70% - Bergamo - c/c 16386245 · SPAZIO SCIENTIFICO 4 ... Ceriani Vanda Cabiddu Mary Olejnik...

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Anno XI - n. 43 - Settembre 2012 - Periodico Trimestrale - Spedizione in A.P. - 70% - Bergamo - c/c 16386245 43 43

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EDITORIALE 3“Vivere l’ Hospice”Angelo Frigerio

SPAZIO SCIENTIFICO 4“Sole, mare... è tempo di leggende metropolitane”Dott.ssa Mary Cabiddu

SPAZIO ASSOCIAZIONE 6“Il profumo delle idee”

SPAZIO ASSOCIAZIONE 7“Oggi Vi presentiamo:

Aiutiamoli”

SPAZIO TECNICO 8“Le terapie orali:dalla parte dei pazienti”Luisa Bonetti

SPAZIO CULTURA 10“Antica chiesa di San Colombanoa Vaprio d’Adda”Luigi Minuti

SPAZIO PSICOLOGICO 12“Diario di bordo”Luisa Bonetti e Pinuccia Ruggeri

SPAZIO ARTISTICO 14“Bisogna temere i vivi,non i morti”

Giuseppe Bracchi

DALLA VOSTRA PARTE 16“Decoupage in Oncologia”

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SOMMARIO

COMITATO SCIENTIFICOBarni Sandro Bonetti Luisa Cremonesi Marco Cabiddu Mary Petrelli Fausto

COMITATO Dl REDAZIONEBonetti Luisa Barni Sandro Ceriani VandaCabiddu MaryOlejnik Kristina

DIRETTORE RESPONSABILEFrigerio Angelo

VICEDIRETTORECremonesi Marco

SEGRETERIAFrigerio Enrico Tel. 0363-314151 Fax 0363-314121 [email protected]

PROGETTO GRAFICOStudio Origgi Via Mac Mahon, 78 - 20155 MILANO

REALIZZAZIONE GRAFICAVenturini Fiorenzo - Treviglio

STAMPATipocarto Via L. D a Vinci - 24043 Caravaggio (Bg)

EDITOREAssociazione “Amici di Gabry” ONLUSVia Matteotti, 125 - 24045 Fara G. d’Adda (Bg)

N. AUTORIZZAZIONE 34Del 06 Luglio 2001 Tribunale di Bergamo

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Vivere l’Hospice

Carissimi lettori, spesso mi chiedo il significato di un editoriale enello specifico dell’ editoriale di questa rivista che dovrebbe rap-presentare l’esame di coscienza del lavoro di questa pubblica-zione e della nostra associazione. Da diverso tempo ci battiamoper l’esigenza di un hospice per la nostra zona e sembra che cisiano in arrivo novità in merito, ma sono rimasto colpito dallaumanità di questa lettera apparsa sull’ Eco di Bergamo nel mesedi Giugno e mi sembra una giusta riflessione da proporre comesenso profondo dei bisogni del nostro territorio.

“…ho capito, all’ ospedale curate per guarire, qui curano permorire…”, questa drammatica frase è stata detta da un parentedi un ammalato, nell’hospice dove lavoro. E’ triste sentire que-ste parole dopo 12 anni di hospice, 12 anni, non 12 giorni, 12anni durante i quali abbiamo cercato di spiegare come l’ obietti-vo primario dell’hospice è la tutela della qualità della vita delpaziente affetto da cancro avanzato, realizzata attraverso il con-trollo dei suoi sintomi e l’attenzione ai suoi bisogni, spesso nonsolo fisici, 12 anni durante i quali abbiamo cercato di ribadirecome in hospice noi curiamo i vivi, non i defunti, come non fac-ciamo eutanasia ma neanche accanimento terapeutico, comecerchiamo di stare nel mezzo, per garantire al paziente ed allasua famiglia, quando possibile, la compagnia di cui hanno biso-gno, in scienza e coscienza, con l’ umiltà di chi è consapevoleche si può sempre migliorare, ma che, nel frattempo, fa quelloche può e cerca di farlo bene, nel rispetto assoluto della vita delmalato che, qui, in hospice, non viene né accorciata né allunga-ta, ma viene, soprattutto, rispettata!Tempo fa un collega mi disse che, quando proponeva l’hospiceai parenti dei suoi pazienti, rischiava, spesso, di essere picchia-to! La proposta era vissuta come un abbandono umano e tera-peutico e non come una possibilità di continuare a prendersicura del congiunto ammalato in un luogo più idoneo, attrezzatoe confacente da questo particolare e non ripetibile tempo dellavita del paziente e della sua famiglia. Mi rendo conto che il temaè complesso all’ ennesima potenza, che numerose variabilimediche, sociali, filosofiche, economiche, politiche vengonochiamate in causa, ma, nell’attesa che queste variabili si possa-no integrare meglio, la prego ci aiuti, lo “gridi”, dal suo autore-vole giornale, che l’hospice non è il luogo dove si va a morire(alcuni dei nostri pazienti, una volta stabilizzati, tornano a casaloro) ma è il luogo dove l’uomo, in una fase critica della sua vita,viene accolto, ascoltato, curato per il tempo che gli rimane.Nessuno di noi può quantizzare questo tempo, un giorno puòdiventare tre settimane, un mese può diventare un’ora, ma qui,in hospice, non ci chiediamo “quanto” tempo ma “come”, comefare per aiutare il malato a vivere nel modo più adatto a lui, que-sto tempo. L’hospice non è un servizio alla morte, ma un servi-zio alla vita. Dr.ssa Antonella Goisis

Mi sento profondamente commosso per l’umanità che emergedallo scritto, lo ritengo uno stimolo a continuare nel nostro pro-getto che vede coinvolte tante risorse che oramai sono acco-munate da questa voglia di essere vicini a chi chiede il nostroaiuto!

