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9 771827 881004 00219 QUOTIDIANO • VENERDÌ 19 FEBBRAIO 2010 DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK cronache di di Ferdinando Adornato di Ferdinando Adornato EURO 1,00 (10,00 CON I QUADERNI) • ANNO XV • NUMERO 34 • WWW.LIBERAL.IT • CHIUSO IN REDAZIONE ALLE ORE 19.30 L ’autodifesa è la più antica legge della natura John Dryden Il premier cambia strategia ma difende Letta e accusa:«Vogliono colpire me».Il Papa:«Ma non dite che rubare è umano» Ora Berlusconi diventa Di Pietro Nessun clamore e un’unica foto ufficiale:«Col Dalai Lama abbiamo parlato solo di pace» Mr. Gyatso a Washington Malgrado la prudenza, mal- grado l’incontro non si sia svolto nello Studio Ovale, il summit tra Barack Obama e il Dalai Lama ha un valore sto- rico: perché schiera gli Usa con il Tibet contro le annun- ciate ritorsioni della Cina. Se- gno che Washington non teme lo scontro con Pechino. E che, comunque, preferisce schia- rarsi dalla parte dei diritti umani. Niente è per caso. Proprio nel giorno in cui Barack Obama incontra il Dalai La- ma, tutti i giornali cinesi aprono, com- mentando ovviamente in modo positivo, la decisione di Pechino di liquidare una buona parte dei suoi investimenti in buo- ni del Tesoro degli Usa. ROMA. Nel Pdl è cominciata la grande paura o, come dice qualcuno, la resa dei conti. Perché appare evidente che l’in- chiesta su Protezione Civile e Grandi eventi ha per bersaglio reale Gianni Let- ta. Questa circostanza rimette in moto tutti gli equilibri interni al partito: venen- do a cadere la forza stabilizzatrice del “grande mediatore”, le correnti interne hanno ripreso a confrontarsi, spesso a combattersi. I finiaini vanno avanti per la loro strada, i «dorotei» si scompaginano e i «belrluscones» non sanno se schiarar- si o no in difesa di Denis Verdini finito nelle pieghe dell’inchiesta. ROMA. Alla fine, dopo mesi e mesi di po- lemiche, dopo le richieste di arresto, do- po le mozioni di sfiducia, Nicola Cosenti- no si è dimesso. Dimesso da quasi tutto: da coordinatore del Pdl campano e dal sottosegretario all’Economia. Non da parlamentare, naturalmente. La ragio- ne? No, non è il clima di sospetto che oramai da tempo circonda l’esponente del Pdl, ma il fatto che il Popolo della li- bertà della Campania sarebbe intenzio- nato a sostenere Domenico Zinzi, del- l’Udc, alla presidenza della provincia di Caserta e non un uomo ”vicino” a Con- sentino medesimo. «Noi non siamo un movimento di indi- pendenza nazionale. E la Cina deve prendere atto che l’intera comunità in- ternazionale riconosce l’identità tibeta- na», dice Tseten Samdup Chhoekyapa, a capo della Rappresentanza del Dalai La- ma presso l’Unione Europea. di Vincenzo Faccioli Pintozzi ROMA. Prima dichiarazione: «Non credo ci sia dubbio sul fatto che chi sbaglia e com- mette dei reati non può pre- tendere di restare in nessun movimento politico. Le per- sone che sono sottoposte a indagini o processi non de- vono venire ricomprese nel- le liste elettorali». Seconda dichiarazione: «Attorno a Guido Bertolaso c’è un ver- minaio di malaffare e il coor- dinatore del Pdl Denis Verdi- ni, coinvolto nell’inchiesta, avrebbe dovuto autosospen- dersi dall’incarico di parti- to». Non sono parole di An- tonio Di Pietro ma, rispetti- vamente, di Silvio Berlusco- ni e del superfiniano Fabio Granata. di Riccardo Paradisi di Alessandro D’Amato di Errico Novi di Francesco Capozza di Antonio Picasso LA RITORSIONE FINANZIARIA E Pechino si vendica sul debito Usa IL RAPPRESENTANTE EUROPEO «Ma noi vogliamo solo libertà di culto» I TIMORI DENTRO AL PDL Il lungo assedio al sistema Letta IL SOTTOSEGRETARIO SI ARRENDE Cosentino si dimette ”sconfitto dall’Udc” a a p pa ag gi in na a 1 12 2 a a p pa ag gi in na a 1 14 4 a a p pa ag gi in na a 1 13 3 a a p pa ag gi in na a 2 2 a a p pa ag gi in na a 5 5 a a p pa ag gi in na a 3 3 Il Cavaliere sente aria di Tangentopoli e, con una mossa in stile maoista, torna ai tempi dell’indignazione: «Fuori dai partiti chi commette reati» Storico incontro alla Casa Bianca, Obama si schiera: «Forte sostegno ai diritti umani del popolo tibetano»

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aa ppaaggiinnaa 1122 aa ppaaggiinnaa 1144 aa ppaaggiinnaa 1133 QUOTIDIANO • VENERDÌ 19 FEBBRAIO 2010 DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK L ’autodifesa è la più antica Niente è per caso.Proprio nel giorno in cui Barack Obama incontra il Dalai La- ma,tutti i giornali cinesi aprono,com- mentando ovviamente in modo positivo, la decisione di Pechino di liquidare una buona parte dei suoi investimenti in buo- ni del Tesoro degli Usa. IL RAPPRESENTANTE EUROPEO legge della natura John Dryden

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ISSN 1827-8817

QUOTIDIANO • VENERDÌ 19 FEBBRAIO 2010 DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

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cronache di

di Ferdinando Adornatodi Ferdinando Adornato

EURO 1,00 (10,00 CON I QUADERNI) • ANNO XV • NUMERO 34 • WWW.LIBERAL.IT • CHIUSO IN REDAZIONE ALLE ORE 19.30

L’autodifesa è la più anticalegge della natura

John Dryden

Il premier cambia strategia ma difende Letta e accusa: «Vogliono colpire me». Il Papa: «Ma non dite che rubare è umano»

Ora Berlusconi diventa Di Pietro

Nessun clamore e un’unica foto ufficiale: «Col Dalai Lama abbiamo parlato solo di pace»

Mr. Gyatsoa Washington

Malgrado la prudenza, mal-grado l’incontro non si siasvolto nello Studio Ovale, ilsummit tra Barack Obama e ilDalai Lama ha un valore sto-rico: perché schiera gli Usacon il Tibet contro le annun-ciate ritorsioni della Cina. Se-gno che Washington non temelo scontro con Pechino. E che,comunque, preferisce schia-rarsi dalla parte dei dirittiumani.

Niente è per caso. Proprio nel giorno incui Barack Obama incontra il Dalai La-ma, tutti i giornali cinesi aprono, com-mentando ovviamente in modo positivo,la decisione di Pechino di liquidare unabuona parte dei suoi investimenti in buo-ni del Tesoro degli Usa.

ROMA. Nel Pdl è cominciata la grandepaura o, come dice qualcuno, la resa deiconti. Perché appare evidente che l’in-chiesta su Protezione Civile e Grandieventi ha per bersaglio reale Gianni Let-ta. Questa circostanza rimette in mototutti gli equilibri interni al partito: venen-do a cadere la forza stabilizzatrice del“grande mediatore”, le correnti internehanno ripreso a confrontarsi, spesso acombattersi. I finiaini vanno avanti per laloro strada, i «dorotei» si scompaginanoe i «belrluscones» non sanno se schiarar-si o no in difesa di Denis Verdini finitonelle pieghe dell’inchiesta.

ROMA. Alla fine, dopo mesi e mesi di po-lemiche, dopo le richieste di arresto, do-po le mozioni di sfiducia, Nicola Cosenti-no si è dimesso. Dimesso da quasi tutto:da coordinatore del Pdl campano e dalsottosegretario all’Economia. Non daparlamentare, naturalmente. La ragio-ne? No, non è il clima di sospetto cheoramai da tempo circonda l’esponentedel Pdl, ma il fatto che il Popolo della li-bertà della Campania sarebbe intenzio-nato a sostenere Domenico Zinzi, del-l’Udc, alla presidenza della provincia diCaserta e non un uomo ”vicino” a Con-sentino medesimo.

«Noi non siamo un movimento di indi-pendenza nazionale. E la Cina deveprendere atto che l’intera comunità in-ternazionale riconosce l’identità tibeta-na», dice Tseten Samdup Chhoekyapa, acapo della Rappresentanza del Dalai La-ma presso l’Unione Europea.

di Vincenzo Faccioli Pintozzi

ROMA. Prima dichiarazione:«Non credo ci sia dubbio sulfatto che chi sbaglia e com-mette dei reati non può pre-tendere di restare in nessunmovimento politico. Le per-sone che sono sottoposte aindagini o processi non de-vono venire ricomprese nel-le liste elettorali». Secondadichiarazione: «Attorno aGuido Bertolaso c’è un ver-minaio di malaffare e il coor-dinatore del Pdl Denis Verdi-ni, coinvolto nell’inchiesta,avrebbe dovuto autosospen-dersi dall’incarico di parti-to». Non sono parole di An-tonio Di Pietro ma, rispetti-vamente, di Silvio Berlusco-ni e del superfiniano FabioGranata.

di Riccardo Paradisi

di Alessandro D’Amato

di Errico Novi di Francesco Capozza

di Antonio Picasso

LA RITORSIONE FINANZIARIA

E Pechino si vendicasul debito Usa

IL RAPPRESENTANTE EUROPEO

«Ma noi vogliamosolo libertà di culto»

I TIMORI DENTRO AL PDL

Il lungo assedio al sistema Letta

IL SOTTOSEGRETARIO SI ARRENDE

Cosentino si dimette”sconfitto dall’Udc”

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Il Cavaliere sente aria di Tangentopoli e, con una mossa in stile maoista, torna ai tempi dell’indignazione: «Fuori dai partiti chi commette reati»

Storico incontro alla Casa Bianca, Obama si schiera:«Forte sostegno ai diritti umani del popolo tibetano»

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Corruzione/1. «Chi ha responsabilità penali deve andare fuori dai partiti». Ora Silvio parla proprio come Di Pietro (e Granata)

Berlusconi fa il maoistaIl premier sente aria di una nuova Tangentopoli e torna giustizialistacome alle origini. Così, in accordo con Fini, prova a riprendersi il Pdl

di Riccardo Paradisi

rima dichiarazione: «Noncredo ci sia dubbio sulfatto che chi sbaglia ecommette dei reati non

può pretendere di restare innessun movimento politico. Lepersone che sono sottoposte aindagini o processi non devonovenire ricomprese nelle listeelettorali. Ma se ci sono deidubbi sulla loro colpevolezzasarà l’ufficio di presidenza adecidere caso per caso».Seconda dichiarazione: «Attor-no al direttore della Protezionecivile Guido Bertolaso c’è unverminaio di malaffare ed ilcoordinatore del Pdl Denis Ver-dini, coinvolto nell’inchiesta,avrebbe dovuto autosospen-dersi dall’incarico di partito».Non sono il leader dell’Idv An-tonio Di Pietro e il suo fidoMassimo Donadi a parlare. No:sono, rispettivamente, il presi-dente el Consiglio Silvio Berlu-sconi e il superfiniano vicepre-sidente della commissione An-timafia Fabio Granata.

SSuu BBeerrlluussccoonnii e su questo ri-torno al giustizialismo delleorigini (già postcraxiane) arri-veremo e anche sulla teorizza-zione dell’ufficio di presidenzacome tribunale politico e cassa-zione morale degli esponentidel Pdl. Intanto è sintomaticoquello che dice Granata e iltempismo con cui esterna l’e-sponente siciliano del Pdl. Gra-nata infatti non si limita a fa-re il censore del centrode-stra, un ruolo che gli haguadagnato tante simpa-tie a sinistra quanta av-versione all’interno delPdl. Granata chiede an-che un mutamento nel-la gestione del Pdl edefinisce ”contraddit-toria” l’immagine cheil partito sta offren-do.«Dobbiamo evita-re i doppi incarichidi partito e di gover-no. Al posto dell’at-tuale triumviratooccorre un coordi-namento vero, chedia un indirizzo cer-to».È il profilo del nuovocoordinamento giàprefigurato anche daquesto giornale, coor-dinamento unico cona capo Sandro Bondiaffiancato dall’attualevicecapogruppo alla Ca-

Pmera del Pdl Italo Bocchino.Un archiviazione del triumvira-to che era già nei progetti deivertici del partito e che avevatrovato il placet di GianfrancoFini, con questa ipotesi final-mente rappresentato da unodei suoi fedelissimi e non piùda Ignazio La Russa, troppocompromesso per il presidentedel Consiglio con il berlusconi-smo. La caduta d’immagine diVerdini non ha fatto altro cheagevolare questa prospettivache dovrebbe concretizzarsidopo le regionali.Per questo, all’interno del Pdl,in quel settore del partito cheruota intorno alle figure mode-rate che si erano date convegnoal meeting di Arezzo, la sortitadi Granata viene giudicata ad-dirittura sciacallesca. PerchéGranata parla di Verdini e ca-valca la tigre dell’indignazionee del moralismo per accelerarel’archiviazione di una figurachiave nella costruzione diun’area moderata nel Pdl espingere con più velocità possi-

bile Bocchino al vertice del par-tito. In questa strategia Granatarilancia anche su liste pulite: «IlPresidente Pisanu – dichiara –ha stilato un testo rigoroso eche ha quegli elementi di filtrosulle candidature che avevamochiesto».Insomma un modo per rilancia-re la partita politica interna suCosentino, ma soprattutto perassicurarsi il ruolo del moraliz-zatore interno. Granata non simuove da solo. Il Secolo d’Italiaieri titolava: ”Pdl, adesso opera-zione liste pulite”, registrandoil fatto che il Pdl ”soltanto ades-so”sposa la battaglia di Grana-ta sull’approvazione in com-missione Antimafia del codiceetico per i candidati. «Dunquenon aveva poi sbagliato Gian-franco Fini – scrive sempre ilSecolo – quando ha invitato tut-to il partito alla prudenza sullacandidatura di Cosentino inCampania. La politica, da partesua, non può non affrontare ilproblema. Non fosse altro permunirsi di nuovi anticorpi ver-so questa nuova ondata di casiche rischiano di alimentare an-cora la disaffezione dei cittadi-ni dalla politica». Ad aprire ledanze di questo refrain era sta-to il presidente della CameraGianfranco Fini, censurando ilcaso Pennisi e chiarendo chechi ruba è solo un ladro.Ma se nel Pdl c’è chi denuncialo sciacallaggio politico su Ver-dini anche nel giro più stretta-mente berlusconiano non èche per il coordinatore indaga-to ci si sia stracciati più di tan-to le vesti.

ÈÈ ssttaattoo nnoottaattoo infatti che ilcoordinatore del Pdl non ha in-cassato poi molti attestati di so-liadarietà. Il motivo non è soloperché Denis ha un cattivo ca-rattere e non risulta tropposimpatico. È che Verdini rap-presetava comunque il più con-creto ostcolo al passaggio allanuova configurazione del coor-dinamento nazionale del Pdl,evoluzione che preme moltoanche ai berlusconiani.E veniamo così a Berlusconi ealla sua torsione neogiustiziali-sta. Anche al Cavaliere l’attualetriumvirato è venuto a grandenoia. Gli attribuisce funzioni discudo tra lui e il partito e so-prattutto i pasticci locali. Daquelli grandi, come la perdutacandidatura di Adriana PoliBortone in Puglia, a quelli piùpiccoli come quelli avvenutinelle Marche, dove cacicchi lo-

di Giuseppe Baiocchi

Forse il premier teme che la Lega torni forcaiola

Il gioco dell’Oca del Cavaliere

ra “mariuoli” e “birbantelli” la differenza semantica èdavvero molto poca. Eppure, con un ritardo di 18 anni,sembra di assistere a un replay di uno scenario già am-piamente vissuto. E cioè che, come in un eterno “gioco

dell’oca”arriva il punto dove uno sfortunato tiro di dadi impo-ne di ritornare alla casella di partenza. Il sapore forte dellastagione 1992-93 ha lasciato nostalgie stranamente condivise.E il premier sembra assomigliare all’improvviso al primo, maanche al penultimo Di Pietro, quando si pretendeva di espel-lere i corrotti (giudicati, rinviati a giudizio o solo indagati) dal-la vita politica, dalle candidature elettorali e dall’appartenen-za ai partiti. L’inaspettato sussulto di moralità discende pro-babilmente dal timore che la facile impronta giustizialistafaccia presa in un paese incerto e smarrito alla vigilia di ele-zioni regionali che ormai hanno acquistato il valore di un esa-me di maturità per un governo e una maggioranza che sannodi aver deluso in buona parte le aspettative di cambiamentomanifestatesi impetuosamente alle politiche del 2008. E forsei sondaggi quotidiani e riservati che planano ogni giorno sul-le scrivanie di Palazzo Grazioli segnalano una disaffezioneinattesa per il Popolo della libertà a vantaggio di altri, maga-ri proprio di quell’ingombrante alleato della Lega, che hasempre avuto il “naso”più adatto a cogliere gli umori e i maldi pancia dei ceti meno rappresentati dall’universo mediatico.

LLaa mmaaggiissttrraattuurraa nnoonn è più allora l’occhiuto e impunito per-secutore di un assetto politico consacrato dalla sovranità del-la democrazia: diventa (o meglio ridiventa) l’attore principe diun processo rivoluzionario che consolida un affermato siste-ma di potere confermato da un gioco delle parti e un altret-

tanto ripetuto “gioco degli opposti”. Se, come si è spessonotato il giustizialismo alla Di Pietro si costituiva co-

me oggettiva stampella del conglomerato berlusco-niano, sembra ora che l’uscita “moralizzatrice” delpremier finisca per aiutare (e non di poco) proprioDi Pietro in una fase di evidente difficoltà, dopo lasoffertissima scelta di appoggiare un “rinviato agiudizio”come candidato governatore della Cam-pania.“Simul stabunt”… eccetera… Nell’orgia diintercettazioni sulla Protezione Civile e tutti gliaddentellati, ben ventimila pagine, si vede chia-ramente che ognuno pesca quello che gli serve.Gli schizzi di fango sono indirizzabili in tutte ledirezioni. E allora è forse comprensibile che,nella difficoltà di un governo deludente, si ri-torni a sostenersi a vicenda con l’avversario disempre. Nel comune interesse di sgombrare ilcampo dell’arena mediatica di quella cosacomplicata e di incerta comunicazione che èla necessaria arte della politica.

QQuuaannddoo llaa ssttoorriiaa si ripete, diceva Marx, datragedia si abbassa alla farsa. E, oltretutto,questa volta manca l’icona che sulle reti Me-diaset costruiva il mito in quegli impagabilicollegamenti con Fede e Mentana dal marcia-

piede di Palazzo di Giustizia: Paolo Brosio, ful-minato sulla via di Medjugorje, è ormai soloun fan della Madonna…

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pagina 2 • 19 febbraio 2010 politica

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ROMA. «Mi sono dimesso perchè voglio libe-rare il campo da ogni strumentalizzzzione invista della campagna elettorale». Nicola Co-sentino conferma le dimissioni da coordinato-re regionale del Pdl in Campania e da sottose-gretario all’Economia spiegando che la suascelta è dettata alla volontà di non voler esse-re oggetto di strumentalizzazioni in vista delvoto di marzo. Le dimissioni, come specifica-to dalla portavoce del deputato, «sono irrevo-cabili». L’annuncio dell’uscita dal governo edall’incarico dirigenziale nel partito è giuntaproprio mentre dal verticetra Silvio Berlusconi, Gian-franco Fini e i coordinatoridel Pdl era trapelata la noti-zia del via libera all’alleanzaPdl-Udc in Campania. Co-sentino aveva contestato ilpatto tra il presidente delConsiglio e il segretario cen-trista Lorenzo Cesa, che as-segna la Provincia di Caser-ta a Domenico Zinzi (segre-tario regionale dell’Udc) incambio del sostegno dei cen-tristi al candidato in RegioneStefano Caldoro. La tensio-ne all’interno del Pdl campa-no era cominciata a saliredopo l’annuncio di martedìdi un’intesa Pdl-Udc in se-guito a una telefonata tra ilpremier e il segretario cen-trista Cesa. Si era infiamma-to, in particolar modo, ilfronte Caserta, con Cosenti-no che, sentendosi semprepiù accerchiato, aveva mi-nacciato le dimissioni dacoordinatore regionale - poiconcretizzatesi nel pomerig-gio di ieri - e rivendicato unpresidente Pdl alla Provinciadi “Terra di lavoro”. Poltrona che invece Berlu-sconi e Cesa si erano accordati per assegnareal segretario campano dell’Udc.

DDaallllee mmiinnaaccccee aall ggeessttoo concreto c’è statoun fuoco incrociato aperto nella mattinata diieri dallo stesso Cosentino, ricevuto per un’o-ra da Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli. Ilsottosegretario aveva ventilato direttamenteal premier l’ipotesi di dimissioni da coordina-tore regionale contestando l’intesa su Caser-ta, in particolare sul nome del deputato Do-menico Zinzi dell’Udc. Cosentino continuava- ancora ieri all’uscita da quell’incontro - apuntare sul senatore Pdl Pasquale Giuliano e,credendo di aver convinto Berlusconi a rom-pere l’accordo con l’Udc, era uscito «soddi-sfatto» da Palazzo Grazioli.A Napoli, intanto, Ciriaco De Mita riuniva ilvertice Udc napoletano in via Santa Brigida,comunicando e confermando l’intesa per laRegione, ma chiarendo: «A noi non interessal’assessorato alla sanità. All’Udc interessa lariorganizzazione dei servizi, il riequilibrio di

poteri tra giunta e consiglio, il trasferimentodi funzioni a Province e Comuni». E spiegavaai suoi che l’accordo con il centrosinistra nonè stato possibile in Campania per le divisioninella coalizione e perché Enzo De Luca ha di-viso più che unire.Nelle stesse ore a Roma parlava Rocco Butti-glione: «Non mi risulta che si siano riaperti igiochi in Campania. Martedì il presidente delConsiglio Berlusconi ha sentito Cesa assicu-rando che va tutto bene». Alle 15 il ministroIgnazio La Russa, nel capoluogo partenopeo

domenica scorsa per unamanifestazione elettorale epoi per la partita Napoli-In-ter, aveva annunciato: «Sia-mo d’accordo con l’Udc perla Campania, ma ancoranon è definita l’intesa perCaserta». Un’ora più tardituonano i senatori PasqualeGiuliano e Gennaro Coro-nella, coordinatori del Pdlcasertano: «Il candidato pre-sidente della Provincia toccaa noi. Un limite invalicabile,così come ribadito all’unani-mità in più occasioni». Coor-dinamento che la scorsa set-timana aveva indicato pro-prio in Pasquale Giuliano ilcandidato alla Provincia.

