci siamo soffermati
sulla necessità sempre più crescente di creare un rapporto diretto di co-creazione con azienda e
broadcaster in una logica di branded entertainment del tutto nuova e rivoluzionaria. Ora il
secondo passaggio sarà quello di constatare al livello pratico quali sono i rapporti di
collaborazione commerciale tra brand, società di produzione tv e broadcaster che portano alla
nascita e all’ideazione di un formato televisivo branded. Più nello specifico capire qual è il peso
del ruolo della società di produzione tv in questo rapporto e constatare come effettivamente essa
faccia da mediatore tra brand ed emittente. Inoltre, essendo il brand novizio in questo nuovo
scenario legato al mondo della televisione, sarà interessante capire come esso si muoverà
all’interno dello stesso e che rapporti instaurerà con gli altri due protagonisti della filiera
produttiva. Tutti questi elementi saranno trattati nel paragrafo successivo.
2.2 L’intreccio tra “brand – società di produzione televisiva — broadcaster”
Prima di creare un formato televisivo branded content bisogna creare i presupposti perché tale
programma possa vedere la luce. Instaurare cioè rapporti commerciali solidi tra i principali attori
della filiera produttiva con lo scopo finale di creare un prodotto mediale che rispecchi i
prerequisiti e le volontà di ogni attore in gioco.
L’intreccio tra Brand, società di produzione tv e broadcaster per la ideazione e la creazione di un
formato televisivo branded content può avvenire in diversi modi con questi tre protagonisti che,
a seconda dei casi, possono avere un ruolo ed un peso diverso all’interno di tale scenario.
Per chiarire meglio i vari iter produttivi mi sono messo in contatto con la responsabile branding
della nostra società, che opera a Milano, e che mantiene i rapporti con i vari brand internazionali
che si sono affacciati al mondo del content90. Come detto in precedenza, infatti, le maggiori
società di produzioni televisive al livello nazionale, avendo capito l’importanza di sfruttare
90 Tra questi possiamo citare alcuni dei marchi che con la Stand By Me hanno collaborato per dei progetti di branded content televisivo e di cui parlerò più nello specifico nel terzo capitolo quando porterò ad esempio tali programmi analizzando il loro successo in maniera quali-quantitativa. Tra questi Mastercard con il format “Un viaggio da campioni”, Sofidel con “Chasing Paper” e Redbull con “Zaytzev: lo zar della pallavolo”
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questo fenomeno del branded content and entertainment televisivo, hanno creato al loro interno
dei veri e propri dipartimenti legati al branded content e alla brand solution per avere più stretti
rapporti con i marchi e allacciare con loro collaborazioni di vario genere. Inoltre la stessa Stand
By Me ha recentemente siglato un accordo di collaborazione con l’OBE per monitorare meglio
il fenomeno del branded entertainment e cercare di sfruttare a pieno le sue potenzialità.
È doveroso precisare, prima di spiegare bene tutti vari iter, che oltre agli attori principali della
filiera produttiva vanno aggiunti altri due “affiliati” del broadcaster e del Brand che possono
svolgere anch’essi un ruolo importante in tale processo e che sono rispettivamente le
Concessionarie ed i Centri Media.
Dunque quali sono le varie vie da percorrere per la società di produzione tv nella creazione di
un formato televisivo branded content? Quali sono gli elementi importanti da tener conto in
questo intreccio tra brand, broadcaster e società di produzione tv? Come si sono evoluti tali
rapporti?
Cercherò di rispondere a queste domande avvalendomi dell’aiuto della Brand Director and
Business Developer presso la Stand By Me, Marta Imbrianti. Attraverso questo studio inoltre mi
avvarrò di esempi pratici inerenti a programmi tv branded content portati avanti dalla Stand By
Me che hanno seguito i vari iter produttivi che andrò ad elencare anticipando un discorso più
specifico che farò su quei programmi all’interno del terzo capitolo.
Passiamo dunque ad analizzare l’intero processo.
Possiamo distinguere 3 tipi principali di iter produttivi all’interno di questa filiera che seguono
percorsi diversi ma che hanno una struttura organizzativa interna molto simile. Questi iter sono
stati sintetizzati in questo modo: "Iter optimum”, “confronto Centro Media- società di produzione
televisiva” e la nuova frontiera del B.C.& E. “la co-creazione brand- società di produzione tv”.
A) “Iter Optimum”. All’interno di questo processo di Branded Content and Entertainment il
broadcaster (editore) chiama la società di produzione televisiva per lavorare su un formato
creativo ad hoc (di stampo originale o adattato a dei format internazionali) perché un
determinato Brand ha fatto richiesta per un programma branded content passando per la
Concessionaria del broadcaster. Dunque in questo caso l’emittente contatta in prima persona
la società di produzione tv e chiede sulla base di un brief uno sviluppo creativo del progetto,
un piano di fattibilità ed una stima di budget. Una volta avuti indietro questi documenti da
parte della casa di produzione tv il progetto viene visionato dal brand che, a seconda de casi
e delle sue necessità, può apportare dei fine tuning91 e poi eventualmente approvarlo
attraverso un “timbro” che fa partire il processo di sviluppo vero e proprio del formato. Per
sviluppo si intende in sintesi la stesura da parte della società di produzione televisiva di una
91 I fine Tuning non sono altro che dei “ritocchi” fatti dal Brand al formato tv per renderlo più in linea con la sua idea editoriale
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scalettatura e di un trattamento che servono a far capire al brand in che modo si parla di esso
e in che modo si stanno trasmettendo i suoi valori attraverso lo stroytelling. Dopo lo sviluppo
può partire, sempre con l’avallo dell’azienda, la fase della pre-produzione e della produzione
vera e propria. Una cosa importantissima che va esplicitata è che il brand viene fortemente
ingaggiato in tutte le fasi di progettazione e pre-produzione seguendo la logica tipica del
branded entertainment della marca che si fa editore in prima persona dei contenuti che vuole
tramettere. Niente viene trasmesso se non in linea con la value proposition del brand. È
praticamente come se, una volta che parte il progetto di un formato televisivo branded
content, la società di produzione televisiva avesse due editori (broadcaster e brand). Un
lavoro questo che viene svolto a ben 6 mani92. Di solito dunque è il broadcaster a chiamare
direttamente una società di produzione televisiva per commissionargli un progetto di branded
content per un marchio specifico. Ma non avviene sempre in questo modo. Alle volte infatti
questo iter può presentare una “formula di gara” al suo interno tra diverse società di
produzione televisiva che vengono contattate dal broacaster (in correlazione con il brand) e
che presentano vari progetti creativi relativi al formato branded da sviluppare. Tra questi
progetti sarà poi il brand a selezionare quello che “matcha” di più con la sua value proposition
e la mission che si vuole apportare a quel contenuto. Come però ci spiega Marta Imbrianti
“Non è solo la creatività del progetto a renderlo il più appetibile da un brand e da un
broadcaster. Un’importanza notevole nella fase di scelta la acquisisce anche la stima di
budget. Per stima di budget si intende non solo il costo di produzione allocato, ma soprattutto
il costo Media. Il contenuto da solo infatti non basta al brand che deve poter contare su una
spinta dello stesso nella maniera più ottimale possibile all’interno del palinsesto
(distribuzione Media) per poter in questo modo raggiungere un’audience di spettatori-
consumatori il più possibile elevata o un livello di kpi alto se parliamo di digital93. Ad
esempio nel caso del programma Tv “Chasing Paper”, portato avanti dalla Stand By Me in
collaborazione con Discovery ed il marchio di carta Sofidel, vi era un budget di produzione
che copriva i costi di messa in onda al livello nazionale ed un budget di distribuzione Media
che doveva coprire l’intera distribuzione del formato sia sull’Italia che su altri 5 paesi”. Il
costo del budget Media è spesso molto elevato e grava pesantemente sul processo di
produzione di un formato nonostante, a detta di molti esperti del settore, sia definito ormai
arcaico e inutile. La via per eliminarlo ci sarebbe. Basterebbe che le società di produzione
92 Gergo tecnico in uso nel mondo della produzione televisiva per specificare che sono 3 gli attori principali a lavorare su un determinato progetto (in questo caso brand, società di produzione Tv e broadcaster) 93 Al livello di fruizione digitale di contenuti di intrattenimento branded l’OBE ha differenziato 3 tipi di Key Perfomance Indicator : quelli relativi al brand (Uniqueness, Good Presence del brand al’interno del formato, livello coerenza con il brand, capacità di aumentare la familiarity del brand, capacità di migliorare la brand image) quelli relativi ai contenuti ( Livello di gradimento, Relevance, Catching, stucking e WOM ability) ed infine quelli relativi alla struttura del video (Attori, musica, storia, durata e ambientazione). Fonte OBE 2018
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televisiva riuscissero a creare contenuti talmente validi dal punto di vista editoriale e che
siano appoggiate da brand molto lungimiranti e ben avviati in questo nuovo scenario del
branded entertainment in modo tale da convincere il broadcaster a puntare sul prodotto e a
non far pagare i costi della distribuzione media. Questo scenario non è del tutto irrealizzabile
e ci sono già stati dei tentativi di avvicinamento ad un approccio di questo tipo94.
B) “Confronto Centro Media- Società di produzione televisiva”. In questo secondo scenario
i rapporti tra i vari attori cambiano. È infatti il centro Media del brand in considerazione a
chiamare una società di produzione televisiva per chiedergli una proposta di formato
televisivo branded content da poter poi formulare all’azienda. In questo caso sono questi due
attori (centro Media e Società di produzione tv) che collaborano strettamente tra di loro,
formulando varie ipotesi di programma e cercando insieme di capire su quale piattaforma
broadcasting sarebbe più opportuno muoversi. La scelta del broadcaster giusto in questo caso
è fondamentale nel processo di approvazione da parte del brand di un formato televisivo
branded content. Ogni piattaforma trasmette dei valori diversi al consumatore-spettatore
seguendo una sua specifica linea editoriale. Ci sono canali più idonei a contenuti sportivi,
altri più vicini al femminile, altri ancora di puro divertimento etc. Un format branded content
deve sapersi inserire nel canale giusto. Il brand, per citare la Ercolani, deve “indossare l’abito
giusto e adatto alla festa a cui sta andando”. Sbagliare il terreno in cui deve essere trasmesso
un prodotto tv brandizzato equivale sostanzialmente ad una mancanza di attenzione che ha la
società di produzione tv nel non aver capito a pieno i valori specifici del brand, oppure una
mancata capacità da parte dei centri Media di trasmetterli nella dovuta maniera. Questo
secondo iter di sviluppo di un programma tv branded content è, per citare le parole della
Brand Director Marta Imbrianti, “il più lungo e il meno sicuro. Nel senso che può capitare
che, dopo molti interscambi di vedute e modifiche del progetto, il prodotto non veda mai la
luce. Questo perché ne brand né broadcaster sono inizialmente a conoscenza del tutto. E un
processo che parte da un’iniziativa personale del centro Media e che solo in un secondo
momento viene presentato a questi due attori. Ci sono possibilità che il progetto si areni
prima o che vada in porto, oppure che venga poi presentato un altro progetto da parte di
un’altra società di produzione televisiva che magari incarna maggiormente i valori e la
mission del brand”. È dunque un percorso lungo e tortuoso ma che, una volta superato con
successo, raggiunge numeri e risultati molto importanti. Infatti il progetto che ne uscirà fuori
presenterà un livello di engagement tale da parte di tutti gli attori della filiera che permetterà
al brand far fuoriuscire in maniera ottimale i suoi valori attraverso un brandtelling di qualità.
94 Tentativi come quello portato avanti da Redbull e Stand By Me di cui parlerò nello specifico in un secondo momento
56
C) La “nuova frontiera” del B.C.&E: La co-creazione brand-società di produzione tv.
Con il passare degli anni e con lo sviluppo e la crescita delle dinamiche di relazione
all’interno del processo di creazione di un formato televisivo branded content (che come
spiegato durante tutto l’arco della tesi vanta un discorso sempre in divenire e di modifiche
continue in tutti i suoi aspetti) anche il rapporto tra brand e società di produzione televisiva
sta cambiando. Fino a poco tempo fa, infatti, il rapporto di co-produzione vero e proprio
spettava al brand ed al broadcaster con la società di produzione televisiva che svolgeva il
ruolo, importante quanto delicato, di intermediazione tra le parti e di fornitore di contenuti
creativi che servivano alla logica di brandtelling del marchio. Queste funzioni ovviamente
sono rimaste all’interno della casa di produzione televisiva. Però l’elemento nuovo che si va
formando in questo periodo, e che evidenzia un cambiamento epocale nelle dinamiche di
rapporti di potere all’interno di questo processo di produzione, sta nel fatto che i brand stanno
decidendo di collaborare in un rapporto pair-to-pair con le società di produzione televisiva
con lo scopo finale di creare un prodotto che non abbia più al suo interno le dinamiche
standard del branded content classico ma che sia solamente “content”.
Un’evoluzione finale sia del brand, che diventa editore in prima persona di contenuti mediali,
sia della casa di produzione televisiva che acquisisce un’importanza nuova e un nuovo potere
all’interno dei processi di produzione. In questa ottica potrebbe delinearsi lo scenario secondo
cui gli stessi costi di distribuzione Media, di cui si parlava in precedenza, possono essere
azzerati da un valore nuovo e di qualità di un formato televisivo con un alto contenuto che
quindi possa convincere il broadcaster ad eliminarli. Dunque, tornando al processo di
produzione, la trattativa con il broadcaster per la messa in onda del programma non la fa più
la società di produzione televisiva ma il brand stesso. Esso infatti sceglie in prima persona il
canale dove andare a posizionare il format tv a seconda della migliore proposta di
distribuzione che gli viene recepita da uno specifico broadcaster. È quindi da qui che si evince
come stiamo andando incontro ad un’altra rivoluzione copernicana con il brand che ora
mantiene le redini del gioco e con il broadcaster che si trova in una posizione meno
privilegiata. Un esempio perfetto di questa rivoluzione finale del format televisivo da
“branded content” a “content” è dato dal programma tv co-prodotto da RedBull e da Stand
By Me dal titolo “Ivan zaytzev: lo zar della pallavolo” andato in onda su Italia 1. All’interno
del format questi due attori hanno collaborato a stretto contatto per creare insieme un
programma con un contenuto valoriale elevato che seguisse le prerogative della Redbull in
tema di contenuti e di valori da trasmettere. Questo format, di livello internazionale, è stato
un unicum nel suo genere proprio perché ha evidenziato questo nuovo modo di collaborare
57
tra brand e società di produzione televisiva. Un brand che ormai è diventato al 100% editore
e che ha fatto strada dagli albori del product placement.
Questi sono dunque sostanzialmente i tre iter produttivi utilizzati dai principali attori del
mercato per produrre contenuti televisivi branded content. Come abbiamo visto l’evoluzione
dei rapporti di potere tra brand e broadcaster ha portato ad una concezione sempre più forte
del brand come “editore di sè stesso” e ha modificato l’operato stesso della società di
produzione televisiva che è passata da semplice intermediaria a vera e propria protagonista
delle dinamiche di produzione di un B.C.&E.
Il fenomeno del branded content and entertainment inoltre, come sappiamo, non ha solo luogo
all’interno di una piattaforma televisiva. Infatti, a seguito dell’avvento del digitale, il web e
tutto il mondo digital sono stati anch’essi molto sfruttati per lo sviluppo di campagne di
contenuti branded. Molte campagne digital portate avanti da alcuni brand hanno riscontrato
un grande successo anche grazie all’interattività e alla crossmedialità presente e sfruttabile
attraverso internet. L’esperienza del consumatore, infatti, sulle piattaforme digitali e social è
omnipervasiva. È come se lo spettatore sia immerso in un mondo virtuale ad hoc che tramette
i valori del brand in modo interattivo, aumentando il suo engagement da parte del
consumatore.
Le società di produzione televisiva come la Stand By Me sono molto attive anche nel ramo
del digital branded content and entertainment con lo scopo finale (per citare la Brand
Director della società) di “creare un contenuto di valore per il brand attraverso le
piattaforme digital, far crescere questo contenuto attraverso l’innalzamento di determinati
kpi, e poi apportarlo in un secondo momento al mondo televisivo seguendo una logica
transmediale”.
2.2.1 Processo di produzione di un formato branded content digitale e possibili
sbocchi sul mercato televisivo
Il processo di produzione di un formato branded content appartenente alla sfera del digital è
piuttosto lineare. Gli attori in gioco sono soltanto il brand e la società di produzione televisiva
(ovviamente il broadcaster almeno in questa fase non è presente). Il brand contatta dunque la
casa di produzione per cercare di creare un contenuto digitale che possa apportare alla marca una
logica forte di storytelling editoriale e che sappia quindi trasmettere quei valori fondamentali del
brand attraverso un contenuto interattivo e crossmediale. Da lì la società di produzione televisiva
e il brand cominciano a creare una video-strategy del contenuto. All’interno di questa video
strategy però bisogna seguire determinate regole per far si che il prodotto sia recepito nella giusta
58
maniera dal consumatore-spettatore. Su questo argomento l’OBE ha formulato una ricerca in
grado di stabilire dei parametri di efficacia di una buona strategia di videobranding.
Le persone quando vedono un contenuto video vogliono emozionarsi, divertirsi, apprendere
nuove competenze e ampliare le loro conoscenze. Una buona campagna di branded content deve
mirare a questo e deve farlo trasmettendo nello stesso tempo i valori del brand. Una sfida difficile
ma importante. Inoltre la valutazione dell’efficacia di un video è data dalla misurazione dei suoi
kpi (key performance indicator) di maggiore impatto relativi al contenuto, al brand e alle
caratteristiche del video stesse95. Ogni singolo kpi ha un impatto diverso nella mente del
consumatore in termini di brand consideration all’interno di un contenuto digitale. Secondo delle
ricerche OBE (2018)96 ci sono dei kpi che impattano maggiormente sulla brand consideration
rispetto ad altri.
Per quanto riguarda le caratteristiche del video è uscito fuori che senza dubbio la storia, intesa
come racconto dei valori che il brand vuole trasmettere attraverso uno storytelling puntuale e ben
strutturato, è il kpi da tener in maggiore considerazione per il suo forte impatto sulla brand
consideration. Oltre alla storia ovviamente sono importanti la durata del racconto e l’utilizzo di
un sottofondo musicale idoneo al racconto stesso.
Il contenuto invece per essere maggiormente profittevole per il brand deve necessariamente
generare un positivo WOM. La correlazione tra WOM ability e brand consideration è il primo
passo per sviluppare una giusta advocacy sul brand. Oltre a generare consenso il contenuto
mediale deve essere rilevante in tutti i suoi aspetti, deve cioè generare interesse nei confronti del
cliente toccando temi che sono vicini al suo point of view. Inoltre, come abbiamo visto nel
branded content applicato ai formati televisivi, anche qui la strategia di branded content deve
essere a medio lungo periodo e quindi generare una continuità di contenuti che è essenziale anche
agli occhi del fruitore. Tale continuità è accentuata dalla crossmedialità del web e da una
customer esperience che deve essere pervasiva per il cliente.
Infine per quanto riguarda i kpi relativi al brand nello specifico è di fondamentale importanza
lavorare sulla brand equity e cioè agire sulla intention to buy. Per fare questo è necessario
sorprendere lo spettatore con un racconto che regali emozioni e che lo porti a scoprire cose nuove
in una logica coerente con la sua visione delle cose. A questo proposito è opportuno lavorare
sulla capacità di migliorare sempre di più la brand image, sulla capacità di aumentare la
familiarity con il brand e sull’importanza di mantenere una coerenza di base tra il racconto e le
caratteristiche valoriali del marchio.
95 Cfr, nota n.93 pg. 54 96 Tale ricerca è stata fatta dall’Osservatorio del Branded Entertainment su un range di 61 video diversi di campagne branded content divisi in 8 categorie (corti e short film, web series, comedy sketch, docu factual/series, scripted show, vox pop/experiment, tutorial, music video) e sottoposti ad un campione di 3.000 persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni
59
Di seguito i risultati quali-quantitativi dell’OBE sui kpi considerati di maggiore impatto da parte
dei consumatori nelle tre macro-categorie di brand, contenuto e caratteristiche del video:
(fonte OBE 2018 su campione di 3.000 rispondenti)
Dunque, per sintetizzare, più la video-strategy messa in atto da brand e società di produzione
televisiva è efficace (al livello di brandtelling, al livello di possibilità di generare condivisioni e
al livello di aumento della rilevanza del brand) e più è possibile che tale strategia diventi
transmediale e trasferisca il suo contenuto all’interno del mercato televisivo. Un esempio pratico,
e ancora in divenire, può essere riscontrato anche all’interno della Stand By Me. La società di
produzione televisiva della Ercolani ha infatti portato avanti diversi progetti, alcuni recentissimi,
sul branded content and entertainment applicato al mondo del digital. Tra questi possiamo citare
il progetto messo in piedi con ENI e quello progettato in queste ultime settimane di luglio in
collaborazione con il brand Lavazza.
60
Il brand del caffè insieme alla Stand By Me sta portando avanti un’iniziativa di branded content
digital legata al tema della sostenibilità dell’ambiente. Una serie di 20 videoclip in giro per il
mondo dove non si parlerà affatto del caffè, ma di natura ed eco-sostenibilità con il racconto e le
testimonianze di artisti e fotoreporter legati strettamente a questo tema. Un racconto sui valori
della natura e del rispetto dell’ambiente che forse avrà la possibilità, se ci sono i presupposti, di
diventare uno speciale tv o un documentario su ciò che c’è di buono sulla terra.
Per citare nuovamente il Brand Director and Business Developer presso la Stand By Me: “La
missione del branded content per il futuro è proprio questa. Non bisogna raccontare solamente
storie di marca, ma bisogna raccontare storie, con la marca che si fa portavoce delle stesse e
dei valori che esse trasmettono. Creare dunque un contenuto strategico, efficace ma soprattutto
di valore. I branded content fini a sé stessi stanno lasciando il posto a prodotti in cui si cerca di
far si che il contenuto sia un vero contenuto. Un racconto di valori umani prima che di marca
attraverso l’utilizzo di strumenti creativi e interattivi che coinvolgano il consumatore attivo e
aumentino la sua experience. Questo distingue una buona strategia di branded content and
entertainment”.
Abbiamo visto, dunque, all’interno di questi due capitoli come il rapporto tra brand e contenuto
mediale sia cambiato negli anni. Come anche grazie all’avvento del digitale e di nuovi strumenti
di comunicazione si sia giunti ad un esperienza di fruizione di contenuti omnichannel e
transmediale che ha cambiato non solo la televisione in quanto tale ( passaggio al concetto di tv
convergente o liquida) ma anche il modo che hanno gli spettatori di relazionarsi ad essa e di
esserne sempre più padroni (passaggio da concetto di consumatore passivo a consum-attore in
grado di produrre esso stesso contenuti mediali user generated). I brand stessi collaborano, come
abbiamo avuto modo di vedere, con i propri consumatori attraverso più strumenti di
comunicazione social e digital “antropomorfizzandosi” e mantenendo rapporti di tipo
orizzontale. In questo modo viene migliorata la percezione del brand da parte del consumatore
che crea un legame personale con la marca. Assistiamo dunque ad un approccio di “cultural
jacking” da parte dell’azienda che attraverso il digitale si attualizza e modernizza per restare al
passo con i tempi e le aspettative del pubblico target97.
Il brand, come il pubblico, ha seguito lo stesso tipo di cambiamento nel suo rapporto con i
contenuti televisivi. Nata come una collaborazione meramente commerciale dettata da una
subordinazione totale nei confronti di chi gestiva il contenuto televisivo trasmesso (product
placement), la relazione tra brand e broadcaster si è andata a modificare gradualmente negli anni.
Il brand ha cominciato ad acquisire un potere diverso nei confronti del broadcaster, capendo che
l’obbiettivo finale doveva essere la possibilità di poter creare esso stesso dei contenuti televisivi
che gli permettessero di trasmettere realmente i valori del suo marchio. Il mero product placement
97 Giorgino F., Mazzù M.F., “BrandTelling”, Egea editore, Milano (2018)
61
ormai non incantava più il pubblico che, come il brand, voleva essere padrone delle sue azioni e
del suo destino. Da questo contesto si è sviluppato il concetto di branded content and television
entertainment spiegato all’interno di questa tesi. Un processo che, come testimoniato da autorità
importanti nel mondo del marketing, è completamente in divenire e si sta sempre più
ottimizzando negli anni, con il brand che acquisisce sempre più potere editoriale.
All’interno del terzo ed ultimo capitolo sarà mia premura dimostrare questo graduale
cambiamento del concetto stesso di branded content and entertainment apportando esempi pratici
di formati televisivi branded, progettati e realizzati dalla società di produzione televisiva Stand
By Me. Attraverso un’analisi qualitativa e quantitativa di questi 3 formati televisivi realizzati
dimostrerò come il tema di comunicazione legato al branded content si sta evolvendo negli anni
e lo stesso modo di fare brandtelling stia seguendo una direzione simile. Analizzando i tre
formati, distanti tra loro anche diversi anni, evidenzierò come si sia passati da una forma di
branded content classico presente nel format tv “un viaggio da Campione” (realizzato da Stand
By Me in collaborazione con Mastercard) ad un tipo comunicazione di brand definita puramente
di “content” all’interno del programma tv “Ivan Zaytzev: lo zar della pallavolo” (realizzato da
Stand By Me in un rapporto di co-creazione con RedBull).
