Affari di Gola - ottobre 2012

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ottobre 2012 IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO Andrea Berton Giancarlo Perbellini Antonino Cannavacciuolo La Val Serina premia i migliori formaggi A Songavazzo la sorpresa è “Donnarumma” In Val Seriana si riscoprono i sapori dimenticati Il cappuccino? Può diventare un’opera d’arte «Così si guida una brigata di cucina» Tre grandi chef si raccontano e svelano i segreti per costruire una squadra vincente

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in rassegna sapori, gusti e piaceri del territorio bergamasco

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ottobre 2012

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

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La Val Serinapremia i migliori

formaggi

IL CONCORSO

A Songavazzo la sorpresa

è “Donnarumma”

IL RISTORANTE

In Val Seriana si riscoprono

i sapori dimenticati

L’ITINERARIO

Il cappuccino? Può diventare

un’opera d’arte

TENDENZE

«Così si guida una brigata di cucina»

Tre grandi chef si raccontano e svelano i segreti per costruire una squadra vincente

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OTTOBRE 2012www.affaridigola.it

SOMMARIO

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PENNA ALL’ARRABBIATANella “guerra” tra sagre e ristoranti,facciamo vincere fantasia, qualità e prezzi

DIETRO LE QUINTELeadership in cucina, i segreti dei grandi chef

TENDENZEQuando il cappuccino diventaun’opera d’arte

IL PRODOTTOTutto il gusto del miele bergamasco

IL RISTORANTE“Donnarumma”, il cuore campano nel piatto

L’OSSERVATORIOComolli (Ovse): “I ricarichi eccessivi frenano i consumi di spumante”

L’ITINERARIOVal Seriana, alla riscopertadei sapori dimenticati

IL CONCORSOLa Val Serina premia i migliori formaggi

IL PREZZO FISSOL’Alpino fa centro con panorama e tradizione

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - [email protected] - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - [email protected] - Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Michela Brivio, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafi co, Bg

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Nella “guerra” tra sagre e ristoranti, facciamo vincere

fantasia, qualità e prezzi

L’estate che ha chiuso i battenti, insieme ai ri-cordi delle vacanze, delle cene senza pudore, di paesaggi da portare negli occhi, di qualche

storia conclusa e di qualche amore nato di fresco, ci lascia anche spunti di rifl essione nel fantasmagori-co mondo dell’enogastronomia che, se non ci fosse, converrete con me, sarebbe davvero un problema di quelli grossi.Coldiretti, e siamo al primo punto, stima che un italia-no su tre abbia partecipato con frequenza alle sagre alimentari con migliaia di appuntamenti estivi distri-buiti su e giù per lo Stivale, in una marea di diversità regionali: dalla nostra polenta taragna alla bortellina bettolese, dalla triglia al cinghiale, dallo spiedino allo squacquerone, dagli arrosticini alle puntarelle, dal tor-rone al Moscato di Scanzo, dalle patate alle mele, dal-le pettole al baccalà fritto.

Sempre secondo Coldiretti, il fenomeno si è ulterior-mente accentuato in questo periodo di crisi perché la gente è in bolletta e portare la famiglia alla Sagra del Pursèl risulta decisamente più abbordabile che trasci-narla in una media trattoria. Inoltre questo fenomeno, sempre più di massa, favorirebbe il contatto con le tra-dizioni territoriali e con il cibo agreste e si potrebbe co-sì facilitare una maggiore qualifi cazione nella vendita diretta dei prodotti agricoli.Sulla faccenda della crisi sentiamo un disco già tra-smesso da anni. Se non c’era ancora questa situa-zione preoccupante, c’era comunque il capofamiglia che voleva risparmiare. Scriviamo per esperienza di-retta e possiamo testimoniare di aver diviso tavolate a qualche sagra paesana (ma di quelle serie, però) con gente che ci siamo poi ritrovati al ristorante un po’ su di tono.

di Everisto*

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L’INTERVENTO

di Pier Carlo Capozzi

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E vai con gli aforismi!

Ma bravo il nostro Pier Carlo! Sta-volta con la sua pagina “Penna all’arrabbiata” (di solito sarca-

sticamente pungente) viene in pace, con un godibilissimo articolo tra riferimenti e citazioni riguardanti il mondo del cibo e risparmiando le consuete caustiche stoccate.Con il rimando all’aforisma di George Bernard Shaw e il ricordo della cuoca di Karen Blixen, fa venire l’animo buono an-che a me. Ecco che allora ricostruisco ide-almente una di quelle situazioni in cui ci si rimbalzano, tra risate, pacche sulle spal-le e sguardi sorpresi, citazioni in risposta a citazioni, quasi come in una sana com-

petizione da bar.Da dove partire, o meglio, da dove prose-guire, visto che ha iniziato lei, signor Pier? Attacchiamo con argomenti impegnati senza rispettare la cronologia dei riferi-menti.Un grazie va a coloro che ancor prima di insegnare a cucinare hanno insegnato a mangiare, su tutti credo che ci sia Jean Anthelme Brillat Savarain (no, non è l’in-ventore dello stampino a ciambella, que-sto porta il suo nome in omaggio), politi-co e scrittore francese di un paio di secoli fa, che diede vita con le sue opere alla fi -gura del gastronomo consapevole. Se c’è qualche solone della penna gastrodidat-

tica che la mette giù dura credendo di dif-fondere il verbo in esclusiva, sappia che è arrivato in ritardo.Un grande riconoscimento va di certo al nostro Pellegrino Artusi, scrittore pu-re lui, che creò la più importante opera sull’approccio al cibo come fonte di pia-cere che un italiano abbia mai realizzato: “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Tradotta in diverse lingue, rimane tuttora un riferimento. Molto bella è la frase che stralciai tem-po fa da un libro di cucina antica manto-vana, incorniciandola come una piccola opera d’arte. La presi da un testo di Bar-tolomeo Scappi, maestro cuoco dei Gon-

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Se ne facciamo una questio-ne esclusivamente economi-ca, non c’è partita. Se discutia-mo su quello che ci ritroviamo nel piatto (poco importa se di porcellana o di plastica), il ra-gionamento va approfondito. A maggior ragione se si vuole av-vicinare il produttore al consu-matore, saltando magari un paio di fermate alla fi liera. È capitato a tutti, credo, di trovare una por-chetta o un salame strepitosi ad una festa di paese su in cima al mondo e poi, magari, di mangiare malissimo sotto un tendone che ti avevano raccomandato tutti i vicini di casa. La conclusione è semplice: diffi cile etichettare il fenomeno solo come una scorciatoia per risparmiare. È giu-sto riconoscere il valore aggiunto di un buon rapporto qualità/prezzo che, ovviamente, è la formula azzeccata anche per la paninoteca, per la trattoria, per il ristorante stellato.E restando in tema di crisi e di prezzi, segnaliamo una splen-dida quanto coraggiosa iniziativa di Pino Faggiano, ristoratore brindisino che, sotto la sua insegna “A pranzo da Pino”, propo-ne piatti cucinati “in famiglia” da comprare e portarsi a casa. L’asporto ai tempi della crisi. Pino, che viene da una preceden-te esperienza milanese con un laboratorio di pasta fresca por-tato avanti con mamma e zia, apre questa attività nel profondo Sud, dove cucinare è una religione, roba da rifl etterci. Eppure fa la felicità di single e donne che non hanno più tempo (o vo-glia) di mettersi ai fornelli. Certo, la sua carta vincente è prepa-rare ricette buonissime (pare che la sua Parmigiana di melan-

zane sia da urlo) a costi contenu-ti, operazione che alle nostre la-titudini risulta complicata, forse non più di tanto. Se varchiamo l’uscio di una qualsiasi gastro-nomia nostrana, ne usciamo soddisfatti, ma terribilmen-te alleggeriti: è mai possibile che, per la soddisfazione di entrambi, non ci possa es-sere una percorribile via di mezzo?E chiudiamo con note liete:

quest’estate, ben 6 italiani su 10 hanno scelto, come souvenir del posto visitato, un prodotto agroalimentare tipico del territorio. Vino, formaggi, salumi, conserve e olio d’oliva so-no i più gettonati, e anche per queste scelte c’è un tentativo di ricondurre tutto al momentaccio attuale. Invece della gondola con le luci multicolori, si portano a casa il Prosecco e quattro vasetti di “Sarde in saor”, che si possono poi consumare rinver-dendo il ricordo del Canal Grande. Al pensiero di questa cresci-ta qualitativa dei prodotti locali, non fi niremo mai di ringraziare la nostra Camera di Commercio quando decise di valorizzare le tipicità alimentari bergamasche: la scelta si è via via allarga-ta e, almeno in questo settore, siamo molto più avanti dell’an-no zero.Ricordiamocene, perché la materia prima non ci manca e l’im-prenditorialità nemmeno: e questo è un lato del nostro turismo che dobbiamo, in buona parte, ancora scoprire. Un’occasione imperdibile per una spallata alla crisi.

[email protected]

*Dietro questo pseudonimo si celaun noto ristoratore bergamasco

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zaga, che parlava di …vivande non meno saporose e grate al gusto, che piacevoli all’occhio, con lor bel colore e vaga pro-spettiva…. Tutto questo veniva detto cin-quecento anni fa! Ovvero, cinque secolini prima di Ferran, Heston e compa-gnia bella. Ora però, do-po questi rife-rimenti seri ed impegnati, andia-mo a cercare cose più ilari. Ce n’è una che, essendo io cuoco, amo partico-larmente. La spara nientemeno che Ja-mes Joyce… Dio fece il cibo, ma certo il diavo-lo fece i cuochi. Mi viene da pensare che al vecchio James, qualche cuoco la com-binò grossa, mah… Che dire poi dell’intellettuale polacco Stanislaw Jerzy Lec che sentenziava: Gli

obesi vivono di meno, però mangiano di più! Se questo qui fosse ancora vivo, lo spedirei in pacco regalo alla signora Oba-ma, che sta mettendo a dieta (o meglio,

sta tentando di farlo) trecento milioni di in-goiatori seriali di pa-nini imburrati, ripie-ni di carne struttata nel lardo con doppia maionese e triplo bacon.A dar manforte al-lo scrittore mitte-leuropeo ritorna l’inesauribile

George Bernard (sem-pre quello dell’amore sincero per il ci-

bo…) che ne spara un’altra: Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono il-legali o fanno ingrassare. Non se ne esce proprio più!E allora sotto a chi tocca, un certo Andros esclamava: Siamo alla frutta, per fortuna

arriva il dolce! A questo tizio non manca-va di certo l’ottimismo, aggiungo io.Ma siamo a Bergamo vero? E allora in-fi liamoci anche un detto orobico, che se non spicca per fi nezza, di sicuro denota una certa sottile ed effi cace proprietà d’il-lusione, una sorta di trompe l’oil della de-glutizione: pasat ol canèl, a l’è töta carne de edèl! (tradotto: oltrepassato l’esofago, è tutta carne di vitello!). E qui concedo, a chi vuole, la facoltà di dissociarsi.Ora però, per concludere con classe ed eleganza, tiriamo in ballo un certo Anto-nio Focas Flavio Angelo Ducas Commeno di Bisanzio De Curtis Gagliardi (giuro che si chiamava proprio così!), detto Totò, il quale un giorno candidamente se ne uscì con una frase che ancora oggi, forse più di ieri, sarebbe centrata e pertinente: A proposito di politica, ci sarebbe qualcosa da mangiare?

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Come aperitivo l’aforisma

di Shaw, per il pranzo

affi diamoci a Babette

Era una bellissima mattinata di inizio mese e l’aveva-

mo dedicata alla visita di piazza Vecchia trasformata

in giardino e ad un salto nostalgico nella bottega di li-

bri e fotogra e del nostro indimenticabile amico Domenico

Lucchetti, gestita con passione dalla glia Silvana.

Scendendo per via Gombito, al ritorno, ci siamo imbattuti

in un celebre aforisma di George Bernard Shaw scritto sul-

la vetrina di una bella gelateria: “Non c’è amore più sincero

di quello per il cibo”.

Ne siamo rimasti immediatamente colpiti, nonostante, nel-

la classi ca personale, l’amore autenticamente leale cre-

diamo sia quello degli animali.

Tanto è vero che lo stesso Shaw,

vegetariano convinto, ripeteva

spesso che non mangiava i suoi

amici e le bestiole erano tali.

Come facesse quindi uno che an-

dava avanti ad insalatone miste

dere, in età avanzata,

itamina

mento ad ampio raggio e non come ingollarsi per riempire

la pancia.

Perché è dannatamente vero che si assaggia anche con

gli occhi, ma è molto più importante avvicinarsi al cibo col

cuore: dietro alla preparazione di quanto possiamo gusta-

re c’è tanto lavoro di chi, su pietanze e vini, ci ha studiato

e ci sta mettendo passione in tempo reale. Può essere mo-

glie, amico, danzata, cuoco, padre, glio, casalinga, chef

stellato, poco importa. È questo, quasi sicuramente, l’amo-

re sincero a cui faceva cenno Shaw.

Il punto più alto di questo sentimento

abbinato ai fornelli è certamente “Il

pranzo di Babette”, lm già citato in

questa pagina, nel quale una gover-

nante regala un’esperienza enoga-

stronomica irripetibile alle due an-

ziane sorelle che la ospitano ed ai

loro invitati, il tutto a proprie spese,

senza rivelare la sua passata identi-

tà di grande chef parigina, una che

riusciva a trasformare un banchet-

to «in una avventura amorosa».

La chiave della ri essione è tutta

in questo lm: dietro al cibo c’è

to d’amore e Babet-ne

di Pier Carlo Capozzi

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settembre 2012

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Leadership in cucina,

i segreti dei grandi chef

hef e chief: la differenza è tutta in quella vocale, con tanto di puntino sulla “i”. Per diventare chef executive, o ancora meglio chief executive - visto che i ristoranti di successo sono sem-pre più brand costruiti con i dettami marketing delle multinazionali, con presenze sempre più ingombranti nei media, canali tv dedicati e merchan-dising al seguito, dai coltelli griffati alla scatoletta d’autore - bisogna rim-boccarsi le maniche ed aver sudato almeno sette divise davanti ai fornelli. L’esercizio, la volontà e l’applicazio-ne non bastano. E senza una guida, un’organizzazione certosina ed una chiara e possibilmente equa divisione dei compiti la cucina, complice anche la temperatura, si trasforma in un ve-ro e proprio inferno.

di Laura Bernardi Locatelli

C

Organizzazione, gestione del gruppo di lavoro,disciplina, precisione: la sfida di chi guida

una brigata non è cosa da poco. In gioco ci sono il valore e l’efficacia

di una di una squadra e quindi la fortunadi un ristorante. Per capire gli ingredienti fondamentali per una gestione ottimale,

abbiamo raccolto il parere di tre cuochi stellati e di un formatore

DIETRO LE QUINTE

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Page 7: Affari di Gola - ottobre 2012

A volte basta l’occhio esperto di un gran-de chef per riorganizzare, motivare il gruppo e salvare dal fallimento cucine in-fernali come mostra Gordon Ramsay nel reality “Cucine da incubo”, in cui lo chef-star britannico arriva a resettare una li-nea di cucina e a farla ripartire da zero, anche a suon di “padellate” all’ego del patron di turno e di chi lo affi anca. Dietro al successo di cucine pluristellate e alle spalle del talento di ogni grande chef c’è

sempre una brigata eccellente. Per sve-lare i segreti dei templi italiani della cuci-na e, più in generale, mostrare gli ingre-dienti fondamentali per una gestione ot-timale di ogni gruppo di lavoro, l‘Accade-mia del Gusto organizza dei seminari che consentono ai ristoratori di far parte per un giorno della brigata di Andrea Berton, Antonino Cannavacciuolo e Giancarlo Perbellini, per mettersi in discussione e scoprire come fare grande la propria cu-

cina e rendere ancora più affi atata la pro-pria brigata. Non mancano le indicazio-ni trasversali ad ogni “chief” fornite dal formatore ed esperto di programmazio-ne neurolinguistica Andrea Di Gregorio, pronto a dare preziosi consigli su come avere quella marcia in più per mantene-re saldi il timone e la rotta anche in situa-zioni turbolente e superare le crisi di ogni giorno attraverso una gestione ottimale della leadership.