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Angelo FrigerioDirettore responsabile.Presidente della associazione “Amici di Gabry”

ASSOCIAZIONEAMICI DI GABRYTel. e Fax 0363 [email protected]

CHI INCONTRATE?Donne disponibili all'ascoltoMedicoSpecialisti del settore: Oncologo, Senologo, Esperti di Medicina AlternativaPsicologo

DOVE SIAMO:"Associazione Amici di Gabry"V.le Oriano, 2024047 Treviglio (BG)Martedì e Venerdì dalle ore 9.30 alle 11.30Tel. 0363 305153

DH OncologicoOspedale di TreviglioLunedì, Mercoledì e Giovedìdalle ore 9,30 alle 11,30Tel. 0363 424739

COLLABORAZIONESe diventi socio/a sostenitore, anche conun piccolo contributo, potenzierai il progetto che coinvolge ognuno di noi.

ASSOCIAZIONE "AMICI DI GABRY"ONLUSSede legale:Via Matteotti 12524045 Fara d’AddaP.I.: 02645050168Cod. IBAN: IT 92 D 08899 53643 000000210230Credito Cooperativo di Treviglio

c/c postale 16386245

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ghiandola tiroide produce molti piùormoni che accelerano il metaboli-smo. Questo perché lo iodio ne sti-mola la produzione. Al contrario, a chi soffre di ipotiroidi-smo il mare non può che giovare.

Ma parliamo sempre di persone chemagari non sanno di avere questamalattia e non di chi lo sa ed è incura, poiché in quest’ultimo casopotrebbe essere sufficiente modifica-re lievemente la terapia.

E poi non è solo una questione dimare… ma anche di quanto tempouno ci sta.A tutti noi piacerebbe fare 3 mesi diferie… ma 10 giorni di riviera a man-giare tagliatelle e a ballare il lisciosulla spiaggia alla sera non hannomai dato grossi problemi neanche achi soffre di ipertiroidismo.

Altro discorso il sole.Che i raggi ultravioletti siano dannosiè noto a tutti, ma come per ogni cosaesiste l’altro lato della medaglia.Contro di loro vi è il fatto che i raggiUVA accelerano l'invecchiamentodella pelle (avete presente i ritratti deivecchi marinai, il cui volto ricorda unatartaruga per il numero di rughe?).Inoltre aumentano il rischio di svilup-pare tumori della pelle, soprattuttomelanomi.Ma a loro favore vi è il fatto che sti-molano la produzione di anticorpiaumentando così le nostre difeseimmunitarie

Questo articolo è dedicato atutti coloro che prima dellevacanze non hanno avuto ilcoraggio di formulare la

malefica domanda: “dottore…. miscusi…. ma io posso andare almare?”E ora che c’è stato si gira e rigira nelletto e si domanda: “ma avrò fattobene? E se mi ha fatto male?Settimana prossima ho i controlli… ese mi trovano qualcosa?”

Ogni anno, puntuale come il caldoche ci tiene tutti svegli in queste nottibollenti di agosto, ci scontriamo conquesta leggenda metropolitana.

Iniziamo dal mare. Il mare può cau-sare problemi sono a chi soffre diipertiroidismo, patologia per cui la

I raggi UVB invece sono responsabi-li di eritemi e scottature, già a piccoledosi. D’altronde sono anche fondamentaliper l’attivazione della Vitamina D,importantissima per il metabolismodell’osso e la prevenzione dell’osteo-porosi.

Per prima cosa è fondamentale ilbuon senso, come in tutte le cosedella vita.Esporsi al sole tra le 11:30 e le 16:00vuol dire aumentare i rischi dei danni

da raggi ultravioletti. Le creme pro-tettive non sono semplicemente unbusiness delle profumerie, ma sonoveramente utili per la protezionedella pelle. Anche proteggere gli occhi è impor-tante e quindi via libera agli occhialida sole.Camminare nell’acqua in riva al marestimola la circolazione sanguigna,meraviglioso effetto benefico per chisoffre di vene varicose e caviglie asalsicciotto.

E se stiamo facendo la terapia? Il mare ed il sole non aumentano glieffetti collaterali generali delle che-mioterapie. Invece, come per gli antibiotici o lapillola anticoncezionale, quando sista facendo l’ormonoterapia o la che-mioterapia c’è il rischio di non torna-re a casa con una bella abbronzatu-

ra, ma con una abbronzatura definitaa “macchia di leopardo”.Questo perché alcuni dei nostri far-maci sono fotosensibili. Ma diciamo-lo chiaro: è così importante che l’ab-bronzatura sia uniforme? Uno puòanche non avere queste velleità.