Al livello quantitativo inoltre andrò ad analizzare il livello di sentiment, lo share e la reach che i
programmi hanno raggiunto nei confronti dei consumatori nell’arco di tempo in cui sono andati
in onda sviluppando un’analisi crossmediale per constatare anche su questo livello i possibili
risultati di un modo diverso di sviluppare un contenuto branded televisivo.
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CAPITOLO 3
IL BRANDTELLING ALL’INTERNO DEI FORMATI TELEVISIVI “STAND BY ME”
Come premessa generale a questo terzo ed ultimo capitolo sul branded content and television
entertainment, che sarà mirato ad una spiegazione pratica dell’evoluzione del modo di fare
branded content e brandtelling da parte dell’azienda e dei vari attori in gioco all’interno
dell’industria televisiva, non posso non citare il motto cardine della società di produzione
televisiva oggetto di questo studio sperimentale (Stand By Me): “We Tell Stories”.
Ed è proprio da questa frase che parte il suddetto studio sperimentale che tratterà l’evoluzione,
ancora in atto, del modo di fare comunicazione televisiva legato al branded content. Raccontare
storie, come più volte detto, significa saper infondere valori e riuscire a coinvolgere il pubblico
trasmettendogli emozioni che siano consone alla “vision” generale del prodotto televisivo e del
brand. Nulla attrae la gente e crea forti connessioni emozionali quanto le storie.
Il trucco vero sta nel capire come riuscire a creare delle storie che sappiano emozionare; Come
riuscire a far coesistere, all’interno di un formato televisivo, gli obbiettivi, l’image e la value
proposition del brand con delle logiche di intrattenimento tipiche della comunicazione televisiva.
Questo è il vero compito delle società di produzione televisive. Un compito che la Stand By Me
ha fisato come obbiettivo mainstream del suo operato facendone addirittura uno slogan. Molti
studiosi hanno cercato di formulare delle teorie che spieghino con efficacia cosa crei esattamente
nello spettatore delle emozioni all’interno di un racconto e perché alcune storie siano più incisive
sul pubblico rispetto ad altre. Tra i numerosi studi è importante citare quello del consulente
cinematografico Cristopher Voegler che ha formulato la cosiddetta “Teoria del Pallone” (una
metafora cestistica che spiega come funziona il gioco delle emozioni all’interno di una buona
trama cinematografica ma che può anche essere apportata ai prodotti televisivi).
Per lui “le emozioni umane sembrano avere certe proprietà elastiche, come dei palloni da basket.
Quando sono scagliati a terra con forza, essi rimbalzano più in alto…Una buona struttura
narrativa lavora abbassando e alzando alternativamente l’emozioni dell’audience. Deprimendo
le emozioni dello spettatore si ha lo stesso effetto di spingere con forza un pallone gonfio sotto
l’acqua; Quando poi la spinta verso il basso viene a mancare il pallone schizza verso l’alto e
vola”98. Ogni spettatore, infatti, entra all’interno di una storia dalla parte del protagonista e ne
vive i problemi e le aspirazioni come se fossero sue. Si immedesima nei valori che il brand,
attraverso il formato televisivo, racconta ed ha un attaccamento maggiore ad esso a seconda del
modo in cui il marchio aumenta il suo coinvolgimento all’interno della storia. Al livello
quantitativo infatti le aziende sfruttano i vari formati televisivi branded content non per valutare
98 Voegler C., “The Writer’s Journey; Mythic Structure for Writers”, Micheal Wiese Productions, Studio City (1998)
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i vari indicatori commerciali riguardanti il marchio (come ad esempio la purchase intention), ma
piuttosto indicatori valoriali come l’awareness ed il sentiment legati al brand. L’evoluzione del
brandtelling e del modo di fare branded content all’interno della televisione si basa dunque sulla
capacità sia delle società di produzione sia del brand e sia del broadcaster di creare un sistema
comunicativo legato esclusivamente ai valori e alle emozioni da saper trasmettere al pubblico in
una logica tutta nuova di marketing televisivo.
Come più volte ripetuto il processo di branded content and entertainment televisivo non è
concluso ma si sta evolvendo in maniera esponenziale negli anni. Cambiano i rapporti tra gli
attori, cambiano i ruoli all’interno del processo di creazione di contenuti, cambiano le direttive
generali e gli obbiettivi principali che si vogliono raggiungere all’interno di un formato. Tutti
questi cambiamenti sono veloci e repentini. A distanza di pochi anni si possono già notare
differenze strutturali su formati diversi. Il vero filo conduttore di questo processo evolutivo è
dato dalla capacità delle società di produzione televisiva e dei centri Media di riuscire a mettere
in piedi sempre un’adeguata strategia di brandtelling che trasmetta i valori cardine dell’azienda
commissionante. Un compito non sempre semplice ma che la Stand By Me sta riuscendo a
svolgere con risultati ottimali riscontrati in forma quantitativa sia dai broadcaster sia dai Brand99.
Ma per capire meglio questo processo evolutivo vanno dunque analizzati dei casi specifici di
programmi branded content che devono però essere stati sviluppati dalla medesima casa di
produzione televisiva per poter constare effettivamente come il processo si sia modificato negli
anni. Ed è qui che entra in ballo l’operato della Stand By Me, società di produzione televisiva
che si è distinta in questi anni in Italia per il forte avvicinamento ai temi legati al branded
entertainment e che ha sviluppato insieme a brand internazionali quali Sofidel, Mastercard e
RedBull dei format tv branded content di forte successo.
Ed è proprio attraverso l’analisi di questi 3 formati che riusciremo ad evidenziare i vari
cambiamenti, strutturali e non, che sono avvenuti negli anni nel processo di creazione di un
formato televisivo branded content.
Più nello specifico, attraverso il racconto dei tre programmi, analizzeremo da una parte le varie
strutture di base ed i rapporti che intercorrono tra i vari attori in gioco nella produzione di
contenuti (cercando di capire questa evoluzione da branded content puro a nuova forma di
programma definito solo “content”), e dall’altra constateremo in che maniera la società di
produzione televisiva è stata in grado di tramettere i valori del brand attraverso il programma (
soffermandoci dunque su come si sviluppa il modo di fare brandtelling nei diversi scenari di
produzione televisiva in relazione a brand diversi).
A questa visione contenutistica di stampo qualitativo seguirà un’analisi crossmediale quantitativa
che metterà in evidenza i dati raccolti dalle varie aziende e dai vari broadcaster che insieme alla
99 Per l’analisi di questi dati si veda il paragrafo specifico dedicato all’analisi crossmediale
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Stand By Me hanno contribuito al progetto di creazione di formati televisivi branded content (in
questo caso Mastercard, Sofidel, e Redbull). Tali dati evidenzieranno l’efficacia o meno di una
strategia di branded content entertainment applicata al mondo della televisione. L’analisi
crossmediale verterà su alcune specifiche variabili indipendenti generali che saranno:
• Dati di share e reach inerenti alla quota parte finale del risultato di visione contando tutte le
varie fasi (prima, repliche, promo, teaser, follow up) non solo dal punto di vista televisivo
ma anche, se possibile, stampa, digital e social; analizzando gli eventuali riscontri di
engagement ed iterazioni in riferimento al brand durante la campagna televisiva per capire
un’eventuale plusvalore anche lato brand. Più nello specifico si proverà a capire, analizzando
ogni singolo programma se in termini quantitativi e di dati il fenomeno del branded content
arrechi realmente plusvalore virtuale al brand e al broadcaster. Una volta capito se in tutte le
fasi del processo di visione del formato (da promo a repliche) ci sia o meno un costante
aumento dei valori di tali variabili (sia lato brand che lato broadcaster) si passerà ad un’analisi
incrociata. All’interno di questa analisi incrociata si tenterà di capire se questo processo
evolutivo di cambiamento strutturale delle dinamiche di produzione di un formato televisivo
brandizzato (verso una fase di co-creazione diretta dei contenuti definita appunto “content”)
stia seguendo un trend positivo. Capire cioè se i dati di analisi fuoriusciti dallo studio di
questi tre formati (distanti tra loro sia nel tempo che nella struttura ma che evidenziano in
maniera chiara la graduale evoluzione del ruolo del brand nelle dinamiche televisive), una
volta incrociati riescano a tratteggiare una linea immaginaria positiva che mostri ad una
futura azienda e rete che vuole affacciarsi nel mondo del branded entertainment l’effettiva
profittabilità della scelta.
• Inoltre nell’ultimissima fase dello studio si cercherà di inquadrare il concetto del fenomeno
della sentiment analysis sia nel suo studio sperimentale che attraverso un lavoro pratico di
analisi all’interno del formato televisivo “content” prodotto da Redbull100, per capire se
quest’ultima evoluzione del modo di fare marketing televisivo sia davvero efficace in
rapporto alle sempre più crescenti esigenze del consumatore-spettatore moderno. Verrà fatta
un’analisi di sentiment lato social della campagna portata avanti dal brand austriaco mettendo
in risalto la figura preponderante dell’”Influencer” che diviene motore primordiale della
campagna (Ivan Zaytsev: protagonista e maggiore influencer del formato”). Si cercherà di
capire, quindi, quale sia stato il sentiment degli spettatori nei riguardi del programma
televisivo durante la sua messa in onda attraverso un’analisi della sua campagna social (con
100 Si è scelto di lavorare su questo formato perché si vuole constatare l’efficacia, in rapporto al consumatore, dell’evoluzione attuale e per ora finale del “branded content and Television entertainment”
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dei filtri inerenti ovviamente al programma) decifrando quale sia stata dunque la risposta
dell’audience al formato tv branded. Da qui usciranno fuori dei riscontri positivi o negativi
nei confronti del programma (e quindi di riflesso sul brand) attraverso l’analisi dei commenti
sui post.
Attraverso questa analisi a 360° del fenomeno del formato televisivo branded content and
entertainment si cercherà quindi di capire che orientamento esso stia prendendo e quali possano
essere i possibili scenari futuri di un processo in divenire che ha rivoluzionato e sta
rivoluzionando il modo di fare televisione con un peso simile a quello dell’avvento del digitale.
Tutto questo è stato reso possibile grazie ad uno scenario televisivo che, ci tengo a ribadire, ha i
confini sempre più indefiniti e labili e che tende ad essere sempre più malleabile e
transmediale101.
3.1“Un viaggio da campioni” (Italia 1-Stand By Me- Mastercard)
Il progetto di branded content and entertainment televisivo messo in piedi da Mastercard in
collaborazione con la Stand By Me e con il broadcaster nazionale Mediaset (Italia 1 e Italia 2) è
definibile, in termini di rapporti di produzione già citati nel secondo capitolo, come l’iter
optimum e classico di procedere alla creazione di un formato branded content tradizionale. Infatti
il percorso seguito per la creazione di questo programma rispecchia per filo e per segno i paletti
classici di sviluppo di un formato branded content tradizionale.
La Stand By Me è stata contattata dalla Mastercard in forma preliminare con una richiesta ben
precisa: presentargli un progetto di branded content and entertainment che rispecchi i valori che
l’azienda vuole promuovere e la sua identity di base. Questi valori devono essere sintetizzati con
il concetto fondamentale secondo cui il brand Mastercard è vicino al consumatore e gli vuole
regalare esperienze senza prezzo (“Priceless”). Deve nascere un format televisivo branded
content che sappia coinvolgere il consumatore in termini di comunicazione e trasmissione di
emozioni al di là del valore della marca, che sappia creare un forte engagement, e che rafforzi la
recall, la familiarrity e la trust percepite sul brand e sui suoi valori alll’interno del racconto.
Importante, nella presentazione del progetto all’azienda, è stata anche la scelta accurata e
meticolosa del budget delle varie campagne media (seguendo una logica cross-mediale ed
adattando il contenuto sulla base delle peculiarità dei media specifici) e soprattutto della
piattaforma su cui mandare in onda il programma. La scelta di Mediaset è infatti stata condivisa
sia dal Brand che dalla casa di produzione televisiva, soprattutto alla luce della stesura del
progetto finale del programma. Infatti, trattandosi di un format incentrato sullo sport (più nello
101 “Televisione Convergente: La Tv oltre il piccolo schermo”, Massimo Scaglioni Aldo Grasso (2010)
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specifico sul calcio), è stata selezionata come rete una più in linea con il linguaggio e gli obbiettivi
del format. La scelta di Mediaset (e più nello specifico del canale Italia 1) infatti segue questo
indirizzo avendo essa gli obbiettivi strategici più in linea con il progetto di distribuzione rispetto
ai suoi broadcaster competitor quali Rai Discovery e Sky102.
Ma di cosa tratta nello specifico il format? quali ideali il brand vuole trasmettere all’interno di
esso? E quale struttura viene data allo stesso seguendo le logiche crossmediali del digitale?
Il concept del programma è abbastanza semplice: regalare un’emozione unica e “senza prezzo”
a due piccoli appassionati di calcio, facendogli vivere un viaggio indimenticabile. La possibilità
di vivere un’esperienza unica e irripetibile è alla base della mission di Mastercard all’interno del
format. D’altronde la vision e la value proposition del brand sono insite nello slogan del marchio
stesso (“Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il resto c’è Mastercard,
/Priceless”). Dare la possibilità a due bambini di incontrare i loro idoli calcistici e camminare
mano nella mano con loro, entrare nello stadio indossando la maglia della squadra preferita e
vivere un momento magico che ricorderanno per tutta la vita: queste sono le esperienze senza
prezzo che Mastercard ha voluto trasmettere e regalare.
Due bambini selezionati potranno dunque, insieme ai loro rispettivi genitori, partecipare ad
un’esperienza unica: poter incontrare i propri idoli di Roma e Juventus ed entrare in campo con
loro durante le partite della massima competizione europea per club (Champions League).
All’interno del format “Un viaggio da Campioni” i ragazzi verranno seguiti in ogni passo della
loro esperienza: dall’arrivo della notizia direttamente a casa, ai giorni della preparazione, gli
abbracci con mamma e papà, il viaggio verso lo stadio, l’incontro con il proprio idolo e il
successivo ingresso nello stadio mano nella mano con lui. È essenzialmente questo un racconto
che è in grado di emozionare, che da risalto al lato umano e genuino dei bambini e che attraverso
un’esperienza unica esalta i valori cardine che il brand vuole tramettere e attraverso i quali vuole
avvicinare sempre più consumatori aumentando l’attaccamento al brand e la sua trust.
“Un viaggio da Campioni” è definibile dunque come una docu-serie incentrata sul racconto di
un’esperienza priceless unica vista dagli occhi di due bambini. Un viaggio attraverso il quale
questi ragazzi si avvicinano sempre di più al loro sogno più grande (l’incontro con il proprio
idolo), aumentando il loro bagaglio di esperienze uniche durante il percorso di avvicinamento. Il
programma infatti ha come prerogativa principale quella di seguire il bambino durante tutto il
suo viaggio, carpire il suo stupore e la sua felicità riscontrabile anche nelle piccole cose e
trasmetterlo agli spettatori. La genuinità, la spensieratezza e l’incoscienza dei bambini sono
elementi di grande presa sul pubblico. Elementi su cui Mastercard ha voluto puntare per
102 Basta ricordare ciò che è stato detto nelle pagine precedenti riguardo la targetizzazione del pubblico all’interno dei canali Mediaset. Italia 1 è sempre stato il canale all’interno del broadcaster che si rivolgeva nello specifico ai giovani e che inglobava dentro di sé gli ideali la passione per lo sport. Non poteva essere allora fatta scelta più consona dato che il format televisivo “Un viaggio da campione” tratta proprio queste due tematiche dei giovani e dello sport
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aumentare la propensione verso il marchio stesso e per posizionarsi nella mente del consumatore
più per i valori che trasmette che per il prodotto che vende. Ed è proprio il vedere il mondo dagli
occhi spensierati di un bambino l’elemento cardine del programma: la narrazione sarà arricchita,
infatti, dai commenti del piccolo protagonista che racconterà le sue emozioni, le paure e cosa
questa esperienza ha significato per lui.
Il programma è stato prodotto e realizzato direttamente dalla Stand By Me seguendo le direttive
generali date da Mastercard ed è stato mandato in onda in seconda serata nel 2015-2016 in 10
puntate e in due versioni (mini-docu & versione estesa) nei canali Mediaset di Italia 1, Italia 2 e
Mediaset premium103. Il format non aveva un respiro internazionale, essendo andato in onda solo
in Italia, e aveva come host un volto noto dello sport italiano (Ciro Ferrara) che è stato ritenuto
idoneo sia dal Brand che dal broadcaster che dalla società di produzione televisiva104.
Come ogni programma branded content efficace che si rispetti anche nel caso del format “Un
viaggio da Campione” si è voluto dare risalto al tema della crossmedialità dei contenuti per creare
un’iterazione con il cliente che sia omnipervasiva e che aumenti la sua experience all’interno
della fruizione dei contenuti del programma. Una logica questa dettata dall’evoluzione stessa
della televisione dovuta all’avvento del digitale che ha portato al concetto già citato nel primo
capitolo di liquidità mediale. L’esperienza dello spettatore è alimentata e accresciuta da
campagne social, televisive e attraverso piattaforme digitali. Sono stati inseriti in ambito
televisivo, ad esempio, dei promo con codino sponsorizzati da 10” (3-4 passaggi su Italia 1) prima
dell’on-air di tutte le puntate e dei billboard in apertura di tutte le mini-docu andate in onda su
Italia 1 della durata di 10”. Oltre alle promozioni televisive venivano utilizzati anche i canali
social del brand o di terze parti per diffondere dei contenuti seguendo una logica crossmediale
per creare WOM positivo e, di conseguenza, un forte engagement nei confronti dei consumatori-
spettatori. Alla pari del social infine al livello digital venivano create dal brand o da parti terze
delle vere e proprie comunity che avevano lo scopo principale di rafforzare il legame dello
spettatore al brand e di rendere lo stesso più partecipe delle logiche del brand aumentando dunque
l’attaccamento e la loyalty verso il marchio.
L’estensione digitale del format permetterà al consumatore di poter usufruire dei contenuti del
programma dove e quando vuole attraverso una scheda brand interamente dedicata ad esso.
Inoltre il canale è completamente brandizzato Mastercard in modo tale da creare una diretta
103 Nella rete Mediaset Premium e Italia 2 il programma aveva una durata di 24’ mentre su Italia 1 la durata era di 3’ e racchiudeva tutti i momenti più importanti del viaggio del bambino. Il programma, dovendo seguire il calendario sportivo di Champions di Roma e Juve, è stato mandato in onda tra il settembre 2015 ed il marzo 2016. Quattro sono le puntate riguardanti la Juve e 5 quelle riguardanti la Roma, con una decima puntata speciale sulla finale di Milano tra Real Madrid e Atletico Madrid andata in onda a seguito del grande successo ottenuto dal programma 104 La scelta dell’host giusto è fondamentale. Il volto di Ciro Ferrara è stato ritenuto idoneo per delle sue caratteristiche umane che venivano percepite positivamente dal pubblico e che rispecchiavano a pieno i valori che Mastercard voleva trasmettere. Un uomo simpatico, attento alla solidarietà e alla beneficenza e molto conosciuto nel territorio. Queste sono alcune delle caratteristiche decisive che hanno fatto pendere la scelta su di lui
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contestualizzazione tra argomentazione editoriale e prodotto pubblicizzato. Sempre nel digital
infine sono state svolte delle campagne display adv, all’interno di siti inerenti al target di
riferimento (siti sportivi come ad esempio SportMediaset) come supporto delle attività di
videostrategy poste in essere dal broadcaster, e delle campagne Direct Email Marketing come
supporto alla fase di recruiting per il target da coinvolgere. Questo in sintesi il lavoro generale
svolto dai tre attori della filiera produttiva mediale per la creazione di questo formato tv branded
content.
Ma quali sono i passaggi interni più specifici? Che peso specifico ha avuto Mastercard nella
creazione del programma? Quali sono stati gli effettivi ruoli svolti da ogni attore? E perché in
questo caso parliamo di branded content puro?
Per rispondere a queste domande dobbiamo servirci dei vari rapporti delle diverse conference
call che hanno visto da una parte il brand relazionarsi con la società di produzione televisiva
(Stand By Me), nelle quali è possibile identificare sia l’effettivo ruolo dello stesso ma anche quali
erano le sue specifiche direttive in ambito di trasmissione dei suoi valori, e dall’altra la società
di produzione televisiva mettersi d’accordo con il broadcaster ed i vari enti per l’organizzazione
logistica delle riprese del format.
Per quanto riguarda questa seconda riunione si tratta sostanzialmente di creare un piano di
operazioni ben strutturato al livello logistico in cui sia il broadcaster (Mediaset) che la società di
produzione televisiva (Stand By Me) collaborano insieme ed intercedono con le autorità di
competenza (in questo caso la UEFA) per avere quei permessi necessari per girare105.
La prima riunione è invece più significativa e ci servirà per evidenziare il concetto alla base di
questo primo paragrafo, e cioè che per questo format si tratta sostanzialmente di un branded
content “puro”.
Dall’incontro avvenuto tra MasterCard, Publitalia, il legale di Mediaset e Stand by me sono
venuti fuori argomenti molto interessanti:
Per prima cosa è stata approvata da tutti e 4 gli enti all’unanimità sia la scelta dei protagonisti di
puntata sia il trattamento della storia (copione, scene etc.)
Poi dopo di questo si è passato a illustrare in che modo il brand Mastercard volesse essere
evidente all’interno del programma sia in termini di valori astratti che al livello concreto. Più
nello specifico si è parlato di vari aspetti come:
1. Il posizionamento del brand: All’interno del programma l’host (Ciro Ferrara) dovrà fare
esplicitamente riferimento al brand, nominare “Mastercard Priceless Surprises”. Lo deve fare
105 In breve sia Mediaset che Stand By Me hanno concordato con la Uefa su alcuni punti essenziali per la buona riuscita del programma: il numero di accessi per l’evento Uefa, capire come poter inquadrare il bambino all’ingresso nel terreno di gioco mano nella mano con il suo idolo calcistico, l’utilizzo di una tascam che il bambino indosserà per poter avere l’audio del suo incontro con i giocatori prima di entrare in campo e del suo ritorno tra le braccia di papà, il numero totale di accrediti Uefa da concedere, uno schema orario della giornata in cui si svolgerà la partita, la linea di montaggio e la sala dove poter posizionare i vari macchinari ( sala concessa dal CONI) e la stessa grafica del montato che dovrà essere supervisionata da Mediaset e dalla Uefa
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nell’apertura del programma, quando spiega la sua mission scrivendo la lettera al bambino.
Dovrà dire che questo sogno è possibile grazie a MasterCard Priceless Surprises.
Si è deciso invece (legale Mediaset d’accordo con Capo Marketing Europa MasterCard) che
non dovrà essere il bambino a nominare MasterCard nel momento in cui aprirà la lettera di
invito all’evento (quindi il brand non dovrà essere presente nella lettera che leggerà appunto
direttamente il bambino).
2. Gli elementi fondamentali per Mastercard devono fuoriuscire: ma quali sono questi
elementi?
A) l’eccezionalità dell’evento: dire per bocca di Ferrara che solo grazie a MasterCard un
bambino, il nostro protagonista, può realizzare questo viaggio incredibile, culminante con
l’ingresso in campo mano nella mano con il campione.
B) far ricorrere il tema della sorpresa nel racconto: il bambino deve essere sorpreso più volte
dagli eventi che accadono in modo tale che il suo stupore alimenti il concetto generale di
viaggio emozionante e “priceless” e il consumatore-spettatore riconosca di riflesso i valori
della marca e li assimili come suoi aumentando l’awareness nei confornti del brand. Tutto
questo deve essere messo in atto dalle numerose riprese in primo piano del bambino.
C) il punto di vista è assolutamente e solo quello del bambino: lui è il protagonista. Ferrara e
il padre sono funzionali al racconto e a far emergere la sorpresa, l’emozione del bambino
però è il fulcro di tutto. Tale emozione deve essere il più autentica e spontanea possibile.
3. Visibilità del brand Mastercard:
Si è deciso che MasterCard deve essere visibile nel corso della puntata quando fa parte
del racconto: sarà ripreso a bordo campo quando seguiremo il riscaldamento, sarà ripreso
dentro lo stadio mentre il bambino camminerà, ecc. Non verranno creati backdrop o altro
materiale ad hoc decontestualizzati dal contesto.
Sarà inoltre impresso nella busta e nella lettera di invito che il bambino riceverà a casa sua.
Il logo andrà inquadrato ad hoc.