EE nnoonn èè ffiinniittaa.. Mentre ilcandidato alla guida dellaRegione, Stefano Caldoro,da Roma annunciava che ilsuo sarà «il governo dei mi-gliori con persone capaci ecompetenti», intervenivaGianni Mancino, segretariodell’Udc di Caserta: «Non cipossono essere accordi di-sgiunti, la Regione e la Pro-

vincia di Caserta vanno di pari passo». Stes-sa posizione dal commissario napoletanoUdc Ciro Alfano: «Nessun cambio di rotta».Mentre da Roma intervieniva anche Pierfer-dinando Casini: «So soltanto che Cesa e Ber-lusconi sono d’accordo, del resto non mi im-porta». «La telenovela tra Pdl e Udc si è tra-sformata in film western» commentava ieri ilsegretario regionale del Pd Enzo Amendola.E come se non bastasse, ancora ieri mattina,da Salerno, il presidente della Provincia Ed-mondo Cirielli annuncia che nel pacchetto dicandidati Pdl alla Regione c’è Alberico Gam-bino, ex sindaco di Pagani condannato in pri-mo grado per peculato. Con tanti saluti al “co-dice etico” invocato in quelle stesse ore daBerlusconi. Quindi il caos. Con il ministroFranco Frattini costretto a rinviare in tuttafretta il comizio napoletano previsto per ierisera. La notizia delle dimissioni di Cosentinoha comunque colto di sorpresa il mondo poli-tico. Il capogruppo del Pd, Dario Franceschi-ni, è intervenuto in aula alla Camera per chie-dere conferma delle dimissioni.

Il nodo è la candidatura per la provincia di Caserta:Pdl e Udc si sarebberoaccordati a puntare su Domenico Zinzi e nonsu un «cosentiniano»

di Francesco Capozza

Berlusconi e Fini sembrano d’accordo sulla questione morale. A destra, Nicola Cosentino. A sinistra, Denis Verdini

19 febbraio 2010 • pagina 3politica

Il sottosegretario abbandona anche il coordinamento campano

Cosentino si dimette “sconfitto dall’Udc”

Il politico accusato di concorso esterno alla camorralascia in polemica con le scelte per le Regionali

cali hanno brigato per far cade-re una candidatura al governa-torato della Regione, che alpremier era molto gradita. Conla torsione ”dipietrista” torna ilBerlusconi decisionista, veloce,antipolitico che si mostra impa-ziente di sbarazzarsi di lacci elacciuoli interni, si fa severoverso i pasticcioni, freddo per isospetti di aver pasticciato eche nel suo nuovo balzo mostrasolidarietà solo ai suoi collabo-ratori più esecutivi come GuidoBertolaso e Gianni Letta,”vittima di inciviltà e barbarie”:«Sembra quasi che sia un pec-cato darsi da fare. Se c’è qual-cuno di veramente straordina-rio sul piano dell’operosità,qualcuno che opera per il benecomune è proprio il dottor Let-ta». Ma per il resto Berlusconiappunto gioca la carta del mo-ralizzatore. Parla di liste pulitedopo che in questo giorni loavevano fatto sia il capogruppodel Pdl Fabrizio Cicchitto chel’altro coordinatore del PdlIgnazio La Russa, incalzato aMilano da una Lega divenutamolto aggressiva nei confrontidell’avversario interno dopo ilcaso Pennisi. Parla di liste puli-

te, rispolvera la divisa dell’anti-politico cavalcatore delle tigrigiustizialiste dei lontani anniNovanta.Un balzo maoista il suo, da ri-voluzione culturale. Un saltomortale per afferrare al volosia l’alleanza tattica con l’av-versario Fini – per stringere latenaglia sui dorotei del Pdl –sia la nuova possibile ondad’indignazione morale che po-trebbe sorgere nel Paese difronte a una nuova ondata discandali in tempi di forte crisieconomica. Sia infine per er-gersi, fino alla naturale succes-sione, giudice supremo degliuomini del partito: «Se ci sonodei dubbi sulla loro colpevolez-za sarà l’ufficio di presidenza adecidere caso per caso». Il casoCosentino che si è conclusocon le dimissioni dell’ex sotto-segretario all’Economia è unprimo segnale el nuovo corso.Cosentino si dimette perché ilcandidato presidente della pro-vincia di Caserta, come è statodeciso dal vertice Berlusconi-Fini sarà il deputato Udc Do-menico Zinzi e non PasqualeGiuliano, il senatore Pdl vicinoa Cosentino.

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di Errico NoviROMA. Gianni Letta è molte co-se insieme. Formalmente hal’incarico di sottosegretario al-la presidenza del Consiglio so-lo perché nell’aprile del 2008 cifu un veto leghista su di lui.Avrebbe dovuto assumere l’in-carico di vicepremier, ma Um-berto Bossi pose la sua condi-zione per il tramite di RobertoCalderoli: via libera solo se divice se ne fanno due, e uno vaal Carroccio. Resta così in piediun equivoco nominale, perchéLetta è molto più di un sottose-gretario alla presidenza delConsiglio. «È il vero presiden-te», disse dopo la vittoria del2001 lo stesso Berlusconi. «Èquello che lavora più di tutti».Se sulla seconda affermazionenon ci sono dubbi, viene spessoil sospetto che in questi diecianni sia divenuta vera anche laprima. E che a Silvio spetti dasempre un ruolo da “frontman”, la cui sostanza politica èperò nelle mani del suo insepa-rabile braccio destro.

AA ppeennssaarrccii bbeennee Letta è la ve-ra politica berlusconiana di que-sti anni. Uno stile in cui c’è pri-ma di ogni cosa l’anelito instan-cabile ad accontentare tutti. Igrandi poteri ma anche gli in-terlocutori meno blasonati. Ber-lusconi fa fuoco e fiamme, mi-naccia sempre di cambiare il

Paese dalla testa ai piedi e difarlo senza riguardo per i quartidi nobiltà. Poi però non procede,perché quella macchina miste-riosa che è la politica, e il gover-no della cosa pubblica, esercitasu di lui un magnetismo ambi-valente, di attrazione e repulsio-ne allo stesso tempo. Così, nel-l’immobile dubbio del Cavalie-re, ci deve essere uno che di po-litica alla fine si occupa, e che lofaccia in modo da non creareconflitti con quell’energia mi-steriosa che i poteri sprigiona-no. Di fronte a un’inchiesta co-me quella sul G8, con relativeramificazioni aquilane, in cui lostesso Berlusconi vede il marcioe ordina di ripulirlo via, tutti so-no potenzialmente colpevoli,per il Cavaliere, di «aver presta-to il fianco ai giudici e alla sini-stra», secondo un’espressione alui riferita. Tutti, tranne Gianni.«Gianni non si tocca, se cade luiviene giù tutto». Eppure non c’ènulla di più incompatibile tra ifuochi pirotecnici del Berlusco-ni guerrigliero e la mite, pazien-te, diplomatica tela tessuta gior-no dopo giorno da Letta propriocon i bersagli sotto il tiro delpremier. Tante volte Silvio sem-bra l’iperbole, e Gianni la realtà.E se la realtà non stesse dallaparte del secondo, si può star

soluta affidabilità. Rapporti di-stesi e cordiali, costruttivi anche,con tutti: quando per esempio laFiat diventa il nemico numerouno di un ministro come Scajolae in qualche modo di tutto il go-verno, Letta è l’unico canale di-plomatico sempre aperto. Rap-porti con tutti, ma fiducia totalein pochi. Se una rete di Letta esi-ste, è questa, è la rete dei Berto-laso, non quella dei miserabiliche ridacchiano sulle maceriedel terremoto.

IInn lliibbrreerriiaa c’è da qualche setti-mana Gianni Letta, biografianon autorizzata scritto da duegiornalisti,Giusy Arena e FilippoBarone. Non è un libro agiogra-fico, ed è comprensibile che inqueste ore non circolino solo ar-ticoli di carattere celebrativo, sulbraccio destro di Berlusconi. Ep-pure se una responsabilità puòessere addebitata, a Letta, è nel-la disponibilità a discutere contutti, anche a negoziare con leparti avverse. Le dimostrano lestesse intercettazioni in cui com-paiono lui e Bertolaso: il qualeper esempio si lamenta, a propo-sito di una procedura d’infrazio-ne avviata dall’Unione europeaper il G8 alla Maddalena e le re-lative controindicazioni ambien-tali, che «in ambasciata ci sonoancora quelli messi da Pecoraro,che la Prestigiacomo non è an-

certi che il primo l’avrebbe di-sconosciuto assai prima dell’av-viso di garanzia a Bertolaso.

SSee pprroopprriioo ssii pprreetteennddee unaprova ulteriore, basta rileggerele frasi pronunciate da Berlusco-ni nelle ultime quarantott’ore.Soprattutto quel «merita il Quiri-nale». Ambizione che pure tantevolte è stata attribuita al Cavalie-re: ma evidentemente il legameavvertito con Letta è così indis-

solubile da spingere il premier adividere tutto, anche il prestigioistituzionale più alto. Nonostan-te quella così netta diversità diapproccio, che d’altra parte fadel sottosegretario l’unico, veroalter ego del premier. «Non c’èdubbio che Letta sia portato acercare di smussare gli angoli, acomporre, a portare avanti in-

somma un certo tipo di politicache non è quella di Berlusconi, ilcui tratto distintivo è il piglio de-cisionista», commenta con libe-ral Augusto Barbera. A proposi-to delle molte cose che Letta è, dicui si parlava all’inizio, il costitu-zionalista ricorda come al consi-gliere di Berlusconi siano toccati«due settori molto delicati, tra-volti da altrettante bufere: quellasui servizi segreti, da cui Letta èuscito egregiamente, e questasulla protezione civile: e anchestavolta, visti gli addebiti rivolti aBertolaso che paiono piuttostodeboli, credo che il sottosegreta-rio ne verrà fuori».

SSoonnoo ppoocchhii a dubitarne. Di soli-to Antonio Di Pietro si abbando-na a strepiti degni di una erinniogni volta che Berlusconi reagi-sce a un’offensiva giudiziaria.Nel caso di Letta ha invece man-tenuto un insolito contegno: «Ve-diamo prima cosa effettivamen-te si contesta a Bertolaso», si è li-mitato a dire. Perché certo, lasorte del grand commis di Palaz-zo Chigi appare ora fortementeconnessa a quella del capo dellaProtezione civile. Uno dei tratticaratteristici del Letta vicepre-mier, o alter ego del premier, èquella di investire con sicurezzae decisione su poche figure di as-

Secondo Barbera«il sottosegretario,seppur travolto dalla bufera, alla fine ne uscirà bene anche questa volta,come tutte le altre»

Corruzione/2. Vacilla la dottrina della mediazione che per anni ha bilanciato le esuberanze del Cavaliere guerrigliero

Assedio al metodo Letta«Contro di lui solo barbarie e inciviltà»: il premier lo difendea spada tratta ed è pronto a “cedergli” persino il Quirinale

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19 febbraio 2010 • pagina 5politica

di Marco Palombi

Battaglia alla Camera sulla fiducia e sullo «scudo giudiziario»

E, sul decreto, Fini sfida la maggioranza

ROMA. Niente scudo giudiziario per i com-missari governativi per l’emergenza rifiuti inCampania e niente fiducia. Finisce così la fi-brillazione nella maggioranza sul cosiddetto decreto Protezione civile. Non prima, peral-tro, che le piroette del governo costringano ilpresidente della Camera, Gianfranco Fini, afar trapelare alle agenzie la sua “irritazione”ufficiale. Era accaduto che il governo, dubbio-so sulla tenuta della maggioranza e timorosodi trascinare troppo a lungo un testo su un te-ma così incandescente, nei giorni scorsi s’eraorientato a porre la questione di fiducia. Dopola disponibilità dell’opposizione a ritiraregran parte dei suoi emendamenti, però, l’ese-cutivo ci aveva ripensato: niente fiducia eavanti col confronto in aula. La notte di mer-coledì però, le intercettazioni che lambivanopalazzo Chigi, avevano di nuovo spinto SilvioBerlusconi e i suoi sulla stra-da dell’atto di forza: ieri mat-tina, quindi, tutti scommette-vano di nuovo sulla questio-ne di fiducia. Poi di nuovo ti-rava aria d’accordo e poi an-cora di fiducia.

ÈÈ aa qquueessttoo ppuunnttoo che Finiha dato lo strattone definiti-vo. Nella conferenza dei ca-pigruppo di ieri mattina hachiesto per ben due volteagli inviati del governo, ElioVito e Guido Bertolaso: «Mainsomma la mettete o no laquestione di fiducia?». Equelli, per due volte, hannorisposto: «Non lo sappia-mo». Il presidente della Ca-mera allora s’è spazientito,ha chiarito che i patti si ri-spettano, che non c’era bi-sogno della fiducia vista ladisponibilità dell’opposizio-ne a tagliare i tempi e che,se fossero andati avanti lostesso, lui sarebbe ricorsoal cosiddetto “Lodo Iotti”. Ilriferimento è a un prece-dente creato dall’allora pre-sidente comunista, secondoil quale dopo il voto di fidu-cia – per non conculcare al-meno il diritto di tribunadella minoranza – si discu-tono tutti gli emendamentipresentati e solo dopo sipassa al voto sugli ordini del giorno e al vo-to finale. Risultato: giorni di aula bloccata edecreto Milleproroghe, che è in coda a quel-lo sulla Protezione civile, a rischio (scade il28 febbraio). A quel punto il governo, dopoun ulteriore codazzo di riunioni e concilia-boli, ha ceduto: «Accordo fatto», ha annun-ciato il vicecapogruppo del Pdl Italo Bocchi-no: via all’esame del testo con la quarantinadi emendamenti rimasti e voto finale previ-sto entro oggi. A ruota anche Bertolaso, nonpiù munito dello scudo campano: «L’obietti-vo è creare un clima di maggiore serenità ecollaborazione».

««AAbbbbiiaammoo ffaattttoo un casino», diceva invecesconsolato Fabrizio Cicchitto lasciando gli uf-fici di Fini. Il fatto è che, a parte il cazziatonesemipubblico di Fini, il Pdl ieri non ha tenutoconto nemmeno dell’ostilità della Lega alla so-luzione fiducia, ostilità peraltro rafforzata dal-lo spauracchio del “Lodo Iotti”, che avrebbemesso a rischio la norma taglia-poltrone cheRoberto Calderoli ha inserito nel Milleproro-ghe e che il Carroccio vuole giocarsi in campa-gna elettorale. I lumbard hanno interpellatoanche Umberto Bossi, che peraltro già ieriaveva fatto sapere: «Io su questa storia dellaprivatizzazione non sono d’accordo». Quantoall’inchiesta sul G8 a La Maddalena e dintor-ni, gli effetti politici ieri sembravano scorreresotto traccia. Al di là delle tensioni interne alPdl, sopite dall’attivismo mediatico di SilvioBerlusconi anche nella versione fustigatore

della corruzione e dei “bir-bantelli” che fanno politica,lo schieramento attorno al-l’onore insidiato di GuidoBertolaso (e Gianni Letta) èstato granitico. Oltre al pre-mier, anche il suo portavocePaolo Bonaiuti ha parlato intv del «vezzo di pronunciaresentenze mediatiche», «didar vita a processi mediatici»che si basano sullo «spazioenorme concesso all’accusa,pubblicando intere pagine diintercettazioni, meglio anco-ra se con aspetti piccanti».

AAnncchhee iill ssiinnddaaccoo di RomaGianni Alemanno (come unodei suoi predecessori, Fran-cesco Rutelli) ha trovato iltempo di posizionarsi nellalinea di difesa dell’uomo del-le emergenze: «Sono convin-to che ne uscirà bene e poinon mi sembra che nell’in-chiesta ci siano addebiti rea-li, tanto è vero che non ha ri-cevuto nemmeno un avvisodi garanzia». L’ex socialista(oggi Pdl) Donato Robilotta,ha addirittura mandato unalettera di solidarietà a Berlu-sconi per l’inchiesta controBertolaso: «La strategia èchiara: colpiscono Bertolasoper attaccare Gianni Letta,così indeboliscono il premier

per prepararsi successivamente all’attacco fi-nale. Film già visto». All’estero la faccenda lavedono in maniera più sfumata. Di Bertolaso,l’Economist in edicola oggi parla addiritturaal passato: «Colui che sembrava impersonareil lato migliore dell’Italia», lo definisce il setti-manale britannico, peraltro assai scettico sulfatto che il rifiuto di Berlusconi di accettare lesue dimissioni possa «limitare i danni politi-ci» della vicenda. Anche perché, come ricordaqualcuno anche nel centrodestra, Bertolasonon è solo l’insostituibile capo della Protezio-ne civile, è anche sottosegretario di questo go-verno, cioè un esponente politico.

L’incertezza nella maggioranza ha bloccato i lavori,fino a quando Cicchittoha ammesso «Sì, abbiamo fatto proprio un casino»

CITTÀ DEL VATICANO. «L’es-sere umano è ferito, il peccatoha ferito la natura umana».Per questo, rileva il Papa, «sidice ha mentito, è umano; harubato, è umano: ma questonon è il vero essere umano»,

ricorda ai sacerdoti di Roma,nella Lectio che quest’annoha sostituito il tradizionale”botta e risposta”con i parro-ci avviato da Papa Wojtyla.Per il Pontefice, dunque «es-sere uomo secondo la volontàdel Creatore significa esseregeneroso, volere la giustizia,la prudenza, la saggezza» e«con l’aiuto di Cristo uscireda questo oscuramento della

nostra natura». Il vero uomo,cioè, «partecipa alle sofferen-ze degli essere umani, è uomodi compassione. Il vero uomonon vive solo nella contem-plazione della verità, beato efelice. Il sacerdote entra comeCristo nella miseria umana,va verso le persone sofferentie prende su di sé quelle mise-rie». E ogni sacerdote, hascandito Ratzinger, «deve es-sere uomo, cioè completa-mente umano». «Proprio Cri-sto ha mostrato il vero uma-nesimo, sempre fissato inDio», portando «tutto l’esseree la sofferenza umana nellapassione», ha aggiunto il Ve-scovo di Roma chiedendo ai”suoi”sacerdoti di non isolar-si: «Dobbiamo essere presen-ti nella passione di questomondo per trasformarlo ver-so Dio. E come Gesù piangedavanti alla morte e alla di-struzione provocate dagli uo-mini, e ha gridato sulla Croce,così anche il nostro sacerdo-zio non si limita alla messa,ma deve saper portare la sof-ferenza del nostro mondo co-sì lontano da Dio». Il sacerdo-zio, ha concluso, «non è cosaper alcune ore, ma si realizzanelle sofferenze».

cora riuscita a sostituire». Ecco,casomai è questo il rimproveroche in questi anni Letta si è sen-tito spesso rivolgere: troppi po-sti-chiave lasciati ai nemici, trop-pe eccezioni liberali al ferreomantra dello spioil system. Glie-ne cantò di brutte Renato Bru-netta a Gubbio, nel settembre2005: «Basta con Gianni Letta,basta con Ciampi, con le media-zioni: Forza Italia deve ricomin-ciare a fare politica a viso aper-to». Invece lui, Letta, sarebbequello che cuce e ricuce lontanodai riflettori.

TTuuttttoo ssttaa acomprenderese questo mo-do di gestire ilpotere faccia ono comodo aBerlusconi.Tut-to fa pensareche gli servaeccome. IeriLetta ha ac-compagnato ilpresidente del Consiglio primanel pranzo di lavoro con Gian-franco Fini, da cui sono venutefuori scelte politiche importanticome l’accordo con l’Udc inCampania e le relative dimissio-ni «da tutto» di Cosentino. Poi al-le celebrazioni per l’anniversariodella firma dei Patti Lateranensia Palazzo Borromeo, sede del-

l’ambasciata d’Italia presso laSanta sede e luogo del primo in-contro tra il capo del governo e ilsottosegretario di Stato vaticanoTarcisio Bertone dai tempi delcaso Boffo. «Contro Letta c’è sta-ta solo barbarie e inciviltà», diceil Cavaliere. Ora sono in pochi aseguirlo nell’investitura per lapresidenza della Repubblica, eanzi Bersani gliela contesta, per-ché «al Colle ne abbiamo giàuno eccellente». Ma è certo chenon saranno molti a infierirecontro il sottosegretario. Al mas-

simo qualcu-no obietteràche lui gode diun salvacon-dotto infrangi-bile dovuto al-la solita prati-ca della me-diazione. Ma apochi conver-rebbe sostene-re che media-re equivale amanipolare e

a corrompere. Sarà che «se col-piscono Gianni, vuol dire che ca-sca un’intera classe dirigente,anche quella di sinistra», comedice Berlusconi. Ma in tempi delgenere, in cui anche una figuraimmacolata come quella di Ber-tolaso ondeggia nella bufera, so-no in pochi a riscuotere un cosìgenerale rispetto.

Il Pontefice ai parroci: «Il peccato ha ferito la naturadell’uomo; non si deve giustificarlo»

Il Papa: «Non dite che rubare è umano»

È lui, l’alter ego,il vero depositario della politicaberlusconiana: il premierfa fuoco e fiamme, ma la gestione del poterecompete solo a Gianni

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pagina 6 • 19 febbraio 2010 diarioEditoria. Per il direttore della Padania, servono regole precise: «Non si possono mettere tutti i giornali sullo stesso piano»

«Il vero nodo è la riforma»ietro alla propo-sta di eliminareil sostegno pub-blico all’editoria

leggo una sorta di schizofre-nia. È chiara a tutti la neces-sità di attuare una riformareale.Ma tutto questo non ser-ve a nulla senza una progetta-zione a lungo termine». Leo-nardo Boriani non ha mai cre-duto sul serio all’eliminazionedel diritto soggettivo all’edito-ria. Proposta che ha mobilita-to una petizione bipartisan,firmata da oltre metà parla-mentari e che ha portato lacommissione Cultura dellaCamera a votare all’unani-mità la proroga di almeno unanno delle attuali normativesull’editoria sul decreto mille-proroghe Sessant’anni di Va-rese, professionista da trenta-sei anni, Boriani è da più di seiè alla guida de La Padania,do-ve ha dapprima ricoperto lacarica di vice-direttore e dovegode della piena fiducia diUmberto Bossi.

Perché c’è un accani-mento contri i giornali dipartito?

Più che di un accanimentoparlerei di frenesia. Ma nonho mai creduto veramenteche si finisse di penalizzareveramente l’editoria. Nella si-tuazione attuale, non potevase non finire in questo modo.Il problema però c’è però ed èenorme e va affrontato asso-lutamente entro quest’anno.Quello di ieri è stato un “pan-nicello caldo”, una sorta ditoppa a una situazione che ri-schia di deflagrare, se nonviene messa mano al più pre-

sto a quella che è diventatauna specie di “selva”.

Non è che a qualcuno ildibattito interno ai parti-ti possa fare paura?

Non si può fare di tuttaun’erba un fascio. Dobbia-mo iniziare prima di tutto afare delle distinzioni all’in-terno dei giornali di partito.Possono magari avere qual-che problema di diffusione,ma soprattutto legato alleentrate pubblicitarie. Nonpossono sopravvivere senzagli aiuti pubblici.

Crede che alcuni quoti-diani rischino di com-

Non c’è il rischio di met-tere in piazza magari an-che qualche contraddi-zione interna ai partiti?