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ottobre 2012

Coach nazionale del Bocuse d’Or, Giancarlo Perbellini, due stelle Michelin conquistate nell’omonimo locale di Isola Rizza, con la moglie Paola a fi anco in sala, è fermo e deciso e motiva la brigata chiamandola ad accettare di continuo nuove sfi de. Nella sua cucina non manca mai la fi losofi a, “amore per la conoscenza conseguita attraverso un’esplorazione a tutto campo e al tempo stesso con la consapevolezza che solo chi non osa non sbaglia mai”.Come si costruisce una brigata eccellente?“Non esiste una ricetta per creare una brigata di cucina. Come in ogni cosa si parte dal basso, dal condividere il proprio know how con persone in cu-i riponi la massima fi ducia. È un lavoro lungo che dura anni e su cui personalmente investo molto. Cerco sempre di seguire da vicino i ragazzi e di far loro vivere la cucina in ogni aspetto: tutti, ad esempio, fanno un’esperienza in pasticceria. La mia brigata di oggi è frutto di un lavoro di quindici anni”.Su cosa non transige?“In cucina non si fi schia, non si canta e non c’è la radio perché dissolvono la concentra-zione che deve essere sempre massima. Fosse per me si parlerebbe davvero poco, ma il mio braccio destro chiacchiera per sei”.Cosa apprezza di più in chi lavora con lei?“Apprezzo l’ambizione, chi ha stimoli, chi si mette in gioco e propone idee. Non potrei vedere lavorare qualcuno che lo fa senza passione ed ambizione, solo per abitudine o per portare a casa uno stipendio”. In cucina si sente più numero 10 o allenatore?“Mi sento più regista, sempre presente in campo: quando ci sono in cucina mi piace orchestrare tutto nei minimi det-

tagli. Mi sento allenatore quando sono lontano dal risto-rante e mi trovo a gestirlo lontano dal campo”. Come si tiene alta la motivazione?“Mettendosi sempre in discussione e cercando nuovi sti-moli. Cambiamo carta spessissimo e cerchiamo nuove

“I RAGAZZI MIGLIORI DIVENTANO MIEI SOCI.E COSÌ LA BRIGATA ÈUNA FAMIGLIA ALLARGATA”

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Giancarlo Perbellini

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strade, con la consapevolezza che questo inevitabil-mente ci espone maggiormente agli errori. A volte sbagliamo, ma sappiamo osare e siamo sempre im-pegnati in nuove sfi de”. Quindi è indulgente verso l’errore?“Siamo artigiani, non siamo scienziati. Ma bisogna avere la responsabilità e il coraggio a volte di non fare uscire dalla cucina piatti e di rifarli di nuovo”.L’imprevisto che ha messo sotto stress la cucina?“Non ne ricordo di eclatanti. Ricordo l’ultimo, non di certo grave: quattro mesi fa uno stageur ha gettato una zuppa di cipolle che avremmo dovuto servire l’in-domani, così ci è toccato rifare tutto da capo”. Il servizio peggio riuscito?“Non posso dimenticare un San Valentino di 19 anni fa. All’una e mezza di notte dovevamo ancora servire i secondi. Siamo andati in crisi. Avevamo 70 persone in sala ad aspettare. In quattro in cucina non siamo riu-sciti a gestire i coperti: eravamo in overbooking e non eravamo attrezzati per farlo. Una bella lezione che mi è servita una volta per tutte”.Il servizio gestito al meglio?“Si ricorda sempre l’ultimo. Settimana scorsa a Ban-gkok siamo riusciti ad organizzare in tre ore con l’a-drenalina a mille per le materie prime arrivate all’ulti-mo momento un servizio perfetto”.La brigata in cui si è trovato meglio?“La prima brigata non si scorda mai. Al San Domenico di Imola, nel 1984, quando ho mosso i primi passi in cucina. Ad Imola sono legatissimo: ho stretto amicizie importanti con cui non ho mai smesso di rimanere in contatto, mi è rimasta senza dubbio nel cuore”. In Italia abbiamo da imparare qualcosa nell’organiz-zazione del gruppo?“Per uno chef è imprescindibile, dopo un’esperienza in Italia, andare in Francia, perché dai francesi abbia-mo molto da imparare sul fronte dell’organizzazione e della disciplina. Per potersi misurare con la cucina stressante dei grandi numeri è altrettanto importante un’esperienza negli Stati Uniti. Ma quanto al gusto, in Italia abbiamo davvero poco da imparare”. Quali qualità deve avere uno chef per far parte della sua brigata?“La mia fi losofi a è basata sull’intuizione del momen-to, sul prodotto e sulla stagione. È fondamentale tra-smettere questo a chi collabora con me”. I talenti che ha visto crescere?“I migliori diventano miei soci, da Al Capitan della Cit-tadella alla Locanda 4 Cuochi, dal Du de Cope a Zero 7. Francesco Baldissarutti, Moreno Pellegrini, Dario Fracasso e Andrea Manzoli sono ormai, oltre che miei soci, parte della mia famiglia allargata”.

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DIETRO LE QUINTE

Per amore ha portato la sua cucina mediterranea sul La-go d’Orta dove, affi ancato dalla moglie-manager Cinzia, ha conquistato due stelle Michelin. Eppure Antonino Canna-vacciuolo non è lo chef serafi co e pacioso che ci si aspetta, visto che non esita a defi nire se stesso “terribile” e pronto a mettere a dura prova chiunque varchi la soglia della su-a cucina. Ma solo a fi n di bene e per far crescere dei veri e propri talenti.Si sente più allenatore o numero 10?“Allenatore prima di tutto. Una brigata vera ha motivazio-ne, carattere ed è una vera squadra. Poi c’è chi è più por-tato a stare in retroguardia e chi in attacco. Per questo quando qualcuno entra per la prima volta nella mia cucina gira ogni settore. Sta a me osservare e portare ognuno ad esprimersi al meglio”.Che tipo di allenatore è?“Sono molto pignolo. Ma è grazie anche a questo che la mia squadra è importante. E la squadra conta e pa-recchio: basti pensare a quello che sta succedendo a Gilardino che, dato per bollito, a Bologna continua a fa-re gol”.Come si trovano nuovi stimoli?“Senza motivazione e tanta passione non si va avanti. Il

nostro è un lavoro di sacrifi cio che avvolge la vita, perché anche quando non si la-

vora si lavora

“LA MIA CUCINA È UN INFERNO A

Senza motivazione e tanta passione non si va avanti. Il nostro è un lavoro di sacrifi cio che avvolge la

vita, perché anche quando non si la-vora si lavora

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lo stesso. Se sei in vacanza ed esci a cena hai già analizzato e ri-analizzato quel piatto almeno tre volte. La nostra è una vita allucinante e più cresci pro-fessionalmente e più è dura. Dopo ore di lavoro arrivi ad odiare la cucina, poi vai a casa e dopo cinque minuti ti manca terribilmente. È quell’amore-odio che ti fa sempre andare avanti e anche oltre”. Quali qualità sono im-prescindibili per uno chef?“Bisogna essere tosti, avere passione e met-tersi continuamente alla prova, perché niente viene per caso. E senza cari-sma ed ambizione non si va da nes-suna parte”.Cosa non sopporta in cucina?“Non sopporto chi non mette passione ed amore in ciò che fa ed il menefreghismo in generale. Ma nella mia cucina non c’è spazio per il malumore, né tanto meno per chi ha un carattere oscuro e cupo. Si viene a lavorare con il sorri-so sulle labbra. La cucina risente dell’assenza di un clima se-reno: è come quando si litiga a casa e due semplici spaghetti al pomodoro vengono una schifezza”.Il suo divieto?“Lamentarsi non è contemplato. Se c’è un problema lo si risol-ve assieme sul nascere ancor prima che lo diventi davvero”. Come si tiene salda la leadership in cucina?“All’inizio devi essere terribile. Quando faccio i colloqui sono negativissimo e dipingo tutto nero. Della serie: “Sicuro di vo-ler lavorare qui? Qui è l’inferno, qui non vediamo la luce del sole e lavoriamo 15 ore al giorno ed anche di più. La nostra è una vita impossibile”. Mio padre mi ha cresciuto così, mi ha insegnato che questo mestiere non è per tutti: “Tonino non lo fare - mi ripeteva -. Se lo fai, fallo bene”. È davvero così spietato?“Non esageriamo. Diciamo che la cattiveria, quella agonisti-ca s’intende, non mi manca”.Come si allenano talenti?“Le soddisfazioni non mancano. Ad esempio, ho seguito go-

mito a gomito per un mese il mio chef di parti-ta, Vincenzo Manicone, ed oggi fa dei primi davvero eccezionali e per me la partita dei primi piatti è quel-la più diffi cile e dura”. Il servizio perfetto?“È senza dubbio quello che verrà… Non mi sento mai arriva-to, anche per questo ogni singola ricetta viene cambiata e rivista almeno quattro volte in un anno, tecniche di cottura in primis”.Quello più diffi cile e stressante?“Forse quello in occasione della Triennale a Milano: 650 persone e tensione e adrenalina da vendere. È andato tutto meravigliosamente e vedere tutti seduti ai tavoli è stata una grande soddisfazione”. Quale brigata le è rimasta nel cuore?“Quella del Quisisana a Capri, sotto la direzione dello chef Nazzareno Menghini. Sono ancora in contatto con il resto della brigata. È stato un periodo di lavoro e ancora lavoro. Ricordo notti insonni, ma è stata un’esperienza indimenti-cabile”.

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Antonino Cannavacciuolo

ottobre 2012

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È ancora a caccia del suo ristorante Andrea Berton, due stelle conquistate al Trussardi Alla Scala, quando sale in cattedra all’Accademia del Gusto per svelare i segreti di una brigata di successo, con l’aplomb francese che lo contraddistingue, senza dimenticare il carattere tosto tut-to friulano. Lo stesso che riconosce al coach dei coach, Fa-bio Capello, suo compatriota, che gli somiglia molto quan-do scende in campo nella sua cucina. Quanto conta la brigata per un grande chef?“La brigata è fondamentale perché il risultato fi nale si crea grazie al contributo di tutti. È importante scegliere le perso-ne giuste e responsabilizzarle, perché la fi ducia mette nelle condizioni di dare sempre e comunque il meglio di sé”. Come si costruisce e mantiene la leadership in cucina?“Bisogna avere innanzitutto la conoscenza di ciò che si fa. Chi è alla guida deve motivare le persone, deve essere il primo a conoscere ogni aspetto della cucina e dimostrarlo con i fatti e deve essere in grado di risolvere ogni diffi coltà in ogni momen-to”. Quale imprevisto ha messo a dura prova la sua cucina?“Al Trussardi alla Scala un problema elettrico fece saltare com-pletamente i fornelli ad induzione. Ci trovammo con la cucina fuori uso e 50 coperti da gestire. Con il massimo self control tro-

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Andrea Berton

Formatore per passione, Andrea Di Gre-gorio da oltre 15 anni svolge l’attività di Coach, Counselor e Master Trainer di PNL, su cui ha fondato la scuola italiana Lexis. Il suo approccio alla disciplina si basa sulla ricerca dei valori fondamen-tali dell’esistenza e sullo sviluppo della qualità delle relazioni umane. Docente Ascom ha tenuto diversi corsi per creare gruppi di lavoro effi caci, tra cui “Cooking team building” per rafforzare tra i fornelli lo spirito aziendale. Chi è il vero leader?“Il leader non è colui a cui viene data autorità, ma è colui che viene ascoltato e seguito. Leader deriva da “lead” che signifi ca guidare; è colui che ha una vi-sione sul lavoro da svolgere ed antici-pa i tempi. È diverso dal manager che si limita ad eseguire materialmente un compito”.

Leader si nasce o si diventa?“Si può diventare leader nel momento in cui si capisce in che ambito si ha la capa-cità di anticipare i tempi. Su un talento in-nato, dallo sport alla cucina ad esempio, si può costruire una leadership”. Come si gestisce e tiene salda la lea-dership?“Il leader non dice come farà qualcosa né cosa farà, ma spiega i criteri che ser-vono per raggiungere un risultato. Si sof-ferma sui perché e non sui come e tra-smette ciò in cui crede. Martin Luther King disse “I have a dream”, ho un so-gno, non “I have a plan” ed in quel sogno si sono ritrovate 250mila persone”.Esiste una ricetta perfetta per un leader? “Sono tre le fasi per affermare la leader-ship: anticipare, allineare e agire. Il lea-der ha una visione, allinea la visione ai comportamenti e passa all’azione”.

Quali errori vanno evitati?“Un grave e comune errore è quello di sostituire il proprio collaboratore con se stessi, della serie : “Fatti da parte che ci penso io”. Questo comportamento non solo svaluta chi collabora ad un progetto che è nato per essere comune, ma non fa altro che creare delle “prime donne” e non certo dei leader”.La differenza tra leader e “prima donna”?“Gli chef di un certo calibro fanno cresce-re la loro brigata, individuando in ognuno di loro una qualità particolare nello svol-gere un determinato compito. Il talento di altri chef si esaurisce con la loro stessa fi gura, visto che non l’hanno trasmesso a nessuno”. Uno sbaglio comune?“Credere che il proprio collaboratore non sia in grado di portare avanti un compito per il solo fatto di aver deluso in un’occa-

DI GREGORIO: “IL VERO LEADER È UN VISIONARIO CHE LOTTA PER UN IDEALE. IL NEMICO? LA VANITÀ”

IL FORMATORE

“IN CUCINA MI SENTO UN A LIL TALENTO LO RICONOSCO D

DIETRO LE QUINTE

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vammo una soluzione di fortuna recuperando dal magazzino i fornelli da catering e riuscimmo a gestire ogni ordinazione. Chiaramente poi feci installare immediatamente un gruppo generatore”.Quale è stato il servizio più riuscito?“Credo sia stato quello per festeggiare la presentazione della guida Michelin che ci assegnò la seconda stella. Tra l’entusia-smo per la nuova stella conquistata ad un anno di distanza dal-la prima, come era riuscito solo a Gualtiero Marchesi, e la ten-sione, siamo riusciti a creare un servizio perfetto”. Cosa non sopporta?“Detesto il fumo ed invito sempre ad abbandonare le sigarette perché rischiano di rovinare il palato, anche se ovviamente non è un diktat e nella mia brigata non sono mai mancati i fumatori. Ma a farmi davvero rabbia è vedere al lavoro chi è svogliato”.Cosa apprezza di più?“La volontà di mettersi in discussione, la capacità di saper ascoltare, l’impegno nel dare il proprio contributo a ciò che ogni giorno si fa. E poi mi piace vedere ambizione e passione, la volontà di non limitarsi ad eseguire ma di andare oltre”. In cucina si sente più il numero 10 o l’allenatore?“Mi sento un allenatore alla Fabio Capello, che tra l’altro è friu-lano come me. Tosto e concreto”.

Come scova un talento? “Il talento si vede sul campo. Appena uno prende in mano un coltello si capisce per cosa è portato”. Quale è stata la sua esperienza di brigata migliore?“Da Alain Ducasse, a Montecarlo, ho imparato cosa signifi chi l’organizzazione, la gestione di un gruppo di lavoro, la precisio-ne in ogni singolo gesto e la disciplina in ogni singola mansio-ne ed in cucina. Una brigata diffi cile ma in cui mi sono sentito a mio agio”. Come si gestisce lo stress?“Lo stress si gestisce individualmente e questo è molto impor-tante per ottenere il massimo dal proprio lavoro”. Ha mai perso le staffe?“Qualche volta sì, ma ho sempre cercato di gestire la situazio-ne senza mettere a repentaglio il clima di gruppo. È importante cercare di recuperare subito e mettere da parte sia l’orgoglio che la rabbia del momento”. Quali talenti ha allenato?“Ho visto crescere tanti ragazzi: il mio braccio destro, Alfi o Ghezzi, oggi alla Locanda Margon, ha conquistato la sua pri-ma stella. Claudio Catino, mio sous chef e Remo Capitanio, og-gi sous chef di Enrico Bartolini, sono ragazzi che sicuramente porteranno in alto la cucina italiana”.

sione le aspettative. Non concedere altre possibilità por-ta spesso - come saggezza popolare ricorda - a buttare

l’acqua sporca col bambino dentro”. Due galli nello stesso pollaio possono convivere?

“No. A meno che detengano una leadership in due campi di-versi e si completino a vicenda”.

Le grandi cucine italiane sono in larga misura gestite da fa-miglie. È questo il segreto della loro leadership?

“La famiglia vincente è coesa e condivide i valori della cucina, tra tradizione e innovazione. Una persona cresciuta in un am-

biente sereno ed aperto ha più chance di diventare un leader. Il leader è modello per gli altri e per natura il padre è modello per il proprio fi glio. È importante purché non nasconda i propri difet-

ti al fi glio”. Nel nostro Paese ci sono più raccomandati che veri leader. È la

nostra rovina?“La corruzione non attacca laddove la leadership è davvero forte,

laddove un leader manca diventa sistemica perché il vero leader non mira mai al potere per il potere, né tanto meno al denaro. Ste-

ve Jobs, ad esempio, ha percepito per anni come stipendio 1 dolla-ro simbolico”.

La vanità rischia di trasformare un leader in prima donna? Gli chef sono sempre più corteggiati dai media...“È un rischio. La vanità fi ne a se stessa non migliora certo la leadership.

Anzi, la rovina”.