Dunque, per sintetizzare, si è deciso che nel corso della puntata il brand Mastercard si presenterà
in vari modi: nelle parole di Ciro Ferrara, nelle azioni del bambino o di altri protagonisti (es.
l’acquisto con carta di credito di una t-shirt della squadra del cuore del bambino, l’acquisto online
del biglietto aereo per andare a vedere la partita ecc.), visivamente e graficamente (sulla busta e
sulla lettera che il bambino riceverà e nella cartellonistica dello stadio).
Da queste direttive si evince in maniera solare come il brand abbia adottato una logica di branded
content televisivo di prima generazione. All’interno del programma la premura principale di
Mastercard è quella non solo di evidenziare i suoi valori cardine ma anche di posizionarsi
visivamente nella mente del consumatore con rimandi continui al logo. Mastercard inoltre, come
è usanza di molti brand che utilizzano il formato televisivo branded per aumentare la propria
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image e awareness nei confronti dei consumatori-spettatori, ha impostato il proprio piano
editoriale con lo scopo di far tramettere ad enti terzi le proprie idee all’interno di un prodotto
mediale. È diventato sì editore di contenuti in prima persona, ma non creatore. Si è limitato ad
imporre alla Stand By Me delle direttive specifiche da seguire per la corretta esposizione e
trasmissione dei valori del marchio attraverso un formato televisivo ma non è stata in prima
persona lei a impostarlo e portarlo avanti. L’interesse principale è ancora quello di promuovere
il prodotto attraverso un contenuto ideato da terzi (anche se il potere a disposizione del brand è
comunque molto forte dal momento che esso è editore in prima persona dei contenuti). Si può
benissimo sintetizzare il tutto con il concetto secondo il quale attraverso questo primo formato
televisivo preso in considerazione si sia stati attenti troppo al brand e alle sue dinamiche di
esposizione piuttosto che al contenuto in sè e per sé del formato. Il brand è si editore ma ancora
non è del tutto co-creatore di contenuti in quanto ancora non è del tutto focalizzato sull’aspetto
“Content” privilegiando quello “Branded”.
Il processo di cambiamento di prospettiva è d’altronde molto lungo e richiede delle tempistiche
diverse a seconda del tipo di brand e delle sue prerogative e dinamiche interne ed esterne.
Un prodotto mediale finale che sia “content” inoltre prevede nei rapporti di produzione delle
dinamiche diverse (come spiegato nel capitolo secondo) ed è un argomento ancora in divenire
che pochi brand stanno affrontando nella maniera giusta (uno di questi è RedBull nell’esempio
che verrà trattato nel terzo paragrafo di questo capitolo).
Un secondo passaggio importante nell’evoluzione dei rapporti tra brand e Stand By Me e
dell’evoluzione stessa delle logiche di branded content lo riscontriamo nel secondo esempio di
prodotto televisivo branded preso in considerazione. Attraverso questo secondo esempio
vedremo come la società di produzione televisiva della Ercolani abbia accolto una nuova sfida
relazionandosi in una logica di rapporti editoriali con un brand Internazionale (Sofidel) ed un
broadcaster internazionale (National Geographic) , modificando i suoi rapporti nella creazione
di un contenuto branded tradizionale ed avvicinandosi ad una logica internazionale che è più
avanzata rispetto ad una dinamica (quella di “Un viaggio da Campioni”) nazionale più di strette
vedute. Un grande salto che ha permesso alla Stand By Me di avvicinarsi a grandi passi verso
una concezione di braned content and telvision Entertainment del tutto innovativa e profittevole,
ma ancora da scoprire in molti suoi aspetti. Il passaggio al mercato internazionale, infatti, prevede
che il prodotto ultimo del formato branded content televisivo abbia un diverso respiro e fa
diminuire le possibilità di errori di valutazione nella creazione dello stesso. In questo specifico
esempio la Sofidel (come vedremo brand di assoluto spessore nella produzione di carta) ha
elevato le aspettative riguardanti il programma poiché sapeva che lo stesso sarebbe stato
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trasmesso su più paesi al livello internazionale106. Le discussioni e le riunioni fatte tra brand e
Stand By Me sulle varie scelte da apportare al contenuto sono state, come vedremo,
necessariamente più meticolose e accurate poiché una sbagliata visone dei valori del brand
avrebbe avuto ricadute anche su altri paesi.
3.2 “Chasing Paper” (Fox per National Geographic, Stand By Me e Sofidel)
Un brand internazionale come Sofidel (leader in Europa nella produzione e lavorazione della
carta) nel momento in cui decide di addentrarsi nel mondo del branded content televisivo non
può, per forza di cose, non pensare in grande. Non può non sfruttare la ghiotta occasione di
promuovere i valori del suo marchio in tutta Europa, e non solo, attraverso un contenuto mediale
di qualità e che venga trasmesso su una piattaforma televisiva di grande rilevanza internazionale.
Da qui nasce l’idea di base dell’azienda: indire una formula di gara su un formato branded content
tra alcune società di produzione televisiva e agenzie Media per valutare tra queste il progetto
migliore che possa portare in alto i valori del brand attraverso uno storytelling adeguato al livello
internazionale107. La Sofidel inoltre doveva selezionare anche un emittente televisivo che potesse
essere sulla stessa sua stessa linea di valori e che potesse condividere con essa ideali e mission
di fondo. La scelta era dunque duplice e metteva il brand in una situazione molto delicata.
Dopo una serie di confronti con i vari progetti e con le varie reti si è giunti ad una scelta che in
certi tratti può essere anche definita controversa ma che in sostanza ha potuto giovare al marchio
stesso. Sofidel ha deciso infatti di abbracciare il progetto portato avanti dalla Stand By Me e di
promuoverlo attraverso la Fox e, più nello specifico, attraverso il canale National Geographic.
Ma prima di parlare del programma in sé e delle dinamiche contenutistiche e di rapporti
produttivi in cui è nato ed è stato sviluppato per avere successo sia al livello Italiano che
internazionale, seguendo sempre i dettami della mission e della value proposition di Sofidel, è
doveroso fare una piccola premessa riguardo la scelta del canale. Come è riuscita la Sofidel (in
collaborazione con la Stand By Me) ha convincere National Geographic, canale che fa delle
dinamiche dell’eco-sostenibilità e del rispetto della natura i principi mainstream della sua
vision, ad appoggiare un programma che parlava prettamente di carta e di produzione della
stessa? Non vi era una sorta di paradosso? Non sarebbe stata mal visto dalla loyal community
di National Geographic una scelta di questo tipo?
106 5 sono i paesi in cui è stato distribuito il programma “Chasing Paper” prodotto da Stand By Me in collaborazione con Sofidel, e trasmesso su National Geographic Channel. Tra questi, oltre all’Italia, troviamo Francia, Germania, Polonia e Regno Unito 107 Ovviamente non è valido, al fine della scelta da parte del brand, solamente il lato creativo ma anche la stima di budget utilizzata dalla società di produzione televisiva per la messa in scena del format. Sofidel infatti aveva stanziato un budget di produzione “x” che copriva le spese di produzione in Italia (paese vincitrice del concorso grazie alla Stand By Me) e un budget Media che copriva la distribuzione anche negli altri 4 paesi
72
La risposta a questi interrogativi è insita nella vision, nei valori e nella mission del brand stesso.
Sofidel non è un’azienda che sfrutta la natura per i suoi interessi e danneggia l’ambiente con il
disboscamento di massa e l’inquinamento. All’interno dell’impresa vigono infatti delle regole
precise in tema di sostenibilità ambientale e di rispetto dell’ambiente. Dei veri e propri documenti
scritti sanciscono l’impegno, i valori, e la mission aziendale. Questi sono racchiusi nel così detto
codice etico e nella carta della sostenibilità.
Il codice etico, la carta dei principi e dei valori a cui si rimette il gruppo Sofidel e che descrive
la cultura organizzativa della società, è uno strumento dinamico che si adatta al cambiamento
normativo, culturale e sociale delle aree in cui l’azienda opera. È una sorta di codice di diritti e
di doveri declinati in comportamenti pratici e modi di fare, agire e relazionarsi, che l’azienda
deve mettere in pratica sia al suo interno che con l’esterno. All’interno del codice etico sono
presenti i valori in cui Sofidel crede e dai quali si declinano tutte le modalità di relazione con i
clienti esterni (e quindi anche la Stand By Me e National Geographic nel processo di creazione
di un contenuto televisivo branded content). Ma quali sono questi valori?
Sofidel è molto attenta ai principi dello sviluppo sostenibile e del rispetto dell’ambiente108, dei
valori del gruppo (intesi come onestà, responsabilità, trasparenza, lealtà e condivisione) e ai
principi di comportamento sia al suo interno che nella relazione con i vari stakeholder (anche qui
seguendo una condotta responsabile, professionale, umile, leale, etica, onesta e trasparente109).
Soprattutto sul tema della politica ambientale l’azienda dedica una buona parte del suo codice
etico spiegando come sia prerogativa essenziale interna ed esterna che si ponga in essere ogni
misura utile a diminuire l’impatto ambientale delle proprie attività. Inoltre vi deve essere
l’impegno a porre in essere azioni volte ad accrescere la sensibilita ed il rispetto dell’ambiente
da parte di tutti i destinatari, puntando ad uno sviluppo realmente sostenibile anche attraverso i
propri prodotti e i propri servizi.
Tutti questi dettami di comportamento e visione del mondo da parte di Sofidel sono quindi
racchiusi in questo codice etico che funge da guida e da legge scritta, ufficiosa ma non ufficiale,
a cui tutti gli attori (Dall’amministratore ai dirigenti passando per i dipendenti e per gli attori
esterni che collaborano con l’azienda) devono attenersi. Uno strumento, questo, che funge da
“conditio sine qua non” per la mission aziendale che è quella di “rendere ordinata, pulita e
sicura la vita quotidiana di chi ci circonda attraverso un’opera di innovazione, sostenibilità,
trasparenza e rispetto delle regole con lo scopo di creare valore per clienti partner e comunità
interna ed esterna”.
108 Attraverso questo documento il Gruppo Sofidel ribadisce la sua adesione alle linee guida della Strategia per lo Sviluppo Sostenibile dell’Unione Europea e sostiene i principi del Global Compact promosso dall’ONU. 109 Questi sono definiti da Sofidel come gli standard minimi e non negoziabili di comportamento che un ente esterno deve rispettare per poter collaborare con loro. Chi vuole avvicinarsi al marchio Sofidel deve essere professionale, responsabile nelle scelte e nel modo di lavorare, trasparente nel modo di relazionarsi con essa, onesto nel modo di procedere durante il lavoro e soprattutto deve agire nel pieno rispetto dei diritti umani, della salute e della sicurezza delle persone e dell’ambiente in cui si opera
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La sostenibilità è dunque una prerogativa dell’azienda ed è integrata in ogni aspetto del brand
(dal modo di lavorare alle relazioni con l’esterno) eliminando o riducendo sensibilmente
l’impatto sociale e ambientale. Infatti, attraverso una visione etica e responsabile della gestione
dell’impresa l’azienda riesce sempre a migliorarsi rendendo anche il suo sviluppo socialmente e
ambientalmente sostenibile. Questi sono i dettami e le linee guida che Sofidel utilizza e che sono
sintetizzati nella carta della sostenibilità.
Dunque, per sintetizzare, se National Geographic channel ha deciso di concedere ad un brand
produttore di carta come Sofidel la possibilità di portare avanti un programma tv branded content
all’interno della sua piattaforma lo ha fatto perché si è resoconto che la vision e la mission
dell’azienda erano conformi alle loro inclinazioni. Una mission che aveva come unico scopo
quello di portare avanti valori come la sostenibilità, l’eticità, la responsabilità sociale e la
salvaguardia dell’impatto ambientale. Tutti questi dettami dovevano essere trasposti all’interno
del programma creato dalla Stand By Me e dovevano essere trasmessi nella giusta maniera e con
un linguaggio che fosse, nella maniera migliore possibile, internazionale. Una bella sfida di
brandtelling che sia l’azienda che la società di produzione televisiva dovevano affrontare in un
rapporto sempre più paritario e di co-produzione.
Veniamo adesso alla descrizione della struttura di questo programma, spiegano i vari processi
che hanno portato alla sua realizzazione e osservando in che modo i valori di Sofidel sono stati
rappresentati nella giusta maniera attraverso questo format internazionale ideato da Stand By Me.
Il programma branded content dal titolo “Chasing paper” è stato voluto da Sofidel in occasione
dei 50 anni di attività dell’azienda ed è andato in onda nel 2016 appunto su National Geographic
Channel. “Chasing paper” è il racconto di una storia millenaria, di un viaggio da Oriente a
Occidente, dell’oggetto insieme più consueto e affascinante che ha accompagnato l’evoluzione
dell’uomo moderno: la carta. Il programma (un one-off della durata di 50min) è condotto da un
host d’eccellenza: Tim Shaw. La scelta del presentatore, come ogni prodotto televisivo branded
che si rispetti, non è stata superficiale ma molto accurata tenendo come punti di riferimento
costante i valori che l’azienda e il canale vogliono trasmettere e rappresentare all’interno del
format anche attraverso la figura emblematica dell’host110.
La figura di Tim Shaw non poteva essere più azzeccata dal momento che il presentatore Tv
britannico riesce a far collimare le logiche dell’entertainment con quelle più accurate della ricerca
scientifica essendo anche ingegnere.
110 La figura del presentatore infatti funge come una sorta di “biglietto da visita” per gli spettatori che si stanno avvicinando al formato televisivo. Soprattutto se si è nuovi a questo genere di tematiche relativi ai programmi tv branded content è necessario essere attenti e scrupolosi in ogni valutazione per la scelta dell’host per evitare che il programma venga mal visto dall’audience e sia il brand che il broadcaster ci perdano al livello di sentiment, awareness e reach e share
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Il racconto inizia da una semplice domanda: “Come sarebbe il mondo senza carta?”. Da qui parte
un viaggio che attraversa tutta l’Europa (partendo dall’Italia) per scoprire le diverse tipologie di
produzione della carta e indagare la sua millenaria storia.
L’host visita in prima persona stabilimenti Sofidel che producono diversi tipologie di carta: la
fabbrica di carta igienica di Lucca, la fabbrica Delipapier a Frouard, in Francia, alle porte di
Nancy dove è in funzione un avveniristico impianto a biomasse che produce carta tissue111, e la
fabbrica in Germania dove si producono fazzoletti di carta. Nel suo percorso incontra esperti,
storici, collezionisti e artigiani del settore per ricostruire insieme a loro le varie fasi di
quest’affascinante avventura: dalle antiche pergamene all’invenzione della stampa, dai metodi di
produzione primordiali alle nuove futuristiche cartiere, fino alla carta del futuro.
Volti noti o meno noti ma con storie affascinanti come il Mastro Cartaio del Museo della carta
di Lucca, custode dei primi procedimenti di lavorazione del prodotto, o Silvio Fioravanti
detentore di un Guinness World Record sui generis: la più grande collezione di fazzoletti di carta
del mondo. Insieme a questi e altri contributi ricostruisce le varie fasi di questa affascinante
avventura nel corso dei secoli e i passaggi storici più importanti. La carta ha infatti sempre
accompagnato la storia dell’umanità fin dai suoi albori: dai primi papiri egizi in poi la carta è
servita all’uomo per progredire, per relazionarsi e per far accrescere la propria cultura ed
alimentare la propria storia. Tim Shaw inoltre, avvalendosi delle sue capacità ingegneristiche,
all’interno del programma si cimenta in esperimenti pratici che possano dimostrare a lui e agli
spettatori il ruolo che la carta ricopre tutt’oggi nel nostro mondo. Che facciano rendere conto al
consumatore-spettatore di quanto la carta sia ancora fondamentale nella vita di tutti i giorni anche
se noi non ce ne accorgiamo112. Il mix tra informazione ed intrattenimento (il così detto
infotainment) è sempre stata una strategia vincente soprattutto in questi recenti periodi storici
della comunicazione, e questo ne è un esempio pratico. La carta inoltre non è solo materiale ma
possiede anche una valenza culturale e sociale. Attraverso la carta sono stati stipulati i più
importanti trattati di politica, letteratura, arte, scienza, astronomia e religione. Dalla Magna
Charta all’editto di Martin Lutero, dall’Iliade e l’Odissea di Omero alla Divina Commedia di
Dante, dai trattati di astronomia di Leonardo Da Vinci alle tesi di Keplero: si può ben dire che la
carta ha favorito la crescita dell’umanità. A questo proposito il presentatore, all’interno del
format, visiterà alcune biblioteche importanti in giro per l’Europa dove, insieme ad un grande
111 Curiosità produttiva: Durante le riprese del programma è stata evidenziata dall’azienda Sofidel la volontà di girare la maggior parte delle scene all’interno dello stabilimento francese di Frouard in quanto rispecchiava nella maniera ottimale gli ideali di ammodernamento e di avanguardia tecnologica sempre nel rispetto dell’ambiente e dello sviluppo eco-sostenibile. Valori che abbiamo visto essere una prerogativa per l’azienda 112 Tra questi esempi pratici all’interno del programma possiamo citare il momento in cui l’host toglie da una casa tutti gli oggetti di carta. Un ingegnere chimico gli segnala e spiega quali sono: tra risultati scontati e sorprese capiamo quanto la carta circonda la nostra quotidianità. Dopo aver completato il suo faticoso lavoro l’host scopre che una casa senza carta è una casa pressochè vuota. Decide inoltre di ripetere lo stesso esperimento anche in altri ambienti: come un supermercato, un ufficio o un archivio di pizze cinematografiche. Accanto a lui c’è lo stesso ingegnere chimico che l’ha aiutato dentro casa. Gli scaffali si svuotano rapidamente anche in questo caso
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scrittore, ripercorrerà l’importanza storica e culturale che la carta ha avuto per l’umanità
attraverso testi capitali come la Divina Commedia di Dante o l’Ulisse di Joyce.
Grazie a questo viaggio si capirà che la carta è ancora un prodotto essenziale per la vita
dell’uomo, non è scomparsa e non sta scomparendo, è ancora fondamentale nella vita di tutti noi.
Ogni cosa è fatta di carta ed un mondo senza essa non è immaginabile.
Questa in sostanza è la struttura del programma andato in onda su National Geographic. Un
format che non si limita solo a dimostrare l’importanza della carta, attraverso l’uso di uno
storytelling incentrato sul lato artistico, culturale e sociale della stessa e della sua importanza che
spesso passa inosservata, ma che oltre ai valori insiti nel prodotto evidenzia l’importanza del
Brand all’interno delle dinamiche di racconto e contenutistiche soprattutto per i valori che esso
vuole trasmettere. Come ogni prodotto televisivo branded che si rispetti e che punti a creare un
legame stretto con il consumatore l’evidenza del marchio non viene riscontrata attraverso le sue
caratteristiche tecniche e punti di forza, ma attraverso i valori che esso vuole trasmettere ai suoi
consumatori per renderli ancora più dentro le dinamiche del brand. Nel caso specifico Sofidel,
portando avanti un ritratto magnificente e ben strutturato dell’importanza a 360° della carta, ha
voluto spianare la strada nella mente del consumatore al concetto secondo il quale la carta stessa
sia un bene imprescindibile per l’uomo e la sua produzione e lavorazione debbano essere
sviluppate nella giusta maniera seguendo i dettami dell’eco-sostenibilità e del rispetto ambientale
e operando con professionalità, trasparenza ed eticità (Tutti principi cardine dell’azienda).
Un esempio concreto lo si può riscontrare nel momento in cui il presentatore va a visitare i vari
stabilimenti di produzione della carta in giro per l’Europa. Oltre a spiegare tutti i processi di
creazione e lavorazione della carta (dal lato inoltre della sua esperienza tecnica da ingegnere)
egli si sofferma, soprattutto all’interno dello stabilimento francese, sull’aspetto ecosostenibile e
all’avanguardia dal punto di vista tecnologico dell’impianto. Sottolinea infatti in modo velato,
con una trovata di storytelling molto ben congeniata, l’attenzione dell’azienda a temi importanti
quali l’inquinamento e il rispetto della natura, instaurando nella mente del consumatore
un’attitudine favorevole verso il brand che viene visto più “green” ed eco-sostenibile. Questa
inoltre era condizione strettamente necessaria ed imprescindibile non solo per aumentare la brand
awareness del marchio ed il sentiment da parte degli spettatori-consumatori, ma anche per avere
la possibilità per il formato di essere mandato in onda in una piattaforma molto attenta alle
tematiche ambientali e dell’eco-sotenibilità come National Geographic Channel.
La “sfida Sofidel” ha rappresentato per la Stand By Me un ulteriore passo in avanti in un percorso
di crescita legato alle dinamiche nuove del branded content. Nel caso di “Chasing paper, rispetto
al precedente format “Un viaggio da campioni”, la società di produzione televisiva si è trovata a
fronteggiare delle esigenze di contenuto di stampo internazionale. Dover creare un racconto che
possa rappresentare nel giusto modo i valori del marchio, non solo per un pubblico nazionale, è
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una stata una sfida molto impegnativa. Inoltre Sofidel, azienda leader nel mercato della
produzione della carta, aveva delle pretese produttive e di contenuto molto forti poiché sapeva
che un passo del genere (inteso come l’entrata nel mondo del branded content televisivo) andava
fatto nella giusta maniera e ben congeniato per i rischi che poteva comportare in negativo al brand
stesso in termini di percezione da parte del consumatore.
Ed ecco qui un primo cambiamento nei rapporti di produzione e co-creazione di contenuti: in
questo caso infatti Sofidel, rispetto a Mastercard, ha seguito periodicamente ogni cambiamento
della struttura del programma113 ed inoltre ha preteso di entrarvi in prima persona sia al livello
produttivo che di co-creazione di contenuti114. Ovviamente siamo solo ai primi passi di un
percorso di avvicinamento ad una struttura di formato “content”, però possiamo notare come in
questo caso il marchio produttore di carta (più per esigenze legate alla necessità di dover far
collimare caratteristiche di contenuto diverse per paesi diversi in modo tale da rendere lo
spettatore universalmente attratto dai valori del marchio) si sia ulteriormente avvicinato a delle
dinamiche di co-creazione e di co-produzione del contenuto in termini di trasmissione della sua
value proposition. Ed è proprio questo un’ulteriore cambiamento. Il marchio infatti in questo
caso scompare dalla vista del consumatore all’interno del format. Sarà solo lo storytelling
accurato portato avanti dalla Stand By Me a far ricondurre in maniera indiretta la mente del
consumatore al brand. I valori sono i protagonisti principali del racconto. Valori che acquisiscono
forza non solo perché portati avanti da Sofidel, ma anche perché insiti nella piattaforma televisiva
stessa. Valori come la sostenibilità, la salvaguardia dell’ambiente, ma anche la professionalità,
l’eticità l’umiltà ed il progresso che identificano l’intera mission e vision aziendale. Il brand si
sta lentamente prendendo la scena in maniera decisiva e sta capendo che l’unica via per avere
successo è quella di raccontare storie di cui esso stesso è voce narrante e attore non protagonista.
Ci stiamo piano piano avvicinando, infatti, a questa nuova concezione di format, a questa
evoluzione finale delle dinamiche di relazione tra brand emittente e società di produzione
televisiva, al passaggio già citato in precedenza da “branded content” a “content”. Dove appunto
il contenuto inteso come “storia di valore” fa da padrone del tutto. Per far questo in maniera
decisiva è opportuno trattare il terzo ed ultimo esempio di programma televisivo co-prodotto
dalla Stand By Me e da Redbull. Non a caso ho messo in evidenza il termine “co-produzione”.
In questo caso infatti ci renderemo conto di come il brand stia cominciando ad incidere in maniera
113 Avendo parlato con autori, produttori e registi del programma mi è stato reso noto che ogni minimo cambiamento dello stesso (dalla scaletta alle immagini, dal copione agli effetti speciali per arrivare addirittura ai vestiti di scena) doveva essere trasmesso alla Sofidel stessa esclusivamente in lingua inglese data l’internazionalità del progetto. Una volta approvato il tutto dal brand si poteva procedere 114 Rispetto a Mastercard in questo caso Sofidel, come anche anticipato in precedenza, aveva più interesse al lato produttivo del programma e dei contenuti. Ad esempio la già citata decisione di far girare la maggior parte delle scene nello stabilimento francese perché visto più all’avanguardia ed ecosostenibile, oppure la scelta delle parole esatte che il presentatore doveva dire all’interno del programma etc.
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concreta e pesante sul contenuto, di come lo storytelling non venga più creato a due mani ma a
quattro.
3.3 “Ivan: lo zar della pallavolo”(Italia 1, Stand By Me e Redbull)
Abbiamo visto, nell’ultima parte del secondo capitolo, come i rapporti decisionali e di
produzione di contenuti televisivi branded tra società di produzione televisiva, azienda e
broadcaster stiano attraversando un cambiamento epocale. La cosiddetta “nuova frontiera del
branded content and television entertainment” sancisce la nascita di un rapporto di co-produzione
originale tra brand e società di produzione televisiva. Questo però cosa comporta nello specifico?
Come abbiamo già avuto modo di notare (e noteremo più nello specifico all’interno di questo
paragrafo) cambiano in primo luogo i modi di agire ed i rapporti di potere tra i tre attori in gioco.