I giornali di partito sono ne-cessari per iniziare un’opera-zione di trasparenza. Bisognaavere il coraggio anche di farvedere qualche magagna ma-gari, qualche piccola contrad-dizione, ma credo che alla fi-ne il dibattito politico neuscirà rafforzato, i nostri elet-tori ci daranno fiducia, e cipremieranno.

Piero Ostellino al Rifor-mista ha detto che nonvede altro modo di argi-nare il conformismo senon con il sostegno diStato all’editoria...

Non posso che non essered’accordo con lui. Anche sepoliticamente siamo ovvia-mente un po’distanti…

Bossi si fida di lei?Con Bossi ho un rapportoquotidiano e vivace, ma senon ci fosse la fiducia,non po-trei mai continuare a farequesto lavoro...

Che rapporto ha con isuoi lettori?

La Padania ha una storia lun-ga ormai 13 anni, con un rap-porto molto forte con il terri-torio. Il nostro punto di forza èla garanzia di poter sapere,tramite il nostro quotidiano,tutto quello che accade dentroalla Lega. Ma c’è un rapportoconsolidato anche con le isti-tuzioni. Diciamo che è un po’merito anche nostro se la po-litica del Carroccio è un po’più vicina ai nostri elettori.

portarsi più come organidi partito?

No comment. Diciamo soloche per quei quotidiani dovec’è un’entrata pubblicitaria ildiscorso è completamente di-verso.

Secondo lei una riformaè necessaria?

Servono regole fisse, verifi-cando se un determinato gior-nale ha giornalisti assunti econ quale contratto, il tipo didiffusione, se è presente inedicola, se ha rappresentantiin Parlamento. E poi la storia,la tradizione. Non si può certomettere sullo stesso piano L’Unità e il Barbanera.

Cosa cambierebbe dellalegge sull’editoria?

Questa legge è un po’ ambi-gua e lo dico da professioni-sta. Alla Padania ho 25 gior-nalisti assunti, si figuri che cisono giornali dove non c’èneppure un praticante.

È d’accordo sul fatto chepossano aiutare il dibat-tito politico?

I quotidiani sono una realecinghia di trasmissione traun partito e il suo popolo.Quando sono diventato diret-tore de La Padania ho inizia-to a dedicare intere pagine alterritorio, proprio perché vo-levo iniziare un filo direttocon i miei lettori.

«I quotidiani di partito sono una reale cinghiadi trasmissione con il popolo. Il mezzomigliore per comunicare con il territorio»

Superata di slancio lametà dei deputati, prose-gue la raccolta di firme

per l’appello bipartisan volto aimpedire il blocco dei finan-ziamenti all’editoria. Ieri era-no 345 i deputati di tutti i par-titi (compresi Idv e Api, cheancora non avevano aderito)ad aver firmato l’appello.Maggioranza e opposizione,poi, hanno presentato alcuniemendamenti al decreto “mil-leproroghe” per consentire al-le testate giornalistiche, allecooperative no pro-fit e a quelle di par-tito di continuare apercepire i contribu-ti statali. Tutti chie-dono di sospendereper uno o due anni ilblocco dei finanzia-menti, che derivadalla cancellazionenella finanziaria deldiritto soggettivodelle testate cooperative e dipartito a percepire i fondi pub-blici. Gli emendamenti in que-stione, sostanzialmente identi-ci, sono stati presentati dalcentrodestra (prima firma del-la leghista Silvana Comaroli)e dal Pd (primo firmatarioPaolo Baretta). Le propostesono state depositate nellecommissioni Affari Costitu-zionali e Bilancio della Came-ra. Ieri mattina, poi, in com-

missione Cultura, nell’ambitodel parere sul “milleproroghe”,la relatrice Angela Fassinetti(Pdl) ha proposto la proroga diun anno le norme che conten-gono il diritto soggettivo per ifinanziamenti pubblici all’edi-toria. La proposta è stata vota-ta all’unanimità. «Abbiamo ri-tenuto di votare questa propo-sta - spiega Beppe Giulietti,portavoce di Articolo 21 - perrafforzare il fronte unitariocostituito queste settimane eper non dare alibi al governo

che a questo punto dovrà faresapere dove, come e quandointenda recepire questa indi-cazione unanime». Giulietti,Ricki Levi ed Emilia De Biasi(Pd) affermano che «la mora-toria sul diritto soggettivo ènecessaria per arrivare intempi brevissimi alla riformadell’editoria, ci attendiamoora dal sottosegretario PaoloBonaiuti che si definisca il ca-lendario».

Più di mezza Camerafirma l’appello

Boriani: «La proposta di eliminare il sostegno pubblico è schizofrenica»di Valentina Sisti

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19 febbraio 2010 • pagina 7diarioSecondo l’Istat, siamo arrivati

a 60 milioni 387mila

Aumenta la popolazione

(grazie agli immigrati)

ROMA. Sono iniziati pochi minuti dopo le 16di ieri i colloqui bilaterali tra l’Italia e la SantaSede in occasione dell’anniversario dei PattiLateranensi nella sede dell’ambasciata d’Italiapresso la Santa Sede. Erano presenti il pre-mier Berlusconi, accompagnato dal sottose-gretario Gianni Letta e il Segretario di Statovaticano, cardinale Tarcisio Bertone, accompa-gnato dai sostituti mons. Mamberti e Filoni.All’ambasciata sono arrivati anche il ministrodegli Esteri, Franco Frattini, il Nunzio vatica-no in Italia, monsignor Bertello, e il cardinaleAttilio Nicora, presidente dell’Amministrazio-ne del patrimonio della sede apostolica, tuttiricevuti dall’ambasciatore d’Italia presso laSanta Sede Zanardi Landi. Alle 17 in punto,invece, sono giunti presso palazzo Borromeo ipresidenti delle Camere, Renato Schifani eGianfranco Fini, il presidente della Corte Co-stituzionale Amirante e, pochi minuti dopo, ilpresidente della Repubblica Giorgio Napolita-no accompagnato dalla moglie Clio. I verticidei due Stati alcompleto, riunitiper commemora-re l’ottantunesi-mo anniversariodei Patti latera-nensi e del Con-cordato tra Regno d’Italia e Santa Sede, firma-ti l’11 febbraio del 1929 da Benito Mussolini edall’allora Segretario di Stato di Pio XI, il car-dinale Pietro Gasparri. Al di là del cerimonia-le e dall’occasione formalissima, l’incontro -seguito da un fastoso ricevimento - di ieri èstata l’occasione particolarmente significativaper rivedere insieme Berlusconi, Letta e il car-dinale Bertone, la cui triangolazione aveva su-bito nei mesi scorsi, quelli del caso Boffo, unaevidente battuta d’arresto.

BBeerrlluussccoonnii,, sseemmpprree aaccccoommppaaggnnaattoo dalsuo sottosegretario, nelle scorse settimaneaveva incontrato l’ex presidente della Confe-renza episcopale italiana, cardinale CamilloRuini, e dell’incontro entrambe le parti si era-no dette «soddisfatte». Chi mastica un pò dicose vaticane tuttavia sa che Ruini - e con luiil suo successore alla guida dei vescovi italia-ni Angelo Bagnasco - fa parte di quell’ala del-

la Chiesa antagonista a quella facente capo alSegretario di Stato. Di più, nelle ultime setti-mane, da quando cioè Benedetto XVI avevavoluto vederci chiaro nella faccenda che ave-va portato, lo scorso settembre, alle dimissionidel direttore di Avvenire, le due “fazioni” al-l’ombra del Cupolone si erano ancora più al-lontanate, dando vita ad una vera e propriaguerra interna (che per poco non ha portatoanche alle dimissioni del direttoredell’Osservatore romano, Gian Maria Vian).

VVaa ddaa sséé,, qquuiinnddii,, che il fatto che il premieravesse riallacciato i rapporti con l’ala ruinianadella Chiesa, non poteva essere ancora lettocome un riavvicinamento totale alla Santa Se-de. Santa Sede che, e questo non è un misteroper nessuno, vede in questo governo il “maleminore” rispetto all’ipotesi di un esecutivo disinistra e radicale. Importantissima occasionequella di ieri, quindi, per un Berlusconi azzop-pato dallo scandalo sulla Protezione civile e

dai sondaggi incalo, per ricuciredefinitivamente ilegami Oltreteve-re. Un’arma spen-dibile in pienacampagna eletto-

rale, con l’ipotesi abbastanza concreta di non«stravincere» come lo stesso premier vorreb-be, specie in una regione come il Lazio dovead una candidata non propriamente espres-sione del cattolicesimo praticante come Rena-ta Polverini, il centrosinistra oppone la laicis-sima Emma Bonino, vista come fumo negli oc-chi all’ombra del Cupolone. Una deriva laici-stica che la Santa Sede è pronta a combatterecon tutte le armi politiche a disposizione delpotente segretario di Stato. Anche sbilancian-dosi visibilmente - e questa è opinione riserva-tissima di chi ieri ha assistito ai colloqui traBerlusconi e Bertone - a favore dei candidatigovernativi. Visto che di rievocazioni storichestiamo parlando, qualcuno certamente ricor-derà quando, alla vigilia delle elezioni politi-che del 1948, con il Pci con il fiato sul collo al-la Dc, Pio XII tuonò: «O con Dio, o controDio». La Dc, ovviamente, stravinse. Ma eranoaltri tempi.

ROMA. Nel corso del 2009 lapopolazione in Italia ha conti-nuato a crescere, raggiungen-do i 60 milioni 387mila resi-denti al primo gennaio 2010,con un tasso di incremento del5,7 per mille. La popolazionein età attiva mostra un aumen-to, soprattutto grazie agli im-migrati, di circa 176 milaunità: rappresenta adesso il65,8% del totale. I giovani finoa 14 anni di età sono 53 mila inpiù, e rappresentano il 14%del totale. Le persone dai 65anni in su risultano in aumen-to di 113 mila unità, e sonogiunte a rappresentare il20,2% della popolazione. I cit-tadini stranieri sono in costan-te aumento, e costituiscono il7,1% del totale. Questi sonoalcuni dei dati contenuti nellestime, anticipate dall’Istat, suiprincipali indicatori demogra-fici per l’anno 2009. E tra le ci-fre più interessanti, ci sonoquelle sull’immigrazione: glistranieri residenti in Italia am-montano a circa 4 milioni 279mila al primo gennaio 2010,facendo così registrare un in-cremento di 388 mila unità ri-spetto al primo gennaio 2009.

SSeemmpprree sseeccoonnddoo l’Istat, loscorso anno la stima del saldomigratorio (la differenza tra ilnumero degli iscritti e il nu-mero dei cancellati dai regi-stri anagrafici) è stato pari a360 mila unità in più dall’ini-zio dell’anno, per un tasso pa-ri al 6 per mille, in calo rispet-to al 2008, anno in cui il saldomigratorio è risultato pari a+434 mila unità con un tassodel 7,3 per mille. Gli ingressidall’estero da parte di cittadi-ni stranieri si mantengonodunque elevati anche nel2009, ma risultano in calo ri-spetto ai due anni precedenti,forse a causa della crisi occu-pazionale che ha interessato ilmercato italiano, sia in termi-ni di calo dei posti di lavorocomplessivi (-306 mila tra di-cembre 2008 e dicembre 2009)sia in termini di crescita dellapopolazione in cerca di occu-pazione (+392 mila).

I manifestanti hanno cercato di bloccare le trivellazioni

Nuovi scontri in Val Susa per la Tav,

un ferito graveTORINO. Ancora tensione, inVal Susa, per i sondaggi dellaTorino-Lione. Numerosi ma-nifestanti, circa trecento, han-no assediato la trivella chedalla mattina stava scavandoin località Coldimosso. I «NoTav», tra cui un centinaio diantagonisti, hanno lanciatopietre e bastoni contro le for-ze dell’ordine, costrette a di-sperderli con una carica di al-leggerimento. Negli scontrisono rimasti feriti due poli-ziotti e due manifestanti, unuomo e una donna. A preoc-cupare sono soprattutto lecondizioni di Simone Pettina-ti, 25 anni, che nei tafferugliha riportato un ematoma ce-rebrale post-traumatico. Ilgiovane si trova in prognosi

riservata all’ospedale Moli-nette di Torino. Pettinati è sta-to trasportato l’altro ieri seraalle 23,30 dall’ospedale di Su-sa a Le Molinette di Torino,dove ora è ricoverato in pro-gnosi riservata. Dopo una Tac,i medici hanno stabilito chenon era necessario un inter-vento chirurgico, ma questamattina è stato predispostoun nuovo esame per valutarele sue condizioni di salute. Ilgiovane, aggiungono i medici,è lucido. Meno grave, invece,l’altra manifestante ferita,una donna di Villarfocchiardodi circa 40 anni. I sanitari del-l’ospedale di Susa, dove è sta-ta ricoverata nel reparto dichirurgia, parlano di traumimultipli alla testa e al naso.

QQuueellllii aavvvveennuuttii l’altra serasono stati i primi scontri di unacerta gravità, tra forze dell’or-dine e No Tav, da quando nelmese di gennaio sono iniziatele trivellazioni genognostichepropedeutiche alla realizzazio-ne della nuova linea ferrovia-ria Torino-Lione. Proprio inconsiderazione di ciò, per que-sta sera i «No Tav» hanno deci-so di organizzare una fiaccola-ta che attraverserà l’intera ValSusa, per «ribadire il no allaTav» e protestare contro «lagravità» degli scontri con leforze dell’ordine.

Un vertice “bilaterale”per i Patti lateranensiIl governo cerca di ricucire i legami di Oltretevere

di Francesco Capozza

Dopo il “caso Boffo” di nuovo insiemei vertici cattolici e quelli governativi.Con un occhio fisso sulle Regionali

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pagina 8 • 19 febbraio 2010 economia

di Gianfranco Polillo

ultimo grido d’allar-me sugli sviluppi del-l’economia italiana èstato lanciato da Ma-

rio Draghi. Parlando alla tradi-zionale assemblea del Forex,non ha usato mezze parole: «Ilritorno alla crescita è ancorafragile, segnatamente nell’areadell’euro. L’occupazione tardaa riprendersi. Le condizioni delcredito alle piccole e medie im-prese, tuttora stringenti, frena-no la ripresa». Se questo è ilcontesto, la situazione italiananon può brillare. Siamo entratinella crisi, dopo il fallimentodella Lehman Brothers, con«un tasso di crescita basso, aiminimi europei» e con lo stessoritmo stiamo camminando. Civorrebbe uno scatto di reni, ma«la perdita di competitività delPaese» dura da troppo tempo:«da un quindicennio». Diagno-si impietosa, anche se non datutti condivisa.

SSuu ««IIll SSoollee2244 oorree»», di qualchegiorno fa, Marco Fortis giunge-va a conclusioni, se non oppo-

ste, almeno divergenti. Non so-pravvalutiamo – questa era lasua tesi, se abbiamo ben com-preso – «il deficit di competiti-vità del nostro paese sui merca-ti internazionali». Né straccia-moci le vesti se il copione deglianni passati, segnati da unabassa crescita relativa, si ripro-porrà nel momento della ripre-sa. Se e quando verrà: aggiun-giamo noi. La forza dell’Italia èaltrove. È nella solidità finan-ziaria delle famiglie italiane,nella parsimonia dei loro costu-mi, nel fatto che a un grandedebito pubblico, non ne corri-sponde uno privato altrettantogrande. Tesi pienamente condi-visibile – quella della ricchezzafinanziaria - visto che il feno-meno è stato più volte com-mentato sulle pagine di liberal.Il problema è capire se questasia una condizione, al tempostesso, necessaria e sufficiente.Fortis se la prende con il mo-dello anglosassone, rivendican-

’Ldo una superiorità europea. Daun lato, Stati Uniti, Gran Breta-gna e Spagna, con il loro “tritti-co magico” composto da “meri-tocrazia - liberalizzazioni - ser-vizi”, dall’altro Italia e Germa-nia. Maggiore sobrietà dei con-sumi, prevalenza del manifat-turiero – anche se Fortis non locita – e risparmio. L’equivalen-za, per la verità, regge solo finoad un certo punto. L’indebita-mento delle famiglie tedesche èmolto superiore a quello italia-na. Il manifatturiero, a sua vol-ta, è molto più sviluppato ecompetitivo. La Germania pre-senta, infatti, un forte attivodella bilancia commerciale. L’I-talia è in deficit. Differenze,forse secondarie, nel confrontotra le due sponde dell’Atlanti-co, ma significative quando siguarda al futuro. Nel prossimoquinquennio, secondo le previ-sioni del FMI, il surplus dellepartite correnti della bilanciadei pagamenti tedesca dovreb-be essere pari, in media, al 4,5per cento del PIL. Per contro: ildeficit italiano dovrebbe rag-

giungere quota 2,5 per cento: 1punto in più rispetto al prece-dente decennio. Una differen-za, come si vede, non da poco.

LLaa ffoorrzzaa ffiinnaannzziiaarriiaa delle fa-miglie è quindi un ottimo para-cadute, per contrastare gli effet-ti, specie di natura sociale, dellacrisi. Ma da sola non basta adinvertire quella tendenza – laperdita di competitività – messasotto accusa dal Governatoredella Banca d’Italia. Né è suffi-ciente a garantire all’Italia unacollocazione adeguata negliequilibri internazionali. In unmomento in cui, negli stessi Sta-ti Uniti, per lo stress della crisi,almeno una parte dell’establish-ment politico – culturale si inter-roga sul “mondo post america-no”ed ipotizza di liberarsi della“zavorra” europea, nella ricercadi nuovi equilibri planetari. Sequesti sono i dati di fondo delproblema, il tema dello sviluppo– di una sua possibile ripresa –

Recessione. I dati del Pil sono negativi e la debolezza del nostroPaese rispetto all’Europa impone di ripensare certe scelte del governo

L’ombra di ZorbaDraghi lancia l’allarme: i conti non brillano.

E sull’Italia pesa l’incubo della crisi greca

non può essere archiviato, spe-cie per un Paese, come il nostro,che ha ancora problemi storici –il Mezzogiorno – da risolvere.Come ripartire quindi, utiliz-zando anche – o forse soprattut-to – il grande volano delle fami-glie e dei consumi interni? Perimpostare correttamente il pro-blema, si deve sgombrare ilcampo da un’altra tesi: quelladello stato stazionario. Nel seco-lo scorso robusti pensatori – daMarx a Keynes – teorizzavano,seppure per motivi diversi, un li-mite allo sviluppo delle forzeproduttive. Il primo lo conside-rava inevitabile, quale antica-mera dell’auspicabile supera-mento del sistema capitalista. Ilsecondo come il semplice rifles-so dell’eccesso di capitale che lostesso sviluppo era destinato aprodurre. La sua efficienza mar-ginale si sarebbe progressiva-mente ridotta, fino ad annullarequalsiasi convenienza ad inve-stire. L’esperienza americana,dagli anni Ottanta in poi, ha di-mostrato quanto poco realisti-che fossero quelle ipotesi. Il tas-so di sviluppo del più forte pae-se occidentale è stato superiorea quello del precedente venten-nio e uno dei maggiori tra leeconomie avanzate. Ecco per-ché bisogna non esagerare nellecritiche al modello anglosasso-ne. Si butterebbe il bambinocon l’acqua sporta, facendo rie-mergere impostazioni di stam-po millenaristiche.

MMaa ttoorrnniiaammoo all’Italia ed allasua necessità assoluta di ri-prendere il sentiero della cre-scita. Come stanno andando lecose? Gli ultimi dati sono con-traddittori. Da una lato abbia-mo infatti una caduta improv-visa del ritmo di crescita delPIL, almeno nell’ultimo trime-stre del 2009; dall’altro un qual-che segnale di miglioramentotendenziale. La perdita di pro-dotto, rispetto al terzo trimestredel 2009, è stata dello 0,2 percento. Fa impressione vedere iconfronti internazionali. Nellazona dell’euro, l’Italia si collocaall’ultimo posto. Ed è più meno,in questa situazione, dal quartotrimestre del 2007. La situazio-ne migliora se si analizza il co-siddetto “tendenziale”.Vale a di-re: se il confronto non avvienetrimestre dopo trimestre, ma

Gli economisti si dividono tra modelloanglosassone e modello tedesco. E c’è anche chi,in vista della possibile ripresa, invita a puntare più sul mercato interno che sulle esportazioni

ROMA. Il rapporto deficit/pil siattesterà al 5,1% nel 2010 e al4,6% nel 2011.È la stima forni-ta dall’Isae nel rapporto «Leprevisioni per l’economia ita-liana». Il rapporto debito/pil,tornato a salire nel 2008 e nel2009 (114,8% nella stima Isae),aumenterà al 117,2% que-st’anno e al 118,2% nel 2011.Le dinamiche delineate, se-condo l’Isae, con-sentirebbero di re-cuperare nel 2011il 40% circa dellaperdita produttivasperimentata nelbiennio 2008-2009. «Anche nelnostro Paese -spiega l’istituto -l’economia è inlento recupero. Leirregolarità checaratterizzanol’Europa appaio-no più accentuatein Italia, dove inci-dono anche alcu-ne accidentalità di natura stati-stica (forte balzo del III trime-stre corretto dall’arretramentonel quarto). Al di là degli alti ebassi, il sistema produttivo ècollocato su un sentiero positi-vo, ma con una dinamica mol-to contenuta». Sul fronte deiconsumi, l’Isae segnala che,

dopo il calo del 2009, quest’an-no torneranno ad aumentare(+0,8%). «Il ritorno su un sen-tiero positivo del reddito di-sponibile nominale - si leggenel rapporto - continuerebbe asostenere le spese delle fami-glie. Nel 2011 si verificherebbeun’accelerazione della spesadei consumatori (+1,1%), a ri-flesso di migliori dinamiche

nel mercato del lavoro». Se-condo le stime anche gli inve-stimenti recupereranno «un’e-voluzione positiva nel 2010(+0,8%) dopo le pesanti fles-sioni sperimentate nel prece-dente biennio».Nel 2011 poi laspesa per investimenti sirafforzerà toccando il 2,8%.

Secondo l’Isae, il rapporto tra deficit e pil sarà al 5,1%

Debito pubblico al 117,2% nel 2010

L’ombra di Zorba

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19 febbraio 2010 • pagina 9economia

ROMA. Altro che ritorno alla dracma. Ilgoverno di Atene non esclude di chiede-re l’intervento del Fondo monetario. Diaffidarsi all’istituzione deputata per sal-vare le finanze degli Stati vicini al crack,nonostante l’Unione europea abbia giàescluso questa evenienza e si accinga achiedere misure più draconiane per ta-gliare il deficit: ulteriori tagli tra i 2 e 2,5miliardi di euro.