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Andrea Di Gregorio

A LLENATORE ALLA CAPELLO. O DA UN TOCCO DI COLTELLO”

ottobre 2012

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“Emozioni dal Mondo”, 20 nazioni si sfi dano a colpi di taglio bordolese

nternazionalità è la parola chiave dell’ottava edizione del concorso enologico internazionale “Emozioni dal Mondo-Merlot e Cabernet Insieme” che si svolge dal 18 al 20 otto-bre al Museo di Arte Contemporanea ALT di Alzano Lombar-do e a Bergamo. Internazionalità dei campioni in concorso, prima di tutto. Sono infatti oltre 20 le nazioni che hanno inviato Merlot, Cabernet e i loro tagli alla kermesse berga-masca. Tra gli altri saranno presenti vini francesi, croati, bo-sniaci, serbi, sloveni, slovacchi, ungheresi, turchi, maltesi, israeliani, cileni, peruviani, sud africani, azerbaijani e tede-schi. Non mancheranno poi i campioni italiani, provenienti dalle maggiori regioni a produzione vitivinicola e, natural-mente, una buona rappresentanza dei padroni di casa: i Valcalepio Doc (tagli di Merlot e Cabernet). Internazionalità dei giudici che degusteranno e valuteranno i vini in concor-so. Sono infatti 48 i giornalisti e tecnici stranieri che presen-zieranno ad “Emozioni dal Mondo” quest’anno. Anche su questo versante la rappresentatività è decisamente vasta: cechi, lituani, australiani, peruviani, neozelandesi, france-si, tedeschi, austriaci, statunitensi, maltesi e georgiani so-

no alcuni dei rappresentanti del mondo enologico chiamati ad assegnare le medaglie del concorso. “Un’internazionali-tà molto marcata - spiega Sergio Cantoni, direttore del Con-sorzio Tutela Valcalepio, partner di Vignaioli Bergamaschi nell’organizzazione della manifestazione - che ci permette di ottenere, elaborando le schede di degustazione che com-pileranno, un vero e proprio specchio della realtà dei consu-mi a livello globale”.Internazionali anche i relatori della tavola rotonda conclusi-va, in programma sabato 20 ottobre, alle 9, alla Sala Mosai-co della Camera di Commercio di Bergamo. Il titolo dell’in-contro sarà “La Comunicazione: strumento indispensabile per vendere”. “Ci sembrava doveroso, in un momento come quello che il mercato globale sta attraversando - commenta Enrico Rota, presidente del Consorzio Tutela Valcalepio - de-dicarci ad un tema di grande interesse: la vendita. In parti-colare abbiamo deciso di concentrarci su un aspetto molto importante della vendita, spesso sottovalutato dalla realtà italiana ma che all’estero ricopre già da anni un’importan-za fondamentale: la comunicazione”. “Ecco il motivo che

Anche la sesta edizione della Rassegna Birrogastronomica, fi r-mata dalla 4R di Torre de’ Roveri, ha riscontrato il forte interes-se da parte degli operatori lombardi. Cuochi, ristoratori e baristi hanno partecipato numerosi alla recente kermesse dedicata al grande e versatile mondo della birra sia come bevanda a sé sia come abbinamento alla grande cucina. Il tutto lasciando spazio anche a prodotti più originali come il miele (non a caso all’even-to hanno preso parte anche gli apicoltori dell’Associazione Pro-duttori Apistici di Bergamo, rappresentati, durante i vari incon-tri, dal presidente Marco Mazzuconi). Diversi gli appuntamenti messi in calendario per approfondire il tema, con la possibilità anche di seguire percorsi personalizzati. Le birre alla spina e in bottiglia sono state, ovviamente, il punto fermo di tutta la ker-messe, con anteprime assolute come la birra artigianale ita-liana “Cuvèe Riserva 2012” del Birrifi cio Nazionale. La cucina ha offerto il suo importante contributo, grazie agli chef dell’As-

I

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“4R” festeggia i 30 anni e incassa l con la rassegna “Birroga s

EVENTI

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ha portato a chiedere ad alcuni degli ospiti internazionali di intervenire por-tando le proprie esperienze nei diversi ambiti della comunicazione enologica: ci è sembrato logico, vista la loro espe-rienza e competenza nei diversi cam-pi, sfruttare al meglio la loro presenza sul nostro territorio - aggiunge Giovanni De Ferrari, vicepresidente di Vignaioli Bergamaschi -. Ci sembrava assurdo non benefi ciare dell’esperienza di chi nel campo della comunicazione vive e lavora da moltissimi anni con ottimi ri-sultati”.

ro identità e caratteristiche, permette agli operatori di valutare a fondo i possibili cri-teri di scelta e, soprattutto, defi nire i criteri d’inserimento nell’offerta per valorizzare al massimo il servizio. Giampietro Rota, presidente della 4R, ha voluto sottolinea-re come l’evento “si sia sovrapposto ai fe-steggiamenti dei trent’anni di fondazione dell’azienda: “La nostra fi losofi a - ha com-mentato - mira a valorizzare la qualità dei prodotti e vuole contribuire ad accrescere le competenze degli operatori del nostro settore. Da trent’anni, attraverso i nostri uomini e le nostre strutture, ci adoperia-mo per favorire e diffondere la cultura del prodotto birra”.

sociazione Cuochi Bergamaschi che han-no sapientemente impostato la proposta mettendola in linea con l’ offerta “spu-meggiante”. Un’interessante alternativa sono stati quest’anno i beer cocktail, che permettono alla birra di presentarsi in una veste insolita e diversa. L’obbiettivo, pienamente raggiunto dalla rassegna, era di evidenziare la birra quale promotrice di nuovi stili di consumo. Come sappiamo, i tempi attuali hanno modifi ca-to il modo di vivere il tempo libero e hanno creato nuove opportunità di business da cogliere e concretizzare. Conoscere quin-di in modo approfondito non solo i siste-mi di mescita delle birre, ma anche le lo-

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a l’ennesimo successo a stronomica”

E IN PIAZZA VECCHIA VA IN SCENA “BERE BERGAMO VALCALEPIO TOP”In concomitanza con “Emozioni dal Mondo” va in scena anche la kermesse, tutta orobica, “Bere Bergamo Valcalepio Top”.In Città Alta, sotto la Loggia del Palazzo della Ragione, grazie alla collaborazione con il Comune, sabato 20 ottobre, dalle 14.30 alle 18.30 e domenica 21, dalle 10 alle 18, sarà aperto al pubblico uno spazio dove degustare il meglio della produ-zione dei soci del Consorzio Tutela Valcalepio. In contemporanea, e negli stessi spazi, sarà anche possibile degustare i vini che si saranno aggiudicati una meda-glia al concorso enologico internazionale. “Bere Bergamo Valcalepio Top rappre-senta da molti anni un appuntamento importante per i produttori del Consorzio e per il pubblico di appassionati - annota Emanuele Medolago Albani, membro del Cda Consortile e storico produttore -. Quest’anno però Bere Bergamo si rinnova e sperimenta una data, una collocazione e una formula tutta nuova”. Infatti ad ac-cogliere il pubblico nel cuore pulsante di Bergamo, Piazza Vecchia, saranno i pro-

duttori in persona che serviranno i loro vini, ne racconteranno la storia e ne spiegheranno le caratteristiche.

“Da sempre noi del Consorzio puntiamo ad un contatto vero e di-retto con il consumatore - aggiunge Enrico Rota -. Il Valcalepio è prima di tutto il vino di Bergamo e dei bergamaschi. Quale posto migliore per incontrarli se non Piazza Vecchia, cuore e fulcro della vita cittadina durante il weekend?”Ogni produttore avrà a disposizione uno spazio presso il quale esporre materiale promozionale e mescere il meglio della pro-pria produzione. Ogni azienda potrà mettere in degustazione solo tre vini, selezionati all’interno della propria gamma, che rappresentino il top.

Cda Consortile esperimenta unacogliere il pubbli

duttori ine sp

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di Giordana Talamona

Quando il cappuccino diventa un’opera d’arte

utto avviene in pochi secondi. La mano del barista dosa sapientemente ritmo, inclinazione e cremosità del latte che scende a fi lo, bucando il caffè dall’alto. La tazza si riempie a metà livello e solo a quel punto si cominciano a intravve-dere i primi contorni, fi nché pochi, sem-plici gesti perfezionano un’immagine che ha preso vita sotto i nostri occhi. Il tocco fi nale arriva, a mano libera, con un pennino d’acciaio e voilà, il gioco è fatto. Una foglia, un indiano, un coni-glio, un tramonto colorato, sono infi nite le possibilità della Latte Art, la tecnica nata negli Stati Uniti, che da qualche anno è approdata anche nei bar italia-ni. Per la verità non in tutti, anzi i baristi che utilizzano quotidianamente questa tecnica sono ancora pochi, artisti pio-nieri che hanno capito come l’occhio voglia la sua parte per colpire e affa-scinare la propria clientela. È il caso di Gianni Cocco, del Cin Cin bar di corso Buenos Aires, dove persino nella fre-netica Milano si trova il tempo per un cappuccino perfetto, decorato a rego-la d’arte. Maestro del caffè, diplomato all’Aicaf (Accademia italiana maestri del caffè di Brescia), Cocco è una vera

autorità della Latte Art e delle sue vario-pinte declinazioni, dalla Ciocco Art sino ai cappuccini colorati. I volti noti che gli hanno chiesto un cappuccino persona-lizzato sono innumerevoli: Massimilia-no Allegri, Belen Rodriguez, Lina Sotis, solo per citarne alcuni. “Ad Allegri ho creato un cappuccino col logo del Milan e il risultato di una partita di Champions League - ricorda divertito Cocco -. A Lina Sotis ho fatto un cappuccino col suo no-me dipinto nel cioccolato, mentre a Be-len Rodriguez ho disegnato un romanti-co tramonto”. Esperienza, studio e co-noscenza sono i requisiti fondamentali per questa tecnica che, bisogna dirlo, non è per tutti. “Occorre essere molto creativi e avere buona predisposizione per il disegno a mano libera”, spiega Cocco, che con l’amico Danilo Torres è entrato, un anno fa, nel Guinnes World Record con 623 espressi in un’ora. Ma andiamo per gradi, perché se un animo creativo è fondamentale, a nulla serve senza conoscere le regole del gio-co. Si parte dalla base: per un espresso certifi cato italiano occorre avere 2,5 cl di caffè. Le caratteristiche della misce-la incideranno sul gusto, ma non sul

risultato fi nale, quindi a ogni zona la propria scelta. “Le miscele di caffè nel mondo sono varie, ma in termini gene-rali nel nord del nostro Paese - spiega Cocco - si predilige l’Arabica, che dà un espresso con meno crema, dal gusto più dolce e aromatico, mentre dal cen-tro al sud Italia prevalgono le miscele con la Robusta, una qualità che dà un espresso molto amaro e cremoso”. La macchina del caffè, manco a dirlo, è la fedele compagna di ogni barista che si rispetti, ma anche quella di casa, per chi ce l’ha, deve rispettare certi crismi, per riuscire a fare un cappuccino che si avvicini a quello del bar. In commercio, sia professionali che non, ce ne sono di tutti i tipi e per tutte le tasche, alcu-ne belle e costose, altre più abbordabi-li. Scegliere il modello che piace è un ovvietà, ma per andare a colpo sicuro occorre prestate attenzione a due re-quisiti fondamentali, la lancia vapore, che deve avere 9 atmosfere, e la pres-sione della caldaia, che dev’essere di 1,5 bar. Questo come base, senza con-tare l’annesso macinacaffè o lo scal-da tazza, che arricchiscono le caratte-ristiche di una buona macchina. Per

T

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TENDENZE

Gianni Cocco (foto Luca Cossu)

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fare un espresso a regola d’arte, i grammi di caffè macinato fresco devono essere 7, mentre i secondi di percolazione 25, né più né meno. Se si anticipa, il caffè verrà ultra ristretto, se si attende troppo, sarà lungo, fermo restando la preferenza del cliente che, come si sa, ha sempre ragione. Ma qui siamo nell’ambito della perfezione, quindi è quanto mai necessario qualche rigido ri-ferimento. Anche la montatura del latte ha bisogno di un preciso protocollo per crea-re quella deliziosa cremina che fa leccare i baffi . Per una tazza da 15-20 cl di cappuc-cino, occorre utilizzare 10 cl di latte fresco intero, conservato a 3-4°C, e montato a grana fi ne, incorporando 2,5 cl di aria. La fi nezza della montatura è una questione di forma imprescindibile a cui prestare atten-zione, tanto più se si desidera diventare dei virtuosi della Latte Art. La grana e la densi-tà della crema, infatti, costituiscono la te-la bianca del barista su cui disegnare col caffè, col cioccolato o a colori. La quantità adatta si impara con la pratica, ma in ter-mini generali basti l’indicazione che “trop-pa crema è nemica della Latte Art”, perché va a coprire irrimediabilmente le sfumature del caffè necessarie per la creazione del-la fi gura. La temperatura, anche in questo caso, fa la differenza: 55-60°C, non oltre, perché si rischia di scottare il palato del cliente, anestetizzandogli il gusto. Giunti a questo punto, la tecnica lascia il posto alla manualità e alla creatività del barista, con qualche piccolo trucchetto. La madre di tut-te le fi gure, con cui potersi esercitare, è la felce. “Si tiene la tazza leggermente incli-nata, per avvicinare meglio il bricco - spie-

ga Cocco -. Prima si fa scendere il latte, bu-cando il caffè dall’alto, da circa una decina di centimetri. Arrivati a metà livello, comin-ciamo a far scendere la crema, muovendo il bricco lateralmente, con movimenti sem-pre più estesi, operazione che permette di disegnare i contorni della felce, fi nché, con l’ultimo goccio di latte, tagliamo la foglia a metà, disegnando lo stelo”. Oplà il gioco è fatto, senza neppure l’utilizzo del pennino in acciaio, se il barista è abile. Da qui si aprono innumerevoli strade creative che portano sino alla Ciocco Art, ulteriore decli-nazione della tecnica. In questo caso si uti-lizzano abilità e strumenti diversi. Per pri-ma cosa occorre preparare della cioccola-ta fresca, che va inserita in una siringa ali-mentare che assurge allo status di pennel-lo. Dapprima si compongono i disegni col cioccolato a mano libera, come su un foglio bianco, poi si defi niscono le linee che com-pongono il disegno col pennino in acciaio. Da qui il passo ai cappuccini colorati, che sembrano pregiate ceramiche, è breve.Unici in Italia a utilizzare questa tecnica, Cocco e Torres, collega del Bar Duomo di Milano, stanno affi nando l’abilità sui colori per la prossima Fiera internazionale della torrefazione, che si terrà a Barcellona, il 20 ottobre. “La tecnica che usiamo è differen-te da quella statunitense - prosegue Coc-co - dove si utilizzano degli sciroppi colorati che, chiaramente, alterano il gusto del cap-puccino”. Solo coloranti alimentari inodo-ri e insapori, questa è la regola aurea che non deroga l’immagine al gusto. In questo caso la tecnica prevede il discioglimento del colorante in una soluzione che ne per-mette l’utilizzo come fosse un acquerello. Una volta depositato il colore sulla crema bianca e lucente del cappuccino, viene cir-coscritta l’area col cioccolato e rifi nito col pennino in acciaio. La defi nizione dei tratti da un lato e le ricche sfumature dei colo-ri dall’altra, rendono questa tecnica tra le più interessanti e complesse attualmente esistenti.

Si chiama “Latte Art”, è nata negli Usa ed è da poco approdata in Italia. Gianni Cocco, un’autorità in materia, spiega regole e trucchi per arrivare a decorazioni eccellenti. “Servono creatività, tecnica e ottima materia prima, a partire dal caffè”

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SI PUÒ FARE FREDDO SENZA L’ESPRESSOÈ possibile gustare un cappuccino alternativo, senza la macchina del caffè espresso? Sì, secondo Gianni Cocco, maestro del caffè, diplomato all’Aicaf. Si tratta di un cap-puccino freddo, realizzabile con 3-4 cubetti di ghiaccio, caffè macinato e 10-15 cl di latte a lunga conservazione, parzialmente scremato. Dopo aver preparato il caffè, in un mixer aggiungete il ghiaccio, il latte e montate incorporando aria, fi nché si sarà otte-nuta una crema molto consistente, con una densità simile a quella dello yogurt. Misce-late al caffè e bevete fresco. Non pensiate, però, di utilizzare questa ricetta per decora-re il cappuccino con la Latte Art. Ricordate: troppa crema è nemica di questa tecnica.