In questo nuovo contesto infatti brand e società di produzione televisiva acquisiscono un potere
produttivo e di creazione di contenuti di primissimo piano, soverchiando in un certo senso il
potere decisionale classico del broadcaster che si limita a fungere passivamente da piattaforma
di trasmissione del contenuto andando incontro alle esigenze del brand in prima persona. È infatti
il brand stesso, con l’avallo della società di produzione televisiva, a trattare in maniera diretta
con i diversi broadcaster per stabilire non solo quale sia la migliore proposta di distribuzione in
linea con i parametri ed i valori che il brand vuole trasmettere, ma anche per ridurre la spesa
Media che per anni è vista come il fardello più pesante a cui sia il brand che la società di
produzione televisiva devono sottostare nel processo di creazione di un formato tv branded
content. Ma cosa significa co-produrre un contenuto?
Sostanzialmente il brand si è reso conto, in un percorso iniziato negli anni 80 e ancora non
concluso, che il suo operato nel mondo della comunicazione televisiva doveva subire una
variazione decisiva. Essere presente in forma diretta o indiretta all’interno di un programma non
bastava a far avvicinare il consumatore totalmente alle dinamiche del marchio. Raccontare dei
valori di marca è una soluzione ma non la più completa. Non bisogna raccontare solamente storie
di marca, ma bisogna raccontare storie, con la marca che si fa portavoce delle stesse e dei valori
che esse trasmettono. Questo significa portare avanti un progetto di formato “content”. Creare
dunque un contenuto strategico, efficace ma soprattutto di valore. Un racconto di valori umani
prima che di marca attraverso l’utilizzo di strumenti creativi e interattivi che coinvolgano il
consumatore attivo e aumentino la sua experience all’interno del programma.
Per portare avanti una strategia di brantelling adeguata e completamente profittevole è comunque
però necessario che il contenuto del formato si identifichi totalmente con gli ideali del brand e
non che ne rimandi solamente. Dunque brand e società di produzione televisiva acquisiscono
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un’importanza maggiore e diventano un unicum all’interno di questo nuovo processo che
definiamo di formato “Contet”.
Non poteva, inoltre, non essere una società all’avanguardia nel settore del marketing come
Redbull a dare il via a questo nuovo orientamento produttivo. Redbull infatti è tutto fuorchè una
marca che produce e sponsorizza bevande energetiche. Questa frase per molti può suonare strana
ma alla luce dei fatti è effettivamente così. Basta dare un’occhiata semplicemente al sito
principale del brand stesso115 dove si possono notare solo riferimenti velati e secondari alla
bevanda energetica, con la line-up editoriale interamente incentrata sul vero obbiettivo della
marca: raccontare lo sport in tutte le sue sfaccettature più stravaganti ed estreme (dal budgee
jumping al rally, dalla soapbox race al paracadutismo passando per il windsurf etc.) seguendo
sempre lo slogan principale della compagnia “we gives wings to People and Ideas”.
Ed è proprio da questo slogan che partono tutte le iniziative di Redbull volte non solo a “mettere
le ali” in senso pratico ai propri attivisti ma anche a farlo in senso figurato. Redbull ha sempre
raccontato storie appassionanti di vita e di sport condite da un alto tasso di spettacolarità e non si
è limitata mai ad annoiare il pubblico con i suoi prodotti.116 È dunque sempre stata prerogativa
insita nella vision generale del marchio austriaco quella di cercare di creare un forte legame con
i suoi consumatori investendo fortemente nella creazione di contenuti editoriali (televisivi o non)
che abbiano una capacità elevata di engagement attraverso l’utilizzo di uno storytelling adeguato
per tramettere nella maniera migliore possibile i valori intrinsechi del brand.
È dunque in uno scenario di questo tipo, e grazie ad un attore principale di questa apertura
mentale, che si va a profilare questo nuovo modo innovativo di fare marketing in televisione che
vede il brand e la società di produzione televisiva dare insieme il “ciack” iniziale e finale del
programma, gestendo contenuti e aspetti produttivi in un rapporto pair-to-pair.
Ma come è nata dunque l’idea di Redbull di portare avanti un simile progetto insieme alla Stand
By Me? come si è sviluppato tale progetto? Come ha operato in questo caso il brand Redbull nel
rapporto di creazione e produzione del contenuto mediale secondo questa nuova logica di
marketing televisivo?
Tutto è nato dalla volontà di Redbull di collaborare con Simona Ercolani stessa, prima che con
la Stand By Me, dal momento che il direttore generale della divisione italiana del brand si era
innamorato di “Sfide” (la famosissima docu dei primi anni 2000 realizzata ed ideata dalla
Ercolani insieme a Claudio Moretti e andata in onda sulla Rai117). All’interno di questo
115 https://www.redbull.com/it-it/ 116 Per citare le parole del giornalista James O’Brien “oggi Redbull è un’impero editoriale al quale capita di vedere qualche bevanda” (Mashable, 2012). In effetti la società austriaca può vantare al suo interno una enorme produzione mediale di contenuti riguardanti lo sport estremo e non solo diffusi sia attraverso il web che attraverso la televisione grazie all’apporto di una struttura specializzata come la Redbull Media House che ha come obbiettivo finale quello di “affascinare il pubblico con la creazione di prodotti mediali su sport, cultura, stili di vita attraverso canali Tv, Mobile, Digital, audio e stampa” 117 Cfr nota 84 pg.48
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programma venivano intervistati i personaggi sportivi che avevano fatto la storia dello sport di
quegli anni ma la cosa interessante è che non venivano trattate in primo piano le loro vicende
agonistiche, bensì piuttosto quelle umane. Capire cioè l’uomo che c’è oltre all’atleta, vedere il
percorso che hanno dovuto affrontare nella loro vita per diventare quello che sono, e scoprire lati
del loro carattere che ai molti sono nascosti (paure, debolezze, passioni, storie familiari
complicate etc.). Il lato dunque personale e valoriale dell’atleta che lo rende più uomo che
campione, che lo fa avvicinare di più a coloro che lo ammirano e che crea un legame indissolubile
con chi si identifica con i valori che egli trasmette. Tutto questo era sfide.
Redbull dal canto suo è stato sempre sensibile a questo tipo di iniziative volte a creare un legame
invisibile ma forte tra sport ed emozioni, cercando sempre di attirare i propri spettatori-
consumatori attraverso la trasmissione di contenuti mediali legati allo sport (estremo o non) e ai
valori ed emozioni che esso trasmette. Lo scopo di Redbull era infatti quello di creare una docu
stile “sfide” su uno dei volti più noti della pallavolo mondiale, un personaggio molto discusso
ma anche apprezzato dalla gente che aveva una storia familiare molto controversa ma che è
riuscito lo stesso ad emergere e a diventare un grande campione di questo sport: Ivan Zaytsev118.
Il protagonista dunque era stato stabilito, ora la Stand By Me (attraverso il format departmemt)
e la Redbull stessa avevano il compito di creare una storia (stile “sfide”) che attraverso il racconto
di vita del pallavolista riuscisse ad inglobare dentro di sé un contenuto che possa esaltare in un
primo momento i valori umani del personaggio ed in seguito, di riflesso, quelli di marca. Quale
è stata dunque l’idea partorita a 4 mani da RedBull e Stand By Me?
Sostanzialmente si è voluto cercare di raccontare, con una docu “one-off” andata in onda su Italia
1 ma trasmessa anche all’estero, il campione della pallavolo italiana attraverso i suoi tatuaggi.
Ogni tatuaggio aprirà un link sulla storia di Ivan Zaytsev e ci portera nei luoghi simbolo legati
ad alcuni precisi momenti della sua carriera e della sua vita. Tre saranno i tatuaggi che
racconteranno altrettanti frammenti importanti della vita del campione Italo-russo che l’hanno
aiutato a crescere e a diventare uomo superando le sue più grandi sfide e paure. Ci sarà anche un
quarto momento, verso la fine del racconto, in cui lo Zar dovrà decidere se a seguito di tutto il
suo vissuto e delle varie foto che durante il percorso ha scattato dei luoghi più importanti della
sua vita sarà pronto per un nuovo tattoo. La scelta sarà del tutto personale e sarà arricchita da un
momento docu in cui il campione verrà seguito nel momento più importante per la storia
pallavolistica della città dove gioca (Perugia): la finale scudetto119.
118 Zaytsev è inoltre testimonial ufficiale e volto della Redbull in Italia. Famosa è stata la vicenda che l’ha visto coinvolto nel 2017 a proposito del tatuaggio temporaneo del logo RedBull da lui fatto sul braccio per poter aggirare il divieto imposto dalla lega sull’utilizzo di manicotti che riportavano lo sponsor personale 119 La struttura dell’intera docu su Zaytsev è sulla stessa linea di “sfide”. Si tratta infatti di un racconto in divenire arricchito da particolari anche nuovi e non prestabiliti. Ad esempio nella stesura dell’intero format erano in ballo due possibili conclusioni dettate dalle vicende sportive della squadra dove militava il pallavolista italo-russo. Se Perugia infatti avesse vinto le final four della Champions League a Kazan questo servizio sarebbe stato mandato nella parte finale della docu, se invece non fosse andata così
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“Ivan: lo zar della pallavolo”120 è quindi il racconto di Ivan attraverso i suoi tattoo, disegni come
capitoli della sua vita. Ogni tattoo apre un percorso, una fase, una tappa dello Zar che si rivivrà
grazie a materiale di repertorio; alle interviste delle persone a lui più care e vicine; e alla docu
della sua quotidianità in campo e fuori alla ricerca dei nuovi obiettivi – sportivi e non - da
raggiungere. I luoghi cardine del suo percorso di vita che verranno visitati sono tre:
• Perugia: è luogo dove vive con la sua famiglia composta dalla moglie dai due figli piccoli
e dal suo adorato gatto. Un luogo dove ha trovato stabilità e nel quale ha raggiunto
obbiettivi sportivi importanti. Non a caso le riprese sono state fatte tra la sua casa e il
Palaevangelisti (campo di allenamento e gara della sua squadra), che lui stesso definisce
“a metà tra una basilica e un Luna Park”.
• Fregene: è il luogo che gli ricorda la sua infanzia e la sua prima ed eterna passione
superiore a quella della pallavolo: il beach volley. Lì ha vinto molti tornei prestigiosi e lì
vuole anche prendere una casa al mare per la famiglia.
• Roma: luogo che ha cambiato la vita del pallavolista non solo in positivo ma anche in
negativo. Si trasferì li molto giovane e venne pagato molto, forse troppo. Lì cominciò la
sua vita sportiva da professionista, ma era ancora un ragazzo immaturo e venne inghiottito
dalla movida romana. Fu anche da lì che Ivan decise di dare una svolta alla sua vita.
Si è cercato dunque di carpire l’essenza della vita privata di uno sportivo amato in tutta Italia. Di
evidenziare gli aspetti umani del suo carattere molto simili a quelli di qualsiasi ragazzo della sua
età. La vita di Zaytsev non è stata sempre serena e tranquilla ma ha vissuto dei momenti di crisi
ed instabilità, dal rapporto conflittuale con la figura ingombrante del padre al periodo buio dei
suoi primi anni a Roma. Tutto questo e molto altro è stato estrapolato e raccontato anche dalle
parole di chi accanto lui ha vissuto e superato tali esperienze (dalla sorella Anna alla moglie
Ashling, dal suo primo allenatore a Roma Andrea Giani all’amica di famiglia Eleonora Manieri
e molti altri).
La docu, seguendo i dettami classici della regia cinematografica, inizia con il presente. In una
calda notte romana d’estate Ivan Zaytsev, con volto incappucciato, si reca davanti ad un negozio
di tatuaggi nei pressi di Testaccio famoso per la sua attività notturna. Li ad accoglierlo si trova
Francesco Cinti Piredda, di professione tatuatore, o meglio artista dei tatuaggi. Lui e Ivan sono
amici da 10 anni e la sua firma è parecchio presente sulla pelle dello “Zar”.
Francesco e Ivan si parlano, si confrontano, devono arrivare a decidere una nuova opera da
tatuare. Francesco lavora così, all’interno del suo studio smette i panni di tatuatore per indossare
quelli di confidente, amico, un po' psicologo. Il tatuaggio per Zaytsev è decorazione ma anche
allora la scena finale sarebbe stata presa dalla storica vittoria dello scudetto contro Trento. La scelta cadde per vicende sportive sulla finale scudetto 120 N.B. questo è il titolo dato al format nella sua versione italiana. La docu è infatti andata in onda anche all’estero nella sua versione internazionale sempre in co-produzione Redbull Stand By Me con il titolo “ivan Zaytsev: My skin, my rules”
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dichiarazione, è cultura e tradizione, è narrazione e comunicazione, è una vera e propria cornice
della sua storia. Come se il corpo non fosse più sufficiente a raccontare chi sei veramente, come
se avesse bisogno di ribadire, rimarcare, “colorare” la propria identità. Nonostante il suo corpo
sia pieno di tatuaggi fatti dal suo amico Francesco, il primo in assoluto non è stata opera sua. Ed
è proprio dal suo primo tatuaggio che parte il racconto, un tatuaggio che raffigura una rondine
con la testa ad usignolo e la scritta: “My life, my rules”.
Questa frase è emblematica per raccontare la storia della sua infanzia, un’infanzia vissuta in una
cornice di rapporto conflittuale con il padre, campione olimpico con la nazionale russa e primo
giocatore russo ad essere autorizzato a giocare in Europa. Un padre mai troppo clemente che però
ha regalato ad Ivan un talento immenso. Nel suo solco Ivan comincia a giocare da palleggiatore,
un ruolo che non sente mai fino in fondo suo sia tecnicamente sia caratterialmente. Inizia a
giocare dunque nel nome del padre, è prima “il figlio di Slava” che un palleggiatore
professionista121. Ivan ha sempre avuto un carattere irruento ed istintivo e questa sua indole si
ripercuote anche nello sport. Inizia la sua carriera da pallavolista a Roma, città che ha avuto un
ruolo fondamentale nella sua carriera ancora giovane. Ivan racconta come Roma gli abbia
cambiato la vita, e non solo in positivo. L’acquisto dei Rolex, le notti brave nei locali, i momenti
difficili in campo con le sconfitte in Coppia Italia, le tante panchine, il trasferimento a Latina, la
retrocessione in A2. Alla fine di questo periodo buio Ivan decide di darsi una svolta, e lo fa a
partire dal campo da gioco. Vuole trovare la sua strada, la sua identità, le sue regole, fino a
scriverselo sulla pelle. La pallavolo è un istinto primordiale per Zaytsev, una passione viscerale
da vivere al massimo, seguendo le sue regole del gioco. Da palleggiatore decide di cambiare
ruolo divenendo “opposto”, per trovare il suo spazio, il suo ruolo da protagonista, la sua identità,
diversa da quella di papà Slava. Ed è a questo punto della storia che arriva il primo tatuaggio di
Ivan. Estate 2009. E’una rondine con la testa di usignolo: la rondine è il simbolo della primavera,
della libertà, del volo, dell’aria, invece l’Usignolo è il suo segno zodiacale cinese. Il tutto con
l’aggiunta della scritta “My life, my rules”. Più che un tatuaggio è una dichiarazione di come
Ivan Zaytsev voglia cambiare da adesso in poi la sua vita, prendendola concretamente in mano.
Ed è proprio da questa presa di coscienza da parte sua che inizia un nuovo capitolo della vita del
campione italo-russo. Il racconto della storia torna al presente, con Ivan all’interno del negozio
di tattoo e con la camera che va a scoprire il suo secondo tatuaggio: la scritta “Oceano Mare”
sul tricipite sinistro. La scelta della frase non è affatto casuale. Infatti è presa dal titolo del suo
libro preferito, che ha accompagnato Ivan in questo suo percorso di crescita e da cui lui stesso ha
tratto ispirazione (“Oceano Mare” di Alessandro Baricco). È un periodo felice della sua vita nel
quale conosce il suo amore (Ashling Sirocchi) e raggiunge traguardi sportivi eccellenti
121 Ivan ha sempre portato dentro di sé questo conflitto con la figura paterna a tratti ingombrante ed asfissiante per lui. Tale difficile rapporto è sottolineato dall’incontro che i due hanno all’interno di questo capitolo a seguito della partita di semifinale di Champions League del Volley persa da Perugia a Kazan (Russia)
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maturando non solo come sportivo ma anche come uomo. Un racconto alternato tra due luoghi
importanti della vita di Ivan che lo hanno segnato sia dal punto di vista sentimentale che sportivo:
Fregene e Perugia. Per citare una frase del libro molto cara a Zaytsev “Accadono cose che sono
come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde”. Nella vita di Zaytsev
molte cose sono domande a cui la vita ha risposto, a volte facendo attendere. Come l'incontro
con Ashling, definito da lui stesso provvidenziale, che l’ha trasformato l’Ivan ragazzo/Hyde nello
Zaytsev uomo/Jekyll. La loro storia è una storia d’amore, pallavolo e mare: Ivan e Ashling si
sono visti, inseguiti e innamorati nel tempo con un’unica location di sfondo, un campo di beach
volley di Fregene (la vera passione di Ivan, lo sport più bello del mondo a suo dire). La storia
con Ashling è per lui come “un quinto set al tie Break, tirato, sudatissimo, punto a punto ma in
cui se alla fine vinci godi di più”. Un amore nato come un inseguimento, un rincorrersi continuo
fatto di posti giusti in momenti sbagliati. Due onde parallele che sembravano non incontrarsi mai
ma che però erano destinati a farlo.122
Un mare dunque che è diventato Oceano nella vita ma anche su un campo di pallavolo. Ivan è
ora un giocatore maturo, compiuto e molto forte: Il rapporto con Ashling gli regala una serenità
che gli permette di esprimersi al meglio anche in campo. In quel periodo arriva a giocare in
Nazionale e disputa partite memorabili come la finale 3/4 posto ai mondiali del 2010 e la sfida
con la Bulgaria nella World League del 2011.
Ivan è dunque ormai un uomo e questo lo si evince anche dal soprannome che gli viene affiliato:
“lo Zar”, una figura che supera la storia e quasi sfocia nel mito. E’la consecutio logica di un
percorso, un lavoro su di sè prima come uomo che come atleta, una presa di coscienza della sua
forza su un campo di pallavolo e fuori. Da lì inizia un periodo sportivo di alti e bassi per
“l’opposto” russo in cui viene sempre messo alla prova per dimostrare di valere quell’appellativo.
Ai momenti felici del bronzo nel 2012 alle Olimpiadi di Londra con la vittoria 3-0 contro gli
USA ai quarti, del primo scudetto da capitano e da opposto con Macerata nel 2014 e dell’argento
storico alle olimpiadi di Rio del 2016123 si intervallano i momenti di difficoltà come il
trasferimento in Russia (paese mai visto da Ivan come casa e che riuscirà a regalargli l’unica
gioia con la nascita del suo primogenito) e l’esclusione per motivi disciplinari dalla World
League in Brasile del 2015124. Molti dunque sono i successi sportivi nazionali ed internazionali
messi in bacheca da Zaytsev, una carriera ancora in divenire che però è ossessionata da un solo
ed unico traguardo ancora non raggiunto che viene ricollegato alla sfida personale che lui ha con
122 Il destino era anche scritto nei loro nomi: Zaytsev in russo signifca “Lepre” e O’Hare (il cognome da parte di madre irlandese di lei) significa “Lepre” 123 Memorabile la semifinale con gli Usa vinta al Tie-break e il record storico dell’ace più potente della storia della pallavolo (127km/h) stabilito da Zaytsev nei quarti di finale contro l’Iran 124 Il Brasile dunque è un paese che ricorre nella vita di Ivan e che lo ha segnato sia in negativo (con l’esclusione dalla nazionale per una notte brava durante la World League del 2015 e con la finale persa nel 2016 per l’oro olimpico) che in positivo (con le partite memorabili alle olimpiadi del 2016 che hanno portato ad un argento comunque storico)
83
suo padre per dimostrare la sua vera forza e scrollarsi di dosso la nomea di “Figlio di Slava”:
l’oro olimpico. L’Olimpiade per Ivan è suo padre, “l’oro di casa” è ancora solo suo. E Slava in
un messaggio, non eviterà di ribadirglielo. È da qui che Ivan racconta a Francesco Cinti la scelta
del suo terzo tatuaggio: un Samurai a cavallo, ispirato al maestro Hiroyoshi III. E proprio a
Tokyo in Giappone, riproverà a vincere l’oro olimpico nel 2020 per cercare di eguagliare il padre.
Ma prima ancora un’altra grande sfida, i Mondiali 2018 da giocare qui in Italia, con un unico
obiettivo: essere assoluti protagonisti.
Siamo giunti dunque, all’interno del racconto, al presente sia sportivo che umano di Ivan. Un
presente fatto di sfide sia vinte sia perse dentro e fuori dal campo. Dalla nascita della sua
secondogenita Sienna alla vittoria del primo storico scudetto con Perugia passando per la
bruciante sconfitta in semifinale di Champions League del volley a Kazan (Russia) sotto gli occhi
di suo padre, per rimarcare e rinnovare quella lotta edipica che non gli da tregua. Questa parte di
narrazione finale è una vera e propria docu in tutti i suoi aspetti che seguirà Ivan in campo e nella
vita privata: negli allenamenti con la squadra al Palaevangelisti, durante il pre-gara di un
importante match di campionato, nel suo rapporto molto stretto con la sua tifoseria oppure nei
momenti di quotidianità come andare a prendere il figlio Sasha a scuola o in casa con la nuova
arrivata Sienna. Le telecamere sono gli occhi dello spettatore sull’Ivan giocatore, “spiano” gli
allenamenti, i riti dello spogliatoio, la preparazione di una gara. Esse vanno a carpire le emozioni,
l’adrenalina, il cuore che batte forte. Respirano l’elettricità nell’aria alimentata dalla delusione,
in caso di una sconfitta, o dalla gioia in caso di vittoria. Ma mostreranno anche come dietro alla
figura rude e prepotente di Ivan “giocatore” vi sia anche una parte più dolce e sensibile di Ivan
“padre e marito”. Una dimostrazione dunque di come il ragazzo si sia fatto uomo, il mister Hyde
sia diventato dottor Jekyll, l’allievo-figlio stia per superare il maestro-padre. Una serie di “sfide”
sia sportive che umane che il brand Redbull ha voluto raccontare con il volto di un suo importante
testimonial per ribadire ancora una volta come nei formati televisivi branded la cosa più
importante sia raccontare contenuti di valore e storie di vita di cui il marchio può farsi portavoce.
Il racconto di Zaytsev inoltre, paradossalmente, non finisce con un nuovo tatuaggio che possa
immortalare un pezzo importante della sua vita presente o futura, bensì con una considerazione
di base su quello che si aspetta per il futuro. La sua avventura infatti non finisce qui poiché ci
sono sempre nuove storie da scrivere e da potersi tatuare sulla pelle. L’intero programma è
dunque una sorta di biografia del protagonista, un racconto di vita sportiva e familiare di un
campione indiscusso della pallavolo che viene percepito più umano e simile ad una persona
qualunque nelle sue fragilità e nei suoi problemi. Lo studio del tatuatore è quasi come il lettino
di uno psicologo, un luogo fuori dal mondo dove esiste solo lui, uno spazio dove far emergere e
riemergere un flusso di coscienza, che si infrange ogni volta violento come le onde sugli scogli,
come una sua battuta sul campo.
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L’utilizzo di uno storytelling di questo calibro per elevare determinati concetti valoriali insiti nel
formato televisivo sottolinea con quanta attenzione, quanta cura e quanta scrupolosità si è
lavorato a questo progetto. Un progetto scritto e co-prodotto a “quattro mani” da Brand e casa di
produzione televisiva che hanno unito le loro conoscenze e competenze per formare un
programma ad alta intensità valoriale e contenutistica. Un contenuto che aveva al suo interno il
pathos e l’emotività tipico di un programma come “sfide” e la ricerca della spettacolarità e del
rischio insito nella value proposition del brand Redbull. Il risultato che ne è uscito fuori è stato
un programma apprezzato dalla critica che è riuscito a raggiungere il 4% di share in una seconda
serata di metà luglio125.
Nell’arco di questo terzo capitolo abbiamo dunque assistito, attraverso lo studio in senso pratico
di questi tre formati televisivi branded, all’evoluzione generale dei rapporti tra brand e settore
televisivo che hanno portato ad un inserimento graduale ma costante del primo nelle logiche
produttive e contenutistiche del secondo. Ne è stata fatta di strada dalle prime forme di product
placement all’ultima frontiera del formato “content” co-prodotto dal brand. Il cambiamento, come
abbiamo visto, è stato anche favorito dall’evoluzione in senso digitale del modo di fruire i
contenuti offerti dalla televisione e dal nuovo modo di concepire la televisione stessa.
Un’evoluzione che ha portato dietro di sé un cambiamento radicale dello spettatore stesso che si
è distaccato dalle logiche di passività tipiche della tv pedagogica ed è divenuto lui stesso primo
giudice attore del processo di creazione di un formato televisivo.
