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La paranza dei bambini La Favorita Tramonto Green Book Il primo re Le nostre battaglie Se la strada potesse parlare I bambini di Rue Saint-Maur 209 La douleur Chi scriverà la nostra storia Ognuno ha diritto ad amare Dragon Trainer – Il mondo nascosto Il mio capolavoro i film Cineforum Via Pignolo, 123 / 24121 Bergamo Anno 59 - N. 2 Marzo 2019 Spedizione in abbonamento postale DL 353/2003 (conv.in L.27/2/2004 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB Poste Italiane S.p.a. / 10,00 16 54 582 cineforum marzo 2019 Rivista mensile di cultura cinematografica primopiano 04 15 Il corriere The Mule Clint Eastwood 9 770009 703004 L’ITALIA È UNA TERRA STRANIERA Immagini delle migrazioni ed esperienze del rifugio. Note intorno ad estetica e politica Indesiderati e indesiderabili: Francesco Rosi/Andrea Segre Attraverso la Penisola. Cinema italiano e migrazioni Lo sguardo del migrante, tra soggettiva e sua trascrizione empatica 04582 book 55 75 Destini incrociati #5. Loro tre o quattro: razza padrona e canina, umana e canara Black Mirror: Bandersnatch percorsi 76 84

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La paranza dei bambini La FavoritaTramonto Green BookIl primo reLe nostre battaglieSe la strada potesse parlareI bambini di Rue Saint-Maur 209La douleur Chi scriverà la nostra storiaOgnuno ha diritto ad amare Dragon Trainer – Il mondo nascosto

Il mio capolavoro

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La douleur

Festival — Torino Film

Festival

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Rivista mensile di cultura cinematografica

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04 — 15

Il corriere — The MuleClint Eastwood

9 770009 703004

L’ITALIA È UNA TERRA STRANIERA

Immagini delle migrazioni ed esperienze del rifugio. Note intorno ad estetica e politica

Indesiderati e indesiderabili: Francesco Rosi/Andrea Segre

Attraverso la Penisola. Cinema italiano e migrazioni

Lo sguardo del migrante, tra soggettiva e sua trascrizione empatica

04582

book

55 — 75

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Destini incrociati #5. Loro tre o quattro: razza padrona e canina, umana e canara

Black Mirror: Bandersnatch

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editoriale

primopiano

in copertina, La Favorita di Yorgos Lanthimos

i film

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Adriano PiccardiOpzioni di memoria dialogante

Il corriere — The Mule di Clint Eastwood

Claudio GaetaniL’età dell’innocenzaAnton Giulio MancinoTerza etàGiampiero FrascaMettere se stesso sulla strada

Anton Giulio MancinoLa paranza dei bambini di Claudio GiovannesiAlberto MorsianiLa Favorita di Yorgos LanthimosChiara BorroniTramonto di László NemesFabrizio LibertiGreen Book di Peter FarrellyEdoardo ZaccagniniIl primo re di Matteo RovereNicola RosselloLe nostre battaglie di Guillaume SenezPaola BrunettaSe la strada potesse parlare di Barry JenkinsElisa BaldiniI bambini di Rue Saint-Maur 209 di Ruth ZylbermanEmanuele Di NicolaLa douleur di Emmanuel FinkielRinaldo VignatiChi scriverà la nostra storia di Roberta GrossmanFrancesco Saverio MarzaduriOgnuno ha diritto ad amare di Adina Pintilie Matteo Mazza, Simone SorannaDragon Trainer – Il mondo nascosto di Dean DeBlois

Alberto MorsianiIl mio capolavoro

L’Italia è una terra stranieraGiuseppe Previtali / Immagini delle migrazioni ed esperienze del rifugio. Note intorno ad estetica e politicaAnton Giulio Mancino / Indesiderati e indesiderabili: Francesco Rosi/Andrea SegreMassimiliano Coviello / Attraverso la Penisola. Cinema italiano e migrazioniGiampiero Frasca / Lo sguardo del migrante, tra soggettiva e sua trascrizione empatica