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ottobre 2012

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Tutto il gusto del miele bergamasco

l miele lombardo sembra godere di buo-na salute. Nonostante le annate pro-duttive siano molto variabili, in base al-le stagioni, e ci siano ancora dei proble-mi di moria delle api, la vendita del mie-le rimane molto buona. 140mila alveari in tutta la Lombardia con una produ-zione media di circa ventimila quintali all’anno e una quotazione economica, decisa dai mercati esteri per le grandi partite, che tiene nonostante la crisi. Nella provincia di Bergamo i produt-tori di miele sono circa 750, due terzi dei quali raggruppati nell’Associazione

Produttori Apistici, un gruppo che conta circa 500 iscritti, nato dall’esigenza di tutelare i consumatori e di dare agli api-coltori un’assistenza a tutto campo in una professione sottoposta a innume-revoli variabili ambientali. «Sono nume-rose quelle che infl uenzano la produzio-ne di miele – spiega il presidente Marco Mazzucconi, dell’omonima apicoltura biologica –. Siamo legati all’andamen-to stagionale e ad alcune malattie che, fi no a un paio d’anni fa, condizionava-no molto il nostro lavoro. Oggi la situa-zione sembra essere migliorata, anche

se persistono alcuni insetticidi utilizzati sui vigneti che ci danno ancora qualche problema, oltre alla recrudescenza di un parassita, la varroa, legata al ciclo delle api che, periodicamente, torna a mietere vittime». La produzione bergamasca varia sensi-bilmente di anno in anno, dai 2.500 ai 3.800 quintali, ma il prezzo del miele, sui mercati internazionali, rimane piut-tosto alto perché l’offerta non riesce a far fronte alla domanda. Sul territorio italiano circa il 50% del miele consuma-to è d’importazione, proveniente da Pa-

di Giordana Talamona

I

La produzione nostrana varia sensibilmente di anno in anno, ma i prezzi reggono ed assicurano al comparto una buona salute. Mazzucconi (Produttori Apistici): «Ecco cosa differenzia i nostri vasetti da quelli d’importazione»

IL PRODOTTO

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PER OGNI TIPO, L’UTILIZZO PIÙ ADATTOMiele di melata - raccolto sulle colline bergamascheÈ ricavato dalla “melata” prodotta da alcune piante in parti-

colari condizioni climatiche. Il miele di melata ha un colore molto scuro, consistenza particolarmente densa e gusto tipico di caramello e frutta cotta. È il miele più ricco di sali minerali e particolarmente indicato per la prepara-zione di dolci.Miele millefi ori - raccolto dai fi ori più svariati della pia-nura, della collina e della montagna

Se ne possono produrre di più qualità. Tra le altre esi-ste un millefi ori primaverile, dal colore giallo chia-

ro, ricco di nettare di robinia, tarassaco e ciliegio con un gusto particolarmente delicato e uno

tori di miele sono circa 750, due terzidei quali raggruppati nell’Associazione

no molto il nostro lavoro. Oggi la situazione sembra essere migliorata, anch

PER OGNI TIPO, Miele di melata - rÈ ricavato dalla “m

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Se ne posste un

ro, ricon

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esi già messi sotto accusa da un pronun-ciamento della Corte di Giustizia dell’Ue che mette in guardia dalla contaminazio-ne del polline da Ogm. Guarda caso sono proprio Cina e Argentina, dove è più facile una contaminazione del genere, quelli da cui importiamo la più alta percentuale di partite che spesso fi niscono nella gran-de industria dolciaria. «Il miele cinese, in particolar modo – precisa Mazzucconi – è tra quelli più a rischio anche per l’utiliz-zo di antibiotici, oltre ad avere una qualità media piuttosto bassa».Per conservare al meglio il miele occorre tenerlo a una temperatura di 15°C, pos-sibilmente al riparo dalla luce e dall’aria. «Mentre per godere al massimo delle pro-prietà nutritive – spiega l’apicoltore – è bene consumarlo nei primi anni dal suo invasettamento, così come per apprez-zarne la freschezza e gli aromi». La cri-stallizzazione del miele non è sinonimo di deperimento del prodotto, ma si trat-ta di un fenomeno del tutto naturale di trasformazione della massa, da liquida a compatta. Per riottenerne la consisten-za viscosa, basta scaldarlo a bagnomaria ad una temperatura massima di 40°C, per non modifi carne le proprietà. La tem-peratura a cui viene sottoposto il miele, proprio come nel caso del latte, ne con-diziona i nutrienti: la pastorizzazione del prodotto a 60°C, utilizzata per evitare ri-fermentazioni, ne riduce di molto gli ele-menti vivi. «La maggior parte dei nostri soci – prosegue – non ha di questi pro-blemi, vendendo a piccoli dettaglianti o al consumatore ultimo. In questo modo i principi nutritivi del miele, gli enzimi e le

vitamine rimangono pressoché intatti». Le tipologie del miele lombardo corri-spondono generalmente a quelle di tut-te le regioni italiane dell’arco alpino, con un’alta produzione di robinia (acacia), una più misurata di millefi ori e castagno, sino a raggiungere le basse rese di tiglio, rododendro, melata e tarassaco. «Por-tiamo gli alveari nei posti in cui sappia-mo esserci la fi oritura di una particolare specie botanica. A maggio, ad esempio, inizia la robinia - prosegue Mazzucco-ni –, poi quando fi nisce il periodo della fi oritura, togliamo tutta la produzione e verifi chiamo che il miele abbia le carat-teristiche organolettiche corrispondenti a quella determinata specie botanica». La maggior parte degli alveari bergama-schi è stanziale, mentre solo il 10% degli apicoltori segue la fi oritura spostando di volta in volta l’allevamento. Dopo la ro-binia, nel mese di maggio, è la volta del castagno, nel mese di giugno in zona di media collina, per giungere nel mese di luglio sulle montagne dove la transuman-za delle api, e dell’apicoltore, fi nisce. Per

i produttori biologici la questione si com-plica. «Gli apicoltori bio devono dichiara-re all’ente certifi catore – spiega il presi-dente – le zone in cui portano gli alveari, che devono avere determinate caratteri-stiche, come una distanza minima dalle grosse fonti inquinanti, come le discari-che e le grandi industrie. Inoltre non pos-sono utilizzare antibiotici, anche se, per la verità, nessun apicoltore potrebbe far-lo». Inoltre, per la cura della varroa si pos-sono usare solo degli acidi organici e non altri prodotti di sintesi. «Per noi signifi ca il doppio del lavoro - precisa –, ma abbia-mo la certezza di produrre un miele nel pieno rispetto della natura e totalmente salubre».La pappa reale, dal lucido colore bianca-stro, è un alimento ricco di energia che, non a caso, costituisce l’alimento di tutte le larve fi no al terzo giorno dalla schiusa delle uova e, bontà sua, dell’ape regina per tutta la sua vita. In Italia pur essendo aumentata la produzione negli ultimi an-ni, anche grazie a una campagna pubbli-citaria e informativa, rimane un alimen-

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estivo dal colore bruno scuro, ricco di nettare di rovo e di casta-gno, con un gusto deciso e marcato.Miele di robinia - raccolto sulle colline bergamascheRicavato dalla fi oritura primaverile dell’albero robinia pseudo-acacia, grazie al sapore delicato, al colore chiaro e alla sua fl u-idità, è molto ricercato e usato come dolcifi cante, poiché non altera il sapore delle bevande in cui viene sciolto. Particolar-mente ricco di fruttosio, può essere moderatamente usato dai diabetici non gravi.Miele di castagno - raccolto sulle colline bergamascheRicavato dalla fi oritura estiva dell’albero di castagno (Castanea sativa), il miele di castagno, dal colore bruno scuro con tonali-tà rossastra, contiene moltissimo polline che gli conferisce un gusto molto forte, leggermente amarognolo, e ne aumenta il valore nutritivo. Tra i mieli più ricchi di sali minerali, può esse-

re particolarmente gustato abbinato a formaggi sia freschi sia stagionati.Miele di rododendro - raccolto sulle alte montagne bergama-scheParticolarmente ricercato per la sua rarità dovuta alle condizio-ni atmosferiche dell’alta montagna che ne rendono diffi cile la produzione.Miele di tiglio - raccolto nelle valli delle montagne bergamascheRicavato dalla fi oritura estiva della pianta di tiglio (tilia), que-sto miele dal colore chiaro a verdastro è apprezzato per il pro-fumo aromatico che ricorda quello dei fi ori da cui proviene ed è particolarmente indicato come emolliente nei casi di tosse e raffreddore. Con le basse temperature e dopo alcuni mesi dal raccolto, cristallizza velocemente per raggiungere una consi-stenza cremosa.

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«Quante emozioni regalano le api»

ietro al miele c’è il magico mondo delle api. Ed è ciò che affascina ogni giorno di più Chiara Busi, 37 anni, una vita piena di passioni – dal calcio alla musica, alla fotografi a - nella quale i piccoli insetti si sono intrufolati con discrezione fi no a salire in cima alla classifi ca. «Sono nata e cre-sciuta in montagna, a Brembilla, e mi piace la natura in tutti i suoi aspetti – spiega -. Mio pa-dre ha sempre tenuto le api per produrre il mie-le per la famiglia e quattro anni fa ho comincia-to a seguirlo. Mi sono presto appassionata ed

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La cura delle arnie è più di un semplice hobby per Chiara Busi. «Occuparsene fa capire che non si può avere fretta, servono pazienza e tranquillità»

IL PRODOTTO

di Anna Facci

IL PERSONAGGIO

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UN TOCCO DIVERSO IN CUCINACipolline in agrodolcePulire bene 900 g di cipolline fresche. Scaldare in tegame 80 g di burro, unire le cipolline e farle rosolare un poco, bagnare con un miscuglio composto da 1 cucchiaio di miele e del brodo, scaldati a bagnomaria. Portare a cottura, aggiungendo un pizzico di sale. Se durante la cottura il fondo tendesse ad asciugarsi troppo, ag-giungere man mano altro brodo.

Pan di polenta al mieleFare un impasto con 500 g di farina di mais e mezzo litro di latte, unendo anche 20 g di lievito e un pizzico di sale. Quando è ben amalgamato e liscio, incorporare i rossi di 5 uova, uno ad uno, poi aggiungere 3 cucchiai di olio di oliva e 120 g di miele scaldato a parte. Quando anche questo composto risulta ben amalgamato e morbido, unire le chiare delle uova montate a neve, lavorando delicatamente il tutto. Ungere di burro uno stampo rettangolare, con i bordi alti; versare il composto, che non superi l’altezza di due terzi del recipiente, e mandare in forno caldo per un’ora circa. Si può arricchire questo pane aggiungendo all’impasto, dopo l’olio e il miele, una buona manciata di noci o nocciole spezzettate.

Biscotti al mieleScaldare e lavorare 200 g di burro fi nché diventa cremoso; unire 200 g di miele, scaldato a parte; continuando a lavorare questi ingredienti, unire delle uova, uno alla volta, fi no ad ottenere un impasto ancor più cremoso e spumoso. A questo punto, unire a poco a poco 200 g di farina, già mescolata a 15 g di lievito, e la-sciare riposare l’impasto. Ricavare dall’impasto una sfoglia spes-sa circa 1 cm (non di più) e ritagliarne biscotti di forma rotonda. Disporre su una teglia imburrata e cuocere in forno, a calore me-dio, per 20 minuti circa.

Mousse di mieleScaldare 500 g di miele, unire i tuorli di sei uova, sbattere tutto con un frullino, passare il composto in un tegame dai bordi alti, su un fuoco medio, e continuare a sbattere. Portare a ebollizione, abbas-sate la fi amma e dare ancora qualche minuto di cottura fi no a che il composto raddoppi di volume. Togliere dal fuoco il composto, la-sciarlo intiepidire ed incorporare delicatamente le chiare delle uo-va montate a neve. Versare questa mousse in una grande zuppiera, anche di vetro, o in sei coppette e porre in frigorifero a rassodare.

to di nicchia, per la diffi coltà di conser-vazione e la rapida scadenza. «È molto delicata perché deve stare in frigo, tanto che non possiamo permettere degli ac-cumuli nell’alveare, come avviene per il miele – rivela Mazzucconi -. Circa il 95% di quella presente sul territorio è di origi-ne cinese, perché costa molto meno an-che se la qualità può essere dubbia. In passato c’erano stati grossi problemi di stoccaggio, mentre adesso sembra che le cose siano migliorate. Il prezzo al chi-lo, tuttavia, fa la differenza: la pappa re-ale italiana va sui 6-700 euro al chilo, mentre quella estera sui 50-100 euro». In provincia di Bergamo non sono molti gli apicoltori che decidono di produrla, ma se si ha la fortuna di acquistarla la si può trovare nella forma naturale, pura

e fresca, perché prodotta in loco. Il propoli e il polline,

infi ne, completano gli alimenti prodotti

dall’alveare.

e fresca, perché ploco. Il propoli e

infi ne, compalimen

dall’a

Le ricette di www.apibergamo.it

Chiara Busi

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ho voluto approfondire le mie conoscenze iscrivendomi all’As-sociazione Produttori Apistici di Bergamo». Tre anni fa papà Ber-tino viene a mancare e la cura delle arnie assume per Chiara un nuovo signifi cato. «Occuparmene mi fa sentire mio padre an-cora vicino – racconta -, ma sono anche momenti tutti per me, perché sono io la sola a seguirle. Ho capito che per trattare con le api non si può avere fretta, servono pazienza, tranquillità e pace. Sembrerà strano, ma avvertono lo stato d’animo di chi si avvicina e per me è bellissimo essere riuscita a trovare la giu-sta sintonia». Chiara lavora alla Brembo di Curno e abita a Palazzago, «in un appartamento che sembra un alveare – scherza – perché è piccolo e pieno di oggetti e gadget in tema di api, che gli amici sanno essere un regalo sempre gradito», dove non manca nem-meno l’intera collezione dei cartoni animati dell’Ape Maia, un “mito” che si è anche tatuato. Le arnie invece sono a Brembilla. «Lavorando su turni riesco a seguirle bene – evidenza –, in pra-tica salgo un giorno sì e uno no. Rispetto al passato sono neces-sarie attenzioni maggiori, in primo luogo per via della varroa, un parassita che può causare gravi danni, ma confesso che talvol-ta l’impegno si riduce a una decina di minuti e passo il resto del tempo ad osservarle, a cercare di capirle: trasmettono un’emo-zione indescrivibile». Partita con la sola arnia del padre, è arrivata a sette, perdendo-ne poi quattro a causa della varroa. Ora è ripresa la crescita con due nuovi sciami formatisi quest’anno. «La raccolta è andata bene – dice -, circa 90 chili di miele che utilizziamo in famiglia (è l’ultima di sei fratelli ndr.) e che regalo a parenti e amici. È un hobby, ma mi piacerebbe ampliarlo fi no a dove riesco. Mi dà soddisfazione anche perché continuo ad imparare. Ci sono in-fatti corsi e manuali, si possono chiedere consigli e confrontar-si, anche in rete si incontrano appassionati, ma le nozioni vanno sempre sperimentate e messe a punto provando e riprovando».

Nella vicenda, il miele ha probabilmente il ruolo meno importan-te. «Non mi interessano le quantità – precisa -, ciò a cui tengo di più è che le api stiano bene e per questo cerco di sottoporle a meno stress possibili. Per me conta soprattutto il valore che le api hanno nel ciclo della natura, l’essere protagoniste e sen-tinelle delle condizioni ambientali, sono insetti che danno amo-re e vita». Se all’avvicinarsi di un’ape i più si scansano e qualcuno addirit-tura si fa prendere dal panico, per Chiara vedere un’ape è inve-ce sempre una gioia, un piccolo messaggio d’amore. «Mi sono accorta che in tante occasioni importanti c’era anche un’ape vi-cino a me», rivela confermando una sensibilità speciale per ciò che la circonda, un fatto ancor più raro in un mondo sempre più tecnologico e virtuale. «In realtà credo che basti osservare la na-tura per rimanerne affascinati – dice -, ne ho la conferma quan-do passeggio nel bosco con i miei nipotini, che si incantano ve-dendo scorrere un ruscello e scorgendo qualche gambero». «So-no contenta per i giovani che da quest’anno in Val Brembana ci sia una scuola di agricoltura – commenta infi ne -. Ci fosse stata ai miei tempi, sarebbe stata sicuramente la mia scelta».

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Torta di limone al mieleScaldare un litro di latte, unire 150 g di burro e, dopo che si è sciolto, aggiungere mescolando bene 300 g di farina e mezzo cucchiaio di bicarbonato. A questo composto, ben amalgamato, unire 240 g di miele, scaldato a parte a bagnomaria per render-lo più fl uido; poi tre uova, uno alla volta, incorporandole delica-tamente. Se, a questo punto, il miscuglio risultasse troppo con-sistente, si può aggiungere altro latte secondo necessità. Unire poi mezzo cucchiaio di buccia di limone grattugiata e il succo di due limoni, sempre mescolando con cura. Lasciare riposare per un’ora, poi versare il composto in una teglia unta di burro e fode-rata con carta di alluminio, mandare in forno per 40 minuti circa, a temperatura moderata. A seconda dei gusti, è possibile unire all’impasto uvetta (60-80 g), pinoli, noci o nocciole spezzettati nella stessa quantità.

CuraçaoMettere in bottiglia un litro di acquavite di ottima qualità con 50 g di scorze secche d’arancio in pezzi, turare bene e lasciare ma-cerare per 15 giorni, esponendo al sole la bottiglia e agitandola spesso. Ciò fatto, fi ltrare il liquido ed aggiungere 600 g di ottimo miele, sciolto prima a piccolo fuoco in altrettanta acqua.

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“Donnarumma”, il cuore campano nel piatto

iffi cile arrivarci per caso. A Songavazzo, paese periferico della Val Seriana, ci vai solo se hai un buon motivo. Il risto-rante di pesce Donnarumma è un locale che non immagini e che perciò ti sorprende. Non tanto per il pesce, ristoranti di mare in valle e montagna ormai non fanno più notizia. Né per gli interni di taglio nettamente moderno, quasi un corpo estraneo nel contesto rustico della valle. La cucina, e il teorema del piatto perfetto di Donnarumma, sono i 50 cm di lunghezza dei suoi piatti. Traffi cati come un fondale marino protetto. Pesci, molluschi e crostacei sguaz-zanti tra spaghetti o mezze maniche di Gragnano o tra sem-plici verdure, con il loro fi tto seguito di bivalvi di ogni genere e specie (vongole, tartufi di mare, cozze, ostriche). Catalane trionfanti di crostacei (in estate declinate in versione dolce-salata, con contorno di frutti esotici e sottobosco), pesci al forno o a vapore oversize capaci di “stendere” il più motiva-to degli avventori. Insomma, una vera mitologia dell’abbon-danza con piatti smisurati da Grande Abbuffata ferreriana e indiscussi precursori in Teofi lo Folengo e Rabelais, per ci-tare i più noti.È un percorso, per molti aspetti, circolare quello di Libera Donnarumma, chef e titolare del locale insieme al marito Alessio Savoldelli, nata a Gragnano, in Campania, e ormai da 25 anni al Nord. Il ritorno alle origini, come avviene per molti chef, per Libera è un richiamo irresistibile, se non ad-dirittura il vessillo della sua cucina. Delle origini c’è la pa-sta della Gragnano natia, ma soprattutto l’intensità del ma-re campano resa attraverso l’artifi cio (se così si può dire di una cucina “istintiva”) dell’iperbole. E dunque, lavorare per addizione, anzi moltiplicare pasta e pesci e quant’altro. Ordini due capesante gratinate (6 euro l’una), pensando che la matematica non sia un’opinione, e ti arrivano sì due valve, ma moltiplicate per cinque (dieci noci, o forse più, di

capasanta). Stessa storia per l’antipasto di calamari e calamaretti grigliati, tene-ri, succosi e succulenti (si mangiano tranquillamente in quattro). Se in altri locali la tecnica è di caricare il con-torno per supportare un protagoni-sta di scarsa stazza e dare consi-stenza a un piatto dove inesora-bilmente è il bianco della porcel-lana a primeggiare, qui invece è il pesce-protagonista a prendersi tutta la scena, con gli elementi di contorno a fare da comparsa. Basta l’arrivo del primo piatto per mettere in subbuglio la tavolata, richiamare l’oste e il più gentil-mente possibile chiedere di rive-dere l’ordinazione, dimezzando le portate successive. Punto di forza del locale, la scel-ta in favore dell’abbondanza non è certo dettata da calcoli utilitari-stici, rispondendo probabilmente a dinamiche ataviche, scritte nel-la storia quasi deamicisiana della protagonista. Origini modeste, ado-lescenza in collegio, allontanamen-to precoce dalla famiglia per motivi economici e lavorativi. Scarsità di cibo e di affetti e, dunque, perché no, cibo come surrogato. «Non ne ho visto molto nella mia giovinezza - si sfoga Libera-, ora mi piace vederlo e prepararlo in abbondanza e

di Lelia Parisi

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Il locale di Songavazzo, gestito da Libera

col marito, è un tripudio di sapori e abbondanza.