Il brand ha dunque modificato ulteriormente le sue prerogative ed i suoi obbiettivi (come abbiamo
avuto modo di vedere analizzando la struttura di questi tre formati specifici). È passato da una
logica di branded content classico incentrato sulla trasmissione dei valori del brand attraverso un
contenuto che però tendeva sempre a rimandare direttamente o quasi al marchio stesso
(Mastercard) ad una di stampo più internazionale con un occhio maggiore a determinati valori
cardine dell’azienda e con una maggiore attenzione alle dinamiche produttive e contenutistiche
del formato (Sofidel) fino alla produzione e creazione in prima persona di un contenuto vero e
proprio che va al di là dei rimandi al brand e che ha come scopo finale quello di trasmettere e
raccontare delle storie di valore umano e di vita piuttosto che di marca (Redbull).
Tutto questo ovviamente aveva una costante di fondo, un filo conduttore che univa questi tre
progetti e senza il quale non era possibile analizzare a pieno l’evoluzione in atto: La società di
produzione televisiva e l’evoluzione del suo modo di fare brand storytelling.
Il modo di raccontare e di strutturare un programma a seconda delle esigenze valoriali e di vision
che il brand richiede alla società di produzione televisiva è cambiato negli anni e si è dovuto
adattare di volta in volta. Come abbiamo avuto modo di notare attraverso l’illustrazione delle
125 Il programma è andato in onda su Italia 1 il diciotto luglio 2018
85
varie scelte contenutistiche adottate all’interno dei tre programmi, era compito specifico della
società di produzione televisiva (in questo caso la Stand By Me attraverso il Format Department)
di recepire nel giusto modo gli obbiettivi che il brand voleva trasmettere al suo pubblico e
trasformarli in un contenuto che di volta in volta possa generare valore sia al brand stesso sia al
consumatore. Le storie raccontate, che seguano una logica di branded o che raccontino una storia
di vita a sé come nel caso di Zaytsev, devono comunque saper emozionare, devono saper far
immedesimare lo spettatore nei problemi e nei desideri del protagonista, devono cioè saper
coinvolgere.
Per capire in ultima analisi se questa evoluzione del concetto di branded content and television
entertainment abbia raccolto i frutti sperati, e se il modo di fare brandtelling negli anni si sia
evoluto nel giusto modo e abbia raggiunto i risultati sperati sull’audience di riferimento non resta
che analizzare al livello quantitativo i vari programmi presi in esame. Vedere cioè se i risultati
raccolti in numeri da questi tre formati evidenziano una crescita nel rapporto tra brand e
consumatore-spettatore e se il nuovo modo di fare marketing televisivo “matchi” realmente con
le aspettative del marchio e del broadcaster. Inoltre sarà interessante capire se l’evoluzione del
modo di posizionarsi del brand all’interno del mercato televisivo abbia realmente portato al
rafforzamento di dinamiche interne tra consumatore e brand attraverso l’analisi del modo di
rapportarsi del consumatore con il formato televisivo stesso e quindi di riflesso con l’azienda, e
capire se questo trend positivo si rifletta anche sull’emittente che manda in onda quei contenuti
attraverso lo studio dei livelli di share e reach generati dalla visione. Un’ulteriore conferma, se
così effettivamente sarà dall’analisi di questi dati, di come il processo evolutivo del branded
content and television entertainment sia un’onda lunga da cavalcare necessariamente sia da parte
delle aziende che da parte degli emittenti.
3.4 Un’analisi crossmediale
Dopo aver svolto dunque un’analisi di stampo qualitativo dei tre formati presi in evidenza non
rimare altro da fare che osservare anche attraverso i numeri e i dati delle varie campagne branded
esaminate se questa nuova evoluzione del concetto di branded entertainment apportato alla
televisione stia portando a dei risultati e trend di crescita positivi che possano incoraggiare sia
un’azienda che un broadcaster qualsiasi ad intraprendere tale percorso.
I dati che verranno evidenziati all’interno di questo ultimo paragrafo affronteranno due tematiche
di fondo ben distinte ma entrambe strettamente necessarie per un’analisi globale ed efficiente del
fenomeno. Si analizzerà infatti, attraverso la raccolta di specifici dati di marketing, l’eventuale
plusvalore o minusvalore che ogni singolo formato televisivo andato in onda in un determinato
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periodo di tempo e attraverso una determinata piattaforma avrà arrecato al broadcaster principale
in tutti i suoi aspetti. Più nello specifico osserveremo e discuteremo sul livello di reach raggiunto
dal formato nelle varie messe in onda del programma e ci soffermeremo sulla percentuale di
target raggiunta all’interno della suddetta copertura netta. Inoltre analizzeremo il livello di
ascolto medio (AMR) che ha generato in media il prodotto nel periodo di trasmissione mettendolo
in relazione con gli ascolti medi mensili del canale di riferimento e del broadcaster per quella
determinata fascia oraria calcolando così un eventuale plusvalore o minusvalore in termini di
acolto. Questi dati analizzati singolarmente ci daranno l’occasione di evidenziare o meno, lato
broadcaster, l’effettiva profittabilità dell’iniziativa di marketing all’interno del mercato televisivo
per la piattaforma di riferimento, mentre presi in un’analisi incrociata potranno dimostrare come
il cambiamento graduale del modo di fare branding all’interno della Tv possa effettivamente
seguire un trend positivo e fungere da ottimo biglietto da visita per eventuali nuove collaborazioni
future all’insegna del branded content (o meglio “content”). Inoltre verrà anche paragonata la
campagna social di due dei tre formati prodotti dallo stesso broadcaster (Mediaset) per capire
meglio tale fenomeno e capire se stia portando a dei riscontri positivi sia per il consumatore che
per il marchio stesso. Tracciare cioè un’ipotetica “linea maginot” dell’evoluzione progressiva
delle dinamiche di branded content and television entertainment.
Seguendo questa stessa linea di pensiero verrà portata avanti un’ulteriore analisi di marketing,
questa volta lato Brand, che sarà incentrata sullo studio di una variabile qualitativa di forte
impatto soprattutto nel mercato del branded content televisivo: il brand sentiment come variabile
per analizzare l’efficacia di un a strategia di branded entertainment.
Calcolare la variazione di sentiment nei confronti del programma televisivo, e di riflesso sul
brand, durante tutto il periodo di emissione del formato significa capire in che modo e con quale
forza il programma abbia realmente arrecato valore all’azienda. Significa constatare se tutto il
lavoro di brandtelling portato avanti con accuratezza da brand e società di produzione televisiva
(Stand By Me) sia stato realmente e positivamente percepito dal pubblico target126. È la
constatazione finale di tutto quel lavoro di stampo qualitativo portato avanti nella creazione del
formato. In questo caso, dopo aver analizzato in via preliminare i vari metodi posti in essere dagli
organi competenti (OBE) per cercare di quantificare al meglio l’efficacia di un prodotto branded
content, si deciderà di svolgere un’analisi singola dei valori di sentiment dei consumatori-
spettatori target nei confronti del formato televisivo che più sottolinea questo processo di
cambiamento (Redbull “Ivan lo zar della pallavolo”) e che più si sta impegnando al livello social
per aumentare l’engagement da parte del comnsumatore-spettatore verso il contenuto.
126 In questa situazione risulta di maggiore impatto per l’analisi, anche se non del tutto sicuro in termini di riscontro di risultati effettivo, lo studio del sentiment dei consumatori nei confronti del programma attraverso le varie piattaforme web e social a disposizione. Un aumento di sentiment positivo a seguito della visione del formato indica un maggiore apprezzamento del lavoro svolto dal brand e società di produzione tv rispetto all’analisi dell’awareness
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Fondamentale sarà in questo caso lo studio del fenomeno dell’“Influencer” che, nel caso di
Redbull, ha inficiato in maniera decisiva sulla campagna social del formato branded.
Prima di iniziare con l’analisi e lo studio di tutti i dati raccolti dai vari broadcaster, inerenti alle
campagne sui programmi televisivi branded content fino ad ora esaminati, è opportuno dover
precisare ed esplicitare tutti quegli elementi fondamentali che hanno caratterizzato il processo di
raccolta ed analisi dei dati e che sono essenziali per avere un quadro più preciso dell’intera
iniziativa. Si tratta sostanzialmente di linee guida che il lettore deve tenere sempre in
considerazione all’interno di questo paragrafo per avere un’idea più chiara e definita dell’intero
processo di sviluppo dei dati:
• I tre formati televisivi si differenziano tra loro non solo per struttura interna e contenuto
(come d’altronde è ovvio che sia) ma anche al livello di fascia oraria127 in cui sono
trasmessi e di piattaforma di provenienza. Quest’ultima distinzione è fondamentale dal
momento che anche il bacino di utenza del pubblico varia necessariamente. Il programma
“Chasing Paper” ad esempio andava in onda sulle reti Fox e quindi faceva parte del
pacchetto satellitare di Sky. Il bacino di ascolti che ha Sky non ha gli stessi numeri di una
tv generalista come Mediaset. Questa distinzione la si può vedere con due sfumature
diverse: da una parte è giusto dire che il livello di share e di AMR che raggiunge un
programma Mediaset sarà ovviamente più alto rispetto ad un concorrente Sky128,
dall’altra però è vero pure che la piattaforma satellitare di Murdoch essendo “selettiva” e
“discriminante”, per via delle varie modalità di pagamento dei singoli pacchetti, avrà una
percentuale di target raggiunto all’interno del programma che sarà del 100%129. I
programmi Mediaset infatti mirano a colpire il target di riferimento all’interno di un
bacino di utenza variegato e multiforme e quindi avranno una penetrazione meno forte
sul pubblico selezionato rispetto a Sky (Fox). Questa precisazione sarà fondamentale
quando andremo a studiare e paragonare i dati riguardanti la percentuale di share, AMR130
e reach (“copertura”) per ciascun programma. In questa analisi dunque non ci interesserà
sapere il dato più alto raggiunto tra i tre formati messi a confronto (per i motivi di cui
sopra), bensì il rapporto proporzionale che essi hanno con la media generale del canale
127 Mentre “Chasing paper” andava in onda in prima serata su National Geographic, “Un viaggio da campioni” & “Ivan lo zar della pallavolo” andavano in onda in seconda serata su Italia 1 e Canale 5. Ovviamente è logico pensare come l’affluenza sia decisamente diversa da parte dell’audience 128 Sky vanta all’incirca 12 milioni di telespettatori in Italia mentre le tv generaliste possono contare su numeo almeno 3 volte superiori 129 Sky concede al suo cliente di selezionare i canali di cui vuole usufruire attraverso il pagamento di pacchetti appositi (Cinema, Calcio, Sport, Documentari e famiglia etc.). Per questo motivo è logico ritenere che chi vede taluni programmi sarà già definibile come pubblico target 130 L’Average Minute Rating (AMR) non è altro che il dato che esprime l’ascolto medio. Cioè il numero medio di telespettatori che hanno visto il programma all’interno di una determinata fascia oraria. Esso indica sostanzialmente il rapporto tra la somma del numero di audience presente in ogni minuto di trasmissione e la durata complessiva della stessa
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per capire se effettivamente la forbice di eccellenza del programma sia veramente
aumentata o meno a favore di una crescita delle strategie di branded content and television
entertainment.
• Un altro elemento di contestualizzazione che è doveroso evidenziare prima di iniziare la
nostra analisi riguarda la durata di ogni singolo programma (tra promo, prime e repliche)
e l’intervallo di tempo utilizzato per tracciare un’analisi quantitativa da parte dei
broadcaster131. L’intervallo temporale è molto importante all’interno di un’analisi
accurata. I tre programmi presi in considerazione, infatti, vantano degli intervalli
abbastanza diversi gli uni dagli altri. Mentre “Chasing Paper” e “Ivan lo zar della
pallavolo” sono due One-off con una durata complessiva dell’intera campagna di non
oltre due mesi (Ottobre-Novembre 2016 per il programma di Sofidel e Luglio-Settembre
2018 per quello di Redbull) il programma “Un viaggio da Campioni” ha un intervallo
temporale molto più ampio essendo strutturato su più puntate da settembre 2015 a maggio
2016132. Questa distinzione ovviamente influirà sul livello di copertura assoluta raggiunta
dal programma sia lato digital che televisivo anche se come vedremo non avrà un
riscontro evidente in termini di iterazione/engagement con il pubblico che lo vedrà
inferiore al format di Redbull di più breve durata. Questo è un dato non trascurabile che
sottolinea come l’aumento del contenuto di valore (inteso come storia di vita) attiri
sempre di più il consumatore. La dura legge del “Content”.
• In ultima istanza, nonostante uno dei tre formati sia stato trasmesso anche all’estero
(“Chasing Paper”), mi sono volutamente soffermato sull’effetto di questa nuova strategia
di branded entertainment sul territorio italiano andando a confrontarmi dunque con la
piattaforma Fox che cura gli interessi del programma in Italia. Il fenomeno del BC&E è
ovviamente di stampo internazionale ma a mio avviso una lettura italiana può essere
ancora più fittante per capire meglio i suoi riscontri.
Passiamo ora all’analisi vera e propria al livello broadcaster dei formati presi in esame, e
partiamo dallo studio dell’average minute rating generato dalla messa in onda di ogni
programma. La scelta da parte delle emittenti televisive di lavorare su questo indicatore non è
131 Per quanto riguarda questo aspetto è opportuno precisare che per quanto riguarda il format su Zaytsev, in collaborazione con Redbull, si è deciso di portare avanti un’analisi in un periodo di tempo ristretto rispetto all’intera campagna che in realtà sarebbe continuata con delle repliche fino a novembre inoltrato. Sia per il lato broadcaster che per il lato brand si è deciso di far durare l’analisi dal giorno della promo (17luglio 2018) a quello dell’ultima campagna social da parte dello stesso testimonial pallavolista sul suo profilo ufficale (15 settembre 2018) 132 Il Programma viaggiava in contemporanea con la più importante manifestazione europea per club (Champions League) che diveniva il palcoscenico dei sogni per i fortunati bambini che potevano avere l’opportunità di entrare in campo con il loro idolo della squadra del cuore e coronare così il loro sogno
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assolutamente casuale dal momento che esso ci permette di valutare, all’interno della fascia
oraria dove il programma va in onda, il numero medio effettivo di persone che lo hanno visto in
un dato intervallo di tempo. La media di spettatori fuoriuscita (coloro che effettivamente in media
hanno visionato l’intero programma) permette al broadcaster stesso di capire se il formato sia
stato convincente per l’audience e di riflesso il contenuto stesso sia stato coinvolgente. Non è
difficile intuire come per un marchio che produce un formato branded content and entertainment
vedere che il contenuto ha attirato una importante parte di spettatori sia un’importante fonte di
sostentamento per dimostrare l’efficacia del brand storytelling messo in atto e, di riflesso, dei
valori che si è voluto trasmettere.
Per osservare in maniera più efficiente i risultati in termini di AMR derivanti dalle campagne
televisive di questi tre formati è opportuno che essi siano paragonati ai valori di average minute
rating del giorno medio mensile non solo del canale che li ospita ma anche della intera
piattaforma. Ovviamente questi valori si riferiscono nello specifico sia al periodo di messa in
onda del programma (mese), sia alla fascia oraria di riferimento (prima serata/seconda serata).
Così facendo si metterebbe a paragone nel modo più completo ed esaustivo i valori del
programma rispetto alla media del canale e del broadcaster e si capirebbe se lo stesso ha
overperformato o sottoperfomato rispetto alla media133.
Cerchiamo ora di essere più chiari analizzando i numeri dei tre programmi:
Il format “Un viaggio da campioni” (Mastercard/Mediaset/StandByMe) è andato in onda in
seconda serata sui canali telematici Italia 1 e Canale 5, a seguito delle partite di calcio di Uefa
Champions League, dal periodo settembre 2015 a maggio 2016. Durante queste messe in onda
nei due diversi canali ha registrato un livello medio di AMR di 1.200.000 spettatori134.
Ovviamente, trattandosi di un periodo più lungo rispetto agli altri 3 formati, nel grafico seguente
si è messo tale dato in relazione al mese che tra settembre 2015 e maggio 2016 ha registrato un
livello di AMR del giorno medio mensile più elevato sia all’interno del singolo canale (Canale 5
e Italia 1) che della rete generale (Mediaset). Il tutto in relazione alla fascia oraria di riferimento.
Così facendo è stato possibile avere il termine di paragone più elevato per capire se
effettivamente il livello raggiunto dal programma abbia in assoluto ottenuto risultati eccellenti o
meno.
133 N.B. questo paragone è generico e serve solo a capire l’efficacia del programma e non a metterlo seriamente in relazione con gli altri dal momento che vanno calcolate variabili come la durata dei prodotti, il contesto e la controprogrammazione. 134 Dati Mediaset Publitalia
90
(dati forniti da Publitalia e da Auditel con rivelazioni Nielsen)
Come possiamo vedere dalla tabella il livello di AMR raggiunto dal programma supera
abbondantemente la media di Italia 1 per quella fascia oraria mentre è al di sotto di canale 5. Il
risultato finale è comunque da ritenersi più che soddisfacente dal momento che il programma
andava in onda per un buon 70% su Italia 1 e quindi ha in quel caso overperfromato raggiungendo
anche circa un quarto del valore medio di AMR della piattaforma Mediaset stessa in quella fascia
oraria.
Per quanto riguarda invece il programma “Chasing Paper” (Sofidel, Fox per National Geographic
e Stand By Me) il discorso è diverso. Trattandosi di one-off andato in onda in un intervallo
temporale di un mese circa il calcolo dei dati ed il paragone rispetto al canale ed alla piattaforma
è più semplice. Il programma, che ha avuto la sua “prima” l’11 novembre 2016 e si è poi
riproposto su 11 repliche, ha raggiunto un livello di AMR medio di 45.662 spettatori. Inoltre,
nella sua prima messa in onda, è stato registrato dalla piattaforma Fox un livello di ascolti del
+43% rispetto alla media di fascia di quel periodo per il canale National Geographic135. Questo
dato è un indice evidente di come il formato sia molto piaciuto all’audience e che quindi i valori
trasmessi al suo interno erano ben raccontati e capaci di tenere più persone del solito davanti alla
tv. Da i risultati della tabella sottostante si evince che il programma nella sua messa in onda ha
decisamente performato rispetto alla media mensile per fascia oraria del canale National
Geographic.
135 Dati forniti da FOX e nello specifico dalla figura di Gianna Camilli (Media Sales e Partnership Supervisor presso Fox Network Group)
91
(dati forniti da Fox Network e da Auditel con rilevazione Nielsen)
Un valore così alto rispetto alla media di fascia e di canale evidenzia come questa graduale
evoluzione del modo di fare branded content stia effettivamente producendo dei risultati notevoli
per i broadcaster.
Soffermandoci infine sull’ultimo programma analizzato (“Ivan lo zar della pallavolo” co-
prodotto da Redbull, Mediaset e Stand By Me) dobbiamo fare una precisazione di fondo.
Trattandosi di un programma andato in onda a luglio 2018 e con delle repliche in via di
approvazione nel periodo ottobre-novembre 2018 ogni analisi verterà sui dati raccolti fino a circa
metà settembre. Parlando di AMR relativo al format, andato in onda per la prima ed unica volta
finora il 18 luglio136, possiamo notare come il dato complessivo raggiunto sia di 285.294
spettatori medi. Questo dato differisce dalle analisi precedenti dal momento che risulta
appartenente ad un’unica messa in onda del programma (non contando quindi eventuali repliche)
e per di più nel palinsesto estivo della rete che per media presenta meno spettatori rispetto ad
altri periodi137. Dunque il valore è inferiore rispetto a quello di un formato come “Un viaggio da
campioni” prodotto dalla medesima rete, ma comunque con delle attenuanti di rilievo. Volendo
fare un paragone tra i dati sopra riportati dei livelli di ascolto medio delle tre campagne branded
possiamo evidenziare in sintesi come ci sia stata una performanza più o meno generale rispetto
alle medie di canale e di come i programmi abbiamo riscontrato un’importante successo nel
pubblico probabilmente, anzi quasi sicuramente, grazie al modo nuovo e innovativo dei brand di
raccontare i propri contenuti all’interno del formato televisivo.
Un secondo dato che è opportuno analizzare per constatare l’effettiva efficacia (lato broadcaster)
di una campagna televisiva di un formato branded e della sua evoluzione nel tempo è sicuramente
136 È prevista una seconda messa in onda il 30 di settembre ma per motivi inerenti alla scadenza della consegna di questo elaborato finale non verrà considerata 137 I dati di ascolto medio mensile per fascia oraria di italia 1 per il periodo luglio 2018 sono stati infatti di 582.003 spettatori e quindi al di sopra del dato di AMR di Redbull ma il dato raggiunto è comunque rilevante
92
il livello di copertura netta, o reach, in relazione al target group di riferimento. Sostanzialmente
si tratta di constatare il numero di individui, al netto delle duplicazioni, raggiunti da una
determinata piattaforma televisiva con ogni mezzo di comunicazione o driver. Questo dato poi
viene messo in rapporto al target group che si voleva colpire per capire in quale percentuale lo
stesso è stato penetrato. Più è alta la percentuale e più le aspettative del broadcaster e del brand
sono state soddisfatte. Ovviamente, riprendendo il discorso di inizio paragrafo, la percentuale di
penetrazione al target del programma “Chasing Paper” sarà inevitabilmente del 100% sul dato di
reach in quanto il programma poteva essere seguito solo dai possessori di quel determinato
pacchetto clienti di Sky, anche se effettivamente il numero di copertura è molto più basso degli
altri due formati (della serie pochi ma buoni). Analizziamo ora ogni singolo formato: Il
programma “Un viaggio da campioni” in tutto il suo periodo di messa in onda ha registrato un
livello totale di reach di 4.166.725 contatti raggiunti con una penetrazione al target (in quel caso
uomini dai 25 ai 54 anni amanti dello sport) di circa il 30% (1.266.909 individui)138. Il
programma National Geographic “Chasing Paper”, invece, ha ottenuto una reach totale di
383.000 contatti e, come abbiamo detto in precedenza, il 100% di penetrazione al target139
(amanti della natura e possessori pacchetto predefinito Sky). Per quanto riguarda invece il
programma content “Ivan lo zar della pallavolo”, essendo lo stesso in fase di programmazione
con alcune repliche previste per metà ottobre, non era possibile poter stimare un dato veritiero di
copertura netta al target quindi è risultato preferibile dall’azienda non condividere dati ancora
non definitivi.
Alla luce dei suddetti risultati raggiunti attraverso queste analisi, soprattutto evidenziando la
percentuale così importante di spettatori target colpiti effettivamente dal formato televisivo, si
può anche in questa circostanza evidenziare come la scelta da parte dei brand di puntare su
contenuti specifici di valore abbia avuto riscontri positivi per la fascia di spettatori a cui il brand
ha voluto puntare in maniera più decisa dando ancora più rilevanza alla scelta del contenuto e
dello storytelling adottato. Anche in questo caso si è notato un costante miglioramento del
rapporto tra spettatore-consumatore e formato televisivo che gioverà direttamente e
indirettamente sia al broadcaster che al brand.
Seguendo questo filo conduttore ed andando ad analizzare adesso il plusvalore lato brand che
hanno arrecato i vari formati televisivi presi in esame ho deciso di soffermarmi sull’analisi dei
due programmi che hanno in comune lo stesso broadcaster di riferimento e che differiscono tra
loro per il diverso tipo di approccio verso il mondo dell’entertainment televisivo: Mastercard
“Un viaggio da Campioni” e Redbull “Ivan: lo zar della pallavolo”. Così facendo posso realmente
constatare l’evoluzione delle dinamiche di relazione tra brand, formato televisivo e mondo social
138 Dati Publitalia 139 Dati Fox Network Italia
93
e digital. Come già anticipato in precedenza, infatti, questi due formati segnano il passato ed il
presente del modo di fare branding televisivo (da una parte il branded content “puro” e dall’altra
il nuovo formato “content”) ed essendo stati entrambi trasmessi sulle reti Mediaset sarà più facile
per me mettere a paragone il loro modus operandi. Questa loro distinzione strutturale in termini
di contenuto e di valori trasmessi la si può dunque osservare attraverso la campagna social portata
avanti dai due brand per sponsorizzare il loro formato.
Anche qui però prima di cominciare ritengo sia doveroso fare delle precisazioni importanti:
• Si tratta di due formati con una distanza temporale importante l’uno dall’altro. Tre infatti
sono gli anni che separano queste due iniziative, che possono sembrare poca cosa ma che
in realtà al livello digitale sono una distanza considerevole dato lo sviluppo continuo e
incessante del modo di usare e sfruttare i social da parte dei brand.
• Le due campagne hanno durata diversa l’una dall’altra ed è quindi necessario tener
presente questo dato quando si analizzano i risultati complessivi della stessa.
• Il programma “content” di Redbull ha una campagna social che ancora non è del tutto
completata e quindi i dati riportati non sono definitivi.