Rimane sempre però il dubbio: macosa fanno il sole ed il mare sulla miamalattia?Come per chi soffre di ipertiroidismo,un più o meno breve soggiorno almare non stimola la crescita deitumori. Se così non fosse le nostre bellecoste sarebbero disabitate da secoli. In Liguria, in Sicilia, in Puglia.. lagente si ammala e guarisce cosìcome in Valle d’Aosta o in Trentino.

Non siete convinti? Avete sempreamato il mare ma per sicurezza pre-ferite andare in montagna? In montagna l’80% dei raggi ultravio-letti filtra indisturbato fra le nubi e laneve arriva a rifletterne ben l' 80%.Inoltre, più si sale più l' intensità deiraggi solari aumenta.Senza contare i problemi che puòdare l’aria più rarefatta a chi soffre dibronchite cronica o enfisema o i pro-blemi che possono insorgere negliipertesi.

Il mare fa male a chi non piace ed achi, pur desiderandolo, non se lo puòpermettere.Dormite sonni tranquilli, anche sesiete stati in vacanza al mare e l’an-no prossimo programmate le ferie aseconda dei vostri desideri… altri-menti finiremmo con il credere chesia anche vero che nelle fogne diNew York ci vivano i coccodrilli.

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Mary Cabiddu Medico Oncologo dell’U.O. di Oncologia MedicaAzienda OspedalieraTreviglio-Caravaggio

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Dalla fattiva collaborazione tra la nostra associazione ed il reparto di oncologia, nasce il terzo convegno scientifico dove il nostro ruolo sarà di segretariato organizzativo.

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AIUTIAMOLI - ASSOCIAZIONE PER LA SALUTE MENTALEoperante nel territorio delle unità di psichiatria n°14 e n° 17AZIENDA OSPEDALIERA DI TREVIGLIO-PONTE S. PIETROregistrata all'Ufficio Registro di Ponte S. Pietro il 23.09.03 con n° 2393iscritta al Registro Provincialedell'associazionismo in data 04.12.03 progressivo n° 66Cod. Fisc. 93028730161

Sede: Casa delle Associazioni - Via B. Rozzone - 24047 Treviglio (BG) - Tel. 0363/419596. La Sede è aperta il lunedì dalle 17.00 alle 18.00

SPORTELLO DI ASCOLTOCentro Diurno di Via San Geminiano, aperto il venerdì dalle ore 18.00 alle 19.00 Ogni 1° mercoledì del mese dalle ore 14.00 alle ore 15.00Ufficio del Volontariato - Azienda Ospedaliera di TreviglioSede in Via Rozzone a Treviglio tutti i lunedì dalle ore 17.00 alle 18.00 - tel. 0363/419596.Per informazioni telefonare al numero 3202512885 o scrivere un e-mail:[email protected] [email protected]

Scopi e attività principali:- Sostenere le famiglie che si trovano ad affrontare i problemi della sofferenza psichica.- Promozione di iniziative a sostegno delle famiglie e a tutela dei diritti degli ammalati- attenzione alle situazioni familiari dei soci, all'ambiente, ai problemi, all'efficacia degli interventiterapeutico-riabilitativi prestati dalle strutture sanitarie- diffusione di informazioni e atteggiamenti più consapevoli del disagio e liberi da pregiudizi estigma- Incontro e scambio con altre associazioni di familiari e volontari; la sollecitazione ad attivare emantenere operative strutture di cura e riabilitazione.

Il giorno 22-9-12 si è inaugurata la nuova sededel Day Hospital Oncologico di Romano diLombardiaalla presenza di autorità istituzionali: DirettoreGenerale, Direttore Sanitario, Parroco, DirigenteASL, Sindaci e Primari del Presidio, oltre cheMedici di Assistenza Primaria del distretto diRomano, Studenti del Liceo Don Milani, Pazientie Volontari.Alla presenza di tali e tante persone il Dr. Barniha evidenziato l’importante e fattiva collaborazio-ne che la nostra Associazione mette in atto aRomano di Lombardia con Segretariato, Prelievia Domicilio, Trasporto alla Radioterapia,Pubblicazioni informative e arredo.

Doveroso pertanto mantenere sempre attiva questa collaborazione.

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Buongiorno, mi chiamoFrancesco, sono un pazientedel day-hospital oncologicopresso l'Ospedale diTreviglio.