Protagonista assoluto il pesce.

Corretto il rapporto qualità/prezzo

IL RISTORANTE

Libera Donnarumma, chef e titolare del locale insieme al marito Alessio Savoldelli

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AMBIENTEDa un anno nella nuova location nel centro di Songavazzo, Don-narumma è il genere di locale che non ti aspetti in un paese non certo tra i più mondani della valle. Esotico sin dal nome che cam-peggia all’ingresso, Donnarumma conferma le sue intenzioni ca-tapultando l’ospite in un ambiente luminoso e solare, di imposta-zione moderna, con cucina a vista e citazioni sparse del mare e del Sud campano. Due le sale, per un totale di 40 coperti.

CUCINAVotata a una linea esclusivamente di mare (unico richiamo alla terra, il

fi letto di Angus irlandese sembra un po’ un naufrago sperduto in alto ma-re), Donnarumma è un’isola di cucina mediterranea del Sud confi ccata nel bel

mezzo di una valle dove domina la parlata stretta del bergamasco più ostico. Il linguaggio di Donnarumma è invece immediato, diretto e comprensibile, sempli-cissimo come i suoi ingredienti: pesce, crostacei, molluschi, pasta di grano du-ro, verdure e poco altro. «In aggiunta solo olio, aglio, prezzemolo, basilico, aceto e vino - chiosa Libera -. Nessuna spezia». Pesce da Orobica Pesca e La Ge’Ge’ di Lallio.Qualche lontana eco arriva dalla cucina di Gennaro Esposito, bistellato di Vico Equense, vero e proprio mito di Libera.

CANTINACon una quarantina di etichette, focalizzate in particolare sui produttori campa-ni (Marisa Cuomo in primis), la carta dei vini è ancora “in progress” ma orientata comunque a una scelta di qualità. Buona presenza delle bollicine franciacorti-ne, rossi in sordina vista la vocazione marinara del locale. Ricarichi medio-alti.

ESPERIENZAAutodidatta, con una passione per il cibo che viene da lontano (nella sua giovi-nezza, ci fa capire, il cibo in abbondanza è stato un ospite raro), Libera si è fat-ta le ossa sul campo: servizio ai tavoli a 15 anni fi no alla faticosa conquista del-la cucina e l’esperienza chiave al Grand Hotel des Bains di Riccione nel ruolo di aiuto cuoco. Nel 2009, la scelta di un percorso in autonomia e l’apertura di un ristorante di pesce a Songavazzo, nel paese del marito Alessio. Un locale dai connotati forti, dove la scelta di una cucina semplice non ha nulla di programma-tico, ma è espressione della personalità lineare, priva di chiaroscuri, di Libera. «Lavoro d’istinto, non seguo particolari fi losofi e, mi piace fare bene quello che so fare, non ho il desiderio di uscire dal mio tracciato». Insomma, in Libera liber-tà e necessità felicemente coincidono. Senza trascurare le capacità tecniche, evidenziate da cotture ben calibrate, lavorazioni accurate, sapori netti e distinti.

SERVIZIOIl servizio ai tavoli è svolto, con discrezione e attenzione, dal marito di Libera, Alessio Savoldelli, che si premura, con estrema correttezza, di preavvisare i clienti ancora ignari delle porzioni extralarge circa l’opportunità di dosi intere per le portate successive. Apprezzabile la scelta delle portate per due persone a costi ribassati.

RAPPORTO QUALITÀ/PREZZOOttimo rapporto qualità/prezzo, in considerazione delle porzioni pantagrueliche che fanno il paio con la buona qualità delle materie prime e delle lavorazioni. Dif-fi cilmente ipotizzabile un menù degustazione con queste dosi, a meno di voler replicare le imprese da Grande Abbuffata… con annesso fi nale.

p.s.

IL GIUDIZIO

che gli ospiti pos-sano goderne fino alla sazietà. Abbiamo pro-vato a ridurre le porzioni, ma le abbiamo ripristinate subito per l’insistenza dei no-stri clienti». La consuetudine sin da giovanissima con il lavoro ai fornelli consente a Libera di gestire la cucina senza alcun aiuto, ri-uscendo a preparare anche 30 e più co-perti, e addirittura a far testare, molto de-mocraticamente, la cottura della pasta al cliente. «Ogni cliente ha il suo punto di cottura, giusto che sia lui a decidere. Cer-to, qui pratichiamo una cucina espressa con piatti preparati al momento che ri-chiedono fi no a 20 minuti di preparazio-ne. Una piccola attesa è inevitabile, ma è il prezzo della qualità».Qualità che si riconferma nei dolci, alcuni dei quali home made, come la pastiera napoletana e il tortino caldo di cioccola-to, altri in arrivo direttamente da Campa-nia e Sicilia. Il prezzo per un pasto medio (praticamente una portata e mezzo) si aggira sui 30 euro, vini esclusi. Almeno quello, piccolo.

A

CVota

fi letto dre), Donna

ospiti pos-goderne fino

RISTORANTE DONNARUMMAvia Vittorio Veneto, 23

Songavazzotel. 0346 71466

Chiusura: lunedì e martedì; il mercoledì, giovedì e venerdì a pranzo

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OSSERVATORI

Comolli (Ovse): “I ricarichi eccessivi frenano i consumi di spumante”

el primo semestre dell’anno è stato ancora positivo il consumo all’este-ro dei vini spumanti italiani, secon-do quanto emerge dalle periodiche consultazioni di Ovse (Osservatorio Economico Vini), grazie ai referenti in 48 paesi. L’Europa, che rappresenta ancora il 57% dei volumi e il 51% del valore globale di mercato, fa segnare un +7% in valore e un -2% nei volu-mi, con Francia, Spagna, Portogallo e Germania in calo e Svizzera, Nor-vegia, Svezia, Austria e Regno Unito in crescita. Germania e Regno Unito restano i

principali mercati. Nei Paesi terzi l’export degli spumanti (per il 96% appannaggio del metodo italiano di Prosecco, Asti e Valdobbiadene) se-gna +14% in volumi e +17% in valo-re assoluto, con punte rappresenta-te da Giappone e Estremo Oriente attestati su +20% in valore e +11% in volumi. Numeri ancora piccoli in assoluto, ma interessanti: circa 2 milioni di bottiglie in più rispetto al 2011. In Russia crescono il Prosec-co e altri spumanti generici di origi-ne piemontese e lombarda, a scapi-to dell’Asti Docg che segna un calo

in volumi del 50% (3,5 milioni di bot-tiglie consumate, contro i 7 milioni nei primi 6 mesi del 2011). In totale l’area dell’ ex Urss registra un incre-mento di consumi dell’ 8% con un in-cremento dei valori del 2%. Un mer-cato diffi cile e altalenante, dovuto a imposte aggiuntive. Oltreoceano, i diversi mercati segnano numeri dif-ferenti: se Canada e Usa mantengo-no un trend crescente, il Brasile e il sud America, dopo la scorpacciata di fi ne anno 2011, segnano per la pri-ma volta un dato stabile. Nel 2012 ci sono i presupposti per superare

N

FRIZZANTE SÌ, MA SE È ROSSO NON SERVITELO A UN FRANCESESe volete fare uno sgarbo a un francese, offritegli del vino rosso frizzante. Già, perché sembra proprio che i nostri cugini d’Oltralpe - eccezion fatta per lo spumante - abbiano una vera e propria fobia delle bollicine. In Provenza, per esempio, dove la tradizione del rosé è assai consolidata, offrire un mosso dell’Oltrepò pavese potrebbe rivelarsi una scelta poco azzeccata. La responsabile dell’enoteca italiana che rifornisce il nostro ristorante ci aveva messo in guardia ma pensavo si trattasse solo di una sua ope-razione di marketing per orientare i nostri acquisti verso altre etichette. Invece, ho dovuto ricredermi. Ero convinta che i gusti dei francesi fossero più malleabili e mi illudevo di navigarli verso sapori enogastronomici alternativi senza eccessivi traumi. Ma non è stato così. In fatto di vini, Italia e Francia vivono da sempre una rivalità unica al mondo. I

francesi covano un atavico senso di superiorità nei nostri confronti che deriva dalla radicata convinzione che i loro preziosi nettari d’uva siano migliori dei nostri. In questi mesi di lavoro al ristorante “La Milanesina” ho capito che quando un cliente nizzardo non trova nel menù quello a cui è abituato, diventa capriccioso, supponente, quasi scortese. A volte qualcuno scorre la carta dei vini con fare da esperto sommelier e ordina una bottiglia di Lambrusco. Poi quando scopre che è frizzante comincia a scuotere la testa in modo nervoso e agitando l’indice dice: “Non, non, non, non, pas pétillant!” (No, frizzante no!, ndr). Così ripie-ga su un Chianti, giusto perché il nome gli è vagamente familiare. Un’altra mania dei francesi è quella legata alle bevande fredde. O meglio, ghiacciate. Se non sono appena uscite

RATATOUILLEdi Laura Ceresoli

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il fatturato record di 4,2 miliardi di euro per tutto il vino italiano. In Italia cresco-no produzione, volumi spediti e valore all’origine, ma le spedizioni sul mercato interno sono calate del 10,1%, i consu-mi del 6,9%, a fronte di un prezzo medio/bottiglia all’origine aumentate del 3,1% e un prezzo sullo scaffale a +2,2% rispet-to al primo semestre 2011. Vanno me-glio i Docg (Franciacorta e Valdobbiade-ne) che i Doc (Prosecco e marchi leader del metodo classico). Il calo dei consumi nazionali si registra in tutti i canali, me-no nelle aree tradizionali di produzione. Giampietro Comolli, fondatore di Ovse,

commenta:“Per il semestre vuol dire un calo di consumi interni di 4,5 milioni di bottiglie, pari a -36 milioni di euro di giro d’affari. Senza Export, il mercato dei vini italiani e vini spumanti segnerebbe una decrescita. All’estero le Dop Asti e Pro-secco sono simbolo del nostro Paese, ri-conoscimento e consolidamento del rap-porto identità/valore, su cui puntare. Il Governo italiano deve rivolgere maggiore attenzione agli asset economici del Pae-se: vino, alimentari, turismo, moda”. “L’Export - aggiunge Comolli - sta diven-tando l’unico canale di sbocco per Italia, ma anche Francia e Spagna sono sulla

stessa linea. In Francia il calo dei consu-mi interni è attestato nel primo semestre sul 14,7% fra Champagne e altre bollici-ne; in Spagna è del 22% il calo del Cava; in discussione la leadership dello Cham-pagne nel Regno Unito, con cali vertigi-nosi. Gli Champagne poco conosciuti e quelli delle Coop registrano un calo all’e-stero del 12%, solo del 4,4% per le Gran-di Maison, causa il prezzo al consumo. Il Cava va bene nel Regno Unito e in Ger-mania, con un prezzo all’origine ridotto del 3% medio”. “Il mercato italiano ha bisogno di più at-tenzione, più personalizzazione dei rap-porti commerciali, fi liera corta, meno ri-carichi e grande differenziazione fra Dop e spumanti - annota Comolli -. All’estero cresce la consapevolezza del binomio qualità/origine del vino italiano e grandi case distributrici mondiali siglano con-tratti per milioni di bottiglie, chiedendo esclusive. Nel 2012 l’Italia potrebbe su-perare i 450 milioni di bottiglie vendute. Ragionando sul mercato interno invece occorre rilevare in Italia il consumatore e i luoghi di consumo sono diversi rispet-to ad altri Paesi: continua il trend per vini freschi, moderni, meno alcolici, abbina-bili con ogni cucina, ideali per ogni mo-mento e occasione”.

Cresce, nel primosemestre, il valore dell’export di bollicineitaliane (+9,2%). Il calo della domanda interna si attesta al 7% mentre il prezzo medio della bottiglia all’origine sale del 3,1% e allo scaffale del 2,2%

dal frigo, proprio non le vogliono. Un giorno, per accontentare un cliente un po’ pretenzioso, abbiamo persino esaurito le scorte di ghiaccio per tenere al fresco un bianco già a temperatura da congestione. Ho visto francesi scia-lacquare un vino rosso con del ghiaccio, un gesto che non fa certo onore a una nazione che vanta una lunga tradizione in ambito vinicolo.Tuttavia, anche con delle banali bevande analcoliche i provenzali riescono a darci del fi lo da torcere. Quando ordinano un té freddo danno per scontato che sia aromatizzato alla pesca, al lime o al mango. Con mia grande sor-presa, il classico té al limone, tanto diffuso tra gli italiani, rappresenta per i francesi una soda quasi imbevibile a tavola: il 99% di coloro che si sono visti servire un infuso con questo agrume hanno subito chiesto di sostitu-irlo con una Coca. E se è vero che l’acqua San Pellegrino è conosciuta in tutto il mondo, sono ancora parecchi i francesi che, presi da uno sprazzo di orgoglio nazionalista, pretendono una Badoit, una Vittel o una Evian. Un giorno, a una cliente incontentabile che desiderava una Perrier ho proposto in alternativa la classica Sanpé (per dirla alla francese) ma lei ha secca-mente rifi utato:“Mais non! C’est pas la même chose!” (Non è la stessa cosa, ndr). E alla fi ne ha optato per l’acqua del rubinetto. Insomma, quando un francese si mette in testa una cosa, è diffi cile fargli cambiare idea. Ma non impossibile...

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di Lara Abrati

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L’ITINERARIO

Val Seriana, alla riscoperta dei sapori dimenticati

era una volta un luogo in cui i boschi ed il cemento non invadevano ancora tutti gli spazi verdi lasciati incolti. Si potevano ammirare, oltre ai pascoli necessari per l’alle-vamento, fi lari di frutteti, vigneti e castagneti. Chi si oc-cupava della coltivazione delle piante e della cura degli animali viveva secondo i lunghi e ripetitivi tempi della na-tura. Un ambiente in cui vigeva una socialità e uno spirito di accoglienza ormai andati distrutti dai veloci ritmi della città, quindi dall’indotta individualità.È questa l’esatta sensazione che si prova visitando l’a-zienda agricola “Cascina Sole” di Giacomo e Marco Ros-si, ad Alzano Lombardo, prima tappa di un percorso alla

riscoperta della biodiversità nel quale ci guida Giancarlo Moioli, perito agrario e tecnico della Comunità Montana della Valle Seriana, impegnato in una serie di progetti per il recupero di alcune colture passate. «A Giacomo e Marco - spiega Moioli - ho chiesto di utiliz-zare una riva di un appezzamento per impiantare alcu-ni meli recuperati dalla vicina Valle del Lujo. Molte del-le piante da cui ho recuperato la marza per effettuare l’innesto sono ormai morte di vecchiaia, avremmo così perso un’altra parte della nostra eredità botanica, all’in-segna della standardizzazione imposta dalle culture in-dustriali odierne». Questa attività si lega a quella del frut-teto didattico di Colzate, dove in un terreno dalla dimen-sione inferiore ad un ettaro, di cui è proprietaria la Comu-nità Montana della Valle Seriana, sono state impiantate diverse varietà di mele. Nato da un progetto di Giancar-lo Moioli del 2006, ospita circa 80 piante differenti, con un nome che spesso viene attribuito in base alla zona in cui sono state trovate o alle caratteristiche visive o aro-matiche del frutto. Si spazia dalla mela ruggine alla me-la limoncella (che lascia un gradevole odore di limone nell’ambiente in cui viene conservata), al pom diaòl e a molte altre varietà. Il frutteto per ora ha esclusivamente un’impostazione didattica, anche per la scarsità di fondi economici. Nonostante l’attenzione e la richiesta da par-te del consumatore più attento sia in costante crescita, non ci sono ancora impianti già produttivi che riescano

C’

Da Alzano a Colzate, passando per Cene, le realtà impegnate nel recupero di varietà autoctone di mela. Nella Valle del Lujo si promuove il castagno, mentre Gandino sforna specialità realizzate con il suo mais De.Co.