Partendo da Mastercard possiamo far notare come il brand americano non abbia seguito un
percorso lineare e ben strutturato di promozione e di racconto via web del programma che stava
mandando in onda. Nonostante infatti la messa in onda del formato avesse una durata di 6 mesi
(settembre 2015- maggio 2016 con 10 puntante complessive) il brand ha scelto di procedere con
una sponsorizzazione transmediale sulle varie piattaforme di riferimento meno coinvolgente
rispetto a Redbull. La pagina ufficiale italiana del brand ha infatti pubblicato 3 post su Facebook
(due a novembre e uno a maggio) di pubblicizzazione del formato e alcuni tweet che seguivano
lo stesso andamento. Questo modo di comunicare è tipico di una logica di formato televisivo
ancora ancorato ai dettami del branded content classico. Una logica più di stampo commerciale
che contenutistico che più che coinvolgere lo spettatore e accompagnarlo all’interno di una storia
di vita e di valori era incentrata ad aumentare in esso la sua propensione al marchio. L’obbiettivo
di Mastercard era ancora quello di lavorare su dei kpi come la recall, la trust e la familiarity
trascurando invece le reazioni legate al sentiment dell’audience. Possiamo notare a tal proposito
nelle tabelle sottostanti, attraverso delle ricerche svolte dal brand su un panel di 636 consumatori-
spettatori del programma, come effettivamente il pensiero principale del marchio fosse che
l’audience target una volta visionato il formato televisivo rinforzasse nella sua mente la recall e
la familiarity nei confronti del brand stesso.
94
(Ricerca Mastercard dell’aprile 2016, su panel di 636 rispondenti, riguardo i valori di brand recall
and brand familiarity del formato televisivo “Un viaggio da campioni”)
Partendo da questa considerazione possiamo analizzare ancora meglio i dati fuoriusciti dalla
campagna che sono certamente positivi, ma che mirano dunque ad un plusvalore personale
piuttosto che a coinvolgere attivamente il consumatore. La campagna ha raggiunto 10,5 milioni
di persone con 1,8 mln di visualizzazione video e 350.000 click sui post con un livello di
engagement generale di 61.000 (like e condivisioni). Inoltre il marchio americano, secondo dati
raccolti da Blogmeter, nel periodo gennaio-febbraio 2016 anche grazie alla campagna branded
content “Un viaggio da campioni” risultava secondo tra i top brands del ramo bancario per
engagement su Facebook e terzo per nuovi fan sulla medesima piattaforma.
95
(Dati Blogmeter rilevati attraverso il tool Social Analytics su un panel di 120 pagine ufficiali)
Per il format “content” della Redbull invece il discorso è diverso. Come anche spiegherò nel
paragrafo finale della tesi il brand austriaco sta sviluppando per questo formato una campagna
social ben strutturata e delineata volta a coinvolgere ed interagire in maniera sempre più forte
con il suo consumatore-spettatore target. Per fare questo ha deciso di mettere nelle mani del
protagonista del documentario, nonché volto ufficiale di Redbull Italia Ivan Zaytsev, l’intera
campagna social di sponsorizzazione Facebook. L’idea di far sì che egli stesso sia il primo
promotore della sua storia di vita (attraverso la pubblicazione periodica da fine agosto a metà
settembre di post contenenti mini puntate del programma andato in onda luglio) è una strategia
di marketing che meglio si sposa con le caratteristiche del programma content. Il pubblico così è
reso partecipe in prima persona e si sente protagonista delle vicende umane del campione,
condividendone gioie paure e speranze140. I dati fuoriusciti da questo programma, seppur come
ricordo non definitivi e sviluppati in un percorso temporale minore rispetto al format Mastercard,
sono molto significativi della buona riuscita lato digital-brand dello stesso. Già più di 600k
visualizzazioni video con un livello di engagement e iterazioni social di oltre 65.000 che ha già
superato quello di Mastercard. Ma per capire ancora più a fondo la reale efficacia di questo nuovo
modo di fare storytelling da parte del brand è necessario studiare la reazione spontanea dei
consumatori a questo formato. Capire cioè quali sono i sentimenti, le opinioni e le attitudini e le
valutazioni del consumatore nei confronti di questo nuovo modo di raccontare la marca attraverso
un contenuto umano di forte impatto. Uno studio nuovo e sperimentale di cui ancora poche
aziende ne sfruttano le potenzialità che verrà trattato nel successivo ed ultimo paragrafo della tesi
e che prende il nome di sentiment analysis.
140 Per quanto riguarda lo studio delle sensazioni ed emozioni che un programma di questo tipo può arrecare al consumatore-spettatore rimando alla lettura dell’ultimo paragrafo
96
3.4.1 L’approccio della sentiment analysis
Riuscire ad analizzare efficacemente al livello quantitativo la risposta di un consumatore al
fenomeno del branded content and entertainment televisivo ha sempre rappresentato per
l’azienda una strada complicata e non del tutto delineata da percorrere. Il continuo e incessante
cambiamento delle dinamiche interne ed esterne del rapporto tra brand e televisione ha infatti
portato non solo il contenuto stesso del prodotto ad essere continuamente modificato, ma ha
anche spinto gli analisti delle varie aziende a rivisitare continuamente i kpi da considerare per
una corretta analisi finale lato consumatore dell’efficacia del formato specifico. Il passaggio da
una logica di brand integration ad una di branded content, e dal branded content al prodotto finale
moderno del “content” ha fatto si che negli anni molti studiosi ed esperti del settore siano alla
ricerca di un metodo ottimale di analisi quantitativa efficace lato consumatore. A questo
proposito ho interpellato il direttore generale dell’Osservatorio Branded Entertainment (Anna
Gavazzi) ponendogli essenzialmente una domanda di fondo: Di fronte a questo incessante
fenomeno di evoluzione continua dei rapporti tra Brand e Televisione qual è ad oggi lo strumento
migliore che l’azienda potrebbe utilizzare per analizzare al livello quantitativo l’efficacia di un
prodotto televisivo branded?141
Questa in sintesi la sua risposta: “Ad oggi l’osservatorio branded entertainment si sta ponendo
proprio questa domanda. Non c’è una risposta assoluta poiché il fenomeno ad ora non è del tutto
stabilizzato e non tutti i brand utilizzano la stessa strategia all’interno del mercato televisivo.
Diverse sono le modalità di analisi che ogni anno svolgiamo lato consumatore per constatare
l’efficacia di un’iniziativa branded content and entertainment. Attraverso queste analisi svolte
su un campione di 500 individui dai 18 ai 60 anni (divisi in fasce target tra esposti al programma,
esposti al canale e target di controllo), a cui somministriamo la visione di ben 30 casi studio di
programmi branded, cerchiamo di lavorare su dei kpi da noi ritenuti maggiormente influenti al
livello di efficacia di branded content. Tali variabili sono di solito l’awareness, la brand
familiarity ed il brand trust142.” Ma la considerazione non finisce qui.
Anna mi spiega infatti che con l’ascesa di questo nuovo e innovativo modo di fare brandtellling
da parte delle aziende all’interno di un contesto televisivo di cui loro sono sostanzialmente co-
editrici insieme al broadcaster si sta facendo strada una tecnica ancora molto sperimentale di
analisi lato consumatore dell’efficacia di questo nuovo fenomeno del formato “Content”: la
sentiment analysis. “Sempre più aziende notano come, essendo cambiato il loro modo di
raccontare i valori all’interno di un contesto televisivo, sia necessario cercare di carpire le
141 Ovviamente è sottointeso che tale analisi venga fatta sul consumatore-spettatore 142 I risultati sono abbastanza positivi con un’aumento di brand trust del 1,7 %, di familiarity del 2,1% e di awareness del 2,4% (Fonte Obe)
97
emozioni ed il sentiment che tali formati trasmettono al loro pubblico target. Sia chiaro, questo
tipo di analisi per noi è ancora un percorso tutto da scoprire. Noi ad oggi come osservatorio
non portiamo avanti questo tipo di analisi, però ci stiamo adoperando per farlo in futuro date le
nuove e crescenti esigenze da parte del brand.”
Queste dunque le considerazioni del direttore generale dell’Obe riguardo il fenomeno dell’analisi
quantitativa lato brand dell’efficacia di un formato branded content and television entertainment.
Ma in cosa consiste questa sentiment analysis? Su quali parametri verte e soprattutto come e
dove viene svolta?
Cercherò di dare una spiegazione teorica e pratica nelle pagine successive.
La sentiment analysis non è che una tecnica moderna, utilizzata nel campo del marketing e della
statistica, di ascolto dell’opinione e del sentimento da parte di un consumatore riguardo un
determinato prodotto (o in questo caso formato) attraverso il web, e più nello specifico i social.
È l’evoluzione finale di quelle vecchie tecniche di marketing basate sui sondaggi (online e
offline) dal quale si discosta per un principio di fondo: la spontaneità della risposta del
consumatore dettata dalla sua sincera opinione su un determinato argomento o prodotto.
Analizzare il sentiment di un individuo significa infatti carpire dalla sua risposta un determinato
atteggiamento nei confronti di prodotto o formato. Significa catturare la cruda verità sulle sue
aspettative e quindi permettere al brand, senza alcun tipo di manipolazione, di capire se una sua
eventuale strategia di marketing stia funzionando o meno. Attraverso la sentiment analysis si
evidenziano dunque le opinioni, i sentimenti, le valutazioni, le attitudini e le emozioni degli
individui attraverso ciò che scrivono in un testo143. Più nello specifico, quando si analizza un
commento su un determinato post e su un determinato prodotto (o nel nostro caso formato) si
devono tenere d’occhio delle variabili precise che permettono di analizzare in maniera efficiente
il contenuto. Tali variabili sono: la persona o oggetto a cui è rivolto il messaggio, chi esprime il
messaggio, quale sentimento è espresso nel messaggio (Positivo, negativo o neutrale)144 e quando
l’opinione è stata espressa. Attraverso lo studio di queste variabili interne al testo è possibile per
i brand captare il sentiment spontaneo che il consumatore-spettatore ha nei confronti di un
determinato formato televisivo. Esistono molte tecniche e diversi algoritmi e programmi da
utilizzare per estrarre ed analizzare il testo di un commento o iterazione, tuttavia è necessario
tenere in considerazione il fatto che esistano dei principi di fondo o linee guida da tener presente
quando si svolge un’analisi di questo tipo:
1) Non esiste un modello linguistico quantitativo esatto al 100%. Ogni metodo di analisi del
testo attraverso dei software comprende un margine di errore derivante dai diversi modi di
143 Ceron, A., Curini, L. e Iacus, S.M.,“Social Media e Sentiment Analysis, L'evoluzione dei fenomeni sociali attraverso la rete”, Springer editore, Milano (2016) 144 Soprattutto questo parametro come vedremo risulterà fondamentale in fase di analisi
98
esprimersi appartenenti ad un individuo (doppi sensi, ironia e uso particolare della
punteggiatura) e dalla complessità sempre maggiore del linguaggio umano (neologismi,
metafore e nuove espressioni colloquiali).
2) A dei metodi quantitativi di analisi del testo attraverso software specifici va affiancato
l’occhio umano. L’utilizzo di software per estrapolare ed analizzare migliaia di commenti
(soprattutto per Brand internazionali con migliaia di iterazioni) è essenziale per un’analisi
completa ed efficace della sentiment, però per casi specifici di commenti border line è sempre
utile uno sguardo più “umano”.
3) Esistono tecniche “diversamente adatte” per l’analisi testuale del sentiment a seconda del tipo
di variabile e dei fattori che si vogliono esaminare (argomento, età, lingua etc.).
La sentiment analysis è dunque uno strumento di ricerca moderno delle sensazioni e delle
emozioni che scaturiscono da un individuo nel momento in cui esso si rapporta con un
determinato prodotto o formato. Ci permette di capire sostanzialmente se la storia raccontata ed
il contenuto trasmesso siano ben recepiti spontaneamente dall’audience permettendo la
valorizzazione o meno un’iniziativa di brandtelling. Pur essendo una tecnica ancora in via di
sviluppo la si potrebbe definire come la formula adatta per venire a capo al dilemma attuale della
effettiva riuscita o meno di una strategia di “content”. Come anticipato precedentemente dal
direttore generale dell’OBE questa formula è però ancora poco utilizzata dalle aziende che o non
ne capiscono ancora l’effettiva utilità oppure sono frenate dalle difficoltà in termini di costi e
risorse da dover utilizzare per analisi di questo tipo145.
Nello studio dei tre formati televisivi branded content presi in esame all’interno di questo
elaborato mi sono reso conto, parlando con i rispettivi direttori dell’area marketing Italia dei
brand analizzati (Mastercard, Sofidel e Redbull), di come questo fenomeno della sentiment
analysis sia una strada che ancora non è stata da loro battuta ma che sta comunque riscontrando
un certo interesse in questo periodo storico.
A tal proposito ho deciso in questa parte finale dell’elaborato di portare avanti in prima persona
una sentiment analysis lato social del formato televisivo che più rappresenta l’evoluzione finale
del rapporto tra brand e broadcaster : il “content” Redbull “Ivan: lo zar della pallavolo”. Quel
formato che, attraverso l’utilizzo di un brandtelling innovativo ed incentrato più sul racconto di
una storia di vita che sui valori del marchio in sé, possa evidenziare maggiormente attraverso la
sentiment analysis la sua efficacia o meno di penetrazione nei confronti del consumatore-
spettatore.
145 “Se non si ha un’equipe di statistici in grado di poter svolgere una sentiment analysis sapendo adoperare strumenti di scraping dati (es: API) e software appositi per l’analisi del sentiment (ES: “R” e “Phyton”) si dovrebbe ricorrere ad agenzie esterne che richiedono un costo molto elevato che le aziende non possono e non vogliono sostenere” Fonte OBE
99
Dunque sarà questa l’ipotesi principale da verificare (h0): constatare se l’evoluzione finale del
modo di fare branded content & brandtelling all’interno di un formato televisivo abbia riscontri
positivi generali al livello di sentimenti, opinioni, valutazioni e attitudini del consumatore nei
confronti del formato.
L’analisi verterà su tutta la campagna social del programma portata avanti dal brand Redbull che
è stata sviluppata interamente sulla piattaforma Facebook e più nello specifico all’interno del
profilo ufficiale del protagonista del formato televisivo nonché volto ufficiale per Redbull Italia:
Ivan Zaytsev.
La scelta da parte di Redbull di operare in questo modo non è stata casuale. Infatti, essendo il
programma essenzialmente una docu sulla vita del campione italo-russo, è stato ritenuto
opportuno dal brand austriaco che lui stesso pubblicizzasse in prima persona periodicamente il
formato creando un legame stretto tra la sua figura ed il brand Redbull che lui stesso ha “tatuato
sulla pelle”. Inoltre questa forte correlazione tra protagonista del racconto e marchio sottolinea
il ruolo sempre più importante dell’influencer all’interno di queste dinamiche di
sponsorizzazione del prodotto146. L’influencer è colui che o in modo diretto o indiretto sfrutta la
sua popolarità su un target specifico di persone per indirizzare inconsciamente le stesse verso le
iniziative portate avanti dal brand a cui esso è legato. In questo caso l’influencer è anche il
protagonista del racconto ed il motore principale delle strategie di sponsorizzazione dello stesso.
Zaytsev all’interno della campagna non fa altro che invitare le persone ad ascoltare la sua storia,
creando legami forti soprattutto dal punto di vista umano (di sentimenti appunto) con il pubblico
target. La scelta di Redbull è stata quindi indirizzata soprattutto a creare un coinvolgimento
emotivo diretto dello spettatore target147 all’interno del racconto. Un coinvolgimento rafforzato
periodicamente nell’arco di tutta la campagna social dai post pubblicati meticolosamente dal
pallavolista sul suo profilo ufficiale.
Analizziamo ora nello specifico l’iter di pubblicazione social portato avanti da Zaytsev sotto
l’egida del marchio austriaco: sono stati pubblicati 7 post complessivi in un arco temporale che
va dal 13 luglio al 15 settembre. Il primo post è un video promozionale del programma (andato
in onda pochi giorni dopo), i successivi due riguardano il day after del formato (articoli di
giornale e interviste sul programma) mentre dal 27 agosto fino al 15 settembre sono stati
pubblicati 4 mini episodi che racchiudevano l’intera puntata andata in onda su Italia 1148. I quattro
mini episodi coincidevano con le fasi della sua vita racchiuse in altrettanti tatuaggi diversi (come
146 È tipico di Redbull il fatto di creare contenuti che esulino dalle caratteristiche del prodotto in sè ma che comunque creino nella mente del consumatore un “imprinting” inconscio che gli fa ricollegare un determinato personaggio o attività al brand stesso 147 Il target di riferimento per tutti i formati della Redbull è il medesimo: individui dai 18 ai 45 anni amanti dello sport a 360° 148 La scelta di dividere la puntata in 4 mini-video da 5-6 min e pubblicarli ad intervallo temporale di una settimana l’uno dall’altro è stata definita da Redbull come la volontà di accompagnare il pubblico lentamente all’interno della vita del campione italo-russo di pallavolo. Una “customer experience” lato social sui valori umani e le fragilità di un personaggio visto sempre nell’ottica del campione indistruttibile
100
spiegato nei paragrafi precedenti) e raccontate attraverso una riuscita modalità di storytelling. La
campagna è dunque durata complessivamente circa 2 mesi ed ha accompagnato e poi sostenuto
a posteriori la messa in onda del programma del 18 luglio di quest’anno. Abbiamo analizzato già,
all’interno dell’elaborato, i benefici lato broadcaster che il programma ha arrecato (AMR, Reach
etc.). Adesso, attraverso la sentiment analysis, cerchiamo di capire invece se anche lato rapporto
brand-consumatore questo nuovo tipo di formato abbia riscontrato effetti positivi.
Prima di iniziare è opportuno però precisare alcuni punti che saranno fondamentali per una chiara
comprensione della sentiment:
1) Come anche anticipato in precedenza i risultati del modello di analisi quantitativa linguistica
non saranno esatti al 100% ma avranno dei margini di errore derivanti dal complesso e
districato uso della lingua italiana che può creare problemi al software di riferimento (in
questo caso “R”). Gli output ricavati daranno dunque un’indicazione generale e non precisa
al dettaglio del livello di sentiment generato dal programma content ma serviranno comunque
a dare una polarità alle reazioni dei consumatori.
2) Le tecniche di estrapolazione dei dati possono andare incontro a restrinzioni derivanti dalla
privacy che social network come Facebook possono imporre su determinate iterazioni.
3) La campagna social può ancora subire delle variazioni al livello di iterazioni (aumento
commenti e like) data la vicinanza temporale dell’ultimo post pubblicato con l’analisi da me
svolta149.Per precisazione riporto la data di raccolta totale dei dati che risale al 21 settembre
2018 su post 7 post pubblicati in un intervallo temporale che va dal 13 luglio al 15 settembre
2018.
Possiamo ora procedere con le varie fasi della sentiment analysis:
A) Scelta delle fonti e ottenimento dati
Come detto in precedenza ho lavorato sulla piattaforma facebook ufficiale di Ivan Zaytsev (unico
motore di sponsorizzazione social del formato) dalla quale ho estratto tutti i commenti presenti
all’interno dei post inerenti al programma “content”. Per ottenere tutti i dati necessari per l’analisi
mi sono avvalso di un software di scraping dati chiamato “Facepager” che, sfruttando il Facebook
149 Trattandosi di post pubblicati recentemente (l’ultimo il 15 settembre 2018) è normale che le iterazioni possano aumentare
101
Graph API150 basato su un formato JSON151, ha estrapolato e copiato in un formato csv152 tutte
le iterazioni avvenute nei vari post selezionati classificandole al loro interno in ogni variabile
sensibile di riferimento da analizzare (in questo caso testo, giorno di estrapolazione e giorno di
emissione).
È bastato scaricare il software (https://github.com/strohne/Facepager) e farsi autenticare dal
server principale che conteneva i dati (Facebook) attraverso l’ID personale e l’utilizzo di un
access Token che viene concesso a chiunque sia iscritto a quel provider specifico (account
facebook personale). Una volta autenticati ho digitato l’ID identificativo della pagina pubblica
del pallavolista (https://www.facebook.com/pg/IvanZaytsevOfficial/videos/?ref=page_internal)
e ho potuto accedere ai post di riferimento. Ottenuto il formato csv delle iterazioni da analizzare
(646 commenti) ho immesso il file nel database del software di riferimento “R” per avviare la
vera e propria analisi dei dati all’interno del pacchetto “syuzhet” creato appositamente. Prima di
farlo però ho ridotto tutte quelle features che risultavano inutili ai fini dell’analisi del testo (URL,
ID utente) e modificato le emoticon positive e negative sotto il simbolo rispettivamente di
“posmaremo” (“positive maker emoticons”) e “negmaremo” (“negative maker emoticons”) in
modo tale che siano leggibili dal software.
B) Analisi generale del sentiment scaturito dalle reazioni ai post della campagna “content”
Si entra nel vivo della sentiment analysis. In questa fase infatti cercherò di evidenziare il
sentimento generale dei commenti ai post di Zaytsev nei confronti del formato, classificando le
opinioni espresse in positive negative o neutre. Più nello specifico studierò la polarità dei
commenti usando il pacchetto “syuzhet” creato appositamente all’interno del software “R” e
utilizzando la metodologia di analisi denominata “metodo afinn”153. Il metodo di lessico afinn
lavora su un elenco di parole a cui si da un punteggio che va da -5 a 5 a seconda del valore di
positività o negatività che viene dato al sentimento espresso dall’individuo attraverso la parola
stessa154. Una volta uniti tutti i valori dei caratteri presenti nei commenti fuoriescono gli elementi
di osservazione generale dell’analisi riguardanti il valore massimo, il valore minimo, la media e
la mediana. Tali valori, in questo specifico caso, sono elencati nella tabella sottostante:
150 API (Application Programming Interface) sono procedimenti esterni alla piattaforma di riferimento che permettono di espletare compiti di scraping dati per un programma specifico (spesso “R”) 151 Il formato JSON (Java Script Object Notation) è un formato utile per trasferire dati da una piattaforma di riferimento ad un’altra attraverso l’utilizzo di un linguaggio traducibile universalmente 152 Unico formato leggibile da “R” 153 Questo metodo risulta il più accurato poiché assegna una gamma di punteggi più alta rispetto agli altri 154 Il punteggio di polarità tuttavia può non essere del tutto accurato poiché non tiene conto a volte del contesto generale della recensione concentrandosi solo su singole parole. Ad esempio espressioni come “non buono” possono essere contate come positive (-1 non, +3 buono) e non negative per come sono realmente
102
Per avere un’idea più chiara di questi valori ho creato un boxplot in modo tale che si possa avere
una rappresentazione visiva dei risultati:
Come possiamo vedere dai risultati presenti nel grafico (che ha sull’asse delle x il testo presente
nei commenti di Zaytsev e sull’asse delle y il valore di sentiment espresso) il punteggio medio
del sentiment è positivo riscontrabile dal valore della media che si attesta a +2,88. Inoltre
possiamo osservare una varianza maggiore di osservazioni positive all’interno del quarto quartile
e minore nel primo, il che evidenzia come in quest’ultimo vi sia una maggiore concentrazione
dei dati attorno al valore medio rispetto all’altro. C’è da evidenziare però anche una tendenza
piuttosto variabile di punteggio di sentiment che è arrivato da un minimo di -3 ad un massimo di
+7 (anche se vi sono più valori outliers155 negativi piuttosto che positivi). Si può dunque notare
come la risposta del consumatore attraverso i social al programma content sia generalmente
tendente ad un alto valore di positività.
Per spiegare ancora meglio in modo grafico l’analisi del sentiment che scaturisce dai commenti
sul post inerenti al programma Content “Ivan lo zar della pallavolo” ho elaborato attraverso “R”
155 I valori outliers identificano quelle considerazioni che all’interno dell’analisi non hanno una cadenza frequente
-20
24
6
Zaytsvez - posts
Sent
imen
t
103
un grafico a colori che evidenzia i diversi stati d’animo suscitati dalla visione dei vari video della
campagna attraverso l’analisi dei commenti spontanei fuoriusciti.
Da questo grafico si capirà quali delle dieci emozioni analizzate saranno state le più frequenti
all’interno dei commenti e così facendo si traccerà un quadro ancora più preciso del sentiment
generale che è emerso.