Anton Giulio MancinoDestini incrociati #5. Loro tre o quattro: razza padrona e canina, umana e canaraAndrea PesoliBlack Mirror: Bandersnatch. Il futuro (non) è oggi

a cura di Lorenzo Rossi

Matteo Abrami, Roberta Campi, Davide Fiolo, Silvia Nicora / Torino Film Festival: OndeClaudia Bertolè / Asian Film Festival

a cura di Barbara Rossi

Errata corrige

Per un malaugurato disguido, è saltata una parte della prima frase dell’articolo di Alessandro Uccelli su TFF.doc, pubblicato all’interno dello speciale Torino Film Festival sul numero 581 della rivista. Scusandoci con l’autore e i lettori, ripubblichiamo qui sotto la frase intera:Mettono in evidenza uno spirito apocalittico, un’interpretazione personale dell’apocalisse in corso, Davide Oberto e Paola Cassano, nella loro introduzione a TFF.doc, sezione come sempre curata insieme a Mazzino Montinari e Sévérine Petit. Inoltre, la casa editrice del libro Da Chaplin a Loach di Roberto Lasagna, di cui abbiamo pubblicato un estratto sempre sul numero 581, non è Falsopiano come dichiarato ma Mimesis. Ci scusiamo con gli interessati.

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La FIC — Federazione Italiana Cineforum, è un’associazione di cultura cinematografica riconosciuta dal MiBACT. Fondata nei primi anni ’50, la FIC opera ed è presente, attraverso una cospicua rete di circoli attivi sul territorio nazionale, sia nelle piccole che nelle grandi città. La promozione dell’attività cinematografica è la sua mission principale. Con questo obiettivo, la FIC organizza corsi, convegni e seminari, distribuisce film classici e inediti, fornisce consulenza specializzata, cura la pubblicazione della rivista «Cineforum» e di altri prodotti editoriali di cultura cinematografica.Organi Direttivi / Comitato Centrale della FIC – Federazione Italiana Cineforum in carica per il triennio 2018-2020

Consiglio di PresidenzaAngelo Signorelli (Presidente e Tesoriere)Enrico Zaninetti, Chiara Boffelli (Vicepresidenti)Daniela Vincenzi (Segretario)Sergio Zampogna (Presidente per il Collegio dei Revisori dei Conti)Dario Catozzo (Presidente per il Collegio dei Sindaci Probiviri)

Membri del Consiglio Direttivo Gianluigi Bozza, Bruno Fornara, Sergio Grega, Alessandro Pedretti, Adriano Piccardi, Walter Pigato, Barbara Rossi, Fabrizio Tassi, Matteo Zadra

Membri dei Collegi (Sindaci Probiviri e Revisori dei Conti)

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cineforum rivista mensile di cultura cinematograficaedita da FIC — Federazione Italiana CineforumIscritta nel registro del Tribunale di Venezia al n. 307 del 25.5.1961anno 59 — n. 2 — marzo 2019Direttore responsabileAdriano Piccardi — [email protected] direttoreFabrizio Tassi

Direttore editorialeAngelo SignorelliComitato di redazioneChiara Borroni, Roberto Chiesi, Bruno Fornara, Luca Malavasi, Roberto Manassero, Emanuela Martini, Lorenzo Rossi, Angelo Signorelli, Fabrizio TassiSegreteria di redazioneArturo Invernici, Daniela Vincenzi [email protected] web | cineforum.itRoberto Manassero (capo redattore), Chiara Borroni, Lorenzo Rossi, Fabrizio TassiCollaboratori Valentina Alfonsi, Sergio Arecco, Elisa Baldini, Alberto Barbera, Pietro Bianchi, Pier Maria Bocchi, Paola Brunetta, Giacomo Calzoni, Francesco Cattaneo, Massimo Causo, Rinaldo Censi, Carlo Chatrian, Andrea Chimento, Pasquale Cicchetti, Lorenzo Donghi, Simone Emiliani, Michele Fadda, Davide Ferrario, Giampiero Frasca, Claudio Gaetani, Leonardo Gandini, Giuseppe Ghigi, Federico Gironi, Alessandro Lanfranchi, Roberto Lasagna, Fabrizio Liberti, Nuccio Lodato, Pierpaolo Loffreda, Giancarlo Mancini, Anton Giulio Mancino, Giacomo Manzoli, Matteo Marelli, Francesco Saverio Marzaduri, Tullio Masoni, Emiliano Morreale, Alberto Morsiani, Federico Pedroni, Edoardo Peretti, Alberto Pezzotta, Tina Porcelli, Giuseppe Previtali, Nicola Rossello, Francesco Rossini, Stefano Santoli, Simone Soranna, Antonio Termenini, Dario Tomasi, Alessandro Uccelli, Paolo Vecchi, Rinaldo Vignati, Edoardo Zaccagnini, Gloria Zerbinati

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[email protected] – Federazione Italiana Cineforum [email protected] [email protected] graficoSūqrepubliqStampaColor Art — Rodengo Saiano (BS)

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Immagini delle migrazioni ed esperienze del rifugio. Note intorno ad estetica e politica — Giuseppe Previtali