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riscoperta della biodiversità nel quale ci guida Giancarlo M i li it i t i d ll C ità M t

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Giancarlo Moioli, tecnico della Comunità Montana della Valle Seriana ci guida tra i progetti che recuperano le colture tradizionali

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a soddisfarne la domanda. Esiste solo l’autoproduzione, anche se alcuni frutteti caratterizzati dalla presenza di varietà autocto-ne o “antiche” nella provincia di Bergamo sono già stati impian-tati. Gianluigi Occioni, ad esempio, si è impegnato nel recupero varietale nella sua azienda di Cene, che si occupa dell’innesto di piante di varietà ormai “quasi scomparse” e della loro vendi-ta in azienda o nel mercati a cui partecipa in tutta la provincia.Nel cuore vero e proprio della Valle del Lujo (sulla sponda sini-stra del Serio, nel comune di Albino), l’attenzione si sposta sul “pane dei poveri che cresce sugli alberi”, come viene descritta la castagna grazie alla presenza decisiva nel frutto di carboidra-ti. A differenza di quanto avvenuto nella maggior parte dei bo-schi, dove i castagni sono inselvatichiti (lo si nota anche dalle piccole dimensioni delle castagne), in questa valle secondaria la coltivazione di castagni innestati è stata di vitale importanza soprattutto per i mesi autunnali e invernali. Per sottolineare la cosa e divulgare al meglio, in particolare alle scolaresche, le no-zioni relative alla storia di questo luogo e alla sua coltivazione principale, l’Associazione Culturale “Amici di Casale” ha realiz-zato il “Sentiero del Castagno”, che parte dalla frazione Casale di Albino e arriva al “Parco del Castagno”, con area pic nic. Un

tempo la zona in cui sorge il parco era un bosco “di comunità” dove la gente poteva raccogliere legna, erbe, foglie e castagne. Insieme alla Comunità Montana vengono organizzate visite gui-date per le scuole. Il prodotto principe è quindi la castagna che può essere consumata in svariati modi, dalla produzione di fari-ne alle caldarroste, alla bollitura. Può essere inoltre lavorata per produrre i famosi Biligocc (castagne essiccate e affumicate al-lo scopo di conservarle, consumate previa bollitura), che hanno come patria natale, secondo molti storici, la frazione di Poscan-te nel comune di Zogno in Valle Brembana.Un terzo prodotto in fase di riscoperta è la materia prima per la preparazione del piatto bergamasco (e non!) per eccellenza: la polenta. Dal 2011 il Mais Spinato di Gandino gode della De.Co (denominazione comunale), un marchio di qualità che certifi ca la provenienza di un prodotto da un preciso territorio comuna-le. Anche in questo caso è stata avviata un’attività di recupero che ha coinvolto, oltre alla commissione della De.Co., diverse realtà. Innanzitutto la Civitas di Gandino, un gruppo di agricolto-ri appassionati, ha curato la ridiffusione del seme. La Comunità Montana della Valle Seriana poi ha dedicato un appezzamento presso il frutteto didattico di Colzate.

In natura esistono, per ogni specie vegetale, molteplici tipologie varie-tali. Queste vanno a costituire la bio-diversità che, nell’ultimo secolo, si è però scontrata con l’industrializza-zione spinta e la standardizzazione dei consumi. È così che buona par-te del patrimonio varietale è anda-ta perduta a vantaggio dell’utilizzo di poche varietà, molto produttive e adatte alle richieste del mercato. Co-me spiega Giancarlo Moioli, «in na-tura esistono circa 7.000 specie di melo, noi ne coltiviamo circa 5 spe-cie». Chiaramente le varietà autocto-ne hanno la caratteristica di essere rustiche e ben adattate al luogo in cui negli anni sono state coltivate. Per garantire i risultati commerciali di varietà molto produttive e talvolta delicate si necessita spesso anche di un maggiore uso di fi tofarmaci, con un impatto negativo per l’am-biente e per l’alimento che verrà por-tato in tavola. Le varietà di mele riscoperte e ripro-dotte da esemplari ormai inselvati-chiti hanno spesso nomi di fantasia. Nella catalogazione che è stata rea-lizzata si trova, ad esempio, il Pom

Pipi, reperita in Valle del Lujo, dal sapore interessante anche se me-diamente asciutta. Si raccoglie in autunno e ne è stato rilevato un solo esemplare. Anche del Pom Selvatico ne è stato ritrovato un solo esempla-re in Valle del Lujo: la raccolta avvie-ne in autunno e il frutto è caratteriz-zato da un sentore di ciclamino. Del Pom Fera invece ne sono stati rileva-ti due esemplari in Valle del Lujo e viene raccolta a inizio della stagione autunnale. Si può citare anche la Po-mela Autunnale, reperita in via Plaz-za in Valle del Lujo, molto interes-sante la sua pezzatura commercia-le. Si raccoglie tra la fi ne dell’estate e l’inizio dell’autunno. Questi sono solo degli esempi della tante varie-tà riscoperte e quasi tutte riprodotte.

PIPI, SELVATICO E FERA, ECCO ALCUNE DELLE MELE “SALVATE”

È importante che la riscoperta non sia un’azione fi ne a se stessa, ma un punto di partenza per ridare senso e dignità all’a-gricoltura. Lo ha capito e messo in prati-ca Gianluigi Occioni che nella sua azienda “Antiche delizie” si preoccupa di riprodurre le varietà autoctone procedendo all’inne-sto di queste e permettendo così di ri–col-tivare le piante sia per l’autoproduzione (anche nel giardino di casa) che per scopi commerciali. Una cosa è certa: così facen-do si evita la completa sparizione di que-sti sapori.Nell’azienda, oltre alle diverse varietà di melo, è possibile trovare anche varietà di pero, albicocco e susino. Ovviamente le specie coltivate sono autoctone, ma non esclusivamente del territorio bergamasco. Le piante si possono acquistare diretta-mente in azienda oppure ai diversi mercati a cui l’azienda partecipa.

A CENE L’AZIENDA AGRICOLA CHE RIPRODUCE LE ANTICHE PIANTE

AZIENDA AGRICOLA ANTICHE DELIZIEvia Vallerossa, 21 - Cenetel. 349 [email protected] www.antichedelizie.eu

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È una varietà di mais ad impollinazio-ne libera, non adatta quindi a garanti-re grandi produzioni. Con la diffusione dei mais ibridi, a partire dal primo do-poguerra, la coltivazione dello Spina-to è andata riducendosi fi no a sfi ora-re la sparizione. In un documento del 1632 si parla già della coltivazione del mais. Fa parte della valorizzazione di questo mais anche l’accordo con il Cra – Mac unità di ricerca per la mai-scoltura di Stezzano, attraverso una ricerca di selezione conservativa si ar-riverà a produrre il seme di fondazio-ne della varietà autoctona chiamata “Spinato di Gandino”.

Nel mese di ottobre è irrinunciabile l’appuntamento con l’evento “I Giorni del Melgotto”, caratterizzato da con-vegni, mostre e degustazioni con l’o-biettivo di valorizzare e mantenere vi-ve le tradizioni legate alla cultura po-polare e contadina, come ad esempio la scartocciatura delle pannocchie in piazza abbinata ai canti e ai racconti della tradizione popolare.

Due i prodotti golosi da segnalare: il biscotto Melgotto di Gandino, com-missionato ai quattro fornai del pae-se, e la Spinata, una sorta di piadina prodotta a partire da una miscela di farine, fra le quali anche quella di Spi-nato. Entrambi i prodotti si possono assaggiare durante la festa “I giorni del Melgotto” oppure dai fornai del paese.

GANDINO, L’INTERO PAESE COINVOLTONEL RECUPERODEL MAIS SPINATO

L’ITINERARIO

La sagra dei biligocc, classifi cata come “sagra autentica” in base ad un manifesto ben preciso e lontana dalle ma-nifestazioni in cui si vende di tutto, si caratterizza come un’occasione di aggregazione e un momento culturale de-dicato a uno dei prodotti agroalimentari di eccellenza della zona: la castagna.I biligocc sono castagne secche, affumicate, essiccate e bollite prima di essere consumate. L’affumicatura e l’es-siccazione avvengono nell’essiccatoio storico. Si fanno ideatori e promotori dell’evento i soci dell’Associazione culturale Amici di Casale che, oltre alla sagra, si occupa-no anche della gestione del Museo Etnografi co di Casale di Albino.Tempo permettendo, la data della sagra è a cavallo tra la fi ne di gennaio e l’inizio di febbraio, la prossima è prevista per domenica 3 febbraio 2013, sarà la 24esima edizione.Nel frattempo, sempre in tema di castagne, domenica 7 ottobre 2012 si è svolta la 24esima edizione della sagra delle borole, la classica castagnata, sempre a Casale di Al-bino. Sono state fatte cuocere le castagne sul fuoco in due grandi padelle bucherellate della capienza di circa 15 kg di castagne l’una. Anche questo è un appuntamento ormai fi sso in Valle del Lujo.

CASALE DI ALBINO, LA CASTAGNA PROTAGONISTA

TUTTO L’ANNO

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Hotel Ristorante La Conchiglia - Romano di Lombardia (BG)

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APPUNTAMENTI

VOLTA MANTOVANA, PRODOTTI TIPICI IN MOSTRA E MINI CORSO DI “CAPUNSEI”Tuffarsi nella tipicità signifi ca anche ritagliarsi autentici momenti di benes-sere. È quanto sottolinea “A Volta per star bene”, mostra mercato di prodot-ti mantovani in programma il 10 e 11 novembre nelle Scuderie di palazzo Gonzaga a Volta Mantovana. L’esposi-zione offre la possibilità di assaggiare e acquistare, in particolare, i prodot-ti provenienti dalle colline moreniche del Garda: gli immancabili spumanti, oli e tartufi , ma anche dolci, pane, con-serve, mostarde, marmellate, aceti, frutta e verdura di stagione. È affi an-cata da una serie di eventi come gli aperitivi guidati, i tour all’interno del palazzo, sulle torri e al mastio, i segreti dell’antica arte del tè e per i più piccoli

storie della tradizione antica, leggen-de e fi abe con merenda. Originale è il mini corso che permette di imparare a realizzare i Capunsei, il prodotto ti-pico voltese a denominazione De.Co.. Nella casa del giardiniere, adiacente al palazzo, le “siure” di Volta mostre-ranno ai partecipanti come si prepara-no gli gnocchetti di pane e al termine ognuno potrà portarsi a casa e gusta-re con soddisfazione i frutti del proprio lavoro (co-sto 7 euro, la pre-notazione è consi-gliata).La manifestazione è a ingresso libero. C’è la possibilità di

acquistare il bicchiere per le degusta-zioni di spumanti e vini al costo di 3 euro. Durante la due giorni è possibile assaggiare i prodotti tipici anche nei ristoranti del paese convenzionati che propongono un menù tutto compreso a 25 euro. www.avoltaperstarbene.it

10 E 11 NOVEMBRE

portarsi a casa e gusta-azione i fruttioro (co-pre-

nsi-

one bero. ilità di

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DAL 25 AL 29 OTTOBRE

uest’anno, per la prima volta, il Salone del Gusto e Terra Madre sono una cosa sola: un unico grande evento che si svolge dal 25 al 29 ottobre a Torino (Lingotto Fiere e Oval), organizzato da Slow Food, Regione Piemonte e Città di Tori-no, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. La grande novità è, quindi, che la rete delle comunità del cibo di Terra Madre si apre al pubblico, facendo dell’appuntamento un’occasione per incontrare la straordinaria diversità agroalimentare di ogni continen-

te attraverso la voce di chi coltiva, alleva e trasforma i suoi prodotti.“Cibi che cambiano il mondo” è lo slogan dell’edizione, che attraverso le storie di chef, artigiani e comunità del cibo di 150 Paesi testimonierà come si possa rivoluzionare il pa-radigma che regola questo mondo in crisi a partire dal ci-bo. Per orientarsi nel ricco programma, oltre a consultare il sito www.salondelgusto.it, si possono ricordare le aree principali: il grande Mercato che si snoda tra Lingotto Fiere e l’adiacente Oval, con mille espositori da cento Paesi, tra cui 200 Presìdi Slow Food italiani, 400 comunità del cibo e di queste 120 Presìdi Slow Food internazionali; i Laboratori del Gusto e gli Incontri con l’Autore per approfondire e as-saggiare in compagnia di produttori, chef, vigneron, birrai ed esperti; i Teatri del Gusto per osservare da vicino i cuochi all’opera; i percorsi educativi per bambini e adulti; le Confe-renze, i corsi Master of Food e gli appuntamenti con il Per-sonal Shopper; un’Enoteca che valorizza territori di confi ne, aree montane e terroir estremi con 1.200 etichette delle migliori cantine italiane; gli Appuntamenti a Tavola, per fare il giro del mondo restando in Piemonte. Tra i nuovi Presìdi da segnalare il debutto della Sardina essiccata tradizionale del lago d’Iseo.

Q“Cibi che cambiano il mondo”al Salone del Gusto di Torino

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In ogni fi ne settimana di novembre nel parmense si svolge una tappa di quella che è stata anche defi nita “la staffetta più golosa d’Italia”, ovvero la manifestazione November Porc, che in quattro località celebra di volta in volta una specialità ti-pica a base di carne di maiale. E non lo fa con le classiche porzioni, ma con formati da record che aumentano il gusto della festa e il sapore goliardi-co delle iniziative. Si comincia il 3 e 4 a Sissa do-ve l’evento clou sarà la lenta e prolungata cottu-ra del “Mariolone più grosso”, un cotechino della bassa parmense. A Polesine Parmense il 10 e 11 sarà la volta del “Prete più pesante”, un salume cotto che sarà tolto dalla pentola dai corpulenti uomini del Po eredi dei vecchi Barbùter (barcaio-li) seguendo un preciso rituale. Mentre a Zibello, il 17 e 18, norcini anziani e giovani si impegneran-no per insaccare il Salame Strolghino più lungo del mondo, dopo essere già entrati nel Guinness dei Primati nel 2003. Per chiudere in “leggerez-za” non poteva mancare la Cicciolata più grande, il 24 e 25 a Roccabianca, accompagnata da una fetta di polenta calda. Tutti i prodotti protagonisti delle imprese saranno distribuiti al pubblico. La manifestazione entra anche nei ristoranti con “A tavola con November Porc”, mentre le serate del sabato sono dedicate ai giovani. www.novemberporc.it

NEL PARMENSE, QUATTRO FINE SETTIMANA CON SALUMI DA RECORD

Golosaria è una rassegna di cultura e gusto promossa dal Club di Papillon in diverse città, nella quale si accen-dono i rifl ettori sui migliori produttori artigianali d’Italia, selezionati dal libro Il Golosario di Paolo Massobrio. Gli ap-puntamenti di Milano e del Piemonte, in particolare, salutano ogni anno la nuova GuidaCriticaGolosa dedicata a Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta con le indicazioni su dove va-le la pena fare una sosta per mangia-re e per acquistare prodotti enogastro-nomici.

“L’irrinunciabile qualità” è il tema della kermesse milanese, in programma dal 17 al 19 novembre in una nuova e dop-pia la sede: il Palazzo del Ghiaccio e i Frigoriferi Milanesi, in via Piranesi. Al Palazzo del Ghiaccio saranno presenti le aree: Agorà (il palco principale, dove si svolgono talk, premiazioni ed eventi corali), Food (il cuore di Golosaria, con i 100 Artigiani del Gusto selezionati dal Golosario 2013), Lounge Lombardia (area ristorazione, sempre attiva, con i piatti della nuova tradizione lombar-da), Show Cooking (dedicata a labora-

tori di cucina e workshop), Sense Experience (percorsi sensoriali con Brachetto d’Acqui Docg e le fragranze golose di Aquolina), Terrazza (con le-zioni di barbecue e fumoir). I Frigoriferi Milanesi ospiteranno invece la novità delle 100 cantine Top Hundred pre-senti con i propri vini e l’Enoteca di Pa-pillon, dove assaggiare i 100 vini Top Hundred delle cantine presenti.L’ingresso è su invito, che può essere scaricato gratuitamente dal sito www.golosaria.it. Alcuni eventi hanno posti limitati, con prenotazione online.