Dal grafico sovrastante si può notare come i sentimenti predominanti che sono fuoriusciti
dall’audience siano la “gioia”, la “positività” e la “fiducia” mentre sono quasi inesistenti elementi
come la sorpresa e la tristezza. Troviamo anche qualche accenno di “disgusto”, “paura”,
“negatività”, “rabbia” e “aspettativa” che possono però essere fisiologici dal momento che non
può esistere un prodotto che piaccia universalmente. Non è comunque un caso che un formato di
questo tipo susciti così tanta gioia e positività al consumatore. Vari sono i temi che il programma
ha voluto evidenziare ed esprimere attraverso la figura di Zaytsev (un uomo forte e vincente ma
che nasconde anche dei lati fragili e teneri come ogni essere umano). All’interno del racconto di
vita del protagonista sono celati argomenti che, se raccontati con il giusto storytelling, possono
trasmettere tali sensazioni. Dall’affetto incondizionato per la sua famiglia alla storia d’amore
incredibile con la moglie, dalle sfide personali vinte per cambiare sé stesso alle vittorie sul campo
di scudetti e medaglie olimpiche, tutti questi temi se raccontati bene generano questi risultati nel
pubblico. La fiducia è un altro elemento rilevante che si può sintetizzare con la consapevolezza
che lo spettatore target ha nei confronti dell’icona Zaitsev. Per un brand che tratta lo sport a 360°
ange
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100
200
300
400
104
come Redbull la scelta del testimonial e protagonista del racconto non è mai casuale. La figura
del pallavolista italo-russo è stata scelta analizzando il mercato target italiano di riferimento con
la consapevolezza che avrebbe suscitato un forte legame con il pubblico156. Infine è opportuno
allo stesso modo fare una considerazione sulla scarsità di “surprise” suscitata dal format. A
seguito di quanto detto in precedenza è logico che il pubblico target non sia sorpreso nel vedere
un personaggio come Zaytsev cimentarsi in un programma “content” Redbull di cui ne è il
testimonial per eccellenza a tal punto di tatuarsi il logo sul braccio.
Per concludere questo studio ho voluto cercare di capire se esistesse un’importante grado di
correlazione tra la lunghezza in termini di caratteri del commento di un post ed il livello positivo
o negativo di sentiment che ne scaturisce. È una ricerca addizionale che prova a stabilire se c’è o
meno una correlazione tra queste due variabili in modo tale da identificare una certa connessione
tra la lunghezza di un commento che porterebbe ad un aumento dell’accuratezza di valutazione
positiva o negativa che sia.
Per fare questo ho utilizzato il file csv contenente la variabile testo inerente ad ogni commento
realizzato e ho calcolato tramite “R” il numero di caratteri presenti per ognuno di essi. In un
secondo momento ho messo questi risultati in correlazione ai rispettivi valori di sentiment
scaturiti dall’analisi “afinn” svolta in precedenza. Da questa relazione è uscito fuori il seguente
grafico che presenta sull’asse delle ascisse i valori di sentiment, mentre invece in quello delle
ordinate il numero di caratteri utilizzato.
156 Zaytsev non è il volto di Redbull per l’Italia solo per le sue doti sportive ma anche per il suo carattere e la sua passione per le sfide, cosa che contraddistingue lui così come anche il target Redbull generale
105
Come è facile intuire non si nota una forte correlazione tra numero di caratteri espressi e valore
di sentiment raggiunto (forse la si può notare leggermente all’interno dei commenti con un
sentiment che varia da 0 a 3 e con dei caratteri che vanno da 20 a 30). La moderata correlazione
inoltre è evidenziata da un coefficiente Pearson che risulta essere di 0,4329253 (inferiore a 0,7 e
maggiore di 0,3).
Lo scopo generale di questa sentiment analysis è stato quello di constatare se l’evoluzione finale
del modo di fare branded content & brandtelling da parte di un’azienda all’interno di un formato
televisivo avrebbe avuto riscontri positivi generali al livello di sentimenti, opinioni, valutazioni
e attitudini del consumatore nei confronti del formato stesso. Abbiamo svolto questa analisi
attraverso lo studio delle iterazioni spontanee dei consumatori sul social di riferimento scelto
dall’azienda per la campagna del formato televisivo “content” (Redbull → profilo ufficiale
Facebook di Ivan Zaytsev). L’analisi delle iterazioni dei consumatori-spettatori nei post inerenti
al programma pubblicati periodicamente da Zaytsev all’interno del suo profilo ufficiale hanno
evidenziato una soddisfazione generale dei consumatori con un valore medio di sentiment di
+2,8. Inoltre, volendo indagare ancora più a fondo attraverso l’analisi degli stati d’animo specifici
carpiti attraverso l’analisi commenti dei post, possiamo notare come a prevalere nelle iterazioni
con il programma siano sensazioni come “gioia” “positività” “fiducia”, mentre vengono meno
sensazioni come “paura” “disgusto” e“rabbia”. Questo ad evidenziare l’efficacia del contenuto
trasmesso al consumatore attraverso uno storytelling che trasmetta a pieno i valori umani,
piuttosto che di marca, all’interno della storia, il che rappresenta una prerogativa fondamentale
per questa nuova concezione di formato televisivo “content”. Nella parte finale dell’analisi ho
voluto addentrarmi ancora di più nel meccanismo che scaturisce l’aumento di sentiment cercando
di osservare se ci fosse una relazione forte tra il numero di caratteri usati per un commento e il
sentiment del commento stesso. Questo per capire se ad un commento più lungo corrispondesse
un valore di sentiment più elevato o meno. Il risultato ha evidenziato una moderata correlazione
non avvalorando quindi la mia tesi.
A conclusione di questo studio e a seguito dei risultati ottenuti ritengo sia vantaggioso
sottolineare l’importanza di questo nuovo approccio di ricerca al fine di eseguire un’analisi del
sentimento del consumatore-spettatore nei confronti di un formato televisivo che fa del contenuto
il suo punto di forza. Per quanto mi riguarda, questo lavoro potrebbe essere visto come un punto
di partenza per un'analisi più approfondita al fine di comprendere meglio ciò che le persone
realmente sentono e pensano di un determinato prodotto, o in questo caso formato televisivo,
senza nessun tipo di vincolo. Così facendo i brand riuscirebbero a constatare meglio l’efficacia
delle loro iniziative e potrebbero migliorare le loro funzionalità al meglio per soddisfare
106
pienamente le esigenze e le aspettative dell’audience. In questo modo ogni azienda potrebbe
raggiungere il suo obiettivo principale, che consiste nella soddisfazione del suo target.
107
CONCLUSIONE
L’intento generale di questo elaborato è stato quello di indagare a fondo sulle nuove dinamiche
di rapporto tra brand e televisione attraverso uno studio di carattere sia “verticale” che
“orizzontale”. Partendo da un presupposto generale riguardante il cambiamento strutturale delle
nuove dinamiche di fruizione del formato televisivo e di rapporti sempre più piar-to-pair con il
“nuovo” consumatore-spettatore abbiamo constatato, attraverso studi scientifici in merito,
l’effettiva nascita di un fenomeno in costante evoluzione e miglioramento: Il branded content
and television entertainment. Attraverso alcune ricerche portate avanti da enti specializzati
(OBE) è stato evidenziato, inoltre, in maniera concreta quale sia il peso reale ad oggi del
fenomeno del branded entertainment in Italia e che dimensioni e caratteristiche ha tale fenomeno
nel mercato televisivo italiano. Ad una visione di stampo generale però è stata necessariamente
affiancata, come abbiamo potuto osservare, un’analisi settoriale dei rapporti effettivi che
intercorrono tra gli attori principali all’interno della filiera produttiva in questo nuovo modo di
concepire i rapporti tra brand e televisione. Questa visione è essenziale per carpire i processi di
cambiamento intrinsechi che negli anni hanno colpito e fatto evolvere il branded content and
entertainment stesso. L’analisi qualitativa e quantitativa svolta all’interno della tesi sui formati
televisivi selezionati (“Un viaggio da campioni” “Chasing Paper” e “Ivan lo zar della pallavolo”)
è voluto essere un modo pratico e sperimentale di analizzare l’evoluzione costante del modo di
fare branded content verso una nuova concezione valoriale denominata “content”. Ovviamente
tutta questa analisi non sarebbe stata possibile se non avessi avuto l’occasione di vedere tale
fenomeno dalla prospettiva imparziale e mediatrice della società di produzione televisiva “Stand
By Me”. Il ruolo della società di produzione televisiva all’interno di questo rapporto tra Brand e
broadcaster è essenziale non solo nella sua figura da “mediatore” ma anche per sottolineare il
cambiamento di prospettiva del brand nel modo di trasmettere e raccontare i suoi valori
all’interno di un formato televisivo. L’evoluzione di tale formato da branded content a solo
“content” può essere analizzato, come abbiamo visto, attraverso due dinamiche diverse ma
ugualmente importanti: il cambiamento del ruolo del brand all’interno del processo produttivo di
creazione di un contenuto mediale e lo studio dell’evoluzione del modo di raccontarsi del
marchio all’interno del formato stesso (“brandtelling”). Si è iniziato da una logica di branded
content classico incentrato sulla trasmissione dei valori del marchio che il consumatore doveva
necessariamente recepire attraverso un contenuto che tendeva a rimandare direttamente al brand
stesso (per creare un’enfasi su determinati kpi come la recall, la familiarity e la brand trust) per
poi passare ad una logica di branded content più internazionale con un occhio maggiore a
determinati valori cardine dell’azienda e con una maggiore attenzione alle dinamiche produttive
e contenutistiche del formato da parte del brand stesso. Infine si è giunti ad un processo di
108
produzione e creazione in prima persona da parte del brand di un contenuto vero e proprio che
va al di là dei rimandi al marchio e che ha come scopo finale quello di trasmettere e raccontare
delle storie di valore umano e di vita piuttosto che di marca. Questa è l’evoluzione finale del
rapporto tra brand e consumatore e su essa deve ripartire il fenomeno del branded content. Un
brand che crea un contenuto valoriale di questa portata sviluppa necessariamente un rapporto
diverso con la sua audience e lavora su di essa attraverso kpi differenti rispetto al passato.
Attraverso questi nuovi formati televisivi brandizzati è importante far leva sul sentimento e le
sensazioni che il consumatore-spettatore prova nei confronti del contenuto trasmesso in modo
tale da avere di riflesso un enorme ritorno nei confronti del marchio stesso su dei valori come
l’advocacy ed il sentiment. Misurare questi nuovi kpi valoriali attraverso l’iterazione social e
digital è essenziale per analizzare al meglio questo fenomeno. La televisione, e la comunicazione
in generale, come abbiamo avuto modo di vedere sono divenute liquide e transmediali e hanno
costretto le varie aziende a fare i conti con nuovi strumenti di valutazione social e digital
dell’opinione e del sentiment dei consumatori per poter carpire meglio l’efficacia o meno delle
loro campagne. L’utilizzo di strumenti di rilevazione statistica (quali appunto la sentiment
analysis) per analizzare il comportamento dei consumatori attraverso le piattaforme social di
riferimento del brand è un nuovo modo sperimentale e potenzialmente efficace di procedere allo
studio dell’efficacia di contenuti mediali di questo genere. Ovviamente essendo metodi ancora
sperimentali è opportuno trattarli come tali anche se non è da escludere che questo scenario possa
definirsi come un nuovo inizio verso una rivoluzione copernicana delle gerarchie di misurazione
valoriale di un formato televisivo. D’altronde un racconto di valore non può essere giudicato
efficace se non sa creare sentimenti, opinioni e sensazioni positive agli occhi di chi lo ascolta.
109
APPENDICE
options(stringsAsFactors=FALSE)
#carico il pacchetto necessario per svolgere l'analisi
library(syuzhet)
header=TRUE
#pulizia del dataset
Zaytsev$id=NULL
Zaytsev$parent_id=NULL
Zaytsev$level=NULL
Zaytsev$objected=NULL
Zaytsev$objecttype=NULL
Zaytsev$querystatus=NULL
Zaytsev$querytime=NULL
Zaytsev$querytype=NULL
Zaytsev$created_time=NULL
#salvo il nuovo database
write.csv(Zaytsev,"~÷desktop/Zaitsev.csv")
#apro il database in R
Zaytsev=read.csv("~/Desktop/Database Zaytzev.csv")
#vedo la struttura database
str(Zaytsev)
'data.frame': 637 obs.of 1 variable: $ message: chr "wow! beautiful story and beautiful message!"
"you're the best player in the world and an amazing man!" "wonderful life and wondreful
moments! cm'on Zar!!" "not so bad story! but i think that is fake!"
#calcolo del sentiment nei commenti con il metodo afinn
afinnsent=get_sentiment(Zaytsev$Text, method="afinn")
summary(afinnsent)
Min. 1st Qu. Median Mean 3rd Qu. Max.
-3.000 2.000 3.000 2.881 4.000 7.000
#creo il grafico
boxplot(afinnsent, xlab="Zaytsvez - posts", ylab="Sentiment")
#disegno dell'istogramma delle emotions categories evocate
s=get_nrc_sentiment(Zaytsvez$Message)
barplot(colSums(s), las=2, col=rainbow(10), ylab="Count", main="Emotions, Zaytsvz")
#creo un dataset contenente solo la variabile numero di caratteri per ogni commento
110
NcharZ <- c(35, 22, 8, 26, 30, 18, 11, 6, 23, 34, 9, ... 42, 22, 25, 38)
#salvo il database contenente tale variabile
> write.csv(NcharZ, "~/Desktop/NcharZ.csv")
#creo un dataset contenente i valori del sentiment per ogni commento
Sentz <- c(7, 3, 0, -2, 7, 7, 0, 2, 4, 2, 0, ... -2, 3, 3, 7)
#salvo il dataset contenente tale variabile
> write.csv(sentZ, "~/Desktop/sentZ.csv")
#mostro la struttura di quel datasentiment
> str(sentZ)
num [1:637] 7 3 0 -2 7 7 0 2 4 2 ...
#calcolo il coefficiente di correlazione tra le due variabili
cor(sentZ, NcharZ$x, method="pearson")
[1] 0.4329253
#disegno il grafico della correlazione
install.packages("ggpubr")
ggplot(data, aes(x=x, y=y)) + geom_point()
111
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115
SINTESI
• Analisi e trend del fenomeno del branded content and television entertainment
Scopo di questa tesi è quello di accompagnare il lettore all’interno di tutto il processo di
cambiamento e sviluppo delle relazioni tra brand e televisione fino ad arrivare all’apice dei giorni
d’oggi in cui il marchio, spogliatosi dalle vesti di comparsa occasionale all’interno di un più ampio
mercato televisivo, diventa in prima persona editore e produttore di contenuti mediali seguendo
le logiche di un nuovo fenomeno in continua evoluzione che viene definito branded content and
entertainment.
Il branded entertainment implica già dal nome il profilarsi di una convergenza tra il settore
dell’advertising e quello dell’entertainment, favorito dall’evoluzione della tecnologia digitale che
ha cambiato il modo di accedere e usufruire dei contenuti audiovisivi. Sono le imprese di brand
che cominciano a creare in prima persona prodotti di intrattenimento che prima erano di stretto
dominio delle Media and entertainment industries. Il coinvolgimento diretto dell’impresa nella
progettazione dei contenuti della comunicazione rappresenta l’elemento chiave che distingue il
branded content entertainment dalle preesistenti forme di product placement che si limitavano a
inserire un prodotto in un contenuto mediale già formato da altri attori (broadcaster).
Per chiarire definitivamente l’intero iter si può tracciare uno schema che identifica il percorso
finale che ha portato il brand ad integrarsi totalmente con la logica della produzione di contenuti
mediali televisivi. Ponendo, infatti, nell’asse orizzontale il grado di integrazione della marca nel
contenuto di intrattenimento e nell’asse verticale la percentuale di contenuto brandizzato presente
nel programma, possiamo ripercorrere le varie tappe dell’avvicinamento graduale delle industrie
dei brand alle industrie televisive dei media.
Fase di product placement: il brand si affaccia per la prima volta all’interno di una logica di
contenuti televisiva. Il prodotto ha un basso livello di integrazione nei confronti del programma e
ha una percentuale di peso molto poco influente per quanto riguarda il contenuto.
Fase di brand Integration: il prodotto comincia a svolgere un ruolo vero e proprio all’interno
della trama del programma, la sua integrazione è maggiore e le imprese cominciano a capire come
potersi muovere all’interno dei formati televisivi per aumentare l’awareness e l’image del brand.
Fase del branded entertainment: Il marchio assume un’importanza imprescindibile all’interno
del programma tv divenendo esso stesso il protagonista. Il livello di integrazione è totale e il
contenuto è gestito dal brand stesso. In questo caso l’impresa diventa editrice e produttrice del
programma infondendo in esso i valori e il sentiment del brand.
116
(grafico riassuntivo del passaggio da logica di product placement ad una di branded content)
Il branded content and entertainment applicato al mondo della televisione non è altro che la
creazione di un contenuto mediale output finanziato totalmente o parzialmente da un brand che
ha lo scopo di promuovere i valori della marca e attrarre l’audience (attiva) in una logica di
engagement basata sul modello “pull” che ha come fine ultimo quello di informare, intrattenere
ed educare lo spettatore alle logiche e alla value proposition del brand stesso. È proprio questo,
infatti, l’obbiettivo finale di un’iniziativa branded ben strutturata: coinvolgere un pubblico sempre
più attivo valorizzando di riflesso la brand reputation and image attraverso la realizzazione di
contenuti che, sfruttando l’infotainment ed una elevata ed accurata strategia di brandtelling,
coinvolgano il consumatore e lo facciano immedesimare nei valori e negli ideali della marca.
Trasferire la brand identity all’interno di un programma televisivo non è comunque semplice.
Deve esserci un collegamento valoriale tra contenuto mediale e valori trasmessi dal brand ed i
vari attori in gioco nel processo di produzione di un formato televisivo branded devono essere
bravi a creare questo legame.
La ricerca svolta dall’OBE sul mercato italiano del branded entertainment (datata maggio 2018)
ha cercato di delinearne un quadro pertinente della crescita economica di questo settore. Tale
studio è stato svolto con un approccio quali-quantitativo attraverso vari strumenti di campionatura
come survey online e interviste telefoniche ai principali attori del mercato italiano per cercare di
comprendere meglio il processo di creazione di un contenuto brandizzato e le sue evoluzioni. Tale
studio ha avuto inizio nel 2002 ed è stato concluso nel 2018.
Questi i punti più rilevanti riguardo i trend del branded content and entertainment:
1) Dal 2016 al 2017 il peso del branded content all’interno dei contenuti mediali è aumentato in
percentuale rispetto ad un più classico approccio di product placement da parte della marca. Si è
passati da un 61% di B.E. del 2016 ad un 72% del 2017, con una diminuzione dunque sul mercato
del P.P. dell’11%. All’interno del branded entertainment inoltre crescono le produzioni originali
rispetto a quelle che prevedevano un’integrazione del brand in un contenuto già creato dal
broadcaster. Si è passati infatti dal 59% di produzioni originali del 2016 ad un 73% del 2017.
117
(dati Osservatorio Branded Entertainment sulle dimensioni del fenomeno B.C.&E in Italia)
2) Secondo la ricerca OBE gli investimenti maggiori vengono fatti sulle piattaforme digital video
(28,4%) e sui formati televisivi (22,5%). D’altronde non è sfuggito neanche a loro come ormai i
contenuti non possano più vivere su un solo canale. E’necessario un approccio multichannel e
crossmediale che permetta di declinare il contenuto attraverso più canali di distribuzione.
3) Attraverso delle interviste di stampo qualitativo svolte a importanti imprese italiane si è evinto
che tra gli obbiettivi principali di tale strategia di branded vi erano: l’aumento della brand
awareness, la costruzione ed il consolidamento della brand identity, la volontà di sperimentare un
formato innovativo e la volontà di entrare in contatto diretto con i propri clienti reali e potenziali
cercando di capire realmente le loro esigenze e generare WOM e Buzz on line e off line sulla
marca.
(obbiettivi principali delle imprese in una strategia di branded content and entertainment)
4) Dando infine uno sguardo più in generale alla grandezza economica di questo nuovo tipo di
mercato basti vedere come nell’ultimo anno (2017) siano stati investiti in totale 360 milioni da
parte delle imprese sui prodotti branded, con un budget medio per progetto di 99.000 euro e un
numero di progetti all’anno che sfiora le 3650 unità. È un trend questo in continua crescita che
prevede che si arrivi nel 2018 ad una spesa complessiva di 421 milioni di euro (+17% rispetto al
2017):
118
(dati OBE su trend di investimenti nel settore branded entertainment nel 2018)
• L’evoluzione odierna del branded content and television entertainment analizzata da una
finestra d’eccellenza: la società di produzione televisiva Stand By Me.
Il formato televisivo branded content and entertainment rappresenta un fenomeno in continuo e
progressivo mutamento che vede protagonista tre attori principali: Il brand, il broadcaster e la
società di produzione televisiva. Molti sono i fattori che determinano l’evoluzione di tale
processo. Lo scopo della parte sperimentale di questo elaborato è cercare di dare una spiegazione
in termini sia qualitativi che quantitativi a questo fenomeno per intuirne le varie evoluzioni ed
analizzare in modo specifico gli effetti positivi che si sono evidenziati nel passaggio da un formato
televisivo branded content “classico” all’evoluzione finale del rapporto tra brand e broadcaster
che trova la sua sintesi nel nuovo prodotto “content”.Ovviamente il tutto è stato reso possibile
vedendo il fenomeno dall’occhio attento e imparziale della società di produzione televisiva Stand
By Me che mi ha permesso di osservare sul campo le varie evoluzioni di questo fenomeno.
Per spiegare meglio in senso pratico questo passaggio è stato inoltre necessario apportare
all’interno dell’ elaborato anche lo studio di tre casi di formati televisivi branded prodotti dalla
Stand By Me in collaborazione con tre importanti aziende internazionali come Mastercad, Sofidel
e Redbull. Studiare al livello sia qualitativo che quantitativo questi tre programmi ha permesso di
evidenziare in maniera ancora più chiara il cambiamento del ruolo del Brand all’interno di questo
mercato e di indagare sui possibili risvolti e trend positivi di questa nuova strategia.
Tre sono le vie intraprese all’interno della tesi per analizzare in maniera accurata questo processo
evolutivo del B.C.&E.
L’evoluzione dal Lato produttivo.
In primo luogo, per capire meglio come evolve tale fenomeno, è necessario analizzare la sua
struttura di base e le relazioni che intercorrono all’interno del processo produttivo di un formato
branded entertainment. Più nello specifico bisogna dunque osservare come si strutturano i
rapporti tra i tre attori principali all’interno della filiera produttiva che sono il brand, il broadcaster
e la società di produzione televisiva.
119
Esistono tre tipi principali di iter produttivi che vengono seguiti all’interno del processo di
creazione di un formato televisivo branded content and entertainment, ma per capire a fondo il
cambiamento sensibile in termini di rapporto tra i vari attori in gioco prenderò ad esempio i due
procedimenti che hanno segnato l’inizio e la fine di questa evoluzione.
1) “Iter Optimum”. All’interno di questo processo il broadcaster (editore) chiama la società di
produzione televisiva per chiedergli di lavorare su un formato creativo ad hoc (di stampo originale
o adattato a internazionali) dal momento che un determinato brand ha fatto richiesta per un
programma branded content passando per la Concessionaria del broadcaster.
L’emittente poi chiede, sulla base di brief, uno sviluppo creativo del progetto, un piano di
fattibilità ed una stima di budget. Una volta avuti indietro questi documenti da parte della casa di
produzione tv il progetto viene visionato dal brand che decide se approvarlo o meno e far partire
l’iter produttivo.
Il brand viene fortemente ingaggiato in tutte le fasi di progettazione e pre-produzione seguendo
la logica della marca che si fa editore in prima persona dei contenuti che vuole tramettere. Niente
viene trasmesso se non in linea con la value proposition del brand. È praticamente come se, una
volta partito il progetto di un formato televisivo branded content, la società di produzione
televisiva avesse due editori (broadcaster e brand). È anche però doveroso sottolineare che il brand
non ha in questo caso nessun interesse nel co-creare i contenuti. Può dare dei feedback ma il
lavoro di storytelling è in mano interamente alla società di produzione tv. Al brand interessa più
che altro solo la sua valorizzazione in termini di determinati kpi mentre è il broadcaster ad avere
in mano le redini dell’iniziativa.
2) La “nuova frontiera” del B.C.&E: la co-creazione brand-società di produzione tv. E’ un
innovativo iter produttivo in cui i brand iniziano a collaborare in un rapporto pair-to-pair con le
società di produzione televisiva con lo scopo finale di creare un prodotto che non abbia più al suo
interno le dinamiche standard del branded content classico ma che sia solamente “content”.
Un’evoluzione finale sia del brand, che diventa creatore in prima persona di contenuti mediali,
sia della casa di produzione televisiva che acquisisce un’importanza nuova ed una nuova forza
all’interno dei processi di produzione. La figura dominante del broadcaster perde di potere a
vantaggio di un brand che decide in prima persona non solo il contenuto ma anche la piattaforma
dove posizionarlo. L’emittente si limita infatti a fungere passivamente da “divulgatore” del
contenuto andando incontro alle esigenze del marchio. È dunque il broadcaster che deve piacere
al brand sia dal punto di vista valoriale che economico, proponendo anche una stima di costi in
termini di budget Media non eccessiva per l’azienda.
120
Un esempio perfetto di questa rivoluzione finale del formato televisivo da “branded content” a
“content” è dato dal programma tv co-prodotto da RedBull e da Stand By Me dal titolo “Ivan: lo
zar della pallavolo” andato in onda su Italia 1. All’interno di esso questi due attori hanno
collaborato a stretto contatto per creare insieme un programma con un contenuto valoriale elevato
che seguisse le prerogative della Redbull. Questo formato, di livello internazionale, è stato un
unicum nel suo genere proprio perché ha evidenziato questo nuovo modo di collaborare tra brand
e società di produzione televisiva.