VVaa ddaa sséé cchhee ssee ll’’iippootteessii si realizzasse,la Ue segnerebbe la maggiore crisi dellasua giovane vita. Così come è chiaro chequesta mossa rientra in una guerra dinervi, dove è ancora difficile capire chitra la Grecia e l’Euroburocrazia riusciràa imporre le sue ragioni all’altra.Ma è inutile dire che già il modo di fartrapelare la notizia rappre-senta l’ennesimo schiaffodel governo ellenico ai 27,accusati dal premier GeorgePapandreou di fare confu-sione e di ritardare il salva-taggio greco.Ieri mattina i giornali localihanno raccontato con ric-chezza di particolari una riu-nione tra il ministro delle Fi-nanze, George Papaconstan-tinou, ed esponenti del suopartito, il Pasok.E i parlamentari socialisti sisarebbero calmati soltantoquando il ministro ha garan-tito loro di «non escludere ilricorso al Fondo monetariose le trattative con Bruxellesnon vadano nel modo giustoe la situazione peggiori ulte-riormente».Tanto da aggiun-gere: Se ci fossimo rivolti alFmi, saremmo ora obbligatia prendere le stesse misureche ci chiede l’Ue, maavremmo già in cassa 30 mi-liardi di euro».Martedì scorso, ospite a Mo-sca di Dimitri Medvedev, Pa-pandreou ha incontrato ilnumero uno della Bancamondiale, Robert Zoellick, ediscusso con lui e con il pre-sidente russo della possibilità di chiedereaiuto al Fmi. Un vertice “casuale”, chenon era piaciuto in molte cancellerie per-ché si è tenuto nelle stesse ore in cui l’E-cofin provava a mettere un freno allespeculazioni sull’euro.Tra i più critici pare ci sia stata proprio lacancelleria tedesca, stanca della pocatrasparenza del governo di Atene. Il qua-le non nasconde che dietro i ritardi dellaUe ci sia proprio la Germania, rea di«stare tirando pericolosamente la cor-da». A riprova del clima che c’è, la coali-zione di estrema sinistra Syriza ha invi-

tato l’esecutivo a chiedere a Berlino «lemai pagate riparazioni di guerra tede-sche, in risposta al miserabile gioco spe-culativo da parte dei loro politici e delleloro istituzioni».A ben guardare Papacostantinou non hatutti i torti quando dice che, se fosse in-tervenuto il Fondo, «avremmo già in cas-sa 30 miliardi di euro». Il problema – ed èquesto il vero nodo della questione – èche l’istituto guidato da Strauss Kahnimporrebbe ad Atene un piano di rientropiù stringente. La obbligherebbe a taglimolto ampi su pensioni, salari e spesapubblica, forte del fatto che chi si rivolgeal Fmi, deve di fatto trasferirle tutti i po-teri sul governo dell’economia.Tra quasi un mese l’esecutivo greco e iministri finanziari dell’Ecofin si rive-

dranno per controllare se il piano di rien-tro ellenico – taglio al deficit da 4 miliar-di di euro soltanto nel 2010 – abbia avutol’avvio. Ma fino ad allora il clima è desti-nato a surriscaldarsi.

LL’’aaggeennzziiaa ddii ssttaammppaa Dow Jones ha fat-to sapere che sull’esecutivo arrivanonuove pressioni da Bruxelles per inter-venti ulteriori: tagli alla spesa pubblica eaumenti delle tasse in grado di far recu-perare fino a 2,5 miliardi di euro.Papandreou avrebbero restituito al mit-tente gli ordini. Perché, stando all’agen-

zia, «si temono disordini sociali se saran-no approvate nuove misure nel breve ter-mine. La situazione è molto difficile».Secondo il piano studiato dai tecnici del-la commissione, il governo di Atene do-vrebbe aumentare l’Iva di uno-due puntipercentuale, rispetto all’attuale aliquotadel 19. Quindi si deve avere il coraggio diritirare i bonus concessi ai dipendentipubblici per un ammontare pari a un me-se di salario e serve anche lanciare unpiano di licenziamenti massicci nellapubblica amministrazione.Queste misure non piacciano perché ol-tre alla pace sociale minerebbero la ri-presa, visto che le spese per i consumicoprono circa due terzi del Pil totale.Nelle prossime settimane questa teleno-vela dovrebbe comunque arrivare a una

conclusione. Dalla sua l’U-nione europea può sempreaffidarsi all’articolo 126.9del Trattato di Lisbona che lepermette di commissariarel’economia di un Paesemembro e di redigerne le po-litiche di bilancio in casi ec-cezionali. E quello che avvie-ne in Grecia lo è.Senza dimenticare i rischiconnessi al maquillage aiconti pubblici fatto negli an-ni scorsi. Ieri il ministro ilministro delle Finanze fran-cese, Christine Lagarde, hafatto sapere che Eurostat,l’ufficio statistico dell’Unio-ne, sta verificando se le ban-che d’affari Usa, in partico-lare Goldman Sachs, hannoaiutato la Grecia a truccare ilproprio bilancio, ricorrendoa operazioni di swap.

DDaall ccaannttoo ssuuoo Atene puòfarsi forte dei 30 miliardi dieuro di esposizioni verso laGermania, la quale non haalcuna intenzione di rallen-tare la sua già lenta ripresa.Eppoi la sua richiesta nonsono garanzie sulle futureemissioni quanto prestiti alungo termine, pari per 25

miliardi, in grado di accompagnare losviluppo e rafforzarsi verso Est.Intanto sta a guardare il Fondo moneta-rio. Il suo portavoce, David Hawley, hafatto sapere che «la Grecia non ha chie-sto al Fondo sostegno finanziario, ma gliesperti dell’Fmi sono pronti a offrire l’ex-pertise ed il supporto tecnico necessari.Un team era nel Paese a gennaio ed haanalizzato questioni relative all’ammini-strazione ed alla politica fiscale, allariforma delle pensioni e alla preparazio-ne del budget». Quindi know how e nonliquidità, per la gioia di Bruxelles.

L’Unione europea potrebbe imporre tagli alla spesa e licenziamenti nel pubblico impiego per recuperare altri 2,5 miliardi di euro. E vagliatutte le operazioni elleniche di finanza creativa

sul corrispondente trimestredell’anno precedente: espres-sione della tendenza di fondodell’economia italiana. In que-sto caso il recupero, al pari dialtri Paesi europei, è evidente.Negli ultimi due trimestri, l’e-conomia italiana ha recuperatocirca il 40 per cento della perdi-ta di prodotto, che si è manife-stata nei trimestri - ben 10 -precedenti, cumulando una ca-duta di 8 punti. Siamo tornati,più o meno, al quarto trimestredel 2008.

IIll ttrreenndd ssii mmuuoovvee all’internodi un corridoio compreso tra laGermania, che ha recuperato il50,3 per cento e l’Inghilterra,che ha fatto molta meno (solo il39,3 per cento) strada. C’è inol-tre da dire, che in Italia la cadu-ta è stata molto più morbidaanche se più prolungata. Da unpunto di vista sociale è statomeglio: ha consentito alle fami-glie di intervenire con minoreaffanno. Ma ai fini prospettici,restano le inquietudini. Nonsiamo di fronte ad un colpo ve-nuto solo dall’esterno. Piove,invece, sul bagnato e questo ali-menta una deriva allarmante.Se poi allarghiamo l’orizzonte,il quadro peggiora. Sullo sfon-do è il caso greco – non a casol’unico Paese che registra untasso di crescita congiunturaleinferiore a quello italiano – e leincognite che ne derivano perla tenuta del fronte Sud del-l’Europa, di cui facciamo parte,e delle stesse sorti dell’euro.Purtroppo siamo nel periodopeggiore – quello preelettorale– per discutere seriamente diquesti problemi. Ma, per favo-re, non abbassiamo la guardia.

Nuova puntata nella guerra di nervi con Bruxelles, che non si fida e pretende più rigore

Ora Atene minaccia l’Europa:pronti a rivolgerci all’FmiGeorge Papandreou teme che le richieste dell’Ecofin finiscano

per mettere in ginocchio il Paese e scatenare le ennesime rivolte socialidi Francesco Pacifico

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pagina 10 • 19 febbraio 2010 panoramaragioni&torti di Giancristiano Desiderio

iamo il paese delle badanti. Da un bel po’ dianni, ormai. Nelle nostre città, grandi e pic-cole, nei nostri paesi, comuni, villaggi, unpo’ ovunque ci sono queste donne, signore,

ragazze che fanno le badanti.Vengono dall’Ucrai-na, dalla Romania, dalla Polonia, a volte dalla Bul-garia, dalla Moldavia e non sono viste né percepi-te come delle “extra-comunitarie”, ma quasi comedelle persone di famiglia per le quali scatta unmeccanismo privilegiato per una più veloce e giu-sta “integrazione”. Le badanti, infatti, non lavora-no fuori casa, per strada, nei campi o in fabbricheincerte, bensì nelle nostre case. Il loro lavoro con-siste nel 99 per cento dei casi nel “badare”ai nostrivecchi o a quelle persone che hanno bisogno di as-sistenza per le quali noi in famiglia non abbiamotempo. La badante è semplicemente necessaria.

««IIll PPaaeessee ddeellllee badanti» è il titolo di un libro diFrancesco Vietti edito da Meltemi. È una ricercasul campo che ha seguito passo passo la vita dellebadanti e, in particolare, di Nadia che lavora a To-rino e viene dalla Moldavia. Ha seguito la vita diNadia a Torino e in Moldavia, con lei ha fatto ilviaggio a ritroso: da Torino verso Ungheni, anziverso un villaggio che si chiama Pirlita ed è tal-mente piccolo che sulla cartina non compare, ma

si trova al confinetra la Romania ela Moldavia. Il ti-tolo del libro lo sideve proprio aquanto dice Na-dia: «Anche sesembrano moltodiverse, in realtàItalia e Moldaviahanno una cosain comune: tuttee due sono i paesidelle badanti. LaMoldavia è il pae-

se delle badanti perché tante persone partono perfare questo lavoro. Ma il paese delle badanti è an-che l’Italia perché qui c’è tanto bisogno, tante pos-sibilità di lavoro per noi, possiamo dire che tutte lefamiglie italiane hanno bisogno di una badante.Dunque il collegamento tra i due paesi possiamoessere proprio noi, noi che facciamo su e giù con ipulmini, che siamo nate là ma che lavoriamo qui,che abbiamo un po’ della famiglia qua e un po’ là,che viviamo sia qua che là».

IIll llaavvoorroo ddeellllaa badante appare semplice e natu-rale, ma è apparenza. La badante di certo lavora:pulisce, veste, lava, fascia, medica, ascolta, con-trolla, veglia, stira, fa la spesa, cucina, tiene com-pagnia. I significati del verbo “badare”sono infini-ti. In questi infiniti significati ci sono quelli dellagentilezza, disponibilità, modestia, amicizia e poic’è l’affetto, il calore, il conforto. GiustamenteFrancesco Vietti dice che il verbo badare sta ametà strada tra lavorare e amare. Dunque, è unlavoro che non conosce fine, sosta, riposo: la ba-dante può badare perché non ha tempo libero eanzi il suo tempo coincide con il tempo della per-sona che accudisce. Non tutte le esperienze dellebadanti vanno a buon fine, ma la percentuale ètroppo bassa per diventare una statistica. La ba-dante è invece “una di famiglia” e svolge quei la-vori che una volta, e oggi sempre meno, eranosvolti da donne italiane delle classi subalterne. Labadante è quel “welfare nascosto” senza il qualel’Italia si fermerebbe.

S

è un vero e proprio pluralismo nella cor-ruzione. Il Belpaese è vivace e creativo, ese ne inventa ogni tanto una diversa. Que-sta volta assistiamo ad una formula a cui

è stata aggiunto il pepe del sesso. Un po’, per la ve-rità, ce n’è sempre stato, ma oggi è diventato dila-gante. E poi non è solo questione di quantità, ma –diciamo così – di approccio. Ci sono le auto blu, cisono i massaggi, ci sono le ville, e ci sono le donne.Tutte belle e disponibili, inviate da imprenditorisenza scrupoli a politici o ad altissimi funzionari.Questi, stanchi per la faticosa impresa di gestire ilpotere, non sono più interessati al corteggiamento ealla “conquista”: ci vuoletroppo tempo e troppa con-centrazione. Senza contareil rischio di un rifiuto… Me-glio trovarsi una bella ragaz-za, o magari due, nel lettosenza dover perdere troppotempo. Come gentile donoche col tempo frutterà, o come immediata contro-partita per un favore ricevuto. La donna così diven-ta un benefit come tanti altri, e probabilmente nem-meno il più costoso.

IIll ccoorrppoo ffeemmmmiinniillee è stato oggetto di mille umi-liazioni: da quelle lascive e vecchio stile del casi-no, alle violenze subite da clienti e papponi sullestrade. Non era mai accaduto nella contempora-neità che la sua mercificazione avvenisse sottoforma di regalo al potente: in luoghi ovattati, doveil nuovo sultano arriva stanco dal lavoro e per ri-mettersi in sesto. Fra una doccia, un massaggio, equalche leccornia, consuma – già che c’è – la suaora d’amore. Il tutto gratis, paga l’impresa che haottenuto l’appalto. Alla fine paga la collettività. Aben guardare, come forma di corruzione non ènemmeno troppo cara. Finanziare un partito costadi più, ma quella è una vecchia storia. Oggi nessu-no si sognerebbe di intascare tangenti per darle auna forza politica, o per investire in un progettopolitico; i soldi uno se li prende tutti e subito persé. Soldi o regali. E le donne sono un benefit chenon costa nemmeno molto.Volete mettere con lecifre proibitive di un rolex o di un’auto?

UUnnaa vvoollttaa ssii mmaannddaavvaannoo in dono le schiave are, imperatori e califfi. Se ne misurava l’altezza, ilpeso, si sceglievano bene le dentature, i capelli egli occhi. Più l’insieme era bello e più serviva acoltivare l’amicizia del potente di turno. Qual è ladifferenza? È il ruolo della donna. Un tempo eraprivata di ogni e qualsiasi capacità di decidere.Adesso invece è d’accordo. Il mercimonio si fa inpiena intesa con lei. Entrare in rapporto con unpolitico importante o un alto funzionario può farcomodo anche a lei. Prostituirsi a questi livellirende bene. Non è necessario farlo troppo spesso.Il più antico mestiere del mondo non è più un me-

stiere a tempo pieno, si puòesercitare una volta ognitanto. Può servire ad arro-tondare i propri introiti, aconcedersi qualche lusso. Epoi, non si sa mai, può venirutile per la carriera. Diconoche così si può diventare

anche parlamentari o ministre.

IIll cceerrcchhiioo ssii cchhiiuuddee.. L’uomo perde lo spirito di av-ventura e di conquista e si trasforma in un sedenta-rio e pigro utilizzatore finale di benefit comprati daaltri. Coltiva una complicità con chi gli procuraquesto piacere proibito. La segretezza, infatti, è in-dispensabile. Nonostante la spudorataggine vigen-te, è sempre meglio che la moglie e i figli non lo sap-piano. E poi se c’è lo scambio appalti-benefit, deverestare un fatto ben nascosto. Altrimenti entra incampo la magistratura. Quanto alle donne, dopoaver rivendicato «il corpo è mio», ora hanno decisodi gestirlo vendendolo al miglior offerente. E non sidica che tutto è già successo. No, questa è una no-vità bella e buona. La corruzione e la prostituzionecambiano a seconda delle epoche e dei luoghi. Anoi è toccata questa. Sarebbe curioso cercare di ca-pire se la donna-benefit, oltre a trionfare nel mondoimprenditoriale e politico, stia conquistando nuovispazi anche in altri settori, tipo l’Università, il gior-nalismo, lo sport. Se insomma il fenomeno si sta al-largando. Se un po’ovunque vanno nascendo picco-li sultani ai quali, per avere un piacere, si manda inregalo una donna bella e in carriera. Evviva.

’C

Se la donna-gadgetcosta meno di un Rolex

La corruzione rilancia una strana “questione femminile”

Sembra di essere tornatiai tempi lontani in cui si mandavano in dono le schiave a re, califfi e imperatori

La nuova famiglia si allarga

alle «badanti»

di Gabriella Mecucci

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19 febbraio 2010 • pagina 11panorama

dunque la trionfatrice di queste set-timane è l’Antonella nazionale. LaClerici sbanca l’audience superandola Sanremo di Bonolis che, fra le re-

centi, era quella andata meglio. In secondaserata ha superato il 43 per cento e per tut-te le altre reti non c’è stata storia.

CCoonndduuzziioonnee ssoobbrriiaa,, senza buttarsi nellegag o nelle scene da cabaret, abiti impro-babili ma gran sorriso simpatico, Antonel-lina facendosi largo fra veline anoressicheed escort fascinose ha imposto il suo stile.Non è agile come una libellula, né aggres-siva e sopra le righe come la Ventura e Bo-nolis, né mostro sacro come Mike e Pippo.È una mamma d’Italia che conserva le for-me rotonde di un donna che ha avuto dapoco un figlio. Cosa che in realtà le è capi-tata davvero e che lei ha raccontato congarbo in un libro uscito in questi giorni. Inmezzo alla ridondanza di effetti speciali incui siamo immersi, con la politica che di-venta spettacolo e lo spettacolo che invadela politica, lei ha scelto l’effetto normale. È

la signora della porta accanto. E poi le gio-va quel ricordo, che porta con sé, di soffrit-ti e di ricette improbabili che è ancora fre-sco fresco: le zaffate della Prova del cuocohanno insaporito anche Sanremo. Latrionfatrice del Festival della canzone ita-liana è solo lei con la sua “banalità dellospettacolo”. Le iperboli alla gente danno

fastidio. Anche il principino che canta ilsuo amore per l’Italia non è piaciuto. Piaceinvece una regina elegante e bellissima co-me Ranja di Giordania.

EE llee ccaannzzoonnii?? Per il momento niente diniente. Le emozioni che davano i Modu-gno, i Celantano e le Vanoni sono finite persempre. Sanremo non è il festival della me-

lodia italiana, ma il festival dello spet-tacolo televisivo.

EE iinn eeppooccaa ddii ccrriissii,, con gli operaiche si arrampicano sui tetti per di-fendere il posto di lavoro, con laFiat che vuole mollare TerminiImerese lasciando la Sicilia anco-

ra più deindustrializzata,con le tasse alle stelle, l’i-taliano medio che si rifu-gia la sera nel potere deltelecomando, vuole respi-rare un clima di calore, di buonecose di pessimo gusto, di “casa-linghitudine”. Antonellina, con-

duzione non invadente, simpatica, pro-fessionale, mai una parola di troppo,non elegante ma non volgare, in questoperiodaccio, è proprio quello che civuole. Magari quando arriva la ripresae torniamo a richiedere donne semi-anoressiche, giovanotti muscolosi, fisicida vetrina. Sanremo in fondo è lo spec-chio di uno stato d’animo del Paese.

E

di Giulio Battioni

È sobria, simpatica, professionale,mai una parola di troppo, non elegantema non volgare. E in epoca di escort e crisi, era proprio quello che ci voleva

Una riflessione dopo la minaccia “al tritolo” del presidente del movimento “Italia colorata”, il marocchino M’Hamed Lekroune

Alla ricerca di un islam universaleIl caso della moschea di Genova ricorda che l’integrazione non è (solo) affare politico

di Gaia Miani

Successi. È la Clerici l’indiscussa trionfatrice di questa nuova edizione del Festival della canzone

Elogio dell’Antonella nazionale

difficile spiegare ai ragazziperché non ci permettonodi costruire la moschea.Questa guerra tra poveri

generata dalla Lega, ci ha portato a nonriuscire più a controllare la rabbia deiragazzi. Che è arrivata al massimo, tan-to che potrebbero anche farsi saltare inaria». Firmato M’Hamed Lekroune, pre-sidente del movimento politico “Italiacolorata”. Le dichiarazioni del maroc-chino che si batte da ormai un lustro peril riconoscimento dei diritti civili e la li-bertà di culto dei musulmani in Italia so-no per lo meno “al tritolo”, è il caso didirlo, e superano i limiti della più ele-mentare decenza democratica. Siamo aLagaccio,Genova centro-est, in un quar-tiere popolare. Con un referendum, di-verse migliaia di genovesi hannoespresso nei giorni scorsi la loro contra-rietà alla edificazione di una moschea.Per contro, diverse centinaia di islamiciinsistono nel domandare l’apertura delluogo di culto che da molti sarebbe av-vertito non come centro di spiritualitàma come tempio dell’islamismo radica-le. Due osservazioni. La prima è unaesortazione alla responsabilità politica.Il caso genovese è infatti l’ennesimo epi-sodio in cui la complessità pluralistica emultireligiosa del mondo contempora-neo conferma la necessità di adottare unatteggiamento prudente e vigile, alla ri-cerca di una comunità di obiettivi tratutti gli attori pubblici, le forze politiche,

È«i rappresentanti della società civile edelle istituzioni. La seconda è invece uninvito al coraggio intellettuale. Il casogenovese è infatti anche l’ennesima pro-va che il problema dell’integrazione so-ciale di collettivi tradizionalmente estra-nei al tessuto culturale occidentale, mi-noritari che siano, maggioritari che ungiorno possano divenire, non è solo unproblema politico. Se non è responsabi-le fomentare la xenofobia, d’altra partenon è responsabile neppure soprassede-

re o minimizzare. Il presidente di un’as-sociazione politica che si permette laleggerezza di uno sfogo così volgare, l’a-gitazione di uno spauracchio che maidovrebbe essere sfiorato, se da un latonon deve essere enfatizzato oltremisura,dall’altro non deve essere sminuito, néambiguamente giustificato.

NNoonn ssii ttrraattttaa di rinfacciarsi le colpe dichi ha sparato per primo, come ha fattol’assessore della Cultura del capoluogo

ligure Ranieri, che ha rimpro-verato al presidente del Muni-cipio centro-est, Siri, di averpaventato la «guerra civile trareligioni a Genova» e di aversoffiato sul fuoco del pregiudi-

zio. Né ci si può arrampicare sugli spec-chi e limitarsi a constatare che il presi-dente di “Italia colorata” «non rappre-senta la maggioranza democratica del-la comunità islamica». Antica repubbli-ca marinara e porto franco aperto a tut-te le umanità possibili, Genova non re-spira l’aria “antidemocratica”e “antireli-giosa” della città che non vuole acco-gliere la comunità musulmana. Vero è,come ha sostenuto lo stesso Ranieri,che «dobbiamo lasciare spazio a tutti,anche agli abitanti di Lagaccio contrarialla moschea». È forse questo un nontroppo ovvio punto di partenza dal qua-le muovere una riflessione strategicaper una politica d’integrazione vera everamente efficace. Il problema è politi-

co, senza dubbio. Bisogna garantire atutti, musulmani e non, stranieri e au-toctoni, credenti o meno, che voglianovivere legittimamente e legalmente nel-la comunità civile, a Genova come inogni angolo d’Italia o d’Europa, il dirit-to a una vita dignitosa, il diritto alla sa-lute come al lavoro, alla casa come allostudio, la libertà di associazione e la li-bertà religiosa. Il problema dell’integra-zione, tuttavia, non è soltanto politico.Alcuni collettivi sociali, nel nostro casoislamici, hanno una identità culturaleproblematica e non sempre disponibilealla reciprocità. La grave superficialitàdelle parole del presidente di “Italia co-lorata” non devono indurre le malelin-gue a battere sul tamburo della nervosae semplicistica discriminazione alte-rofoba, né all’indiscriminata esclusionesociale. Il mondo islamico, tuttavia, de-ve reagire, mostrarsi capace di isolare iviolenti, dare prova di volersi realmenteintegrare attraverso la costruzione dileaderships adeguate alle sfide dell’u-mana società interculturale. Il mondoislamico deve manifestare con decisio-ne e chiarezza la volontà di non rigetta-re i valori fondamentali dell’umanesi-mo, della libertà e della universale di-gnità della persona umana, alla cui for-mazione ha indirettamente contribuito,respingendo con iniziative simbolicheefficaci l’ombra del fanatismo religioso,dell’ideologia del terrore e del fonda-mentalismo politico.