GOLOSARIA A MILANO, DUE SEDI E PIÙ SPAZIO AI VINI

DAL 17 AL 19 NOVEMBRE

FINO AL 2 DICEMBRE

Fino al 2 dicembre la Rassegna Gastronomica del Lodigiano offre l’occa-sione di conoscere le specialità del territorio interpretate dai ristoratori. Al-la 24esima edizione partecipano 25 ristoranti di tutte le categorie, dalla trattoria al locale “stellato” con la possibilità, quindi, di spaziare dai piat-ti genuini e rustici alla cucina di ricerca e innovazione. I prezzi vanno dai 20 ai 40 euro, esclusi i vini. Si può optare per il menù completo, con tutte le portate dall’antipasto al dolce, oppure per i menù tematici, meno im-pegnativi nel numero di piatti ed a prezzi ancor più contenuti. Il “Menù zucca e castagne” si può trova-re fi no al 2 novembre; la trippa, i lessi e i bolliti del “Menù della tradizione” dal 2 al 16 novembre ed in-fi ne “I Colori ed i Sapori del Riso”, dal 17 novembre al 2 dicembre, che ricorda come anche il Lodigiano, seppur con numeri inferiori rispetto alle aree più co-nosciute, abbia una secolare tradizione nella produ-zione risicola. Tra le novità la “Serata Amica”, quattro serate infra-settimanali (10 e 24 ottobre, 7 e 21 novembre), nel-le quali i ristoranti aderenti applicheranno uno scon-to del 20% ai tavoli di sole donne (“Da due a cen-to…”, recita lo slogan, purché al tavolo siedano effet-tivamente solo clienti in gonnella) e consegneranno un cofanetto con due prodotti di profumeria e perso-nal care della più nota azienda lodigiana del settore. La seconda iniziativa è stata sviluppata con Trenord, per una mobilità effi cace, economica ed ecofriendly. Prevede un biglietto a prezzo unico da tutta la Lombardia per chi si recherà alla Rassegna, un ta-xi per l’andata e il ritorno al ristorante a prezzi calmierati e il 10% di sconto sul Menù. www.rassegnagastronomica.it

LODI, LA RASSEGNA GASTRONOMICA PREMIA LE DONNE E CHI VIAGGIA IN TRENO

NOVEMBER PORC

ottobre 2012

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NEWS

uesto formaggio ha un retrogusto, co-me dire, fl oreale. Metti un pomeriggio di metà settembre (di quelli dolci ed assolati che solo la fi ne dell’estate sa offrire) a Serina. Il paese è in fermento, tra tre giorni, toccherà alla mostra zoo-tecnica, un appuntamento tradiziona-le capace di catalizzare un pubblico di migliaia di persone. Se il tempo è bello anche una decina di migliaia (sfortuna-tamente però il giorno fatidico è piovuto portando inevitabilmente qualche de-

fezione), tanto da essere diventato un evento di “marketing promozionale in-consapevole”, dal momento che anche i villeggianti riaprono le case per l’oc-casione. Una giornata, insomma, che rappresenta la coda lunga dell’estate. Al palazzetto dello Sport, il “gran ceri-moniere” del “1° concorso per il miglior formaggio della Valserina” è Costantino Bonaldi, un uomo di altri tempi e consi-gliere di una banca di altri tempi (il Cre-dito Cooperativo di Sorisole e Lepreno),

lontana anni luce dal “bank system” e ancora saldamente ancorata alle tradi-zioni e produzioni territoriali. A questo istituto di credito (quanti bergamaschi sanno dove si trova Lepreno?) si deve la realizzazione di questa iniziativa che al-le quattro del pomeriggio vede “attova-gliato” un nutrito numero di giurati (26!) tra cui l’assessore regionale De Capi-tani, reduce da un tour de force “agro-zootecnico” che, nel periodo, lo ha por-tato (ad onor del vero senza autista né

È uno dei fenomeni enogastronomici degli ul-timi anni nel mare magno della ristorazione milanese: qualche mese fa è riuscito a strap-pare una lusinghiera recensione persino al New York Times. La creatività è la specialità della casa allo Zucca e Melone, i cui inter-preti, dal patron Fabio Franceschelli allo chef Mario Montemurro, hanno saputo valorizzare al meglio, rivisitandole le materie prime d’ec-cellenza della cucina lombarda (con incur-sioni azzeccate sul fronte emiliano, fi no a in-gredienti che arrivano dal sud dello Stivale) a cominciare proprio dal re dei formaggi berga-maschi: se infatti i columnist americani (do-po quelli italiani, s’intende) hanno posato gli occhi su questo localino accogliente in zona Porta Ticinese lo si deve proprio alla portento-sa ricetta dello strudel salato alle cipolle ca-

ramellate di Tropea e crema di Taleggio, gettonatissimo soprattutto dai clienti stranieri. Un “must” che, nonostante il ristorante cambi quasi totalmente menù almeno quattro volte l’anno a seconda del-le stagioni, è stato imposto come inamovibile dai suoi “fans”: lo tro-verete sia sotto Natale che a Ferragosto.“La ricetta nasce poco dopo l’apertura del locale, tre anni fa – spie-ga lo chef Montemurro – ed è stata un’intuizione mia e del mio col-lega Eugenio, allievo di Sadler, che ora ha scelto altre strade. Ci sembrava bello coniugare le potenzialità di due prodotti fantastici

di Donatella Tiraboschi

di Leo Bartoli

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La Val Serina e i formaggi, cronacheda un concorso

Lo strudel al taleggio che incanta anche gli americani

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Allo “Zucca e Melone” di Milano una ricetta davvero innovativa,

che a novembre verrà riproposta nella sede di “Alti Formaggi” a Treviglio

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ottobre 2012

auto blu) tra le mostre di fi ne stagione su e giù per le valli. La faccenda si prospetta im-pegnativa, non foss’altro per il numero del-le aziende in lizza (una decina) e le tre cate-gorie della casearia tenzone: “Fresco” fi no a 60 giorni, “Semistagionato” fi no a 180 e infi ne “Stagionato”, oltre i 180.

Ovvio che, carta d’identità alla mano, la no-stra predilezione vada a quest’ultima cate-goria nella quale siamo ascritte ormai da tempo. Giudicare un formaggio è quanto di più soggettivo e singolare ci sia, perché al di là di criteri oggettivi, come l’aspet-to, il profumo e il gusto appartengono alla

sfera personale. Il rischio è poi che, dopo una serie di primi assaggi, tutto si confon-da e la “palatabilità” del prodotto rimanga per fi nire indistinta. Tolto, ovviamente, per quei formaggi che sanno distinguersi o per-ché hanno un retrogusto acidulo (come le ciambelle anche le formaggelle non sem-pre riescono con il buco) o perché, come già anticipato, sanno di fi ori. “Questione di alpeggio” spiegano dall’Associazione Ma-nifestazione Agricole della Val Serina. Fiori e fi eno fi niscono direttamente nel latte che fi nisce direttamente nel formaggio. L’equa-zione è elementare (a scuola, le maestre devono spiegarla proprio così), ma a pen-sarci non è poi così scontata. Alcuni solerti produttori mettono il dato temporale nella schedatura del prodotto fi nale (realizzato con la mungitura del 18 luglio), un dato che ha un sapore evocativo: che cosa stavano facendo quel giorno d’estate? Eravamo in uffi cio, al nostro lavoro mentre le mucche al pascolo estivo, facevano il loro, ruminando quell’essenza di mille fi ori fi nita in quel pez-zetto bianco. La madeleinette di proustiana memoria che riporta alle mente cose e per-sone buone.

come il Taleggio e la cipolla rossa di Tropea: dopo alcuni tentativi siamo arrivati a proporre questa sorta di strudel salato, che già in-

curiosisce di per sé, perché tutti si aspettano qualcosa che richiami il grande dolce tirolese”. “In effetti la sfoglia

è simile a quella proposta per lo strudel di mele - spiega il patron di Zucca e Melone Fabio France-schelli - ma il contenuto è naturalmente ben al-tro ed evoca un’esperienza sensoriale diffi cile da descrivere, ma abbastanza unica”. Così almeno

la pensa la rubrica “Traveller on line” del New York Times e molto più modestamente anche noi confer-

miamo che trattasi, per quanto riguarda l’utilizzo di un formaggio bergamasco, di una delle ricette più originali e riuscite degli ultimi anni.Un formaggio non sempre facile il Taleggio Dop, da utilizzare co-me ingrediente principe: chi ci ha provato in passato o si è rifugiato in classici magari rivisitati un po’ banalmente, oppure il rischio di esporsi a brutte fi gure con nuove creazioni rimane sempre alto. In-vece dal cilindro del locale di via Mora (sembra una casa di campa-gna: soffi tti a volta e mattoni a vista) è uscita l’intuizione che non ti aspetti: l’effetto al palato dato dalla sfoglia a contatto con le cipolle rosse di Tropea regalano al fortunato degustatore un senso di eb-brezza zuccherina, che si trasforma in godimento vellutato in pre-senza del taleggio fuso, vera quadratura del cerchio.E proprio grazie alla notorietà dovuta a questa ricetta, lo staff di Zucca e Melone è stato invitato alla Casa degli Alti Formaggi a Tre-viglio, patria anche del Consorzio di tutela del Taleggio Dop, dove il 12 novembre alle 18 sarà chiamato a cucinare lo strudel davanti a un pubblico di appassionati e buongustai. “Per noi è un onore -

spiega Franceschelli -: una serata che dovrà essere preludio a un rapporto sempre più stretto tra la nostra cucina e i formaggi del territorio, straordinario bacino di bontà. Per questo intendiamo dia-logare a tutto campo con i Consorzi di tutela che ne garantiscono la qualità assoluta: sicuramente nei prossimi mesi ci inventeremo qualcosa di nuovo, ma già oggi sul fronte caseario, oltre allo stru-del, nel nostro menù proponiamo il gnocco fritto emiliano con gli stracchini e il gorgonzola Dop lombardi; la crema di zucca con porro croccante e ricotta, la burratina con pomodoro cuore di bue e pesto e i fi ori di zucca ripieni di ricotta e menta”.E tanto per complicarsi la vita, allo Zucca e Melone consigliano per ogni piatto un abbinamento con un vino diverso, ma di grande resa: “Vogliamo rilanciare il gu-sto personale - spiega Fabio -: se in una tavo-lata ognuno ordina un piatto differente, perché bere qualcosa che si accompagna bene solo a uno dei piatti richiesti? Ecco allora il consiglio che può andare indifferentemente dai rossi ai bianchi, fi no ai rosé: per lo strudel salato, dopo molti esperimenti, la nostra scelta è caduta sul Lagrein-Merlot della altoa-tesina Alois Legeder, le cui uve, raccolte sui rapidi pendii sopra il lago di Caldaro provengono da agricoltura biodina-mica controllata e of-frono una grande resa, sposando-si alla perfezione con il piatto”.

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Categoria / Freschi 1° Az. Agr. BERTOLAZZI GIUSEPPE di Zambla Alta (944) punti2° Az. Agr. TIRABOSCHI ANGELO di Zorzone (915) punti3° Az. Agr. QUISTINI LUIGI di Zambla Alta (858) punti

Categoria / Semistagionati1° Az. Agr. CARRARA IGNAZIO di Valpiana (1000) punti 2° Az. Agr. TIRABOSCHI ANGELO di Zorzone (884) punti3° Az. Agr. COLOMBO GIACOMO di Zambla Bassa (871) punti Categoria / Stagionati 1° Az. Agr. CARRARA IGNAZIO di Valpiana (930) punti2° Az. Agr. TIRABOSCHI TOBIA di Zambla Alta (912) punti3° Az. Agr. QUISTINI MICHEL di Zambla Alta (907) punti

Le classifiche

Fabio Franceschelli

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li spazi dedicati al gusto non mancano mai alla Fiera Campionaria di Berga-mo, l’appuntamento tradizionale con le novità e le occasioni del mercato, in programma da sabato 27 ottobre a domenica 4 novembre (sarà la 34esi-ma edizione) al polo espositivo di via Lunga con l’organizzazione della Pro-moberg. Uno dei punti di riferimento per le iniziative golose sarà lo stand della Camera di Commercio, dedica-to alla promozione dell’agroalimen-tare e della ristorazione attraverso il marchio “Città dei Mille... Sapori”. Nel primo fi ne settimana, sabato 27 e do-menica 28, saranno di scena i gastro-nomi e salumieri dell’Ascom con un

programma di degustazioni di salumi e formaggi. Il carattere degli incontri sarà volutamente semplice e fami-liare. Tralasciando tecnicismi e sotti-gliezze, i relatori punteranno infatti a far capire ai partecipanti cosa si sta mangiando e come viene preparato, privilegiando la consapevolezza e l’e-mergere del gusto personale del con-sumatore piuttosto che il giudizio fi ne a se stesso. Il lunedì 29 lo stand ospi-terà invece i Ristoranti dei Mille... Sa-pori, mentre sabato 3 novembre e do-menica 4 sarà teatro dei concorsi ga-stronomici dell’Associazione Cuochi Bergamo. Il primo, alla memoria di Al-fredo Sonzogni, è riservato alle scuo-

le alberghiere, il secondo, dedicato a Fiorenzo Baroni, ai cuochi professio-nisti, chiamati a sfi darsi in diretta sul tema “La pasta ripiena: tradizione, in-novazione e scienza” creando il pro-prio piatto a partire dagli ingredienti di un “paniere misterioso” sorteggiato al momento.A stuzzicare l’appetito dei visitatori ci sarà anche il profumo del pane fresco appena sfornato. Lo stand dell’Aspan, l’associazione provinciale dei panifi -catori, è infatti un vero e proprio labo-ratorio che permette di seguire i ge-sti che quotidianamente danno vita a panini, pagnotte, snack dolci e salati. Quest’anno l’obiettivo è puntato sul

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FUORI PORTA

Fiera Campionaria, spazio anche al gusto

Negozio e trattoria, la formula vincente della “Bottega del fresco”

Era il 1939 quando tutto ebbe inizio grazie alla famiglia Corti. Oggi Alessandra e Arnaldo portano avanti l’attività del papà Ignazio e l’hanno arricchita e completata con l’apertura, nel 2006, del nuovo negozio con annessa trattoria nel centro storico di Bosisio Parini. Entrare nella “Bottega del fresco” - salumeria, gastronomia e macelle-ria - e alla trattoria “Quinto Quarto” è come sfogliare un album di ricordi e scoprire un territorio, il Piemonte, scel-to come meta di gemellaggio.Riprendendo le conoscenze e i contatti del padre, Arnal-do quattro anni fa parte una domenica per il mercato del bestiame di Cuneo dove acquista i suoi primi capi, una femmina e un toro, macellati in loco, consegnati il mer-coledì in laboratorio per la lavorazione, per poi arrivare in negozio e in trattoria per la degustazione. Da quel giorno ogni settimana ripete lo stesso viaggio che diventa, con il

bagaglio di insegnamenti e valori ricevuti dalla famiglia, una vera e propria scuola di formazione, sia dal punto di vista lavorativo che di relazioni personali. L’oggi è una stalla e un macellatore in Brianza, che ri-sponde ai migliori standard qualitativi, e mediatori nella Provincia Granda che annullano le distanze, così da ave-re costantemente tutto sotto controllo, a partire dai “fe-nomeni” piemontesi, appellativo non casuale visti i nu-merosi premi e riconoscimenti ottenuti ogni volta alle più importanti manifestazioni e fi ere.Ma qual è il segreto per gestire al meglio un lavoro così impegnativo per mandare avanti le due insegne? «Siamo semplici - spiega Arnaldo -, lavoriamo pulito e basta, con tanta passione, ognuno con il suo ruolo, fortemente mo-tivati. Il giorno che tutto ciò diventerà un peso e non pro-veremo più piacere chiuderemo».

Il locale di Bosisio Parini è una tappa obbligata per chi ama le carni. I fratelli Corti puntano sui piatti della tradizione e su cotture ad arte

di Michela Brivio

Era il 1939 quandCorti. Oggi Alessandel papà Ignazio el’apertura, nel 20trattoria nel centro“Bottega del frescoria - e alla trattoriaalbum di ricordi e sto come meta di geRiprendendo le codo quattro anni fabestiame di Cunefemmina e un torocoledì in laboratornegozio e in trattoogni settimana rip

Il locale di BI fratelli Cort

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progetto “Bergamo, la mia terra, il suo pane”, che da poco più di un mese ha messo a disposizione dei panifi ci farina di grano tenero coltivato sul nostro ter-ritorio. Nella galleria centrale sarà inve-ce allestita “Expopan”, l’esposizione dei lavori realizzati nelle scuole nell’ambito del progetto didattico 2011 – 2012 rea-lizzato dall’Aspan in collaborazione con il Centro studi Lorenzi.

La 34esima edizione della rassegna

è in programma dal 27 ottobre al 4 novembre.

Ecco alcuni appuntamenti dedicati ai prodotti

e alla cucina

LA BOTTEGA DEL FRESCO via Appiani 8 - Bosisio Parini (Lc) - tel. 031 865502

apertura dal lunedì al venerdì a pranzo, il sabato sera a cena

ottobre 2012

E così Alessandra accende i fornelli della cucina alle 7 di matti-na per la gastronomia del negozio, per i diversi servizi esterni e soprattutto per i piatti del menù del giorno, con un occhio sem-

pre al negozio dove al bisogno affi anca Arnaldo. A mezzogior-no si chiude bottega per aprire il portone del cortile annesso

per chi vuole godersi la pausa pran-zo, dal lunedì al venerdì, a soli 10 eu-ro, con una proposta di quattro scelte per portata che valorizza al meglio la materia prima. Ad accogliere i clienti è Arnaldo, che farà accomodare nel cortile esterno nella bella stagione o all’interno, in un contesto semplice e informale ma comunque accogliente. Poi alle 16 si riaccendono le luci del negozio. Nel frattempo, aumentano

le richieste di apertura serale per poter gustare i tagli più pregiati alla griglia, proposta che a mezzogiorno è diffi cile soddisfare. E quindi si accon-tentano i clienti ma solo per

un giorno alla set-timana, il sabato o il venerdì in esta-te, ed è ogni volta il tutto esaurito.