Lo scorso mese di marzo ho iniziato unanuova terapia che esige una somministra-zione settimanale del farmaco. L'impegnosettimanale mi creava non pochi problemilogistici in quanto, non potendo io guidare,mio moglie doveva conciliare l'accompa-gnarmi e riprendermi in ospedale ogni gio-vedì e l'impegno giornaliero nell'accompa-gnare e riprendere le nostre nipotine all'asi-lo.Per cui un grazie di cuore all'associazione divolontari “Amici di Gabry” che mi ha dato lapossibilità di risolvere il problema logisticoprelevandomi e riportandomi davanti casaper tutti i mesi della terapia. GraziePaolo,grazie Anna.Quindi ogni giovedì, fatto il rituale prelievo disangue, mi sedevo nella sala d'aspetto inattesa di essere chiamato dalla dottoressaper un breve colloquio informativo per poirimanere in attesa di essere chiamato insala somministrazione. Devo dire che ipazienti sono veramente molti,a mio avvisoin aumento,solo il prodigarsi continuo,senzasoste, di infermiere, dottoresse,dottori evolontari fa si che si respiri una atmosfera diefficienza unita ad una buona dose diumana comprensione che permette a noipazienti di attendere il nostro turno consa-pevoli di quanto sta avvenendo.Ma ecco che mi chiamano, è il mio turno,entrando in sala somministrazione una infer-miera mi indica la poltrona su cui devosedermi, poi, collegato alla flebo, ha inizio laterapia che, mediamente può durare dalletre alle quattro ore. Seduti su queste specia-li poltrone, estremamente versatili nell'assu-mere posizioni diverse, si attende che iltempo passi, credetemi, sembra lunghissi-mo, ovviamente tra i sei pazienti seduti c'èchi legge, chi gioca con il cellulare, chiscambia qualche timida parola con il vicino,sempre che si parli lo stesso linguaggio.Durante tutti questi mesi mi è capitato piùvolte di essere sotto terapia a cavallo delmezzogiorno, per cui veniva offerta unacolazione a menu, scelto in precedenza.Personale della cucina arrivava con il carrel-lo da cui le infermiere prendevano i vassoinumerati da dare ai pazienti.I vassoi, carichi di piatti,bottigliette,bicchie-ri,posate, venivano appoggiati sulle ginoc-chia dei pazienti che erano obbligati adassumere una posizione scomoda per ren-dere stabile l'equilibrio dei componenti sul

vassoio. Questa scomoda posizione daassumere era causa di piccoli inconvenientiquali crampi e dolori, non tutti sono giovani,e anche chi poteva disporre di una personache l'assisteva non ne aveva beneficio inquanto il vassoio era sempre sulle ginoc-chia. Non dimentichiamo che chi è sedutosulla poltrona ha un braccio impegnato dallaflebo e che deve fare attenzione a come simuove.Così, osservando il problema oltre a viverloin prima persona, mi venne l'idea di realizza-re un tavolino da mettere e togliere dalla pol-trona facilmente, per non dare altro lavoroalle infermiere che sono già oberate.Quel giorno tornai a casa con quella ideafissa e così il giovedì successivo mi presen-tai con il mio primo tavolino di legno com-pensato. Lo provai e mi resi conto che pote-va risolvere il problema. Incoraggiato da altri

pazienti e infermiere proposi di realizzarnealtri due apportando alcune piccole modifi-che migliorative. Mentre dicevo questo mi siavvicinò una paziente e mi disse:” Se lei rea-lizza i tavolini io li decoro con la tecnica del“decoupage”.Detto e fatto, io facevo i tavolini e lei li deco-rava.Naturalmente la cosa non passò inos-servata tra i pazienti che provavano il piace-re di mangiare senza trattenere il vassoiosulle gambe ed inoltre questo piano consen-tiva anche di appoggiare un libro da leggeresenza avere le dita della mano intorpidite dalpeso del libro.Oggi abbiamo sei tavolini decorati con sog-getti differenti,mare,frutta,arte,giochi chevengono usati regolarmente ma la cosa piùimportante, a mio parere, è che questo pic-colo strumento involontariamente abbiasaputo creare una atmosfera di cordialitàinaspettata tra le persone presenti, oggicosa rara e preziosa del vivere comune.

Buon ferragosto a tutti, Francesco

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ei numeri precedenti abbia-mo parlato di terapie oralidal punto di vista medico e

infermieristico, su questo numeroci occuperemo del punto di vistadei pazienti, quale le loro opinionie pensieri.

Da sondaggi e studi pubblicati su rivi-ste scientifiche emerge una nettapreferenza da parte dei pazientioncologici per le terapie orali rispettoa quelle endovenose. Sono diversi gliaspetti che, a parità di trattamento,depongono a favore sia per i pazien-ti che per i care giver. La maggiorcomodità nell'assumere il farmaco adomicilio evitando quindi di doversirecare in day hospital con la probabi-le perdita di giorni lavorativi delpaziente e dei suoi familiari.L'opportunità di non dover usare gliaccessi venosi come per la terapia

endovenosa o il dover posizionare uncatetere venoso centrale con la suc-cessiva necessità di manutenzione.Ma possiamo pensare anche al mag-gior tempo da poter dedicare allapropria vita familiare e sociale evit-ando di dover trascorrere giornate inday hospital.Questo certamente favorisce ancheun significativo beneficio psicologicoed emozionale che può agevolaretutto il processo terapeutico e larisposta del paziente rispetto allapatologia e al proprio stato di salute.Di contro però la chemioterapia oraleprevede per il paziente un controllosulla somministrazione del farmacoin autonomia, che potrebbe indurlo aerrori di dosaggio o di tempi di som-ministrazione e quindi una rispostainefficace alla terapia. Va quindi con-siderata la capacità collaborativa delpaziente che deve essere adeguata-mente informato su tutti gli aspetti delpercorso di cura e messo in grado divalutare liberamente. Infatti parte deipazienti chiede di condividere la scel-ta della modalità di somministrazionedel farmaco con il proprio oncologo.Così come l'oncologo, l'infermiere,e ilmedico di famiglia devono esserecoinvolti nel processo di trattamentosalvaguardando i ruoli di ciascuno.La possibilità per il paziente di assu-mere il farmaco restando comoda-mente a casa sua non deve infattiindurre a una sottovalutzione, perchènon si tratta di semplici terapie dimantenimento ma di cura al paridelle terapie endovenose.I pazienti, che in massima parte pre-diligono la formulazione orale dei