«Prima o poi - ha dichiaratol’uomo - qualcuno potrebbe anchefarsi saltare in aria per la rabbia...»

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pagina 12 • 19 febbraio 2010 prima pagina

Al Dalai Lama, Obama esprime «forte sostegno per la protezione dei diritti umani dei tibetani in Cina»

incontro tanto atteso, alla fi-ne, si è svolto. Ma nonostan-te i due leader e premi No-bel per la pace abbiano par-

lato - come dichiarato dopo l’incon-tro - di “pace e valori umani”, il gover-no cinese non l’ha presa bene lo stes-so. E non deve aver aiutato neanchel’affermazione su cui, c’è da scom-mettersi, oggi i cinesi si scateneran-no: «Forte sostegno - esprime il presi-dente americano - alla protezione deidiritti umani dei tibetani in Cina». Sigiustifica dunque la festa che si èsvolta di notte a Rebkong, che i cine-si chiamano Tongren. Non potendoradunarsi in pubblico, a causa dellepesanti repressioni che il governo diPechino impone alla Regione autono-ma del Tibet, i monaci buddisti che vi-vono nel luogo di nascita del DalaiLama hanno atteso il buio per cele-brare l’incontro fra il loro leader e ilpresidente americano Barack Oba-ma. Non importa, dicono a liberal,«con quale forma verrà ricevuta SuaSantità. Il fatto che anche questo go-verno americano non si faccia intimi-dire dalla Cina vuol dire moltissimoper noi». A parlare è uno degli abatidi un monastero della contea tibetanadi Amdo, che per motivi di sicurezzachiede l’anonimato. La zona in cui vi-ve è sotto il ferreo controllo della po-lizia sin dagli scontri di Lhasa, avve-nuti nell’estate del 2008: tuttavia, allafine dell’incontro, i monaci sono riu-

sciti persino a sparare dei fuochi diartificio. Le speranze riposte nel mee-ting riguardano più che altro la per-cezione internazionale della causa ti-betana: «I cinesi parlano sempre mol-to male di noi tibetani, dicono che sia-

mo riottosi e indipendentisti. Ma que-sto non è vero, e il mondo lo deve sa-pere. Speriamo che questo incontroserva a far capire che noi vogliamosoltanto la pace».Tuttavia, l’interlocu-tore non si lascia sfuggire un’occasio-ne ghiotta: «D’altra parte, i cinesi so-no un miliardo e trecento milioni enon hanno neanche un Premio No-bel. Noi siamo sei milioni, e il nostroleader ha vinto quello per la Pace.Vorrà dire qualcosa, no?». Tuttavia,non si può ignorare il basso profilo

deciso dalla Casa Bianca per questoimportante appuntamento nell’agen-da di politica internazionale del pre-sidente Obama. Il primo incontro dapresidente con il Dalai Lama ha pro-vocato e provocherà sicuramenteproteste da parte di Pechino, che èsempre più ai ferri corti con Washing-ton per controversie che riguardano ilcommercio, le valute, la vendita di ar-mi americane a Taiwan e la censurasu Internet. Con le due gigantescheeconomie sempre più interconnesse,si ritiene poco probabile che le tensio-ni sfocino in scontri: ma questo nontoglie che le linee di confine possanodiventare estremamente pericolose.Soltanto nelle ultime settimane, ledue diplomazie sono state messe adura prova. La Cina è insorta control’ approvazione da parte del governodi Washington della vendita a Taiwandi armamenti sofisticati per un valoredi 6,4 miliardi di dollari. Pechino ri-vendica la sovranità sull’ isola, che èindipendente di fatto dal 1949, e nonha mai apprezzato il “Taiwan DefenceAct”, la legge del Congresso che im-pone alla Marina Usa di difendere l’i-sola da aggressioni esterne.

EE,, sseeccoonnddoo iill ggoovveerrnnoo taiwanese,Pechino ha oltre mille missile punta-ti contro l’isola. Sul piano internazio-nale il punto più delicato in questomomento è il disaccordo sul modonel quale affrontare la questione del

’L

LLee rreellaazziioonnii ppeerriiccolose

L’Italia unica “pecora nera”

PresidenteBerlusconi,

perché solo leinon lo incontra?

di Giancristiano Desiderio

di Vincenzo Faccioli Pintozzi

l Dalai Lama ha incontrato i maggiori ca-pi di Stato e di governo del mondo occi-dentale, ma non Silvio Berlusconi. L’Ita-lia non ha saputo tenere la testa alta e la

schiena dritta, purtroppo. Il capo spiritualedel Tibet rappresenta nel mondo la tragica si-tuazione del suo popolo e della sua nazione,ma la Cina, che nel 1959 invase il Tibet e tut-tora lo schiaccia sotto il suo tallone di ferro esangue, nega la stessa esistenza della “que-stione tibetana”. Non incontrare il Dalai La-ma per un capo di governo equivale a non ri-conoscere pubblicamente la tragedia di quelpopolo. Forse è bene ricordare di cosa stiamoparlando: 1 milione e 200mila tibetani, unquinto della popolazione, sono morti. Mi-gliaia di prigionieri religiosi e politici vengo-no detenuti in campo di lavoro forzato: lì latortura è una pratica. Sapete che cos’è il thamzing? I tibetani sono costretti ad autoac-cusarsi di crimini non commessi e ad auto-degradarsi. Le donne tibetane sono soggettea sterilizzazioni forzate e a procurati aborti:la Cina vuole che i cinesi in Tibet siano sem-pre più numerosi e i tibetani sempre meno.

LLaa ““qquueessttiioonnee ttiibbeettaannaa”” è lontana. Maquando un capo spirituale come il Dalai Lamaviaggia per il mondo come rappresentante delsuo popolo sofferente e, forse, prossimo al-l’annientamento,come rappresentante del go-verno tibetano in esilio - ha la sua sede a Dha-ramsala in India - e incontra altri governi echiede di incontrare altri governi per far me-glio conoscere la tragedia e mostrare ancheuna possibile via di uscita, la “questione tibe-tana” non è più lontana. Non è più ignota. Enon la possiamo ignorare. Il presidenteSarkozy non l’ha ignorata e, anzi, ha rispostoa testa alta all’altolà della Cina. Il presidenteamericano ha fatto la stessa cosa accogliendoalla Casa Bianca il Dalai Lama. Si è detto escritto, e si leggerà oggi sui giornali, che Oba-ma non ha accolto il Dalai Lama nel suo stu-dio ovale. Ma ciò che conta è la Casa Bianca.Ciò che conta è che l’America, che ha strettorapporti diplomatici e commerciali con la Ci-na, non si sia tirata indietro. La “questione ti-betana”è una questione mondiale e lo è ancordi più quando la Cina vuole che il mondo -l’Europa,gli Usa - abbiano rapporti con Pechi-no. Roma tende ad essere troppo provinciale.Anche noi abbiamo stretto rapporti commer-ciali con la Cina. I nostri imprenditori e le no-stre aziende vanno spesso a Pechino.Anche ilnostro governo, i nostri ministri si son fatti ve-dere dalla parti del Dragone. Proprio questoritrovata “via cinese” ha reso problematici irapporti ufficiali tra il governo e lo Stato italia-no e il Dalai Lama. Eppure, la posizione deveessere rovesciata: proprio perché l’Italia - enon solo - ha stretto relazioni economiche ecommerciali con la Cina si deve accogliere abraccia aperte il capo spirituale del popolo ti-betano che la Cina umilia e uccide da mezzosecolo. Berlusconi, che è alla guida del “popo-lo della libertà”, avrebbe dovuto accogliere ilDalai Lama a Palazzo Chigi.

I

Dopo Taiwan, Googlee debito pubblico, l’affrontocompiuto da Washingtonleva il sonno ai leader del regime di Pechino.Che meditano vendettae vendono buoni americanidel Tesoro al Giappone.Il Tibet, invece, festeggia

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programma nucleare dell’Iran. Ov-viamente, poi, le questioni economi-che e finanziarie sono il nodo princi-pale del rapporto fra i due giganti.Nodo che non sarà facile sciogliere, eche il Dalai Lama non aiuta ad allen-tare. Tuttavia, e questo è un dato cheaiuta sempre, una netta maggioranzadi americani crede che il Tibet debbaessere libero ed indipendente, anchese rimane consistente la percentualedi chi crede che per gli Stati Uniti siapiù importante tutelare le buone rela-zioni con Pechino che prendere posi-zioni in difesa dei tibetani. Lo dice unsondaggio realizzato dalla Cnn, chemostra come il Dalai Lama sia una fi-gura molto popolare e rispettata negliStati Uniti: il 56 per cento degli inter-vistati ha un’opinione favorevole sudi lui e solo il 18 per cento dichiara diaverne una negativa. E se i tre quartidegli intervistati crede che il Tibetdebba essere indipendente ed il 53per cento considera più importanteper gli Stati Uniti prendere una posi-zione netta sui diritti umani che averebuone relazioni con Pechino, per unconsistente pragmatico 44 per centoqueste relazioni sono importanti. Piùimportanti della difesa dei diritti deitibetani, affermano i fautori della realpolitik. Nel frattempo, Pechinocontinua ad attaccare: non appena ilDalai Lama ha posato il piede all’in-terno della Casa Bianca, una nota delministero degli Esteri cinesi ha defini-to l’incontro «un grave danno» per irapporti bilaterali. Come da copione.

umani dei tibetani in Cina»

riccoolloossee Dall’alto, le proteste di Lhasadell’estate del 2008; la facciata dellasede di Google a Pechino; i missiliamericani inviati a Taiwan; un brokerdi Shanghai. A destra, uno dei pochirappresentanti del Dalai Lama all’Ue

di Antonio Picasso

i questo incontro fra Sua San-tità il Dalai Lama e il Presiden-te degli Stati Uniti «vogliamoche siano evidenziati due punti

importanti», dice Tseten SamdupChhoekyapa, a capo della Rappresen-tanza del Dalai Lama presso l’UnioneEuropea, con sede a Ginevra. «Prima ditutto noi non siamo un movimento diindipendenza nazionale. Seconda cosa:la Cina, al di là dellepolemiche di questiultimi giorni, deveprendere atto che l’in-tera comunità inter-nazionale riconoscel’identità tibetana, cheresta comunque sottola giurisdizione di Pe-chino. Ne consegueche anche quest’ulti-ma debba fare altret-tanto». Contattato te-lefonicamente, il dot-tor Chhoekyapa cispiega che la visita delDalai Lama a Wa-shington non deve es-sere travisata. «Quelladi Sua Santità non èun’azione politica».Del resto Barack Oba-ma non è il primo Pre-sidente Usa a incon-trare il Dalai Lama.Anzi, in un’occasio-ne precedente George Bush si espose inmaniera molto più esplicita in favoredel Tibet, suscitando davvero l’indigna-zione di Pechino.Tre anni fa, l’allora in-quilino della Casa Bianca consegnò al-la massima autorità spirituale delbuddhismo tibetano la Medaglia delCongresso, cioè la più alta onorificenzacivile degli Stati Uniti. Questa volta la li-nea di basso profilo tenuta dalla CasaBianca impedisce agli osservatori, al-meno quelli occidentali, di parlare di unsummit ufficiale fra i due leader, bensìdi un incontro tra due personalità popo-lari a livello mondiale.

««AAuuttoonnoommiiaa,, lliibbeerrttàà di espressione,quindi religiosa e crescita economica.Questi sono i punti del nostro impegnocivile», aggiunge Chhoekyapa. «Ed èper questo che il Dalai Lama si incontrafrequentemente con i rappresentantidei governi occidentali. Ieri è stato il tur-no degli Usa, poi seguiranno altre occa-sioni di dialogo». Sempre a Washingtonè prevista nei prossimi giorni la visitadella piccola rappresentanza dei tibeta-ni che vivono negli Stati Uniti. «Si trat-terà di un gruppo comunque ridotto»,spiega Chhoekyapa. «La nostra comu-nità laggiù è composta solo da 9 milamembri. Molti di loro vivono in Florida

Do a Los Angeles. Per la maggior partepurtroppo sarà impossibile sostenere unviaggio così oneroso per omaggiare SuaSantità». Il responsabile della Rappre-sentanza del Tibet a Ginevra valuta co-munque positivamente la visita di ieri aWashington.

««DDaa uunnaa ppaarrttee ddiimmoossttrraa che il nostrolavoro procede sulla strada giusta. Dal-

l’altra significa che gliStati Uniti sostengonola nostra campagna».«Il popolo tibetano èun’identità che fa par-te della Cina e cometale Pechino deve rico-noscerla. Quando par-liamo di autonomia,facciamo riferimentoalla possibilità di espri-mere il nostro pensieroreligioso e spirituale,senza il timore di esse-re perseguitati comedissidenti. Quandochiediamo la libertàeconomica, lo faccia-mo per il bene del no-stro popolo, che è ri-masto vittima del co-munismo maoista eoggi resta escluso dalsistema produttivo na-

zionale cinese». L’analisi di Chhoekyapaè cristallina e poggia su elementi concre-ti. Quando infine gli chiediamo se il Da-lai Lama non abbia paura delle ritorsio-ni che sarebbero previste sul popolo ti-betano da parte delle Autorità cinesi,proprio come reazione all’incontro di ie-ri con Obama, l’ottimismo di Chhoekya-pa si fa ancora più forte. «La Cina deverendersi conto di quello che sta succe-dendo nel mondo. Il Tibet è una realtàculturale e spirituale non riconosciutaormai soltanto da Pechino. Spetta al suogoverno cambiare atteggiamento e ac-cettarlo non come un nemico, ma unaricchezza per l’intero Paese». Da Gine-vra Chhoekyapa torna quindi a ripetere:«Noi siamo in favore del riconoscimentodell’autonomia tibetana, non dell’indi-pendenza del Paese». Una precisazione,questa, che lascia intendere che anche ilDalai Lama, dall’alto della sua spiritua-lità, disponga di acume politico e perquesto capisca la scelta di Obama di in-contrarlo sì, ma senza la visibilità chespetterebbe a Sua Santità. In una situa-zione in cui gli Usa sono impegnati a evi-tare altre frizioni con Pechino, il governodel Tibet in esilio è disposto a rinunciarealla sua identità politica. «Il risultato co-munque non cambia. Sua Santità si è in-contrato con il Presidente Usa. Il nostroscopo è stato raggiunto».

Il governo tibetano in esilio vuole soltanto libertà religiosa

«Anche senza foto,è un buon inizio»

Parla il rappresentante del Dalai Lama pressol’Unione europea: «Presto altri viaggi negli Usa»

Parlando di autonomia,facciamo riferimento alla libera espressionedel nostro pensieroreligioso e spirituale

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l motore Google, simbolo stessodella “ricerca” quindi di quella li-bertà di comunicazione che oggiInternet consente all’uomo comu-

ne (tanto che nell’inglese quotidianod’America si è ormai intronizzato ilneologismo to google per intendere“navigo il web in cerca di quel che miserve”), viene bandito dalla Cina neo-postcomunista per paura che le perso-ne si parlino. Gli uiguri musulmani so-no perseguitati ogni dì dalle guardierosse e ogni dì si stringono più forteattorno alla loro leader morale, Re-biya Kadeer. Lo scrittore Liu Xiaobo,68 anni, condannato a 11 anni per“sovversione”, si presenta alla Corted’appello di Pechino, gl’impedisconodi difendersi e il suo memoriale finiscesu queste stesse pagine, nell’edizionedi venerdì 12. Succede tutto questo,quotidianamente, e allora è più che le-gittimo domandarsi: ma il cosiddettomondo libero che fa? Non abitiamopiù, infatti, nel passato dei blocchicontrapposti, irriducibili epperò im-mobili in una logorante guerra fredda

di posizione. Non siamo più ai tempiin cui il socialcomunismo spadroneg-giava e i suoi avversari apparivanotalvolta inebetiti e comunque incapacidi qualsiasi reazione costruttiva di li-bertà autentica. Non c’è più, insomma,il clima artefatto della menzogna incui al comunismo internazionale ci sicredeva a prescindere.

PPeerrcchhéé iill mmoonnddoo lliibbeerroo non appro-fitta delle mutate condizioni globaliper abbattere su se stesso quell’ultimomattatoio mostruoso e liberare i milio-ni di persone che ancora ne patisconoquotidianamente gli orrori? Per since-rarsi di essi basta sfogliare i dossierelaborati dalla meritoria Laogai Re-search Foundation, diretta a Washing-ton dal dissidente Harry Wu (alias WuHongda), classe 1937, 19 anni di lavoriforzati, e prodotti anche in italianograzie alla Laogai Research Founda-tion Italia (www.laogai.it), infaticabil-mente diretta a Roma da Antonello

“Toni”Brandi. Ora la bugia, creduta datroppi, che vale il lasciapassare mon-diale agli ideocrati cinesi è che il regi-me là vigente oggi non sia affatto piùmarxismo-leninismo-maoismo. Chesia invece capitalismo, anzi turbocapi-talismo, persino anarco-capitalismo,insomma laissez-faire selvaggio. Chetutto sia cioè finito nel mercato, che ilprofondo rosso e il rosso antico cinesisiano oramai irrimediabilmente sbia-diti e che i danni al popolo che Pechi-no infligge ora siano “di destra”, “libe-rali”, “occidentali”. Ecco, il finire perriuscire a farlo credere sostanzial-mente a tutti è stato il gran colpo damaestro sferrato al mondo dalla diri-genza cinese: ma un colpo perfetta-mente leniniano, cioè tattico, due pas-si avanti e uno indietro, che fare? Rifa-re, ristrutturare per non soccombere,Nuova politica economica, perestrojkastavolta riuscita, autofinanziamento,fund-raising e marketing da manuale,genio militare alla Sun Tzu, strategia

di sopravvivenza. La Cina di oggi, ba-sta studiarla, è perfettamente in lineacon la Cina rossa di sempre. Ha solomutato quel che bisognava mutare,paradossalmente realizzando l’intui-zione del maestro delle destre, Ed-mund Burke (1729-1797), per il qualeconservare significa saper abbando-nare quel che più non serve.

LLaa CCiinnaa mmaaooiissttaa si è riciclata attra-verso una dirigistica gestione del pro-prio capitale di rapina onde pagarsi diche perpetrare sempre e comunquecrimini aberranti. Nella Cina di oggi siammazza annualmente un numero di“contro-rivoluzionari” proporzionaleal fabbisogno di organi umani espian-tati dai cadaveri venduti al mondo, sicostringono le coppie all’aborto dopoil primo figlio, si cerca pure di steriliz-zarle, si abbandonano le bambine alproprio destino perché meno utili nellavoro coatto e, se si riesce, le si elimi-na preventivamente nel grembo dellemadri con logica perfettamente euge-netica. Nella Cina di oggi s’incarcera

I

Analisi. Il modello maoista non è scomparso: è stato soltanto trasformato in un capitalismo schiavista. Da cui si può fuggire

Se San Giorgio parla con il Drago

di Alessandro D’Amato

iente è per caso. Proprio nel giorno in cuiBarack Obama incontra il Dalai Lama, tut-ti i giornali cinesi aprono commentando,ovviamente in modo positivo, la decisione

di Pechino di liquidare una buona parte dei suoi in-vestimenti in buoni del Tesoro degli Usa. Una scel-ta che è sembrata una sfida nei rapporti tra le duesuperpotenze ed è stata approvata anche dall’esta-blishment: «La Cina ha scelto la giusta strategianel ridurre drasticamente gli investimenti in titolidi stato americani», è stato il commento di LiuYuhui, economista dell’Accademia di Scienze So-ciali (Cass), alla decisione di Pechino di non esse-re più il primo finanziatore del debito pubblicoamericano. Liu ha aggiunto che la decisione è sta-ta corretta anche considerando che non ci sono se-gnali di ripresa del dollaro, debole da ormai lungotempo. «Il grosso debito americano e i tassi di inte-resse pari a zero hanno eroso il valore dei bondamericani», ha invece detto Cao Honghui, diretto-re delle ricerche finanziarie di mercato della Cass.

GGiiàà nneell mmaarrzzoo dello scorso anno, il premier cine-se, Wen Jiabao, aveva dichiarato di essere «moltopreoccupato» della situazione dei titoli americanie aveva detto di volere delle rassicurazioni circa lasicurezza degli investimenti del suo Paese negli

Usa. La Cina ha tagliato la propria quota di Trea-sury Bond portandola a 755,4 miliardi di dollaridai 789,6 miliardi di novembre. Ora è il Giapponea guidare la classifica dei maggiori investitori delPaese di Obama, avendo aumentato la sua quota di11,5 miliardi elevandola a 768,8 miliardi di dollaririspetto ai 757,3 del mese prima, mentre la GranBretagna e il Brasile hanno cominciato ad acqui-stare massicciamente T-Bond in quella che potreb-be sembrare un’operazione di “ricopertura” etero-diretta da Washington. La mossa cinese, però, po-trebbe essere stata dettata soltanto da input econo-mici, anche se la sua pubblicizzazione, magari sol-tanto per fini propagandistici, ha finito per legarsialla visita del Dalai Lama: Alan Ruskin, strategistdi Rbs, interpretava ieri in un commento rilasciatoal Financial Times proprio con la necessità di di-versificare dopo la “saturazione”di acquisti di tito-li di debito durante la crisi. Anzi: c’è chi ci vedepersino un segnale positivo, visto il carattere pret-tamente “difensivo”dei Treasury Bond. Sarebbe unsegnale che i cinesi credono sempre più nella ri-presa mondiale, oltre ad avere meno fiducia nel Te-soro americano: per questo hanno deciso l’opera-zione. Ma c’è anche da dire che al disinvestimentonel settore pubblico non ha fatto eco l’uscita daquello privato: il fondo sovrano del governo di Pe-

NRidotto l’investimento in Buoni del Tesoro americani

La vendettadi Pechinosi abbattesul debito

pubblico Usa

Manuale etico per chi vuole fare affari con la Cina senza perdere la facciadi Marco Respinti

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Il presidentecinese Hu Jintao.

In alto, una vedutadella capitale

giapponese Tokyo.Nella pagina a fianco,

operaicinesi

chino (China Investment Corporation) è diventatoazionista (di minoranza) della créme delle grandiimprese a stelle e strisce: Apple, Citigroup, CocaCola, Bank of America,Visa, Johnson & Johnson.