Quindi, alle 20, si riapre l’ingresso del Quinto Quarto con una pro-posta gastronomica più ampia e completa. L’oro rosso di famiglia è valorizzato al meglio in cucina con piatti semplici e di tradizione, preparati con cura e passione. Dopo l’an-tipasto, con una selezione di salumi prodotti e stagionati perso-nalmente da Arnaldo, ci si può lasciar trascinare in un salto nel tempo ritrovando ricette e sapori ormai dimenticati. Giusto per fare qualche esempio, e a seconda del periodo dell’anno, tra i piatti “poveri” troverete cervella panata, fegato alla veneta, riccia di vitello, rognoncini trifolati e tra le ricette lombarde trippa, coto-letta e ossobuco. La lunga cottura si esprimerà in bolliti, brasati e stracotti, mentre sulla griglia si adageranno in purezza i tagli più pregiati, fi orentine e fi letti, presentati al tavolo prima della cottu-ra. Per gli amanti del crudo, non mancheranno tartare e carpacci. Completano la proposta i primi piatti; pasta fresca, risotti e zuppe con ingredienti di stagione, i contorni più adatti alle diverse pro-poste e i dolci, tutti fatti in casa. Il conto, sui 40 euro, è all’altezza della qualità proposta e del bel-lissimo viaggio di piacere che Alessandra e Arnaldo vi faranno fa-re in loro compagnia, coinvolgendovi nel loro album di famiglia.

p g gno si chiude bottega per aprire il porton

per chi vuole gozo, dal lunedì al ro, con una propper portata che vmateria prima. Aè Arnaldo, che fcortile esterno nall’interno, in uninformale ma coPoi alle 16 si rianegozio. Nel fra

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di Fulvio Facci

n angolo suggestivo di Città alta? Forse il primo pensiero va a piazza Vecchia o a San Vigilio, ma per una bella sera-ta, soprattutto estiva, un punto di osservazione privilegia-to è senz’altro il salone più ampio della trattoria all’Alpino in via Colle dei Roccoli al numero 13, sui colli di Bergamo. Il salone ha un’intera parete aperta d’estate e chiusa da vetri d’inverno: il panorama è stupendo.Ma all’Alpino ci si va da tempo sopratutto per la cucina.L’alpino era lui, il cavalier Mario Alessandro Lazzaroni, scomparso nel ’91. Il locale è nato come “frasca” nel 1960 ed ha rappresentato sin dall’inizio una delle me-te classiche per le gite fuoriporta. Per alcune generazio-ni di giovani è stato un punto di riferimento per le serate conviviali.Tricolore gigantesco, siluri, cannoni all’esterno ed una sa-la interamente tappezzata di foto, cimeli e documenti sto-rici hanno reso riconoscibile ed inconfondibile la trattoria. Nel ’91, con la scomparsa del cavalier Lazzaroni, la svolta di tipo “matriarcale”, sempre nella continuità della condu-zione famigliare. Sono state, infatti, le nuore Mariangela

Begnigna in cucina e Claudia D’Alessandro in sala a por-tare avanti l’attività, con i mariti, rispettivamente Orlando e Aroldo, che nei fi ne settimana danno una mano lavando piatti e pentole. E poi c’è la fi glia Adelia Lazzaroni che si occupa soprattutto degli aspetti amministrativi: un trio di signore che fa marciare bene il locale.«Mio fi glio sta frequentando la scuola per diventare pa-sticciere – racconta Mariangela Begnigna – e prepara già qualche dolce anche per noi. La mia scuola di cuci-na è stata invece mia suocera Rina Val-lar che ogni tanto, nonostante l’età,

U

IL PREZZO FISSO

Sui colli di Bergamo la trattoria nata nel ’60 come frasca unisce alla cucina più tipica una vista suggestiva. Una gestionetutta al femminile prosegue l’attività del fondatore

sticciere – racconta Mariangela Begnigna – e prepara già qualche dolce anche per noi. La mia scuola di cuci-na è stata invece mia suocera Rina Val-lar che ogni tanto, nonostante l’età,

L’Alpinofa centrocon panorama e tradizione

34Mariangela Begnigna e Claudia D’Alessandro

TRATTORIA ALL’ALPINO via Colle dei Roccoli, 13Bergamo chiuso domenica sera e lunedìtel. 035 259425www.trattoriaallalpino.it

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viene ancora a dare un’occhiata. La nostra è una cucina sem-plice, tipica bergamasca, che più semplice non potrebbe esse-re. Casoncelli, coniglio, grigliate, brasato, casöla e funghi sono le nostre specialità».Mariangela la racconta con semplicità ma in effetti la carta si presenta molto più ricca ed è redatta in modo dettagliato e chiaro, così come la breve ma appropriata carta dei vini. Inte-ressanti, ad esempio, sono anche gli antipasti - classici affetta-ti, crostini, polentina con acciughe e sottoli e sottaceti - ed altri primi come i ravioli di zucca.Ci sono poi degli autentici cavalli di battaglia rappresentati dai menù della casa. Si parte dal piatto unico composto da cason-celli e salsiccia con polenta proposto per 12 euro ed i menù dell’Alpino che con venti euro offre un bis di primi (casoncelli e pasta alla crema di noci), e un bis di secondi con coniglio e salsiccia, dolci fatti in casa tra i quali molto gettonato è il gela-to con i frutti di bosco caldi. Vino, acqua e caffè sono compresi nel prezzo.«Nella bella stagione – racconta invece Claudia D’Alessandro che con molto garbo ed attenzione si muove tra i tavoli nel con-testo di un arredamento da vera trattoria – abbiamo anche uno spazio all’aperto e riusciamo ad ospitare sino a 140 clienti. È un bel movimento anche perché dobbiamo muoverci su più li-velli. Nel fi ne settimana è assolutamente consigliata la preno-tazione perché abbiamo un’affl uenza intensa. È una clientela costituita soprattutto da famiglie e acquisita col passaparola: abbiamo dei clienti che possiamo defi nire storici. Anche se si sceglie il menù alla carta i prezzi sono sempre contenuti e que-sto, unito alla qualità frutto della tradizione, può essere il se-greto del nostro successo».In effetti abbiamo aperto sottolineando il fascino del posto ma i più prosaici possono andarci tranquillamente anche solo per la cucina.

Il pranzo di mezzogiorno durante la settimana non è il punto centrale dell’attività della trattoria all’Alpino. Il lo-cale è infatti fuori mano se lo si considera come riferi-mento per la pausa pranzo. Sui colli di Bergamo, è noto, non ci sono né aziende né uffi ci, ma a volte ci sono dei cantieri e poi qualcuno che se la prende comoda e sale dalla città per una colazione di lavoro senza fretta arriva sempre. Senza dimenticare i turisti ed i cicloturisti. Un po’ di movimento quindi c’è per questo il servizio, ben orga-nizzato e con un menù che ruota e cambia spesso soprat-tutto in funzione della stagionalità.Casoncelli alla bergamasca, immancabili, pasta al pesto di Sicilia e pasta al pomodoro sono le proposte per i pri-mi piatti trovate il giorno della nostra visita. Uova al bur-ro, scaloppine di pollo e costine arrosto i secondi, mentre insalata, pomodori, patate in umido e funghi misti sono i contorni. Oltre a primo, secondo e contorno, per dieci eu-ro il menù comprende un quarto di vino, l’acqua minerale ed il caffè. Classica la nostra scelta: casoncelli e scalop-pine di pollo con contorno di funghi. Un pranzo in piena sintonia con le caratteristiche del locale. Eccellente il rap-porto qualità prezzo.

LA PROVA

ottobre 2012

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Avrà un sapore speciale, visto il recente ottenimento uffi ciale della Dop, l’ottava Sagra dello Strachitunt Valtaleggio, in programma domenica 28 ottobre a Pizzino di Taleggio con l’organizzazione della Pro lo-co e il Consorzio Strachitunt Valtaleggio. La giorna-ta affi anca momenti di carattere istituzionale, come l’intervento che illustrerà le tappe che hanno porta-to alla Denominazione e la presentazione del pro-getto di promozione dei prodotti della Valtaleggio a cura dell’Associazione Ecomuseo, alla buona tavola e all’intrattenimento. Il programma prevede infatti il pranzo con grigliata, polenta, formaggi e prodotti tipici, la castagnata a partire dalle 16, un concerto del “Coro Fior di Monte” e i giochi del clown per i più piccoli. Lo Strachitunt è un formaggio erborinato a latte crudo prodotto con l’antica tecnica delle due paste, salvato dall’estinzione grazie ad alcuni ad-detti ai lavori che hanno dato il via al percorso per certifi carne la qualità e l’origine. La nuova Dop con-divide con il Formai de Mut il fatto di essere appan-naggio esclusivo della Bergamasca. In particolare, il disciplinare prevede che sia prodotta nei soli comu-ni di Taleggio, Vedeseta, Blello e Gerosa. Ottenuto il riconoscimento, si apre ora la fase che porterà ad ottenere la protezione transitoria ed in un secondo tempo quella defi nitiva con la ratifi ca in sede di Co-munità europea.

ALLA SAGRA DELLO STRACHITUNT SI FESTEGGIA ANCHE LA DOP

A PIZZINO DI TALEGGIO DOMENICA 28 OTTOBRE

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settembre 2012

Tutti pazzi per il Cake design

In cucina c’è spazio anche

per i “Disperati”

IL BLOG

Più creativi con l’Accademia

del Gusto

FORMAZIONE

La Franciacorta prova a migliorare

la qualità

L’ESPERIMENTO

Vino, formaggi,salumi: in campo

i giovani produttori

TENDENZE

Preparare torte decorateè un fenomeno in forte crescita,

quasi un’arte. Parlano i protagonisti

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

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luglio 2012

Lo chef estremo:

un ristorante, un solo tavolo

Food blogger,anche il web ci prende gusto

TENDENZE

L’ex muratore diventa campione di formaggelle

LA STORIA

Sarda, la reginadel lago conquista i palati

SUL SEBINO

Tra polenta e Moscato, la fantasia fi nisce sul cono

IL GELATO

Nella sua rivoluzionaria “Of cina” di Brescia,

il bergamasco Andrea Mainardi cucina ogni giorno soloper una prenotazione.

Lista d’attesa di tre mesi

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La Casera di Martinelli,il formaggio che sfi da la crisi

L’AZIENDA DI ALMÈ HA VARATO UNA LINEA DI CINQUE PRODOTTI DAL COMPETITIVO RAPPORTO TRA QUALITÀ E PREZZO, PER RISPONDERE ALLA CRESCENTE

ATTENZIONE DEI CONSUMATORI. «SEGUIRE DIRETTAMENTE OGNI FASE, DALLA PRODUZIONE ALLA COMMERCIALIZZAZIONE, CI PERMETTE DI RIDURRE I PASSAGGI INTERMEDI»

Se i tagli alla spesa sono arrivati anche in tavola, come conferma il calo dei consumi alimentari, la sfi da del momento di chi produce e vende non può che essere quella di riuscire a coniu-

gare il gusto con l’attenzione al portafoglio. È quanto sta facendo La Casera di Martinelli di Almé, che, forte di un’esperienza di tre generazioni nella produzione, stagionatura, confezione e commercializzazione su tutto il territorio nazionale di formaggi, ha deciso di investire su una linea di prodotti che qualcuno ha già defi nito “cheap”, “low cost” o “anticrisi”, che vanno ad affi ancare l’offerta tradizionale con l’obiettivo di in-tercettare questa nuova sensibilità del mercato. Nella propria sede, su una superfi cie di 3mila metri qua-drati, l’azienda cura direttamente le fasi di stagionatura e confezionamento, mentre la produzione è affi data ad una rete di caseifi ci controllati dall’azienda. Personale qualifi cato ed una rete vendita sono impegnati a realiz-zare un fatturato di 10 milioni di euro all’anno. Grande distribuzione, negozi al dettaglio, pubblici esercizi e ri-storazione collettiva la clientela di riferimento, che trova a disposizione 60 tipologie di formaggi nazionali ed este-ri, dall’eccellenza delle Dop come Taleggio, Quartirolo e Gorgonzola ai prodotti tipici come il Branzi, dagli stagio-nati ai freschi senza dimenticare quelli a base di latte di capra e pecora. Le nuove proposte low cost sono cinque, tutte di latte vaccino: due formaggelle, due latteria e un formaggio fresco cremoso, tipo crescenza. «Proprio quest’ultimo - spiega l’azienda - rappresenta uno dei prodotti più inte-ressanti. Non solo è una tipologia molto utilizzata nella ristorazione, nei pubblici esercizi per le farciture di piadi-ne e panini, nei panifi ci e nelle focaccerie, ma pensiamo possa guadagnare spazio anche nella vendita al detta-glio proprio grazie al prezzo estremamente competitivo, dato in primo luogo dal fatto che si tratta di un prodotto da tagliare al banco e non, come d’abitudine ormai, già pronto in porzioni calibrate, con tutti i costi che ne con-seguono. Il fatto è che, soprattutto nella grande distri-buzione, cercando di velocizzare i tempi del servizio,

si è persa la tradizione del taglio. In realtà, trattandosi di un formaggio comunque compatto, non ci sono problemi, mentre sono evidenti i vantaggi in termini di prezzo». La competitività, anche per gli altri prodotti, viene inoltre dal fatto che l’azienda segue tutte le fasi dalla produ-zione alla fornitura, accorciando i passaggi. Ma come si conciliano prezzo e qualità? «Naturalmente ci sono piani differenti – si evidenzia -. Sappiamo bene che una Dop incarna le caratteristiche particolari di una zona e di una modalità produttiva, ed ha per questo costi diversi, ma non dimentichiamo che esistono molti prodotti altret-tanto qualifi cati e buoni, con prezzi altamente competiti-vi, realizzati mediante latte di qualità e ricercate ricette. Per quanto ci riguarda, l’obiettivo è rafforzare i prodotti a marchio “La Casera di Martinelli”, che racchiudono tutte la nostra esperienza e identifi cano uno stile che in tanti anni di attività ha già ottenuto ampi apprezzamenti».

LA CASERA DI MARTINELLI piazzale Don Seghezzi, 4 - Almètel. 035 541144 - www.lacaseradimartinelli.it

LE AZIENDE INFORMANO

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La vellutata di piselli

PREPARAZIONEFate cuocere i piselli in una pentola colma di acqua bollente e leggermente salata per 10 minuti circa. Scolateli e lasciateli raf-freddare e nel frattempo lavate e tritate il coriandolo. Mettete i piselli e la senape in una terrina e mescolate, quindi aggiungete lo yogurt ed il coriandolo. Frullate il tutto e consumate la vellutata accompagnata da qualche crostino.

Ecco un piatto che da anni considero un “passepartout” in cuci-na: buonissimo e veloce da realizzare, va bene per le serate in cui non si ha appetito, per quei giorni in cui non ci sente troppo bene e l’idea di mangiare proprio non ci sfi ora lontanamente. E va bene quando, all’ultimo momento, un amico decide di invitarsi a cena e volete evitargli i soliti spaghetti con il solito sugo confezionato.Gustosi, digeribili, perché ricchi di zuccheri semplici che facilita-no la digestione e poco calorici (costituiti da circa il 79% di ac-qua), i piselli apportano buone fonti di vitamine (A, B1, C) e mi-nerali (calcio e ferro), ma anche di fi bre, utili sia per la regolarità intestinale sia per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Inoltre posseggono proprietà diuretiche, aiutano a rafforzare il si-stema immunitario e costituiscono una buona fonte di ferro per chi soffre di anemia. Certo è che se vogliamo godere di tutti que-sti benefi ci, dobbiamo scegliere di acquistare dei piselli freschi. Oggi quelli che si trovano in commercio possono essere freschi, cotti, surgelati o secchi. Per il nostro piatto abbiamo la possibilità di acquistarli freschi o surgelati; inutile che vi dica che una vellu-tata di piselli freschi acquistati dal fruttivendolo è molto più gu-stosa di quella preparata con i piselli surgelati, ma se non avete tempo di fare la spesa all’ultimo minuto andrà comunque bene.

Se optate per il fruttivendolo, verifi cate sempre che i baccelli sia-no duri, integri, sodi e non troppo grandi e in questo modo evite-rete che il frutto sia eccessivamente maturo, duro e meno dolce. I piselli freschi possono essere conservati in frigorifero al mas-simo per tre-quattro giorni nello scomparto delle verdure, sgra-nandoli soltanto al momento dell’utilizzo. Per i piselli surgelati, invece, richiudete bene la confezione nel caso in cui non la utiliz-ziate tutta, riponetela sempre nel freezer e non dimenticatevi di controllare la data di scadenza. Infi ne, cercate sempre di avere il coriandolo per la preparazione di questa vellutata; conosciuto anche come “prezzemolo cinese”, è in vendita nei supermercati ben forniti, ma può anche essere facilmente coltivato in vaso. Se volete esercitare il pollice verde e deside-rate disporre di una pianta dall’aro-ma dolce, intenso e molto deli-cato, non dimenticatevi che preferisce esposizioni so-leggiate e terra non trop-po umida. Non mi resta che auguravi buon ap-petito.

L’AN

GOL

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Ricette facili e veloci per chi

vive da solo, ma non rinuncia

alla buona cucina

Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche man-giare da soli può essere piacevole.

da

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DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

INGREDIENTI PER 1 PERSONA150 g di piselli surgelati o freschi1 cucchiaio di yogurt naturale1 cucchiaino di senapemezzo mazzetto di coriandolo

CURIOSITÀ

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Grandi servizi per le piccole imprese

Bergamo – via Borgo Palazzo, 137 tel. 035 4120111 fax 035 231082 e-mail [email protected]

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