Indesiderati e indesiderabili: Francesco Rosi/Andrea Segre— Anton Giulio Mancino

Attraverso la Penisola. Cinema italiano e migrazioni— Massimiliano Coviello

Lo sguardo del migrante, tra soggettiva e sua trascrizione empatica— Giampiero Frasca

L'Italia è una terra stranieraConvegno di studi FIC 2018 I testi delle relazioni

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Attraverso la Pen

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Il cammino della speranza

Attraverso la Penisola. Cinema italiano e migrazioni

di Massimiliano Coviello

Lacerazioni e spartizioni

Attraversatore di confini, operatore di tra-sformazioni geopolitiche e di “traduzioni”

interculturali, il migrante è una forma di vita nella quale si riflettono le contraddizioni di una società, del suo assetto politico e dei suoi rapporti con l’esterno. Nello spostamento che è implicato nella migrazione convive una duplicità prospettica, un’oscillazione tra la lacerazione rispetto al tessu-to di origine e la spartizione rispetto al luogo di arrivo, una redistribuzione dei migranti all’interno del nuovo contesto. Pertanto, la migrazione è sempre un processo che prevede due fasi inevita-bilmente correlate: laddove si verificano fenomeni di allontanamento e partenza (emigrazione), si produrranno anche fenomeni di avvicinamento e arrivo (immigrazione). Si è immersi nell’uni-verso di arrivo secondo una gradualità che va dall’espulsione all’assimilazione, dall’integrazione (un’uguaglianza che stabilizza e istituzionalizza una differenza relativa e trascurabile) alla creo-lizzazione, ossia quel processo di negoziazione e traduzione discorsiva continua delle identità e dei confini, quella relazione di conflitto tra almeno

due sistemi, che è in netta opposizione alla di-stinzione mono-prospettica tra centro e periferia proposta dal modello teorico condensato nel termine “globalizzazione”. D’altra parte, la molte-plicità degli spostamenti che coinvolgono la figura del migrante sono sintomatici di una soggettività estromessa, liminare, doppiamente assente ri-spetto alla società di origine e a quella di arrivo, ai margini dell’esclusione e dell’inclusione, fuori luogo eppure costantemente presente.

Quali sono le strategie adoperate dal cinema italiano per dar forma a questa doppia

assenza e provare così a costruire un spazio discorsivo per il suo superamento? Dal racconto delle emigrazioni compiuto dal neorealismo alle immigrazioni nel cinema contemporaneo: “attra-versando” alcune tappe della storia cinema italia-no, si indagheranno le forme di rappresentazione di un’alterità che intende mostrarsi come tale e che al contempo prova a collocarsi, malgrado tutto, all’interno di un paesaggio, quello peninsu-lare, spesso deturpato dall’azione umana, nella precarietà dei luoghi di lavoro, tra i pregiudizi della socialità. Muovendosi tra le epoche storiche, per farle collidere, e tra le forme del cinema, per farle dialogare, si proverà dunque ad analizzare alcuni film il cui merito, estetico e politico, è quello di affrontare il rapporto tra l’erranza del soggetto migrante e il paesaggio italiano, di rielaborare le immagini che documentano il viaggio, di denun-ciare il controllo biopolitico dei corpi e i tentativi di sovvertire i dispositivi di assoggettamento.

Erranza e migrazioni nel neorealismo

Nel regime estetico inaugurato dal neorealismo lo sguardo si fa erratico ma mai inconsapevo-

le, le logiche narrative riproducono sullo schermo il vagabondaggio, la deambulazione e lo spaesa-mento dei soggetti all’interno di ambienti che, de-formati dalla guerra, restano ancora da decifrare. Si tratta di vedere con e attraverso il personaggio per ricomporre un mondo ancora saturato dalle rovine della guerra appena trascorsa. Gli attori-medium del neorealismo, così definiti da Deleuze nel suo secondo volume dedicato al cinema per-ché capaci di mostrare più che di agire, rivelano la vertigine di un’identità dispersa o esplosa e la

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L’Italia è una terra straniera

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fanno interagire conflittualmente con un pae-saggio, rurale e urbano, in trasformazione. Nel cinema neorealista prende forma una configura-zione narrativa che individua nell’atto del migrare – inteso come movimento dominato dall’incer-tezza del soggetto che lo compie, ricerca di nuovi spazi vitali, negoziazione e riconfigurazione delle identità in rapporto ai mutamenti sociali – una delle principali forze trasformatrici, dentro e fuori i confini italiani.