NNoonn èè uunnaa rriittiirraattaa, anche se tra Cina e Stati Uni-ti di altri motivi di contrasto ce ne sono: gli Usa ac-cusano la Cina di tenere artificialmente basso iltasso di cambio della sua valuta, lo yuan, favoren-do le esportazioni e la crescita del suo già enorme

avanzo commerciale. I due Paesi hanno in corsodispute davanti all’ Organizzazione mondiale delcommercio (Wto) su una serie di settori - tra cuil’acciaio, l’alimentare e alcune materie prime - ac-cusandosi l’uno con l’altro di pratiche protezioni-stiche. Gli Usa lamentano anche la scarsa prote-zione della proprietà intellettuale da parte di Pe-chino. Dall’altra parte, però, c’è l’America. Dovenel solo 2009 gli investimenti stranieri in bond go-

vernativi sono calati di 500 milioni di dollari, il de-bito pubblico toccherà quota 1560 miliardi e la do-manda di Treasury Bonds, negli ultimi tempi, è inchiara difficoltà. Mentre Obama dice che vuole ri-durre il debito, se la marcia degli investimentiesteri continuerà così gli americani saranno co-stretti a offrire un tasso di interesse maggiore perattrarre capitali, portando così a stressare ancorail bilancio. Preoccupazioni infondate, per ora, se-condo Gregory Daco, economista di Ihs Global In-

sight, visto che i titoli pubblici americani sono an-cora appetibili e l’alternativa, ovvero l’Europa,non gode certo di ottima stampa visto come stagestendo l’emergenza Grecia e la questione dei Pigs in generale. Insomma, per adesso gli StatiUniti possono ancora dormire sonni tranquilli. Mala paura di vedere messa in discussione la loroleadership mondiale comincia ad esserci.E con qualche ragione.

senza garanzie né ragione, si processasommariamente, non si fornisce dife-sa, si tortura, si sevizia, si perseguita,si ammazza, si discrimina razzistica-mente. Nella Cina di oggi non esiste li-bertà vera di credo, di parola, di stam-pa, di opinione, di religione. Nella Ci-na di oggi vige un sistema concentra-zionario immane, fatto di centinaia ecentinaia di campi d’internamento o dilavoro forzato, i tristemente noti lao-gai, in cui le vittime, spessissimo com-pletamente innocenti, servono il regi-me come bestie da soma, producendoquella mano d’opera gratuita poichéschiavistica i cui prodotti moralmenteed economicamente viziati avvelena-no poi il resto del mondo, ma che mol-te ditte occidentali acquisiscono dibuon grado giacché a basso prezzo.

NNeellllaa CCiinnaa ddii ooggggii, insomma, il tota-litarismo conosce una nuova primave-ra. «Nel mondo oggi molti credonoche i diritti umani e la libertà diespressione siano cose belle, ma chesu tutto debba avere il sopravvento larealtà economica», mi dice Toni Bran-di. «Ecco, riguardo alla “questione Ci-na” peggio di così il problema non po-trebbe essere posto. Diritti umani edeconomia sono infatti due realtà stret-tamente legate.Tutto quanto è immora-le, cioè, si rivela prima o poi contropro-ducente sul piano economico». Brandicita le regole stabilite dell’Organizza-zione mondiale del commercio perconsentire ai Paesi del mondo di difen-dersi dal dumping (la vendita di beni odi servizi su un mercato estero a unprezzo inferiore a quello di vendita opersino di produzione dello stesso pro-dotto sul mercato di origine) e dellasovvenzione pubblica, ma aggiungeche ciò non previene il cosiddetto“dumping sociale” praticato da regimi,come la Cina, che impiegano indu-strialmente il lavoro forzato e il lavorominorile per aumentare la competiti-vità. «Se pure esistono», precisa Bran-di «strumenti elaborati dal Gatt (l’Ac-cordo generale sulle tariffe e il com-mercio) appositamente diretti contro illavoro forzato, oggi un paese come laCina se ne fa tranquillamente beffe. Lofa mantenendo sul proprio territoriouna rete vastissima di almeno 1400

campi dove milioni di persone vengo-no quotidianamente costrette a lavora-re anche fino a 18 ore al giorno per ilpuro vantaggio economico del regimee di numerose imprese sia cinesi sia in-ternazionali che in quell’inferno terre-stre investono indisturbate». Recente-mente, grazie all’alacre opera dilobbying svolta da Peter E. Müller, rap-presentante ufficiale in quella sededella Laogai Research Foundation, ilParlamento europeo ha approvato unarisoluzione riguardante l’etichettaturadi origine dei prodotti immensi sulmercato internazionale. La Laogai ha

pure chiesto al Commissario europeoper il Commercio di sospendere il si-stema di agevolazioni daziarie per laCina dal momento che sfrutta il lavo-ro forzato e quello minorile per l’ex-port. In Italia sta minuziosamente de-nunciando questa situazione intollera-bile la Coldiretti. Danilo Merz, diretto-re della Coldiretti del Trentino, denun-cia infatti che «molti laogai producononel campo agro-alimentare ed alimen-tano le importazioni cinesi in Italia e inEuropa». Inoltre, la legge varata in di-cembre per proteggere il made in Italyrichiede l’etichettatura obbligatoriadei prodotti del settore tessile, dell’ab-bigliamento, dell’arredo domestico,delle calzature e della pelletteria, tutticomparti dove l’import dai laogai è ac-certato e fortissimo. «Il nodo», torna aosservare Brandi, «dove s’intreccianoetica ed economia è questo. L’adultera-

zione del mercato conseguente allaviolazione dei princìpi etici comportaslealtà palesi, corse al ribasso, peggio-ramento evidente delle qualità, ragio-nevolmente pure corruzione, quindi di-soccupazione e spostamento di fabbri-che in luoghi “concorrenziali”, nonchébancarotta delle imprese». E «chi, ma-gari a ragione, tuona ora contro il pro-tezionismo anzitutto dimentica cheproprio un Paese come la Cina applica,contrariamente agli accordi raggiuntiin sede di Wto, forti dazi sulle importa-zioni, come nel caso del settore auto-mobilistico e del comparto agro-ali-mentare, senza dimenticare di comePechino abbia bloccato le importazionidi prodotti quali i libri, i dvd e il pro-sciutto di casa nostra».

AAllllaa ffaacccciiaa ddeell lliibbeerroo mercato, in-somma. In Cina non esiste diritto diproprietà, esiste un sistema rigidamen-te controllato e centralizzato che con-sente esclusivamente a una certa fasciadi cittadini di possedere i mezzi pergiocare d’azzardo sul tavolo di un mer-cato sfigurato e quindi di perpetuare imeccanismi caricaturali e perversi quidescritti. In Cina non vi è competizio-ne, concorrenza, né gara alla produzio-ne di servizi e prodotti migliori, ma so-lo contraffazione e mal produzioneschiavistica che deprimo il mercato esviliscono l’uomo. In Cina, lo Stato-par-tito-governo sostiene pure a colpi dipartecipazioni governative, d’incentivistatali e di sovvenzioni partitiche le im-prese esportatrici, consentendo agevo-lazioni fiscali, bassi tassi d’interesse euso gratuito di terreni. Ciliegina sullatorta, si fa per dire, se già nel giugno2008 la Laogai Research Foundationaveva individuato 314 laogai fornitoriaccreditati dell’Occidente, il nuovorapporto della Fondazione, fresco fre-sco di elaborazione, è una nostraesclusiva, rivela i dati dell’indaginecompiuta fra il 6 e il 22 ottobre 2009 su28 grandi siti di commercio internazio-nale in almeno 10 Paesi che identifica120 imprese laogai. Ecco, ci sono an-che in Italia intellettuali impegnati cheraccolgono “libri neri sul liberismo” .Un poco più di attenzione al caso cine-se potrebbe indurli a riscrivere almenoil sommario delle loro opere.

La mossa cinese è un segnale politico alla Casa Bianca, ma è dettata anche da ragioni economiche: diversificare i suoi titoli di riserva. Ormai è il Giappone il Paese che guida la classifica dei principali investitori stranieri negli Stati Uniti

Dietro il boom c’è anche l’economia del laogai:nei campi di lavoro forzatoi dissidenti fornisconomano d’opera a costo zeroi cui prodotti avvelenanoi mercati di tutto il mondo.E i dazi colpiscono i Paesioccidentali bloccando libri,dvd e prosciutto di casa nostra

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Ucraina. Aspettando la decisione della Corte suprema, il nuovo presidente studia la squadra di governo per sostituire la Timoshenko

Contro-rivoluzione arancioneiktor Yanukovich non saancora se la Corte su-prema amministrativadarà ragione a Yulia Ti-

moshenko che non accetta lasconfitta nel ballottaggio delleelezioni presidenziali, denunciabrogli e chiede di ripetere il vo-to come avvenne nel dicembredel 2004.Ma non sembra preoc-cuparsene troppo. La Corte sipronuncerà, probabilmente, en-tro la fine della settimana e, perora, ha soltanto sospeso il risul-tato elettorale: un atto dovutoche non ha fermato i preparati-vi per il giuramento di Yanuko-vich - previsto per il prossimo25 febbraio - e che, soprattutto,non ha impedito al leader filo-russo di preparare le primemosse della sua svolta per can-cellare quello che resta della “ri-voluzione arancione”ucraina. Enon è certo un caso se il presi-dente russo, Dmitry Medvedev,lo abbia già invitato a Moscaper «consolidare i rapporti conKiev» - come è scritto nella let-tera partita dal Cremlino - dopogli anni di tensione con il presi-dente uscente,Viktor Yuscenko.Medvedev ha scritto che le ele-zioni presidenziali hanno di-mostrato che gli ucraini «desi-derano porre fine ai tentativi,falliti, di creare discordia tra inostri due popoli».

IInn rreeaallttàà,, il risultato del ballot-taggio - 48,9 contro 45,4 - haconfermato che il Paese è spac-cato a metà e questo consigliaanche al “duro”Yanukovich unacerta dose di prudenza tantoche, oltre alla normalizzazionecon la Russia, ha promesso di

Vcontinuare a lavorare per l’in-gresso dell’Ucraina nella Ue eha messo al primo posto delsuo programma la lotta alla cri-si economica.

IIll PPiill ddeellll’’UUccrraaiinnaa è crollatodel 15 per cento nel 2009 e que-sta è stata, al di là di tutte le di-visioni ideologiche e geostrate-giche, la vera ragione dellasconfitta elettorale di Yulia Ti-moshenko che - da primo mi-nistro del governo ancora incarica - non è riuscita a gestireil difficile passaggio dell’eco-nomia del Paese dalla fase disatellite dell’ex Urss alle regole

del libero mercato. La “princi-pessa Leila”come la chiamanoin patria per la sua pettinaturacopiata da quella della prota-gonista femminile del filmGuerre Stellari, non è riuscita arisolvere né il contenzioso sulgas con Mosca, né la crisi delleesportazioni dell’industria pe-sante e la popolazione ne hapagato i contraccolpi in termi-ni di livello di vita. Ecco perchéYanukovich ha imparato daglierrori passati e, più che presen-tarsi soltanto come il paladinofilo-russo, insiste su slogan po-pulisti e promette che la suapriorità sarà quella di lottarecontro la povertà e di avviare«interventi sistematici» per af-frontare la crisi economica.«Ho studiato i programmi per

gasdotti per ridurre il transitodi metano attraverso l’Ucraina.Questo secondo obiettivo èmolto più problematico perché,ormai, i due progetti NorthStream e South Stream, cheporteranno il gas nell’Europasettentrionale e meridionalepassando per il Baltico e il MarNero, sono a buon punto.

MMaa llaa ppaarrttiittaa dei gasdotti èuno dei business del secolo eMosca potrebbe avere interes-se a tenere aperte più opzioni.L’Europa compra dalla Russiacirca un quarto del suo fabbi-sogno di gas e il Cremlino hadetto che potrebbe aumentarele forniture attraverso l’Ucrai-na se le fosse permesso di as-sumere la comproprietà e lacogestione dei gasdotti. Kievha votato una legge che impe-disce la privatizzazione delle pipeline, ma questo avvenivasotto la vecchia leadership. Equello che ha veramente in te-sta Yanukovich nessuno è an-cora in grado di dirlo. Una co-sa è certa: dalla squadra chesta creando attorno a se è evi-dente che gli affari - e in parti-colare quelli legati all’energia -gli stanno molto a cuore. Il suoprincipale sponsor è RinatAkhmetov, l’uomo più riccodell’Ucraina che nel 2007 è sta-to eletto deputato nelle liste delmovimento politico del neo-presidente, il Partito delle Re-gioni. La sua holding - la Smc,System Management Capital -si occupa di energia, acciaio etelecomunicazioni. Akhmetovè anche presidente dello Shak-tar Donetsk, la squadra di cal-

cio che nel 2009 ha vinto laCoppa Uefa, e ha investito ditasca propria 400 milioni didollari per il nuovo DonbassStadium che ospiterà anche al-cune partite dei campionati eu-ropei del 2012. Mykola Azarov,il numero due del Partito delleRegioni, geologo di formazio-ne e membro dell’Accademiadelle Scienze ucraina, sotto ilvecchio presidente, Leonid Ku-chma, è stato al vertice del-l’amministrazione fiscale fa-cendo dormire sonni non trop-po tranquilli anche a Yulia Ti-moshenko, quando l’eroinadella rivoluzione arancionecontrollava ancora il compartodel gas alla testa di UnifiedEnergy Systems of Ukraine.

QQuuaallccuunnoo aa KKiieevv crede cheanche lo stesso Viktor Yuscenkopotrebbe avere un futuro nellasquadra di Yanukovich e ipotiz-za un inciucio incredibile: ilnuovo presidente filo-russo po-trebbe scegliere l’ex presidentefilo-occidentale per sostituireYulia Timoshenko nella caricadi primo ministro. Sembra im-possibile. Ma la politica ucrainaha già riservato molte sorpreseed è anche vero che il neopresi-dente si trova in una posizionepiuttosto scomoda, alla testa diun Paese spaccato a metà, sen-za una maggioranza in Parla-mento e con un governo in cari-ca che è ancora guidato dallasua principale avversaria. Sen-za contare che in sedici distret-ti elettorali non ha avuto lamaggioranza nemmeno al bal-lottaggio e che, tra questi, c’è ildistretto della capitale.

la ripresa adottati in numerosiPaesi, ci sono già state molteesperienze che dobbiamo in-trodurre anche in Ucraina», hadetto in campagna elettorale e,a sorpresa, ha anche sostenutoche il prezzo del gas negoziatocon la Russia è «ingiusto perl’Ucraina» e che sarà propriolui a difendere gli interessi na-zionali rimediando alla situa-zione creata dall’accordo sti-pulato nel gennaio 2009 da Yu-lia Timoshenko con il suo colle-ga russo, Vladimir Putin. Perspuntare un migliore prezzodel gas da Mosca,Yanukovichha già in mente un baratto: of-

frire alla flotta russa sul MarNero di stazionare nel porto diSebastopoli oltre la previstascadenza del 2017.

LLaa qquueessttiioonnee della base nava-le, che un tempo era sovietica eche ora è in affitto alla Russia, èun’arma di scambio potente.Per il Cremlino, mantenere laflotta a Sebastopoli è anche unmodo per congelare il processodi adesione dell’Ucraina allaNato che è stato avviato dalpresidente Viktor Yuscenko cheaveva battuto Yanukovich nel2004. In cambio di una nuovaconcessione ventennale delporto sul Mar Nero,Yanukovichconta di ottenere minori prezzidel gas ed anche l’impegno diMosca a non costruire nuovi

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Yanukovich si prepara a “normalizzare” i rapporti con la Russiadi Enrico Singer

Qualcuno a Kiev ipotizza un “inciucio”clamoroso e vede per il filo-occidentale ViktorYuscenko un futuro nel prossimo esecutivo

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PARIGI. I capelli di Gérard De-pardieu. La pelle di Gérard De-pardieu. Inutile arzigogolare:non sono quelli di un nero,nemmeno quelli di un meticcio.Niente da fare, non c’è maquil-lage, non c’è permanente dicrespi ricci, non c’è finzione ci-nematografica che tenga: De-pardieu è bianco, sfumato por-pora quando esagera a tavola, eil grigio della capigliatura na-sconde a fatica il castano chia-ro per non dire biondo ceneredelle radici. Nella Francia chedibatte della sua identità nazio-nale, che si affanna ad affer-marsi come paese della diver-sità, un GérardDepardieu -bianco - che in-carna al cinemaun AlexandreDumas - metic-cio, anche semolti lo ignorano o fingono diignorarlo o lo dimenticano -non poteva non sollevare scan-dali e polemiche extracinema-tografiche.

TTuuttttoo ccoommiinncciiaa al cinema,appunto. Poco più di una setti-mana fa è uscito nelle sale diFrancia L’autre Dumas, regia diSafy Nebbou, mercoledì pre-sentato al festival Berlino. Latrama non ha nulla di scabrosodal punto di vista razziale. È lastoria del rapporto ambiguo tral’irruente, bulimico, geniale, ri-voluzionario Dumas, reducedal successo dei Tre Moschet-tieri e all’opera sul Conte diMontecristo, e il suo alter egoletterario, il collaboratore, timi-do, represso, monarchico Au-guste Maquet (interpretato daun bravissimo ma senza alcuninteresse etnico Benoît Poel-voorde). I critici hanno salutatol’interpretazione come al solitomagistrale di Depardieu (tal-mente a suo agio nei panni diqualsiasi ruolo da avere sem-pre l’aria di pensare ad altromentre recita), altri hanno stor-to il naso davanti alla versionedi un Dumas vicino all’impo-stura, debitore in quasi tutto altalento segreto del suo ghostwriter. Nel film, Maquet diven-ta praticamente il vero autoredei Tre moschettieri. «Un po’troppo» hanno mormorato ibiografi dell’immenso roman-ziere di Francia. Ma l’esegesi

cinematografica del film si èfermata qui. Forse anche per-ché non c’è moltissimo da diree l’opera di Nebbou, gradevole,pimpante, servita da attori bra-vi se non eccellenti, non è pro-babilmente destinata a passarealla storia. Sul colore della pel-le di Depardieu, al contrario, lepenne e le menti si sono scate-nate. Da quando, alcuni giornifa, il quotidiano Libération hadato il via alle danze, lanciandola spinosa questione: «Può ilbiondo Depardieu tenere il ruo-lo dello scrittore oggi alpantheon, uomo di colore?», icommenti non si sono più fer-

mati. Sintomo del malesserecon cui la Francia affronta oggiil dibattito sull’identità nazio-nale - voluto e imposto da Nico-las Sarkozy e il suo ministrodell’Immigrazione Eric Besson- e della serie di complessi cheanimano qualsiasi dibattitotocchi alla «diversità», dal bur-qa, ai minareti, alle statisticheetniche alla laicità tollerante.La pelle di Depardieu è così di-ventata la valvola di sfogo divecchi tabù e nuovi imbarazzi,una polemica epidermica. In-

nanzitutto la storia. AlexandreDumas era un «mezzosangue»,un meticcio, un creolo, un quar-teron come di diceva all’epoca,aveva un quarto di sangue afri-cano nelle vene: figlio di padremeticcio, generale durante laRivoluzione, a sua volta figliodi una schiava nera.

LLuuii sstteessssoo si descriveva come«un negro dai capelli crespi el’accento vagamente creolo», econ lo stesso tono sarcasticoamava rispondere agli attacchirazzisti di cui fu spesso vittimanonostante la fama. Nulla ditutto questo nel film di Nebbou.

«Dumas è unmonumento na-zionale. I suoiromanzi sonodiventati un’o-pera popolare,conosciuta al-

l’estero e emblematica dell’im-magine storica della Francia.Per questo l’aspetto “esotico”diDumas è stato presto messo daparte. E l’omissione è diventataoccultamento», ha spiegatoSylvie Chalaye, docente uni-versitaria e grande studiosadell’autore dei TreMoschettieri. «In un momentoin cui si parla di identità nazio-nale e di diversità - ha aggiuntola Chalaye - trovo un peccatoche non si possa ancora oggiconsiderare serenamente l’a-

spetto meticcio di Dumas. Alcontrario, dovremmo esserneorgogliosi». «Tutto è possibile,in nome della libertà del cinea-sta» ha concesso Libération,che però, in nome di questastessa libertà, chiosa: «Siamoanche noi liberi di esprimere ilmalessere nel vedere un Du-mas imbiancato di tutto pun-to». A questo punto, tutti gli in-terrogativi diventano leciti:«Tra 150 anni il ruolo di Barack

Obama potrebbe essere inter-pretato da un bianco? GeorgeClooney potrebbe essere credi-bile in Martin Luther King? Eun Giulio Cesare nero comeverrebbe accolto?».In realtà, il Dumas bianco delcinema ha sollevato in Franciaanche questioni meno peregri-ne. Innanzitutto sul cinema:«Gli attori di colore non trova-no ruoli all’altezza del loro ta-lento perché giudicati dal pro-duttori poco “redditizi”, e resta-no così sempre confinati a certipersonaggi», scrive Libération.Dal cinema alla vita reale e po-litica il passo è stato breve. Ilfilm «è sintomatico della discri-minazione di cui sono vittimele persone della diversità e del-la difficoltà delle elite a ricono-scerle», ha commentato il Cran,il Consiglio rappresentativodelle associazioni nere di Fran-cia. L’attore Jacques Martial,nero, ha evocato «un meccani-smo discriminatorio basato sulsilenzio». Anche il centro na-zionale del Cinema non hamancato di sottolineare che «ilritardo della Francia sugli StatiUniti è immenso».

AA qquueessttoo ppuunnttoo,, il registaNebbou non è più potuto resta-re zitto. «Dumas era per trequarti bianco, sarebbe stato unerrore storico scegliere un atto-re meticcio, anche se è una pos-

La Francia e il «fattore D»La Francia e il «fattore D»di Francesca Giannotti

Cinema. Impazzano sui media le polemiche sul film di Nebbou,che “dimentica” le origini creole dell’autore dei Moschettieri

Il Dumas interpretato da Depardieu accende l’ennesimo dibattito sull’identità nazionale

Tutto è iniziato sul giornale “Libération”,che giorni fa si è chiesto: «Può il biondo attoreinterpretare il ruolo dello scrittore di colore?»

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sibilità alla quale abbiamo ri-flettuto» ha detto Safy Nebbou,tra l’altro lui stesso meticcio. Eha poi precisato: «Dumas ave-va gli occhi azzurri, come De-pardieu, e i capelli ricci, crespi.Per questo abbiamo arricciatola capigliatura dell’attore e gliabbiamo scurito la tinta». Sullostesso livello la linea difensivascelta dai due produttori delfilm. «Il cinema, come la vita,

apete, dicono che abbia parecchiosangue nero» si sentiva dire allesue spalle. Alexandre Dumas sivoltava e rispondeva: «Ma certo si-

gnori, mio padre era un mulatto, mio nonno unnegro e il mio bisnonno una scimmia! Vedetebene che le nostre famiglie hanno la stessa fi-liazione, ma in senso inverso». Dumas si eraabituato allo sberleffo nella Parigi ottocente-sca, ancora pervasa dal razzismo, di cui era di-ventato un protagonista. Figlio delle coloniedello zucchero e del rum, amava definirsi «ne-gro dai capelli crespi e dall’accento creolo»oppure «negré delle Nazioni Unite» avendo ilpadre generale, negro dei Caraibi e la nonnapaterna schiava liberata di Haiti.