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chemioterapici, sono tuttavia preoc-cupati per l'incompletezza delle infor-mazioni ricevute, per la "gestione"responsabile del trattamento, per ilriconoscimento delle tossicità e dicome affrontarle, divenendo così atutti gli effetti "pazienti vulnerabili".Essi esprimono l'esigenza di ricevereuna informazione/formazione globalesin dal primo approccio alla cura euna presenza continuativa dell'equi-pe di cura, con la necessità di indivi-duare figure di riferimento a cui rivol-gere le loro domande.Per questo diventa fondamentale ilruolo che l'infermiere può assumerenella gestione del paziente, può infat-ti essere un punto di riferimento peril malato, informandolo sulle modalitàdi assunzione e sulle potenziali tossi-cità e verificando, in modo costante,la sua qualità di vita durante il tratta-mento.In ogni caso la scelta della terapiaorale non può prescindere da alcunevalutazioni importanti da parte dell'e-quipe di cura. Le caratteristiche delpaziente rappresentano una delleprime variabili da tenere in consider-azione nel momento in cui si proponeun trattamento e si chiede una buonacollaborazione per seguirne corretta-mente le indicazioni.E' importante capire che ruolo assu-me il paziente nel progetto di cura,quali le difficoltà psicologiche associ-ate all'esperienza della malattia e deisuoi trattamenti. Altrettanto importan-te la presenza della famiglia che sup-porti il paziente, che lo motivi e losostenga nel percorso di cura e checrei le condizioni migliori soprattuttoin presenza di pazienti anziani com-plicati anche da altre malattie.Infine il paziente deve poter instau-rare un rapporto di estrema fiduciaed empatia con il proprio curante alquale poter riferrire ogni difficoltà edubbi.Comunque le incertezze presenti neipazienti trattati con terapia orale, fre-quentemente vengono dissolte.Una paziente di 38 anni in cura con

terapia orale così parla della suaesperienza: " Inizialmente ero

apprensiva e avevo timore rispetto aprendere la terapia autonomamente.Non mi sentivo sicura di prendere unfarmaco così potente ed ero preoc-cupata di prenderne la giusta dose,anche se mi avevano spiegato tutto.Preferivo quando mi veniva sommini-strata la terapia endovenosa. Maadesso sono al mio terzo ciclo e tuttova bene."

Tutte le iniziative, le riviste (tutta la serie)

e le manifestazioni sonoscaricabili dal nuovo sito

dell'Associazione: www.amicidigabry.it .

Luisa BonettiPsico-Oncologadell’AssociazionePsicologa dell’U.O. di Oncologia MedicaAzienda OspedalieraTreviglio-Caravaggio

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aro e splendido esempio di archi-tettura romanica, con variegatobestiario di grezza pietra scolpita,

ammalorato e violato dal tempo e dagliuomini ma, ancora, assolutamente auten-tico.

Da annoverare anche questa tra le più anti-che chiese del territorio abduano, citata nellabolla ‘privilegio’ di papa Adriano IV del 1155e nel coevo ‘diploma’ dell’arcivescovo mila-nese Oberto da Pirovano, come diligente-mente annota Claudio M. Tartari nel volumeII de’ ‘La Storia di Vaprio D‘Adda’ edita nel-l’aprile 1998, presenta in più rispetto ad altrechiese del territorio, di origine altrettantoantica, il sortilegio di esserci pervenuta, tuttosommato, sorprendentemente intatta.Lo stesso autore richiamando l’Arslan nelsuo contributo dedicato all’architettura roma-nica milanese nella ‘Storia di Milano’ dellaFondazione Treccani fa ascendere la costru-

zione dell’edificio all’anno 1115 e ne sottoli-nea la somiglianza con la coeva basilica diSan Sigismondo e santa Maria Assunta diRivolta d’Adda. Altri autori, vedremo trapoco, ne sottolineano invece la somiglianzacon il celebre S. Michele di Pavia per viadella ‘singolarità’ ed ‘esuberanza’ delle suedecorazioni scultoree.Collocata in un angolo suggestivo del centrostorico di Vaprio D’Adda, poco distante dallaparrocchiale dedicata a san Nicola di Mirra(Nicola di Bari), ed in adiacenza all’Ospedaledel borgo abduano, si presenta al primoimpatto come abbandonata a se stessa, laparete della facciata, massiccia ed originale,trae infatti in inganno perché inopportuna-mente ricoperta di calce nei restauri degliAnni Cinquanta del secolo scorso.Quando invece ci si avvicina e si incominciaad ammirare il portale con le sue sculture dipietra e poi si entra all’interno si è comeavvolti da una crescente curiosità volta pervolta appagata con generosa sovrabbon-danza. San Colombano non manca infatti dioffrire all’osservatore una pluralità di spuntidi notevole interesse sia sotto l’aspettoarchitettonico sia sotto quello decorativo. E’un edificio ad una navata rettangolare, ma ilati maggiori sono solo poco più lunghi diquelli minori; il lato orientale è concluso daun’abside semicircolare e da due piccoleabsidi minori cui corrispondono due cappellelaterali, l’una dedicata alla Vergine l’altra alsanto Patrono di cui esibisce una singolarestatua. L’equilibrio degli spazi interni risulta del tuttoparticolare per la presenza, a metà dellachiesa, di un grande arco trasversale a dop-pia ghiera, che divide l’unità volumetrica del-l’aula in due parti nettamente separate; lazona absidale inoltre è preceduta da tre for-nici: quello centrale dà sul presbiterio, coper-to a botte, e i due laterali, più stretti e bassi,danno sulle cappelle quadrangolari copertea crociera.Uno splendido portale secondario, visibiledall’area ospedaliera, con lunetta scolpita, è