L’evoluzione del brandtelling.
Il secondo metodo di analisi di questa evoluzione moderna delle logiche di branded content and
television entertainment consiste nello studio dell’evoluzione del modo di fare brandtelling da
parte delle aziende all’interno del complesso mondo televisivo. L’evoluzione del brand
storytelling televisivo si basa sulla capacità sia delle società di produzione sia del brand sia del
broadcaster di creare un sistema comunicativo legato esclusivamente ai valori e alle emozioni da
saper trasmettere al pubblico. Inoltre, essendo questo processo di marketing televisivo uno
strumento ancora in itinere, è facile poter assistere ad un cambio continuo di rapporti tra gli attori,
di ruoli all’interno del processo di creazione di contenuti, delle direttive generali e degli obbiettivi
principali che si vogliono raggiungere all’interno di un formato. Ed è qui che entra in ballo la
società di produzione televisiva che diventa il vero filo conduttore di questo processo grazie alla
sua capacità di saper raccontare storie e infondere valori di brand attraverso un contenuto mediale
(“We tell stories” per recitare il motto della Stand By Me).
1) “Un viaggio da campioni” (Mastercard- Stand By Me-Mediaset)
Il progetto di branded content and entertainment televisivo messo in piedi da Mastercard in
collaborazione con la Stand By Me e con il broadcaster nazionale Mediaset (Italia 1) è definibile,
in termini di rapporti di produzione, come l’iter optimum e classico di procedere alla creazione
di un formato branded content tradizionale. Il concept del programma è abbastanza semplice:
regalare un’emozione unica e “senza prezzo” a piccoli appassionati di calcio, facendogli vivere
un viaggio indimenticabile. La possibilità di vivere un’esperienza unica e irripetibile è alla base
della mission di Mastercard all’interno del formato. Dare la possibilità a dei bambini di incontrare
i loro idoli calcistici e camminare mano nella mano con loro, entrare nello stadio indossando la
maglia della squadra preferita e vivere un momento magico che ricorderanno per tutta la vita:
queste sono le esperienze senza prezzo che Mastercard ha voluto trasmettere e regalare. È
essenzialmente questo un racconto che è in grado di emozionare, che da risalto al lato umano e
genuino dei bambini e che attraverso un’esperienza unica esalta i valori cardine che il brand vuole
121
tramettere e attraverso i quali vuole avvicinare sempre più consumatori aumentando
l’attaccamento al brand e la sua trust.
Dal lato produttivo, tre sono i punti cardine che il brand ha voluto venissero trattati all’interno
del programma e che sono fuoriusciti dalle riunioni svolte con la Stand By Me.
• Il posizionamento del brand. All’interno del programma l’host (Ciro Ferrara) dovrà fare
esplicitamente riferimento al brand evidenziando anche il concetto di “Mastercard priceless
surprises”. Lo deve fare nell’apertura del programma, quando spiega la sua mission e mentre
invia la lettera d’invito al bambino.
• Gli elementi fondamentali per Mastercard devono fuoriuscire. Questi elementi fondamentali
sono l’eccezionalità dell’evento, il tema ricorrente della sorpresa nel racconto e il risalto del
punto di vista del bambino.
• Visibilità del Brand Mastercard. Il logo Mastercard deve essere visibile nel corso della puntata
quando fa parte del racconto: sarà ripreso a bordo campo quando si seguirà il riscaldamento dei
giocatori, dentro lo stadio mentre il bambino camminerà, e nella busta della lettera di invito.
Da queste direttive si evince in maniera solare come il marchio abbia adottato una logica di
branded content televisivo di prima generazione. All’interno del programma la premura principale
di Mastercard è quella non solo di evidenziare i suoi valori cardine ma anche di posizionarsi
visivamente nella mente del consumatore con rimandi continui al logo. Si può benissimo
sintetizzare il tutto con il concetto secondo il quale attraverso questo primo formato televisivo
preso in considerazione si sia stati attenti troppo al brand e alle sue dinamiche di esposizione
piuttosto che al contenuto in sè e per sé del formato. Il brand è si editore, ma ancora non è del
tutto co-creatore di contenuti in quanto non completamente focalizzato sull’aspetto “content”
privilegiando quello “branded”.
2) “Chasing Paper” (Fox per Natgeo, Stand By Me e Sofidel)
L’asticella in questo caso si alza rispetto al formato precedente. Siamo alle prese con un Brand
internazionale produttore di carta che, per festeggiare l’anniversario dei 50 anni di storia, ha
deciso di intraprendere un percorso di brandtelling televisivo internazionale con la Stand By Me.
Da questa collaborazione è fuoriuscito il format “Chasing Paper”, andato in onda nel 2016 su
National Geographic Channel. All’interno di questo one-off da 50 minuti veniva ripercorsa la
storia millenaria dell’oggetto insieme più consueto e affascinante che ha accompagnato
l’evoluzione dell’uomo moderno: la carta. Un viaggio lunghissimo con varie tappe in tutta
l’Europa che mostrava ogni tipo di lavorazione della carta all’interno dei vari stabilimenti del
brand. Ma la sfida più grande è stata un’altra: convincere una piattaforma televisiva molto attenta
alle tematiche dell’ambiente e dell’eco-sostenibilità come National Geographic a promuovere un
122
formato di questo genere. La soluzione portata avanti da Sofidel e da Stand By Me è stata semplice
ma anche rischiosa. Creare uno storytelling che metta in risalto i valori del marchio attraverso il
racconto della carta. Sofidel è molto attenta ai principi dello sviluppo sostenibile e del rispetto
dell’ambiente. Soprattutto sul tema della politica ambientale l’azienda dedica una buona parte del
suo codice etico spiegando come sia prerogativa essenziale interna ed esterna che si ponga in
essere ogni misura utile a diminuire l’impatto ambientale delle proprie attività. Tali valori sono
racchiusi nella mission stessa dell’azienda che il brand ha voluto trasmettere attraverso un formato
internazionale che proprio per il suo ampio respiro doveva rispecchiarli al meglio. Ed è proprio
per l’importanza del progetto e per la delicatezza dei contenuti che le pretese produttive e
contenutistiche di Sofidel all’interno del formato erano evidenti. Ed ecco qui un primo
cambiamento nei rapporti di produzione e co-creazione di contenuti. In questo caso infatti Sofidel,
rispetto a Mastercard, ha seguito periodicamente ogni cambiamento della struttura del programma
ed inoltre ha preteso di entrarvi in prima persona sia al livello produttivo che contenutistico. Il
marchio, inoltre, scompare dalla vista del consumatore all’interno del formato, segno evidente di
come si stia iniziando a capire che la vera via per il successo è quella di raccontare storie in cui il
brand è solo voce narrante e non protagonista.
3) “Ivan: lo zar della pallavolo” (Redbull- Stand By Me-Mediaset)
Essere presente in forma diretta o indiretta all’interno di un programma non bastava a far
avvicinare il consumatore totalmente alle dinamiche del marchio. Raccontare dei valori di marca
è una soluzione ma non la più completa. Non bisogna raccontare solamente storie di marca, ma
bisogna raccontare storie. Questo significa portare avanti un progetto di formato “content”. Creare
un contenuto strategico, efficace ma soprattutto di valore. Un racconto di valori umani prima che
di marca attraverso l’utilizzo di strumenti creativi e interattivi che coinvolgano il consumatore e
aumentino il suo sentiment generale verso il formato. Non è più prioritario che il brand si
preoccupi di rimanere ancorato nella mente del consumatore attraverso un racconto. Se riesce ad
interagire e far emozionare il consumatore con la giusta storia umana avrà sicuramente dei ritorni
di immagine più forti e consistenti.
Tutto questo può essere ben sintetizzato dal programma “content” portato avanti da Redbull e
Stand By Me dal titolo “Ivan lo zar della pallavolo”. Redbull è una società all’avanguardia per
quanto riguarda la parte valoriale del marketing che viene assolutamente privilegiata rispetto a
quella commerciale. Lo scopo principale del brand austriaco non è, infatti, quello di sponsorizzare
la famosa bevanda energetica ma piuttosto di raccontare storie disparate di sport e di vita
all’interno delle varie piattaforme di comunicazione. Ed è proprio su questa linea editoriale che si
è portato avanti questo progetto “content” all’interno del quale si è cercato di raccontare la vita
sportiva ed umana di uno dei più grandi campioni moderni della storia della pallavolo italiana
123
(nonché volto ufficiale per Redbull Italia): Ivan Zaytsev. Con una docu “one-off” andata in onda
su Italia 1 il 18 luglio 2018 il campione della pallavolo italiana si è raccontato attraverso i suoi
tatuaggi. Ogni tatuaggio apre un link sulla storia di Zaytsev e ci porta nei luoghi simbolo legati
ad alcuni precisi momenti della sua carriera e della sua vita. Tre saranno i tatuaggi che
racconteranno altrettanti frammenti importanti della vita del campione italo-russo che l’hanno
aiutato a crescere e a diventare uomo superando le sue più grandi sfide e paure. È dunque un
viaggio che svela l’uomo che si nasconde dietro l’atleta, che mostra il suo percorso di vita fatto si
sfide e ostacoli, e che svela lati del suo carattere sconosciuti agli spettatori (paure, debolezze,
passioni, problematiche familiari) rendendolo più umano ai loro occhi e creando con loro un
legame indissolubile fatto di emozioni e sentimenti. Le stesse emozioni e sentimenti a cui un
brand deve far leva nella mente del consumatore per vedere valorizzato un formato che fa del
contenuto umano prima che di marca un elemento mainstream.
L’evoluzione degli obbiettivi di analisi di un formato televisivo “brandizzato”.
Per avere un quadro definitivo e totalmente chiaro dell’evoluzione del fenomeno del branded
content and television entertainment non ci resta che osservare il cambiamento di prospettiva
adottato dai brand negli ultimi anni riguardo gli obbiettivi finali d’analisi atti a constatare, dal loro
lato, l’efficacia o meno di una campagna televisiva. Più semplicemente si tratta di capire,
attraverso l’analisi dei formati televisivi presi in esame, se l’evoluzione del modo di fare branded
content abbia effettivamente modificato anche le aspettative in termini di kpi da parte del brand.
Per portare avanti questa analisi mi sono avvalso dello studio di due dei tre formati finora trattati
e più nello specifico di quelli che sanciscono l’inizio e la fine di questa evoluzione da “branded
content” a “content”: “Un viaggio da campioni” e “Ivan lo zar della pallavolo”. Inoltre, essendo
stati trasmessi entrambi sulle reti Mediaset è stato più facile per me mettere a paragone il loro
modus operandi. Per capire, dunque, su quali key perfomance indicator hanno voluto far leva sia
Mastercard che Redbull all’interno del loro programma ho studiato in forma preliminare la loro
campagna social e digital inerente allo stesso. Da questo tipo di studio preliminare sono riuscito
a capire sostanzialmente quale fosse l’intento specifico dei brand all’interno della campagna e da
li ho evidenziato e analizzato in maniera diretta e indiretta i vari kpi su cui si è fatto leva. Per
quanto riguarda Mastercard, per un problema di distanza temporale della messa in onda del
formato (2015), mi sono avvalso di studi già portati avanti dall’azienda, mentre, per Redbull ho
sviluppato in prima persona uno studio sperimentale su una variabile nuova e molto interessante
atta a constatare l’effettiva efficacia di un prodotto content sui consumatori-spettatori: il
sentiment.
124
1) Mastercard “Un viaggio da Campioni”: campagna social e kpi di riferimento
Partendo da Mastercard possiamo far notare come il brand americano non abbia seguito un
percorso lineare e ben strutturato di promozione e di racconto via web del programma. Nonostante
infatti la messa in onda del formato avesse una durata di 6 mesi il brand ha scelto di procedere
con una sponsorizzazione transmediale sulle varie piattaforme di riferimento meno coinvolgente
rispetto a Redbull. L’obbiettivo di Mastercard era ancora quello di lavorare su dei kpi come la
recall, la trust e la familiarity trascurando invece le reazioni legate al sentiment dell’audience. Ed
è proprio su questi kpi che si basa l’effettiva efficacia della campagna per Mastercard. Nel maggio
2016 è stata svolta dal marchio a questo proposito una ricerca su un panel di 636 rispondenti per
valutare il livello di recall e familiarity che il programma televisivo aveva suscitato nei confronti
del consumatore. Attraverso delle interviste svolte ad un target di spettatori abituali e saltuari del
programma si cercava di capire il livello di associazione spontanea, assistita e sollecitata post
video nei confronti del brand all’interno del formato. Inoltre, per l’associazione assistita, si è
cercato di capire tra un panel di brand simili collegati alla sponsorizzazione delle partite quanti
consumatori associassero Mastercard al formato “Un viaggio da campioni”. Di seguito i risultati:
(Ricerca Mastercard sui valori di brand familiarity and brand recall del formato televisivo “Un viaggio da
Campioni”)
Per quanto riguarda invece l’analisi sul livello di “trust” arrecato al brand da parte del formato
televisivo possiamo mettere in evidenza dei dati interessanti riscontrati sulla piattaforma ufficiale
125
Facebook del marchio americano. Secondo i dati raccolti da Blogmeter, infatti, nel periodo
gennaio-febbraio 2016 Mastercard è risultata essere tra i top brands del ramo bancario per livello
di engagement e aumento di fans all’interno del social di proprietà di Zuckenberg e questo,
secondo le analisi fatte dal portale specializzato, è derivato soprattutto dalla buona riuscita
dell’iniziativa branded “priceless”.La campagna ha inoltre raggiunto 10,5 milioni di persone su
Facebook con più di 1.8mln di visualizzazioni video. Di seguito le tabelle riassuntive Blogmeter:
(Dati Blogmeter rilevati attraverso il tool Social Analytics su un panel di 120 pagine ufficiali brand)
2) Redbull “Ivan lo zar della pallavolo”: campagna social e sentiment analysis
Per il formato “content” portato avanti da Redbull invece il discorso è diverso. In questo caso la
campagna social sviluppata si è dimostrata ben strutturata e mirata a coinvolgere ed interagire in
maniera sempre più forte con il consumatore-spettatore target. Per fare questo Redbull ha deciso
di mettere nelle mani del protagonista del documentario, nonché volto ufficiale di Redbull Italia
Ivan Zaytsev, l’intera campagna di sponsorizzazione Facebook del programma utilizzando la sua
pagina pubblica ufficiale. L’idea di far sì che egli stesso sia il primo promotore della sua storia di
vita è una strategia di marketing che meglio si sposa con le caratteristiche del programma content.
Il pubblico così è reso partecipe in prima persona e si sente protagonista delle vicende umane del
campione condividendone gioie, paure e speranze. Il risultato in termini di numeri di questa
iniziativa, anche se va ricordato per ora provvisori dal momento che la campagna è ancora in
itinere e avrà la sua conclusione a novembre 2018, evidenzia ben 65.000 iterazioni social e 600
mila visualizzazioni video nel periodo 13 luglio-15 settembre 2018.
Risulta evidente quindi che questa nuova evoluzione del modo di fare storytelling televisivo da
parte di un brand, che non è più legato a dinamiche di stampo commerciale o di valorizzazione
diretta del marchio, porti lo stesso a ricercare nuovi parametri e strumenti di valutazione
dell’efficacia del suo operato. Un programma che per prima cosa mira ad interagire in prima
persona con l’audience e che si fa portatore di valori umani all’interno del racconto deve poter
carpire l’efficacia del suo modo di fare storytelling direttamente dallo studio dei feedback diretti
126
e spontanei dati dai suoi spettatori target. Quelle sensazioni, emozioni e opinioni che può suscitare
il programma agli occhi dell’audience devono essere quindi analizzate per poter capire al livello
generale se quei contenuti siano stati effettivamente recepiti e abbiano valorizzato non solo il
programma ma anche di riflesso il brand stesso. E’ dunque il sentiment il nuovo kpi fondamentale
su cui anche la stessa Redbull deve lavorare per testare l’efficacia di un prodotto content. E sarà
proprio sul sentiment generato dalla campagna social del programma “Ivan: lo zar della pallavolo”
che io baserò questa analisi di plusvalore, lavorando sui dati suggeritimi dal brand stesso.
Attraverso, dunque, la sentiment analysis esaminerò i feedback assolutamente spontanei ricevuti
nei confronti del formato da parte dell’audience target per mezzo delle iterazioni ai post presenti
sul profilo ufficiale di Zaytsev. Prenderò, come riferito da Redbull, i 646 commenti presenti
all’interno dei 7 post della campagna che sono stati pubblicati in un intervallo temporale che va
dal 13 luglio (post della promo) al 15 settembre e li analizzerò per testare la mia ipotesi (H0) che
verterà sul constatare l’efficacia o meno del formato televisivo “content” in termini di riscontri
positivi generali al livello di sentimenti, opinioni e valutazioni da parte dell’audience. Prima però
di iniziare la vera è propria analisi è opportuno precisare alcuni aspetti che saranno fondamentali
per una chiara comprensione della sentiment:
• I risultati del modello di analisi quantitativa linguistica non saranno esatti al 100% ma avranno
dei margini di errore derivanti dal complesso e districato uso della lingua italiana che può creare
problemi al software di riferimento (in questo caso “R”). Gli output ricavati daranno dunque
un’indicazione generale e non precisa al dettaglio del livello di sentiment generato dal
programma content ma serviranno comunque a dare una polarità alle reazioni dei consumatori.
• Le tecniche di estrapolazione dei dati possono andare incontro a restrinzioni derivanti dalla
privacy che social network come Facebook possono imporre su determinate iterazioni.
• La campagna social può ancora subire delle variazioni al livello di iterazioni (aumento commenti
e like) data la vicinanza temporale dell’ultimo post pubblicato con l’analisi da me svolta. Per
precisazione riporto la data di raccolta totale dei dati che risale al 21/09/2018.
Possiamo ora procedere con le varie fasi della sentiment analysis:
a) Scelta delle fonti e ottenimento dati
Ho lavorato sulla piattaforma ufficiale Facebook di Ivan Zaytsev dalla quale ho estrapolato tutti i
commenti presenti all’interno dei 7 post della campagna avvalendomi di un software di scraping
dati chiamato “Facepager” che, sfruttando il Facebook graph API basato su un formato JSON, da
la possibilità di ottenere e convertire tutte le iterazioni presenti sul social in un formato csv e di
classificarle, all’interno del file, in ogni variabile sensibile di riferimento da analizzare. Ottenuto
127
il formato csv contenente le iterazioni (646 commenti) ho immesso il file nel database del software
di riferimento “R” per avviare la vera e propria analisi dei dati all’interno del pacchetto creato
appositamente. Prima di farlo però ho ridotto tutte quelle features che risultavano inutili ai fini
dell’analisi del testo (URL, ID utente) e modificato le emoticon positive e negative sotto il
simbolo rispettivamente di “posmaremo” (“positive maker emoticons”) e “negmaremo”
(“negative maker emoticons”) in modo tale che siano leggibili dal software.
b) Analisi generale del sentiment scaturito dalle reazioni ai post della campagna “content”
In questa fase iniziale cercherò di evidenziare il sentimento generale scaturito dai commenti ai
post di Zaytsev nei confronti del formato, classificando le opinioni espresse in positive negative
o neutre. Più nello specifico studierò la polarità dei commenti utilizzando la metodologia di analisi
denominata “metodo afinn”. Il metodo di lessico afinn lavora su un elenco di parole a cui si da un
punteggio che va da -5 a +5 a seconda del valore di positività o negatività che viene dato al
sentimento espresso dall’individuo attraverso la parola stessa. Una volta uniti tutti i valori dei
caratteri presenti nei commenti fuoriescono gli elementi di osservazione generale dell’analisi
riguardanti il valore massimo, il valore minimo, la media e la mediana. Tali valori, in questo
specifico caso, sono elencati nella tabella sottostante:
Per avere un’idea più chiara di questi valori ho creato un boxplot in modo tale che si possa avere
una rappresentazione visiva dei risultati:
Come possiamo vedere dai risultati presenti nel grafico (che ha sull’asse delle x il testo presente
nei commenti di Zaytsev e sull’asse delle y il valore di sentiment espresso) il punteggio medio del
-20
24
6
Zaytsvez - posts
Sen
timen
t
128
sentiment è positivo e riscontrabile dal valore della media che si attesta a +2,88. Inoltre possiamo
osservare una varianza maggiore di osservazioni positive all’interno del quarto quartile e minore
nel primo, il che evidenzia come in quest’ultimo vi sia una maggiore concentrazione dei dati
attorno al valore medio rispetto all’altro. C’è da evidenziare però anche una tendenza piuttosto
variabile di punteggio di sentiment che è arrivato da un minimo di -3 ad un massimo di +7 (anche
se vi sono più valori outliers157 negativi piuttosto che positivi). Si può dunque notare come la
risposta del consumatore attraverso i social al programma content sia generalmente tendente ad
un alto valore di positività.
Andando più nel dettaglio ho elaborato attraverso “R” un grafico a colori che evidenzia i diversi
stati d’animo suscitati dalla visione dei vari video della campagna attraverso l’analisi dei
commenti spontanei presi in esame. Da questo grafico si capirà quali delle dieci emozioni
analizzate saranno state le più frequenti generalmente all’interno dei commenti e così facendo si
traccerà un quadro ancora più preciso del sentiment generale che è emerso:
Dal grafico sopra riportato si può notare come i sentimenti predominanti che sono fuoriusciti
dall’audience siano la “gioia”, la “positività” e la “fiducia” mentre sono quasi inesistenti elementi
come la “sorpresa” e la “tristezza”. Troviamo anche qualche accenno di “disgusto”, “paura”,
“negatività”, “rabbia” e “aspettativa” che possono però essere fisiologici dal momento che non
può esistere un prodotto che piaccia universalmente. Non è comunque un caso che un formato di
questo tipo susciti così tanta gioia e positività al consumatore. All’interno del racconto di vita del
protagonista sono celati argomenti che, se raccontati con il giusto storytelling, possono trasmettere
tali sensazioni e creare risultati positivi nel pubblico (come ad esempio l’affetto incondizionato
per la sua famiglia, la storia d’amore incredibile con la moglie, le sfide personali vinte etc.) non
sottovalutando inoltre la figura da “influencer” che Zaytsev ha nei confronti del pubblico target
di Redbull. La fiducia è un altro elemento rilevante che si può sintetizzare con la consapevolezza
che lo spettatore target ha nei confronti dell’icona Zaitsev. La figura del pallavolista italo-russo è
157 I valori outliers identificano quelle considerazioni che all’interno dell’analisi non hanno una cadenza frequente
ange
r
antic
ipat
ion
disg
ust
fear joy
sadn
ess
surp
rise
trust
nega
tive
posit
ive
Emotions, Zaytsvz
Coun
t
0
100
200
300
400
129
stata scelta analizzando il mercato target italiano di riferimento con la consapevolezza che avrebbe
suscitato un forte legame con il pubblico. Infine è opportuno allo stesso modo fare una
considerazione sulla scarsità di “surprise” suscitata dal formato. A seguito di quanto detto in
precedenza è logico che il pubblico target non sia sorpreso nel vedere un personaggio come
Zaytsev cimentarsi in un programma “content” Redbull di cui ne è il testimonial per eccellenza a
tal punto di tatuarsi il logo sul braccio.
Per concludere questo studio ho voluto cercare di capire se esistesse un’importante grado di
correlazione tra la lunghezza in termini di caratteri del commento di un post ed il livello positivo
o negativo di sentiment che ne scaturisce. È una ricerca addizionale che prova a stabilire se c’è o
meno una correlazione tra queste due variabili in modo tale da identificare una certa connessione
tra la lunghezza di un commento che porterebbe ad un aumento dell’accuratezza di valutazione
positiva o negativa da parte dell’audience. Per fare questo ho utilizzato il file csv contenente la
variabile testo inerente ad ogni commento realizzato e ho calcolato tramite “R” il numero di
caratteri presenti per ognuno di essi. In un secondo momento ho messo questi risultati in
correlazione ai rispettivi valori di sentiment scaturiti dall’analisi “afinn” svolta in precedenza. Da
questa relazione è uscito fuori il seguente grafico che presenta sull’asse delle ascisse i valori di
sentiment, mentre invece in quello delle ordinate il numero di caratteri utilizzato.
Come è facile intuire non si nota una forte correlazione tra numero di caratteri espressi e valore
di sentiment raggiunto (forse la si può notare leggermente all’interno dei commenti con un
sentiment che varia da 0 a 3 e con dei caratteri che vanno da 20 a 30). La moderata correlazione
inoltre è evidenziata da un coefficiente Pearson che risulta essere di 0,4329253 (inferiore a 0,7 e
maggiore di 0,3).
Lo studio di sentiment analysis ha quindi confermato l’effetto positivo generale della nuova
tipologia di formato televisivo brandizzato accettando dunque l’ipotesi (H0) di partenza.