AArrrriivvaattoo nneellllaa ccaappiittaallee ap-pena diciottenne da Villers-Cotterêts, in Aisne, dove eranato il 24 luglio 1802, entrònella cancelleria del Ducad’Orléans per la grazia dellasua calligrafia, ma utilizzògran parte del tempo passatoin ufficio per scrivere dram-mi teatrali, anche se il suoprimo lavoro per la ComédieFrançaise, Cristina di Fontai-nebleau non venne rappre-sentato. Ottenuto un discretosuccesso con drammi cappae spada e sdolcinati amori,Dumas perse il lavoro pressoil Duca d’Orleans e cominciòa scrivere sui giornali soprat-tutto con reportage di viaggi.Nel 1834 gli capitò tra le ma-ni un foglio di giornale conun fatto di cronaca che tra-sformò in romanzo creando Il cavaliere d’Harmental. Daallora iniziò una febbrile atti-vità con l’ausilio di una nutri-ta schiera di “negri”ai quali dettava pagine supagine. Siccome all’epoca i romanzi uscivanoprevalentemente a puntare sui giornali, si puòdire che la premiata ditta Dumas è da conside-rarsi il primo “service” per giornali capace diprodurre ben cento opere tra cui I tre mo-schettieri, Il Conte di Montecristo e l’intermi-nabile Il visconte di Bragelonne in tre volumi.La schiera dei suoi accoliti o scrivani dipen-denti era guidata proprio da August Maquet, alquale è dedicato il discusso film di Safy Neb-bou, L’autre Dumas. Il procedimento usato daDumas era semplice: prendeva spunto dallacronaca o da pubblicazioni locali per dare unvalore universale e simbolico ai casi della vita,casi che i giornali francesi chiamano faits di-vers. Prendiamo Il Conte di Montecristo: lospunto lo ebbe da un racconto di un certo Pu-chet intitolato Il diamante e la vendetta che, inuna ventina di pagine, narrava le vicende veredi François Pacaud, giovane imbianchino pari-gino che nel 1807 fu ingiustamente considera-to spia degli inglesi per la falsa delazione di unrivale in amore. Poi fece un viaggio in Toscana

S«durante il quale notò l’isoletta di Montecristo einfine soggiornò tre mesi a Marsiglia doveideò la figura di Edmon Dantès. Il gioco erafatto. Amante della vita godereccia e di gestispregiudicati, Dumas padre era un personag-gio stravagante che se ne fregava della politi-ca, della religione e dell’arte. Costruì un castel-lo, ovviamente detto di Montecristo e un tea-tro, ma fallì e fu costretto a fuggire in Belgio.Nella spedizione dei Mille andò incontro a Ga-ribaldi consegnandogli armi ed entrando alsuo fianco a Napoli e fermandosi tre anni nel-la città partenopea quale responsabile degliscavi archeologici. Rientrato a Parigi aprì ungiornale, L’indipendente, a cui collaborò Euge-nio Torelli Viollier, il futuro fondatore del Cor-

riere della Sera. A lui interes-savano solo i soldi e le belledonne. Poco prima di morireconfessò di averne portate aletto almeno 500, gran partecostosi amori occasionali. Lasua agenzia letteraria si oc-cupava di tutto: romanzi, bio-grafie, storia della Francia,storia della Chiesa, stili di vi-ta e viaggi. Passava da Napo-leone a Caterina de’ Medici,da Richelieu a Garibaldi confacilità dimenticando le vero-simiglianze storiche. Dumas,infatti, quando dettava aisuoi collaboratori, non lesi-nava lavorare di fantasia. So-lo nella biografia di Napoleo-ne cercò di essere obiettivo: ilpadre, infatti, aveva osato ri-bellarsi al còrso durante lacampagna d’Egitto e fu perquesto imprigionato. Morìnel 1806 senza ottenere ilperdono dell’imperatore che,invece della pensione diguerra, offrì alla vedova uno

spaccio di tabacchi, come era d’uso. Immersonegli eroismi occulti di un’epoca sanguinaria,al fondo delle sue opere emergono fatalismo,pragmatismo e fideismo.

AA uunn rraaggaazzzzoo uunnaa vvoollttaa ddiissssee:: «Ti piace lastoria, vero? Vai avanti purché non la studi suimiei romanzi!». Arrivò al punto di redigere un Dizionario di cucina per l’editore Lemerre, suaultima fatica, stabilendosi in un paesino dellaBretagna dove imparò a preparare i manica-retti del nord francese. In quell’anno si pre-sentò a casa del figlio a Puys senza preavviso,bussò alla porta, gettò i bagagli a terra e disse:«Sono venuto a morire a casa tua». Poi posesul tavolo due luigi d’oro, tutto ciò che gli erarimasto, e disse: «Mi si accusa di essere unoscialacquatore di denaro. Quando arrivai a Pa-rigi mezzo secolo fa avevo due luigi d’oro. Liho ancora». E in quell’appartamento morì il 6dicembre 1870 nel momento in cui la Franciaera alla prese con l’ennesima guerra contro iprussiani, così che nessuno, a parte i famiglia-ri, si accorse del suo ultimo vero viaggio.

Suo padre era un generale di coloredei Caraibi, mentre suanonna paterna unaschiava liberata di Haiti

A sinistra, un’immagine di Alexandre Dumas. Nella paginaa fianco, un fotogramma del film

“L’autre Dumas”, con GérardDepardieu. A destra, la copertina

de “Il conte di Montecristo”. In alto,un disegno di Michelangelo Pace

Ritratto di un personaggio stravagante alla corte del Duca d’Orléans

«Io, negro dai capelli crespi e dall’accento creolo...»Così lo scrittore amava definirsi, abituato com’era

agli sberleffi della Parigi ottocentesca pervasa dal razzismodi Marco Ferrari

non si riduce alla genetica -hanno fatto sapere in un comu-nicato Frank Le Wita e Marc deBayser - Se la diversità, nel suoinsieme, ha bisogno di esserepromossa, questo non deve av-venire a scapito della libertà ar-tistica. Che si fonda sull’analo-gia e la metafora, come per lascelta degli attori».

LLaa ssppiieeggaazziioonnee non basta perevitare l’affondo di due giorna-listi e scrittori, EmmanuelGujon e Serge Bile, che in unatribuna pubblicata dal sitod’informazione Rue 89 e ripre-sa da tutti i giornali, hanno ac-cusato il film di Nabbou diiscriversi nella «linea negazio-nista francese che, quando non“sbianca”, cancella dalla me-moria collettiva le grandi per-sonalità originarie d’oltremare,dal politico Felix Eboué al cor-po dei fucilieri senegalesi cheha “salvato”la Francia».Tutti so-no comunque d’accordo: Du-mas non deve essersi rivoltatonella tomba. «Durante la suavita - ha scritto un suo biografo- ne ha viste ben di peggiori».

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Musica. La band di Matthews in Italia: a Roma il 23 febbraio e il 25 a Padova

Dave, un’onda rocknella nostra Penisola

di Alfredo Marziano

orna in Italia la DaveMatthews Band (il 22febbraio al Palasharp diMilano, il 23 al Palalot-

tomatica di Roma, il 25 al Pala-sport di Padova), e stavolta tiradavvero aria di evento cult. Ilconcerto del 5 luglio scorso inPiazza Napoleone a Lucca hainvestito i sensi come un ura-gano benigno (e già si fa laconta di chi c’era: un po’ comea San Siro nel giugno del 1985per Springsteen), tre ore emezza di musica impetuosa edebordante che sembrano avervinto le ultime resistenze neiconfronti di una band dagli an-ni ‘90 campione di incassi negliStati Uniti.

UUnnaa sseerraattaa talmente specialeche lo stesso Matthews ha pen-sato bene di immortalarla dan-do alle stampe un lussuoso co-fanetto, tre cd contenenti l’inte-ra esibizione toscana corredatida un elegante libro fotografi-co e da un dvd con le ripreseeffettuate durante uno show al-la Brixton Academy di Londra.Sembrava difficilmente espor-tabile dalle nostre parti, laDMB, a dispetto dei quasi 33milioni di dischi venduti in pa-tria. Troppo “americani”, si di-ceva: ma niente a che vederecon Starbucks e Pizza Hut,quell’entusiasmo genuino econtagioso prima o poi era de-stinato ad attecchire anche qui.Il concerto acustico che il lea-der tenne nel 2007 al Dal Vermedi Milano in compagnia del fi-do chitarrista Tim Reynolds,esaurito in poche ore, era laspia che qualcosa stava cam-biando, che il brusio del passa-parola cresceva di volume e in-tensità (in Italia Matthews è so-stenuto da un fan club e da unsito internet attivissimo). Sì,

perché questa è una storia di(enorme) successo che con ilmarketing e le strategie indu-striali c’entra fino a un certopunto, il music business si è tro-vato a inseguire dall’inizio unfenomeno a combustione spon-tanea frutto di grande dedizio-ne, qualità della proposta musi-cale e dialogo intimo con ilpubblico. Matthews e compa-gni sono l’ultima incarnazionedella jam band alla GratefulDead, votata alla musica “tota-le” (rock, jazz, gospel, fusion,rhythm’n’blues, etnica? Impos-sibile appiccicare etichette) al-l’improvvisazione, al muta-mento costante. Nel pieno ri-spetto di quell’etica e filosofiadi vita non sono mai stati trop-po gelosi o protettivi della loro

T

musica. Ai fan è sempre statopermesso di registrare i con-certi e di scambiare i nastri conaltri appassionati, tra loro e imusicisti si è sviluppata una sa-lutare e intensa interazione,una complicità e un affetto cor-risposto. La pianta musicaledella DMB è stata coltivata con

metodi biologici, senza bisognodi additivi e di fertilizzanti.

LLuuii,, il signor Dave, affeziona-tissimo alla sua Charlottesvillein Virginia, è il perfetto ameri-can boy, anche se è nato aJohannesburg (Sud Africa). Unuomo normale per niente appa-riscente e molto stempiato, unantidivo per eccellenza. Attac-

cato ai valori tradizionali maabile a cavalcare le onde delweb, tra i primi artisti rock adaprire una pagina su Facebooke a utilizzare Twitter per diffon-dere non solo messaggi ma an-che musica. Dinamico e in pri-ma linea quando si tratta di at-tivarsi per salvare l’ambiente,

tutelare i diritti dei pellerossa edelle minoranze etniche, stimo-lare la gente a partecipare allavita politica della nazione (nel2004 partecipò alla campagna“Vote for Change” accanto aSpringsteen, Ben Harper,R.E.M e Pearl Jam), portareconforto alle popolazioni afflit-te dalle grandi tragedie nazio-nali (l’uragano Katrina in Loui-siana) e mondiali (lo tsunami, ilterremoto di Haiti). Un energi-

co, inguaribile ottimista che hareagito con veemenza anche auna tragedia che l’ha colpitoduro e da vicino: la scomparsanell’agosto scorso dell’insepa-rabile sassofonista Leroi Moo-re, morto in seguito alle feriteriportate in un incidente dome-stico mentre era alla guida di

un veicolo agricolo nella suafattoria. Con le maniche di ca-micia rimboccate e il sudoresulla fronte, perché questa èuna band di gente che lavorasodo e senza tanti grilli per latesta. «Non c’è bisogno di rin-chiudersi in se stessi, né diesprimere in modo autoindul-gente il proprio dolore. Nonserve a noi, non serve a Roi e a

nessun altro. Anche quandocantiamo di morte, di perdita odella fine del mondo, al centrodi tutto ci deve essere la spe-ranza», ha spiegato al settima-nale Billboard in occasione del-l’uscita del nuovo album, BigWhiskey And The GrooGruxKing, dedicato proprio all’ami-co scomparso (si apre con unsuo solo di sax) e tuttavia per-vaso dell’atmosfera carnevale-sca di New Orleans, la città incui è stato registrato e in cuianche i funerali diventano oc-casione di celebrazione festo-sa. Stanno sempre in equlibriosul filo, Dave e i suoi. Tra l’in-cudine di una casa discografi-ca che invoca da loro sfracelliin classifica e il martello deifan che esigono fedeltà allospirito originale e all’identitàlibertaria del gruppo. Quandoil pendolo oscilla troppo dallaparte del mainstream si solle-va il mugugno: è successo conEveryday, nel 2001, tentativodi “normalizzazione”rock ope-rato dal produttore di AlanisMorissette, Glen Ballard; an-cora di più con quello StandUp (2005) sciaguratamente af-fidato alle mani di Mark Bat-son, uno abituato a Eminem, aBeyoncé e a 50 Cent, mica aiDead o alla Allman BrothersBand. Con Big Whiskey RobCavallo (Green Day e My Che-mical Romance) ha trovato unbuon compromesso tra suoniacustici e radiofonici, polirit-mi e arrangiamenti lineari,cantabilità e complessitàstrutturale, “ganci” melodici evirtuosismi di una band cheha nel dna il gusto del contro-tempo, della fuga strumentale,della libertà espressiva: lenuove canzoni, Funny The WaiIt Is e Lying In The Hands OfGod, suonano come un mix di

Red Hot Chili Peppers e delPaul Simon “sudafricano” diGraceland, del Peter Gabrielworld music e di Eddie Vedder,degli Spin Doctors e della so-larità di un Jack Johnson.

CCoonn uunn’’eenneerrggiiaa a stento trat-tenuta e pronta a esplodere sulpalco: l’habitat naturale di unaformidabile orchestra di sax eviolini, trombe e tastiere, chi-tarre elettriche e percussioni afrullare di tutto, Miles Davis eJames Brown, Leadbelly eJohnny Cash, gli Zeppelin e ilDylan corretto Hendrix di AllAlong The Watchtower in unafflato di musica universale,cosmica, contagiosa che stor-disce e difficilmente lascia in-differenti.

La loro è una storia di enorme successo che con il marketing e le strategie industriali c’entra fino a un certo punto. Il business si è trovato a inseguire dall’inizio un fenomeno frutto di grande dedizione e qualità sonora

Nella foto grande, i componenti

della Dave Matthews Band.Qui sopra, ai lati,il cofanetto DMB e il nuovo album

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19 febbraio 2010 • pagina 21spettacoli

del Kirie di Ugo Chiti, nel 1990vince l’ambito Biglietto d’ar-gento Anicagis a Taormina, se-gno palese dell’affetto che ilpubblico nutre nei confrontidella sua arte. Nel 2001 inter-preta Filumena Marturano,che le vale il Premio Ubu comemigliore attrice, nel 2006 Fer-dinando con cui si aggiudica,sempre come miglior attrice, ilPremio Gassman.

NNeeggllii sstteessssii anni interpretavari film diretta da registi co-me Monicelli, Comencini eLoy, Ettore Scola, Carlo De

Palma, Giuseppe Bertolucci,Fabio Carpi. Ricercatissimaanche dai cineasti della “scuo-la napoletana”: Anna MariaTatò, Enzo De Caro, LucianoDe Crescenzo, Vincenzo Terra-ciano. Stabilisce un sodaliziospeciale con la regista LinaWertmuller con cui collabora aben otto pellicole tra cui Uncomplicato intrigo di donne vi-coli e delitti, che le farà vince-re il Nastro d’Argento come at-trice non protagonista. Parte-cipa inoltre al film premioOscar Nuovo cinema Paradisodi Giuseppe Tornatore. Ora, av-volta in un’atmosfera di algi-do, dilagante orrore, grazie al-la scena di Roberto Crea (unabisso di mortifera vacuità che

si affaccia su una morguemattatoio), Isa Danieli, unEcuba ridotta in schiavitù,ormai isolata, senza maiperdere dignità o spessoretrova infine la forza di pa-reggiare il danno subitoperché «chi ha il poterenon deve spingersi oltre illecito». Cerciello firmauno spettacolo di strepito-sa eleganza in cui unadrammaticità autentica,senza orpelli, si ripercuotein scena illividendo tutto.Le musiche originali diPaolo Coletta evolvono da

sonorità li-quide conintercessio-ni metalli-che peraprirsi acontenere il

coro e infine divenire epi-che. Costumi fluidi, flut-tuanti, glamour, di DanielaCiancio. Altro l’avvio diLicia Maglietta che inun’Italia economicamentepiù assestata si forma conuno sguardo ampio alle al-tre arti spettacolari, ladanza e il cinema, e che sidedica al teatro solo dopoessersi messa in tasca unalaurea in architettura. Unavisione d’insieme che laporterà alla regia dei suoi alle-stimenti, tracciando un percor-so personalissimo sempre inequilibrio tra teatro tradizio-nale e forme più innovative edunque più consone alla suasensibilità di interprete. Dopo

na combinazio-ne rara e felice cioffre la possibi-lità di godere del

talento di due signoredel palcoscenico: impe-gnate contemporanea-mente a Roma in occa-sioni teatrali ad alto li-vello, Isa Danieli è redu-ce dall’ Ecuba andata inscena al Teatro Eliseoper la regia di Cerciello;Licia Maglietta è statachiamata a concluderela monografia di scenache il Teatro Valle ha de-dicato a Teatri Uniti.

DDuuee personalità di spic-co della scena parteno-pea. Due mondi. Meglio:i due emisferi dello stes-so globo o anche le duefacce della medesimamedaglia. Napoletaneveraci, diverse per gene-razione (diciassette annicon in mezzo due guerremondiali con tutto ciòche ne consegue) en-trambe godono del sup-porto di un fan club. Le acco-muna l’humus del territorio diformazione, non il linguaggio,non le prospettive da cui vivo-no la scena, seppure ambeduesiano libera espressione di unfemminile completamenteespanso. Schietta, ironica,istrionica e volitiva , capace discene madri da storia del tea-tro, Isa Danieli rimane un faroper la magnifica generositàd’interprete che da sempre lacontraddistingue. Che sia ba-ronessa o lavannara, che fac-cia la regina madre o la vajas-sa, la sua carica umana travol-

ge il pubblico e incide la me-moria. Figlia d’arte da parte dientrambi i genitori (la madreRosa Moretti rimane memora-bile voce di Radio Napoli;mentre la famiglia paterna è lastorica dinastia dei Di Napoli),Luisa Amatucci decide di cam-biare nome per distinguersidalla zia omonima anch’ellaattrice. Un inizio alla grandecon una formazione sul camponella compagnia di EduardoDe Filippo per poi condividerela scena con Nino Taranto e gi-rare il mondo con La gatta Ce-nerentola per la regia del Mae-stro Roberto De Simone. So-stenuta da un’energia formida-bile, sola in scena dando vocealle tre diverse lamentatrici

Udi Enrica Rosso

Palcoscenico. A Roma due protagoniste del teatro partenopeo: la Danieli è Ecuba al Teatro Eliseo, la Maglietta al Valle

Isa e Licia, l’oro di Napoliil debutto con Falso movi-mento e la partecipazionead alcuni spettacoli me-morabili (dal pluripremia-to Tango Glaciale a Ritor-no ad Alphavile), si ritro-verà automaticamente afar parte della prestigiosaformazione di Teatri Uniti,frutto della fusione datata1986 tra Falso Movimentodi Martone,Teatro dei Mu-tamenti diretto da AntonioNeiwiller e Teatro Studiodi Caserta diretto da ToniServillo. Poi il salto. Strug-gente, immolata alla suacausa, friabile e suadente,l’abbiamo vista e ancoraavremo l’opportunità divederla nel testo che l’hadefinitivamente consacra-ta. Parliamo di quel Deli-rio Amoroso che si cucìaddosso e che la lucenteAlda Merini le affidò nel1995, trasposto dieci annidopo su pellicola a operadel regista Silvio Soldini.Grazie a Soldini che lavuole interprete di Leacrobate e successiva-mente di Pane e tulipani,vince il David di Donatellonel 2000 come miglior at-trice protagonista e, anco-ra diretta da Soldini nel2003 sarà protagonista diAgata e la tempesta. Laricordiamo anche nel po-co distribuito (dopo unpassaggio lampo al festi-val del Cinema di Venezia)Luna Rossa di AntonioCapuano. Manca solo ladomenica di Silvana Gras-so, in scena fino al 21, èl’opportunità per carpirealla letteratura un nuovocarattere a tinte decise,certa Liboria Serrafalcodetta Borina.La signora ha un solo so-gno nella vita: vivere lavedovanza in pienezza. Efa niente se il legittimoconsorte non collabora,troverà lei il modo.

LLaa MMaagglliieettttaa si appro-pria totalmente del pro-getto firmandone l’adatta-mento,la scenografia, laregia e instaurando in sce-na, lei stessa protagonista,un dialogo stretto con lafisarmonica dell’ammic-cante maestro VladimirDenissenkov.Elabora un divertisse-

ment garbato, di gusto, in cuivolentieri si fa prendere la ma-no dal gioco leggero dello sber-leffo a volte un po’scontato. Ilpubblico ci sta alla grande, manoi di più l’amiamo per altresue rapinose interpretazioni.

Napoletane veraci, diverse per generazione,le accomuna l’humus di formazione ma non il linguaggio.Eppure entrambe esprimono una femminilità ricca ed espansa

Nella foto grande, un frame di “Ecuba”

in scena a Roma per la regia di Cerciello.

Qui sopra Licia Maglietta,più in basso Isa Danieli

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LL’’OOCCCCHHIIOO DDEELL MMOONNDDOO -- LLee ooppiinniioonnii ddeellllaa ssttaammppaa iinntteerrnnaazziioonnaallee aa ccuurraa ddii PPiieerrrree CChhiiaarrttaannoo

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Russia e Usa parlano su Twitterarrivata al Cremlino una squadra di esperti

della Casa Bianca, gente che conosce bene lenuove tecnologie e new media. Sono arrivatimercoledì per una visita di una settimana ai

loro colleghi russi per discutere di innovazione. Daun punto di vista formale l’incontro non è che unprolungamento delle iniziative previste all’internodella Commissione presidenziale bilaterale, creatanel luglio scorso da Mosca e Washington.La innovation delegation, come è stata chiamata,comprende anche i capi di importanti società dellarete, come Twitter ed eBay e sono in Russia per in-contrare il governo, gli imprenditori e pubblici am-ministratori per spiegare la nuova frontiera dei so-cial media e l’influenza che hanno su società civileed economia. Così hanno spiegato dall’ambasciataUsa di Mosca.