delle scene, anche se qui è solo iniziata, siaper alcune somiglianze puntuali di singolefigure, mentre proprio una di queste, la sire-na a due code, è davvero troppo simile adaltre (invero queste ultime rifatte) che si pos-sono ammirare sulla facciata ed anche nel-l’interno della poco lontana Basilica di Rivoltad’Adda.Qualche informazione è ora d’obbligo sullafigura dell’Abate cui questa antichissimachiesa è dedicata, San Colombano di Bobbio(543-615). Nativo di Leinster, era monaco aBangor; nel 580 lasciò l’Irlanda insieme a ungruppo di monaci e lavorò dapprima inInghilterra, poi in Bretagna ed infine nellaregione dei Vosgi, dove fondò la grandeabbazia di Luxeuil, che governò per venticin-

que anni. Le sue aperte pro-teste per le sregolatezzedella corte franca gli costaro-no l’esilio; Colombano finì isuoi giorni nell’Italia setten-trionale, allora sotto dominiolongobardo, nell’abbazia diBobbio, che fondò nell’anno612 poco prima di morire. In quella occasione fu in con-fitto con le autorità sia civiliche religiose a causa delleosservanze celtiche ancoraconservate nei suoi mona-steri; la sua regola era moltoaustera, ma ebbe la saggez-za di mutuarla con la Regolabenedettina che gli era per-venuta dopo la distruzione diMontecassino da parte deiLongobardi di Benevento(577); furono le numeroseabbazie fondate da lui e daisuoi discepoli ad ospitare i

monaci benedettini avversati dai Longobardied a dare continuità e diffusione alla Regoladi San Benedetto fatta propria ed osservataanche dai suoi monaci. San Colombano è ilsanto patrono di due chiese parrocchiali ber-gamasche, quella antichissima di Valtesse,dal 1108, e quella di Parzanica dal 1512mentre l’omonimo comune della bassa lodi-giana, rimasto amministrativamente milane-se dopo la creazione della nuova provincia diLodi, porta il suo nome: San Colombano alLambro, celebre anche per i suoi vigneti e labontà del suo vino.

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nel fianco meridionale, dopo il contraffortedell’arco trasversale, vi compare una figuradi vescovo, forse san Colombano, con inmano il pastorale, benedicente; un terzo èsimmetricamente posto sul fianco settentrio-nale: anch’esso ha una lunetta istoriata,sopra la quale corre la ghiera scolpita, pur-troppo non visibile, questo, dall’esternoessendo l’area settentrionale interclusa. L’abside, nel cui catino permangono tracceimportanti di affreschi d’epoca, percorsa datre semicolonne, e nella quale si aprono trefinestre monofore e tre oculi, termina con unmotivo ad archetti sopra il quale corre unaricca cornice modanata. Davvero da nonperdere la vista esterna della parte absidaledall’adiacente giardino dell’ospedale.Notevole interesse rivestel’apparato decorativo scul-toreo, ricco di elementiclassici e barbarici; lastrombatura del portaleprincipale è arricchita dacolonnine e lesene, mentrefasce scolpite sono inseritenella zona inferiore dellaparete, particolare notameritano le lunette dei por-tali laterali, di quella meri-dionale abbiamo già parla-to, in quella settentrionale,purtroppo non visibile, c’èun personaggio che reggeper il collo un uccello o unpollo con la mano sinistra,mentre con la destra tieneuna sorta di clava; ai lati,degli altri pennuti che corro-no. Ricca è la zona intornoal portale centrale: il fregiodi sinistra porta cinque figu-re frontali, e la lesena sottostante reca unasirena a due code, e rilievi sono anche nellaparte bassa della facciata, sparsi propriocome a S. Michele di Pavia. Questi rilieviesterni sono di fattura piuttosto rozza, maricca di semplice immediatezza e comunica-tività; più raffinati sono invece i rilievi dell’in-terno, che denotano una maggiore padro-nanza del mezzo espressivo e una maggio-re vivacità compositiva; si trovano sui capi-telli dei pilastri che reggono il grande arcotrasversale; in quello di sinistra è Danielenella fossa dei leoni, nel destro una figuraumana fra due mostri.La chiesa è concordemente attribuita daglistorici all’inizio del XII secolo, e presenta nonpochi motivi di originalità: dal lato architetto-nico l’adozione di uno schema tradizionale,ad aula, con tre absidi, ma con l’aggiunta dielementi nuovi quali l’arcone trasversale e iltriplice fornice anteriore alle absidi; dal puntodi vista figurativo invece il riscontro più pun-tuale è con il corpus scultoreo di san Micheledi Pavia, sia per la stessa libera disposizione

Luigi MinutiStorico e amante dellanostra “bassa”

iaggio, percorso, cammi-no: sono molte le immaginiutilizzate per descrivere ciò

che le persone, diventate "pazien-ti", intraprendono per affontare lamalattia oncologica.