««SSii ttrraattttaa di utilizzare i social network per il benepubblico, di questo si occupa il gruppo d’esperti» haspiegato a Moscow Times Jonathan Korach addettostampa dell’ambasciata. La delegazione americanaè arrivata in Russia proprio nel momento in cui glisforzi del governo per riportare nel Paese investi-menti, tecnologie e idee stavano riprendendo convigore. È stato lo stesso primo ministro VladimirPutin a prender in mano le redini della commissio-ne, come ha confermato durante un’intervista a Ve-demosti,Vladislav Surkov, uno dei responsabili del-lo staff del Cremlino e uno dei primi sostenitori del-la necessità di modernizzare l’economia. Anche ilpresidente Dmitri Medvedev, la scorsa settimana, siera mosso nella stessa direzione. Aveva sollecitato,

Èdurante un meeting a Tomsk, un gruppod’imprenditori a investire nelle nuove tec-nologie. I tredici membri del team Usahanno incontrato mercoledì Surkov e al-tri membri dello staff presidenziale e laloro agenda sarà fitta d’impegni per tuttala settimana. Giovedì, sarà la volta del mi-nistro della Stampa e comunicazione,Igor Shchyogolev, assieme all’ammini-stratore delegato della Yandex, ArkadyVolozh e il responsabile del governo perl’Electronic gov project nell’azienda sta-tale Rostelecom,Valery Zubakha. E tantoper restare in tema di nuove abitudini e social network uno dei membri del gruppo statuni-tense ha scritto un resoconto del suo incontro congli uomini del Cremlino sulla sua pagina di Twitter.«Abbiamo passato due ore eccezionali di brainstor-ming» ha scritto Jason Liebman, responsabile ese-cutivo di Howcast Media.Citando anche Arkady Dvorkovich che è uno deicapi economisti del presidente Medvedev. Una visi-ta pensata e organizzata da Jared Cohen, un esper-to di tecnologia per il planning staff del segretariodi Stato Hillary Clinton, e Howard Solomon, diret-tore del dipartimento Russia del National securitycouncil. Ma nel gruppo i nomi importanti si spreca-no a cominciare dall’inventore di Twitter, Jack Dor-sey e dal responsabile tecnologico di Cisco System,Padmasree Warrior e John Donahoe, ceo di eBayche presto debutterà con una piattaforma in linguarussa, secondo le indiscrezioni pubblicate da Kom-mersant. Nel gruppo sono rappresentati anche

Mozzilla, EDventure, Social gaming network el’Accademia delle scienze di New York. La delega-zione volerà anche in Siberia e avrà come compitofondamentale quello di gettare le basi per futurejoint venture o semplicemente per aprire l’econo-mia russa ai nuovi strumenti della tecnologia e far-gli fare un grande balzo in avanti. Al Cremlino so-no consapevoli da anni della necessità di uno scat-to deciso verso il futuro.Anche impiantando i cosid-detti innovation cluster, come ha affermato Ken-drick White, direttore generale della società d’inve-stimento Marchmont Capital Partners.

LLaa ««cciittttàà ddeell ffuuttuurroo»» di cui già parlava la settima-na scorsa Medvedev, oltre al progetto di voler dupli-care la Silicon valley americana. Incontri a trecento-sessanta gradi che hanno investito vari campi, anchequello farmacologico. Un ponte sul futuro che laRussia vorrebbe costruire con l’aiuto di Washington.

di Rachel Nielsen e Anatoly Medetsky

da “The Moscow Times” del 18/08/2010

Durante la gravidanza bisogna mantenersi in forma. Soprattutto quando lagestazione dura un anno e mezzo e la futura mamma pesa 3 tonnellate! Per

questo Panang, elefantessa asiatica, ospite del Tierpark Hellabrunn zoo di Monaco,ha seguito tutte le lezioni di Andi Fries, suo istruttore di stretching prenatale

Ginnastica pre-partoCUPOLA BOLOGNESE DEL MALGOVERNO Sono grato per l’amore per Bologna e ilcoraggio che Gianfranco Pasquino ha di-mostrato con il durissimo atto d’accusache ha lanciato contro quello che lui stes-so definisce non solo «un affare di donnee di soldi» bensì la prova dell’esistenza,nella città, di un «blocco di potere che ave-va deciso, con la sola motivazione di man-tenere il controllo del comune, di appog-giare il candidato del Pd, a prescindere daqualsiasi altra considerazione. Poi, ciavrebbero pensato loro». L’esistenza diquesta “cupola”del malgoverno e degli af-fari particolari a Bologna è quello che hasempre sostenuto il centrodestra. Il fattoche un uomo di sinistra come Pasquinoabbia deciso di raccontare quello che sadella «cupola del Pd a Bologna e su chi nefa parte» è la conferma della gravità dellasituazione e sono convinto non mancherà

di aprire nuovi fronti di indagine. I bolo-gnesi ora sono stanchi di questo modo difare e di questa “cupola”che sembrerebbeavere avuto solo altri interessi che non ilbene della città.

GGiiaannccaarrlloo

BERTOLASO RESTIMA SENZA LICENZA D’APPALTOIn attesa che la magistratura compia ilsuo dovere, è un bene che sia abortito ilmostro che stava per nascere dall’attualesistema della protezione civile. Bertolasonel frattempo resti pure commissariostraordinario semplice,ma senza licenzadi appalto. Basta infatti quanto già èemerso dalle indagini, per darci un’ideadei pericoli che incombono e di quantosia indispensabile limitarne il campo diazione alle effettive emergenze, ma so-prattutto quanto sia cruciale un sistema

di controlli e di garanzie contro frodi eruberie.

RR..NN..

IN NOME DELLA VANITÀL’avversione all’utilizzo di pellicce è opinio-ne comune di sempre più persone che la ri-tengono una pratica crudele e inutile. Ungruppo di Centopercentoanimalisti si è pre-sentato davanti a una pellicceria; il nego-ziante spaventato è riuscito a chiudere laporta d’ingresso, ma non è servito a nulla: i

nostri militanti sono riusciti a lanciare inaria oltre 20.000 coriandoli e bombette puz-zolenti. ati immediatamente ad abbassare infretta e furia la serranda della pellicceria. Labattaglia contro l’utilizzo di pellicce da par-te dei militanti di 100%animalisti, non si fer-merà, e poiché a chi ne fa uso non importaconoscere la sofferenza degli animali, noicontinueremo a far vergognare chi vende echi indossa i capi frutto di milioni di anima-li uccisi e squartati in nome della vanità…

110000%%aanniimmaalliissttii

Questa sera alle 19,00 in via Mario Pagano 247, ex bar Bomboniera, si terrà un meetingdei giovani dell’Udc. Ospite e relatore atteso della serata sarà Sergio Adamo, che sta no-tando, in ogni parte di questo splendido Mezzogiorno d’Italia un dinamismo operativoe un entusiasmo in termini di idee e di proposte che non ha eguali: atteggiamenti chelasciano sperare in un futuro, in cui i giovani dell’Udc potranno e sapranno dire la lo-ro». Carlo Laurora ha mostrato nei cinque anni di legislatura regionale di essere un po-litico ancorato e affezionato al territorio di appartenenza e ha ben evidenziato caratte-ristiche quali competenza, professionalità e passione: lo sosterremo in modo forte, cosìcome sosterremo con determinazione la nostra candidata Adriana Poli Bortone». L’invi-to a presenziare ai lavori viene lanciato dall’ideatore del meeting Antonio Befano, cheinvita le ragazze e i ragazzi tranesi e di Terra di Bat a prender parte alla serata a pre-scindere dalle personali convinzioni ideologiche, ma al fine di offrire suggerimenti, idee,critiche e proposte valide per il futuro di noi giovani su questa terra che amiamo e perla quale ci spendiamo con dedizione.

AAnnttoonniioo BBeeffaannoo

LL’’IIMMMMAAGGIINNEEDinamismo e entusiasmo al servizio del territorio

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ooppiinniioonnii ccoommmmeennttii lleetttteerreepprrootteesstteeggiiuuddiizzii pprrooppoosstteessuuggggeerriimmeennttiibblloogg

A CHIAROMONTE L’OSSERVATORIOSCIENTIFICO ETNO-ANTROPOLOGICO Con l’approvazione all’unanimità della legge sullaistituzione dell’Osservatorio scientifico etno-antro-pologico, intitolato a Edward C. Banfield, l’Unionedi centro si riconferma convinto sostenitore dellapromozione dei territori deboli. Istituire a Chiaro-monte un osservatorio culturale significa tutelare esostenere le aspettative dei territori interni dellaBasilicata.Dopo la convinta battaglia per recuperare il ruolodella montagna, l’Udc da un altro significativo se-gnale politico a favore delle popolazioni afflitte daesodo e disoccupazione.La regione Basilicata, in considerazione dell’altavalenza sociale ed economica che rappresenta, ric-ca di un patrimonio culturale da salvaguardare,istituisce l’osservatorio scientifico etno-antropolo-gico regionale per la ricerca e lo studio delle trasfor-mazioni sociali ed economiche dell’ultimo Nove-cento, osservate e analizzate da studiosi europei edamericani. L’osservatorio, intitolato all’antropolo-go americano “Edward C. Banfield”, per riconosci-menti acquisiti sulcampo, opera con ilcoordinamento deldipartimento regio-nale alla Formazio-ne e Cultura e instretto raccordocon le istituzioniterritoriali e scienti-fiche. Compiti del-l’osservatorio regio-nale sono il recupe-ro ed il monitorag-gio costante delleesperienze socialied antropologicheavviate da numero-si studiosi stranieri che, operando in diverse comu-nità della Basilicata, hanno fatto conoscere al mon-do intero l’identità di una regione del mezzogiornod’Italia.L’osservatorio, aggregati i dati scientifici a disposi-zione e operata una cernita basata sulla qualitàdelle fonti e sulla loro attendibilità, redige annual-mente un documento sullo stato delle condizionisocio- culturali che viene inviato alla giunta e alconsiglio regionale.

GGaaeettaannoo FFiieerrrroo PPRREESSIIDDEENNTTEE CCIIRRCCOOLLII LLIIBBEERRAALL BBAASSIILLIICCAATTAA

dai circoli liberalSaggio non sono stato ad avvalermi tanto prontamente della mia prima im-pressione favorevole. Come di recente quel tizio di Cambridge, di cui ha sen-tito parlare mia sorella, cui, all’esame di teologia (anzi di storia delle Scrit-ture) fu chiesto dal professore, che voleva fargli avere vita facile: «Chi fu ilprimo re di Israele?». «Saul», rispose il giovane tremante. «Bene!», annuì ilprofessore in segno di approvazione. «Altrimenti detto Paul», soggiunse ilgiovane nella sua euforia! Ora ho chiesto perdono, e rosso in volto vi hoassicurato che quello è stato solo un lapsus, e che intendevo veramente,nel contempo (Paul o non Paul), l’autentico figlio di Kish, colui che pos-sedeva gli asini, e che pensava che ascoltare l’arpa fosse la cosa miglio-re in assoluto per uno spirito malvagio.Vi prego di scrivermi una ri-ga per dirmi «Ah, se è tutto qui» e che mi credete buono (il cheè molto compatibile con un momento di stupidità) e di nonfarmi, per un solo errore (che sarà l’unico) perdere ognidiletto, perché la vostra amicizia sono sicuro di nonaverla persa. E a proposito, non sarà meglio, per colla-borare in modo più efficace alla vostra gentile promes-sa di dimenticare il refuso, restituirmi la bozza, se nonle avete inflitto giustizia equa e sommaria?

Robert Browning a Elizabeth B. Barret

NNoonn ffaatteemmii ppeerrddeerree ooggnnii ddiilleettttoo

LLEETTTTEERRAA DDAALLLLAA SSTTOORRIIAA

ACCADDE OGGI19 febbraio

1928 Si chiudono a SanktMoritz i II Giochi olimpiciinvernali1942 Seconda guerra mon-diale: Circa 150 aerei giap-ponesi attaccano Darwin(Australia)1949 Ezra Pound riceve ilprimo Premio Bollingen dipoesia dalla FondazioneBollingen e dall’Universitàdi Yale1953 Censura: la Georgiaapprova il primo comitatodi censura letteraria degliStati Uniti1959 Il Regno Unito conce-de a Cipro l’indipendenza1985 William Schroeder è ilprimo paziente dotato di uncuore artificiale a lasciarel’ospedale1986 Dopo 37 anni di attesa,il Senato degli Stati Unitiapprova un trattato che di-chiara illegale il genocidio2003 Iran, precipita un ae-roplano militare con a bor-do 270 soldati. Nessun so-pravvissuto2007 Due bombe sulSamjhauta Express uccido-no 66 persone2008 Fidel Castro annunciail suo ritiro dalle carichepresidenziali

APPUNTAMENTI FEBBRAIO 2009

VENERDÌ 26, ORE 11, ROMAPALAZZO FERRAJOLI

Convocazione Consiglio Nazionale dei Circoli Liberal.VINCENZO INVERSO

SEGRETARIO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Direttore EditorialeFerdinando Adornato

Direttore da WashingtonMichael Novak

Consiglio di direzioneGiuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio,

Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centraleGloria Piccioni (direttore responsabile)

Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori)

Antonella Giuli (vicecaporedattore)Franco Insardà, Luisa Arezzo,Stefano Zaccagnini (grafica)

RedazioneMario Accongiagioco, Massimo Colonna,

Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio,Vincenzo Faccioli Pintozzi,

Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi,Clara Pezzullo (segreteria)

Supplemento MMOOBBYYDDIICCKK

(Gloria Piccioni)

Collaboratori

Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati,

Mario Arpino, Bruno Babando,

Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi,

Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,

John R. Bolton, Mauro Canali,

Franco Cardini, Carlo G. Cereti,

Enrico Cisnetto, Claudia Conforti,

Angelo Crespi, Renato Cristin,

Francesco D’Agostino, Reginald Dale

Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio

Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani,

Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo

Forbice, Antonio Funiciello,

Giancarlo Galli, Pietro Gallina,

Riccardo Gefter Woondrich,

Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,

Robert Kagan, Filippo La Porta,

Maria Maggiore, Paolo Malagodi,

Marzia Marandola, Andrea Margelletti,

Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,

Roberto Mussapi, Francesco Napoli,

Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,

Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,

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QQuueessttoo nnuummeerroo èè ssttaattoo cchhiiuussoo iinn rreeddaazziioonnee aallllee oorree 1199..3300

cronache di

cronache di

di Ferdinando Adornato

UN TAVOLO PERMANENTE SUL RISCHIOIDROGEOLOGICO IN SICILIASicilia e Calabria sono unite dai di-sastri ambientali. Nella provincia diMessina l’ennesima frana, dopoquella di Giampilieri, rischia di farscomparire l’intero paese di SanFratello. L’intera provincia messine-se e l’intera regione deve esseremessa in sicurezza, e il denaro ri-volto alle opere faraoniche deve es-sere destinato al recupero idrogeo-logico. Il governo pubblicizza operecome il Ponte sullo Stretto, ma poi,quasi a smentire il vicecapo dellaprotezione civile De Bernardinis, di-chiara che in Sicilia c’è fragilitàidrogeologica diffusa. Bisogna isti-tuire un tavolo permanente sul ri-schio idrogeologico, con l’intento dipermettere l’aggiornamento in tem-po reale della mappa del rischio,grazie alla presenza al tavolo, oltreche degli esperti del settore, anchedei referenti tecnici dei comuni del-la nostra provincia. L’individuazio-ne delle cause non può essere liqui-data con la straordinarietà deglieventi atmosferici; spesso i campa-nelli d’allarme hanno suonato inva-no, abbiamo ancora negli occhi enella mente i fatti di Giampilieri e diScaletta Zanclea. La ricetta nonpassa soltanto da un necessario pia-no di riforestazione ma da tanteazioni che gli amministratori devo-no mettere in campo a partire da uncorretto piano degli interventi diprevenzione e salvaguardia, senzatralasciare quelli meno popolari,

che porteranno qualche voto in me-no ma qualche vita salvata in più!

DDoommeenniiccoo SS..

EVASIONE FISCALEL’evasione fiscale è dura da combatte-re, ma indubbiamente è correlata oltreche dall’estrema onerosità delle tasseitaliane, anche ad una deduzione chemolti fanno: se non ho nulla o non di-mostro nulla il recupero dei crediti odel fisco evaso non può prendere nulla,mentre se ho una casa subito rischia diessere venduta all’asta. In sintesi pale-sare fiscalmente la povertà è un modoper non essere toccati dalla propria ir-regolarità. Qualcuno al governo haperò parlato spesso di tale situazioneindotta, riportandola al comportamen-to sbagliato e iterato nel tempo di mol-te banche e istituiti finanziari.

BBrruunnaa RRoossssoo

NUCLEARE: SI SEGUA L’ESEMPIO OBAMA Con la sua iniziativa, Barack Obamadimostra inequivocabilmente che nonsolo la green economy ma anche igreen jobs e il risanamento ambienta-le possano trovare soluzione grazie alrilancio dell’energia nucleare. Dalmomento che il presidente degli StatiUniti sembra avere più sostenitori inItalia che nel suo Paese, speriamo chele sue indicazioni, tanto nette ed ine-quivocabili, mettano fine alla politicadel “non nella mia regione”, che vedeimpegnati - con identica irresponsabi-lità e in modo bipartisan - alcuni can-didati governatori.

FFrraanncceessccoo CCoommeelllliinnii

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PPAAGGIINNAAVVEENNTTIIQQUUAATTTTRROOPPAAGGIINNAAVVEENNTTIIQQUUAATTTTRROOCartolina da Vancouver. Il buffo “segreto” di Lindsey Vonn, medaglia d’oro nella discesa libera

Le Olimpiadi si vinconoppello a tutte le persone sovrap-peso, magari di poco ma abba-stanza perché la moglie (ci rivol-giamo agli uomini, è ovvio) li

martelli con frasi del tipo «non mangia-re questo», «non mangiare quello». E so-prattutto: «non toccare il formaggio per-ché ti fa ingrassare». Magari è pure vero,ma da oggi lo è un po’ meno: il formag-gio può anche essere un alimento peratleti. Come in tutte le belle notizie c’èperò una controindicazione: il formag-gio in questione non lo si può mangiare.Lo si deve infatti cospargere sui garetti,esattamente come ha fatto la splendidaLindsey Vonn prima di affrontare la ga-ra di discesa che si è aggiudicata strac-ciando la concorrenza alle Olimpiadi diVancouver. L’atleta statunitense ha infat-ti usato questo rimedio che se esportabile fa-rebbe la gioia di tanti pastori. Poi, inafferrabi-le, è volata sulla pista di Whistler Mountain,una pista pericolosa come purtroppo la mag-gior parte di quelle che gli atleti stanno affron-tando in questi giochi olimpici canadesi.

LLiinnddsseeyy VVoonnnn èè un personaggio davvero in-teressante. Partiamo dal nome. Sì, perche Vonnè in realtà il nome del marito,Thomas Vonn, undiscesista di terza o quarta fascia, che la bellaLindsey ha deciso di sposare nonostante l’op-posizione del padre, mister Kildow, famoso av-vocato del Minnesota.Ciò ha determinato chedal 29 settembre del2007 la sciatrice abban-donasse il nido dallapropria famiglia percrearsene uno tutto suocon il fortunato Thomas. Lindsey è un tipettotosto nel carattere come nel fisico. Si parla diun metro e settantotto di altezza per settanta-due chili, ma altre fonti bene informate sosten-gono che il peso si aggiri sugli ottanta. PeròLindsey possiede anche uno spiccato senso de-gli affari: è vero che la Federazione non le as-segnerà premi per questa medaglia, ma la bel-la sciatrice ha già contratti pubblicitari per tremilioni di dollari. Che questa vittoria, verosi-milmente, provvederà a raddoppiare a brevetermine. Inoltre, siccome si deve anche darel’esempio, si è provveduto a ricucire lo strappocon il padre. Le due famiglie, Kildow e Vonn,

erano infatti presenti per l’abbraccio cumu-lativo dopo la performance di Lindsey.

CCiioonnoonnoossttaannttee,, llaa formidabile discesistadà la sensazione di possedere anche unaforte struttura emotiva, tale da consentirle

di affrontare certe sfide anchein solitudine. Ma-gari per favorire

una migliore con-centrazione. Infatti,

e questa è unacosa che ha un po’stupito, non ha volu-

to il marito Thomasvicino a lei nei momenti

immediatamente preceden-ti al via: «Ero convinta di farcela

anche senza di lui», ha affermato. E

A

così è stato. D’altra parte, nonostante la grandeclasse dimostrata, Lindsey è persona che hasempre inseguito i suoi obiettivi con una ferocedeterminazione. Già da quando, ancora bambi-na di soli sei anni, aveva già stabilito che nellasua vita l’obiettivo principale sarebbe stato af-fermarsi in una Olimpiade. C’era andata vicinaa Sansicario nel 2006, ma fu fermata da una ca-duta. Poi ancora Salt Lake, niente. Al terzo ten-tativo è andata meglio. Lindsey, ventisei anni, ègiovane ma non giovanissima. Questo sta a di-mostrare che l’applicazione e l’esperienza aquesti livelli deve integrare il talento. Ne saqualcosa la secondaclassificata alle suespalle, quella JuliaMancuso che trasudaclasse ma che non hamai considerato comeinvece Lindsey, unavittoria alle Olimpiadicome un traguardo ir-rinunciabile. Questio-

ne di scelte, e la bella Mancuso, cheforse a causa del cognome ha eredi-tato un’anima un po’ irrequieta, puòsolo prendersela con se stessa.Quando entrambe gareggiavanonella categoria juniores Julia strac-ciava Lindsey con una regolarità di-sarmante. E disarmante era stata lafacilità con cui a Torino si era aggiu-dicata l’oro nel gigante. Poi più nul-la o poco più. Sembra quasi la storiadella lepre e della tartaruga, anchese forse il paragone è un po’ irrive-

rente considerando che latartaruga in questione è ingrado di sfrecciare a velo-

cità stratosferiche su di unapista ancora una volta difficile

e pericolosa. Ciò per significarequanto abbiano inciso la costan-za e la ferocia della Vonn.

IIttaalliiaannee ccoossìì ccoossìì. Poco maqualcosa sì. Lucia Recchia si è

classificata nona, e questo dopoun ottimo avvio. È uscita di pista in-

vece Elena Franchini. La sensazioneche si respira è sempre quella un po’

frustrante di essere fuori dai giochi checontano prima di iniziare.

Il punto è che De Coubertin ha sempre unpo’ meno ragione. Questo non perché il par-

tecipare sia diventato me-no importante che vincere.Ma perché questo é quelloche purtroppo “passa”. Ivinti diventano contorno,non fanno pubblicità enessuno li conosce. La cul-tura della sconfitta è ap-punto tale, sconfitta. Tutticontribuiscono a darci

questo messaggio: perdere è bene ma vincereè molto meglio, molto ma molto meglio.

IInnvveeccee eessiissttoonnoo atlete come Magda Genuin.Un nome una garanzia. Magda è nata a Bel-luno nel 1979, é laureata in pedagogia e halavorato con bambini affetti da autismocui ha dedicato la tesi. Magda è arrivatasolo quinta nella gara di sci di fondo, maquesto è solo un dettaglio. Magda ti adoria-mo, come avrebbe detto il cele-bre Furio di verdo-niana memoria.

La campionessa americana, dopo aver rottocon la famiglia, ha trovato un sistema per tenere in caldo i muscoli. L’Italia, intanto, conquista una nuova medaglia in Short track, ma per il resto,siamo molto al di sotto delle aspettative

di Alessandro Boschi

col FORMAGGIOcol FORMAGGIO