Spesso se ne aggiungono altre: tun-nel, labirinto, bosco, altomare: a seg-nalare che si parla di transiti non pro-prio tranquilli.Tutte, comunque, ci "parlano" dimovimento, di passaggio, di attraver-samento: la malattia infatti segna,spesso in modo indelebile, un primae un dopo nella vita delle personecoinvolte: pazienti, familiari, operato-ri. Certo parliamo di luoghi, spazi,relazioni concrete: il Cup, lo studiodell'oncologo, la stanza del prelievomattutino, il "salottino" dell'attesa, lapoltrona della chemio, il lettino della

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radio, la stanza della psicologa...."Venire" a fare la chemio, la radio,"restare" paziente in follow-up, "pas-sare" alle cure palliative, sono imma-gini altamente evocative dei percorsie tragitti della malattia oncologica: ciinducono, in questo spazio, a riflette-re anche sugli stati d'animo che lamalattia suscita. Più volte abbiamoparlato e descritto quali possonoessere, a secondo della storia perso-nale e familiare di ognuno, le reazio-ni e le modalità per affrontare ed inte-grare l'evento-malattia nella propriavita.Il vortice di emozioni contrastanti,l'andirivieni di pensieri e stati d'ani-mo, l'oscillare dell'umore, "l'oggi nonè giornata", sono solo dei tanti fram-menti di vita, di malattia vissuta chequotidianamente raccogliamo in DayHospital, che "fotografiamo" e custo-diamo come le scritte sulle rocce neisentieri di montagna: ci aiutano aritrovare la strada di ognuno, ci "aiut-ano ad aiutare" perchè sono proprioe solo quelle del sig. Carlo, della sig-nora Paola, del sig. Antonio...

Queste considerazioni ci hanno por-tato a riflettere sull'importanza anchenella malattia, di tenere e "lasciartraccia" degli echi, dei ricordi, dei vis-suti, degli stati d'animo: nella malattiasi soffre, si piange, si ride, si spera, siriflette, si fanno grandi e piccole sco-perte o riscoperte...Lasciar traccia vuol dire anche ritro-vare dentro se stessi il filo che ci lega

alla vita, per quanto tormentata e dif-ficile possa essere in certi momenti.

Per queste ragioni si vanno diffon-dendo molteplici esperienze che uti-lizzano strumenti diversi ( libri, opu-scoli, raccolte fotografiche) percomunicare pensieri ed emozioni"tradotte" in frasi, racconti, poesie,schizzi, riflessioni, in italiano, in dia-letto, nella "lingua" e con il linguaggioche ciascuno sente proprio, neimomenti che ognuno sceglie.

Perchè non dar spazio e voce ancheai nostri pensieri, alle nostre emozio-ni?Vogliamo realizzare tutto questoanche nel nostro Day Hospital?Un libro bianco, una sorta di diario dibordo perchè chi lo desidera, come equando crede, possa utilizzarlo comecontenitore, testimone e "compagnodi viaggio" dei propri pensieri, emo-zioni, stati d'animo. Oppure per "leg-gere" e riconoscere le tracce lasciateda altri compagni di viaggio, cosìsimili o così diverse dalle proprie.Nei prossimi giorni sarà disponi-bile, all'ingresso nella sala d'atte-sa, un libro bianco ... una penna ..e perchè no, matite colorate.... PerVoi. Per Noi.Riconoscere e poter esprimere lapropria esperienza di malattia e dicura attraverso strumenti e canalidiversi, come le tavole da pranzoideate e dipinte dai due nostri pazien-ti ( ne parliamo in questo numero)diventa una possibilità anche per ilnostro D.H.D.O.C.!

E' un invito che rivolgiamo a tutti,pazienti, familiari, amici, operatorie volontari, a riempire il "nostrolibro bianco".

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Luisa BonettiPsicologa

Pinuccia RuggeriPsicologa

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isogna temere i vivi, non imorti...: quante volte abbiamo

sentito questo detto popolare.Eppure a noi è capitato, anni fa, cin-quanta per l'esattezza, un fatto cheancora brucia... in faccia. Eccome sebrucia. Era un gelido Natale del 1963. Chiscrive aveva poco più di 8 anni edera chierichetto alla corte di donGiovanni Maraschi, un buon pastoreche era a capo di 450 anime in unosperduto paesino di Bassa.Nell'occasione delle feste nataliziesiamo stati messi «in panchina» dalparroco: tanto per cambiare, ne ave-vamo combinata una delle nostre. Adire il vero, era tutta opera degli altrichierichetti, quelli “anziani”, ma sic-come noi eravamo gli ultimi arrivati,toccò a noi di scontare la pena: unmese di lavori umili. Il motivo del cartellino rosso, scritto inun rigido linguaggio da carabiniere:

«Aver manomesso il toscano delsacrestano sostituendolo con lo stuc-co per vetri». Uno scherzo non dapoco: giusta, dunque, la sospensio-ne.Non eravamo i soli in castigo, per for-tuna. A farci compagnia, c'era ancheMario, un bonaccione grande e gros-so che le prendeva anche dal più pic-colo della combriccola. Mario, a diffe-renza di noi, ne aveva combinata unaa scuola. E per la verità abbastanzagrossa. Ci spiegava che il direttoredidattico era passato dalla sede dis-taccata per portare gli auguri diNatale.La classe era sprofondata in un silen-zio timoroso, a un certo punto il diret-tore, mentre sfogliava il registro,puntò il dito e disse, come inondatoda subitanea estasi: «Mario, guardala campagna che in questo periododell'anno è ricoperta dalla neve; leacque diafane nelle quali si specchiaun pallido sole. Su, dunque, fai unbel pensierino...».Mario non aveva capito bene e, sic-come era l'ora della merenda, rispo-se risoluto, non prima d’essersi grat-tato un paio di volte la crapa: «A memi piace il cicolàto».La maestra, Danila, una santa donnacome la bidella Giacomina, arrossì; ildirettore nascose la testa tra le pagi-ne del registro. Poi, passato l'attimodi comprensibile choc, tuonò: «Ma èmai possibile che il tuo cervello nonriesca ad aggiungere altro...».L'ingenuo Mario, bassaiolo figlio dibassaioli, con le mani in tasca e ilperenne moccolo che a fatica cerca-va di trattenere nelle narici (di qui l'in-

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dimenticabile nomignolo «Candilòt»),allungò il pensierino dando fondo atutta la materia grigia che gli vagola-va tra i due emisferi: «A me mi piaceil cicolato al latte con indentro le nin-sole». Il direttore, annichilito da tantaispirazione, prese borsa e cappello einfilò la porta senza salutare né inse-gnante né allievi col cranio pelatoche fumigava. Il giorno di Natale, alla Messa delle10, la chiesa era stipata e noi erava-mo al fianco del sacrestanoDomenico, un omino che gli ottan-t'anni li aveva superati da chissàquanto tempo, il quale ci impartiva, inmodo brusco, gli ordini di rito.Eravamo vicini al confessionale, noie Mario, sotto la severa vigilanza diDomenico, il sacrestano più bizzosod'Italia, isole comprese.Terminata la Messa, Domenico ciricordò che alle 14.30 (a essere sin-ceri disse, papale papale: “Ai do emèsa che, puntuali! Se arrivate inritardo vi spacco in due”) avremmodovuto portare i ceri alla signoraBianca, una donnina di novant'anniche si era spenta la vigilia di Natale.Noi, a dire il vero, non avevamo maivisto un morto. Ne avevamo solosentito parlare. E la curiosità eragrande.Alle 2 e mezzo di un freddo pomerig-gio, il sacrestano ci ordinò d'indossa-re i vestiti da chierichetto: a noi diedei quattro ceri e a Mario, con altosenso di equità, una scatola di fiam-miferi, i sofranèi de lègn. La defunta abitava all'estremità delpaese, quindi c'incamminammo conla dovuta calma. Arrivati, bussammoalla porta: una signora ci fece entra-re e ci pregò caldamente di restare incasa un attimo da soli perché leidoveva assentarsi per qualche minu-to. Mario stette sull'uscio di casa,anzi più fuori che dentro. Noi, invece,terminata la posa delle candele, ciaggrappammo al bordo della baratenendo gli occhi fissi sul viso delladefunta per lunghi, silenziosi minuti.Alle 3 in punto la sveglia iniziò a suo-nare, inattesa e squassante: un trillo

talmente forte che fece scattarecome una saetta Mario. Noi, scossidalla paura, facemmo vibrare la barae - orrore - il capo della morta simosse leggermente! A quella vista,invasi dal panico ci tuffammo dallafinestra, ruzzolando in mezzo allastrada e via di corsa, come una leprequando ha al culo un cane de caccia!Quando arrivammo in chiesa, scon-volti, raccontammo al sacrestano chela morta aveva mosso la testa.Domenico, mentre masticava la suacicca di tabacco, sembrava non avernemmeno sentito, tanto rimanevaimpassibile. Poi, d'improvviso, cimollò un manrovescio, privilegiandoper la punitiva incombenza la suadestra guastatrice. Ma ecco che arri-va anche Mario in nostro aiuto e glidice che era vero, era vero...! Ma nonfece in tempo a terminare la fraseche un altro ceffone gli arrivò da die-tro le orecchie congelate e paonaz-ze, stavolta portato dalla mancina delsacrestano in seconda, Cechino.Eh sì. Come si fa a credere a dueingenue creature? Morale: da quelgiorno, e sono trascorsi cinquant’an-ni, quando ci rechiamo a far visita aun defunto, ci teniamo a... debitadistanza. Per non vedere. E soprat-tutto per non dover riferire...

Giuseppe BracchiGiornalista amico di Gabry

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