Con Roma città aperta (1945), Paisà (1946), Europa ’51 (1951) Roberto Rossellini ha saputo

raccontare lo spostamento dei soggetti sul territo-rio italiano dilaniato dalla guerra e ne ha restituito l’esperienza delle e tra le macerie. È con Strom-boli, terra di Dio (1950) che il cinema di Rossellini fa cortocircuitare l’erranza neorealista con la mi-grazione di un personaggio che giunge sino allo spazio arcaico dell’arcipelago delle Eolie, dando forma a un incontro il cui gli eventi eccedono l’a-zione del soggetto e al contempo si stabiliscono le condizioni di possibilità per un nuovo sguardo sul mondo. Il film si compone di una gamma al-quanto articolata di soggettività migranti travolte dagli eventi storici come dai fenomeni naturali. In particolare, è il personaggio di Karin, interpretato da Ingrid Bergman, a essere sempre straniero rispetto ai luoghi, ai contesti e alle regole sociali. Profuga lituana, rifugiatasi in Italia in un campo

di raccolta per stranieri nella primavera del 1948, Karin vorrebbe emigrare in Argentina ma si vede rifiutare il visto e decide di sposarsi con Antonio (Mario Vitale), un soldato italiano che la condurrà nella sua terra d’origine, l’isola di Stromboli. Qui la coppia troverà un tessuto sociale deformato dai processi migratori: le famiglie più giovani sono quasi tutte emigrate in Australia, i pochi anziani, dopo aver vissuto all’estero per diversi anni, sono tornati a ripopolare le antiche case di pietra e sopravvivono grazie ai risparmi e alle rimesse dei primi.

Se il movimento discensionale verso la terra d’origine di Antonio equivale, per Karin, alla

regressione verso un mondo arcaico, spesso intol-lerabile, è attraverso il contatto visivo con la mat-tanza dei tonni e poi con la fuga disperata lungo le pendici del vulcano – dove la forza della natura diventa incontenibile, anche più spietata dei modi e dei riti della società – che la protagonista può abbandonarsi a una completa estraneità grazie alla quale, al di là della condizione di perenne straniera rispetto alle comunità in cui viene ac-colta o respinta (il campo profughi, l’isola), poter operare una frattura netta, un nuovo inizio, nel rapporto con se stessa e con gli altri. Nel finale del film, terminata la furia del vulcano, la protagoni-sta si risveglia e i suoi occhi tornano ad incantarsi di fronte al mistero della natura e della vita che sta crescendo nel suo grembo.

Nello stesso anno di Stromboli, Pietro Germi realizza Il cammino della speranza. Nel film

di Germi, il topos del “viaggio in Italia” trova una perfetta sovrapposizione con il tema della migra-zione: un manipolo di siciliani in fuga dalla miseria attraversa l’Italia del secondo dopoguerra per

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Fuocoammare

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Io sono Li

raggiungere la Svizzera. Lo sguardo degli zol-fatari, delle loro mogli e dei loro figli, opera una riconfigurazione continua dei luoghi attraversati e al contempo sottopone le singole identità a un’in-cessante azione di negoziazione reciproca. Una delle inquadrature più ricorrenti del film è quella in cui i protagonisti si affacciano, con i corpi protesi il più possibile verso l’esterno, ai finestrini dei treni e di altri mezzi di fortuna per osservare i mutamenti del paesaggio, mentre sui loro volti l’obiettivo della macchina da presa coglie diverse sfumature emotive: entusiasmo, incertezza, speranza. Se in Paisà Rossellini ripercorre da sud a nord il Paese per seguirne e testimoniarne la liberazione, nel film di Germi l’attraversamento coincide con una fuga verso uno spazio poco più che sognato.

Soggettività in transito nel cinema italiano contemporaneo

Il passaggio attraverso l’ignoto messo in scena da Stromboli, terra di Dio e da Il cammino della

speranza e, più in generale, una lettura del neore-alismo come disgregazione e ricomposizione delle identità che va di pari passo con l’attraversamento di un territorio eterogeno e conflittuale sono gli ele-menti a partire dai quali è possibile rivolgersi alla contemporaneità. Ovviamente si tratta di un salto temporale non da poco, durante il quale i flussi mi-gratori cambiano e le forme del cinema italiano si trasformano. Per quanto riguarda il primo aspetto, si assiste all’imporsi dell’immigrazione che, a par-tire dagli anni Novanta si afferma come fenomeno su larga scala, mentre l’emigrazione interna e quella verso l’estero, pur mantenendo una presen-za costante, vanno scemando. Per quanto riguarda i mutamenti relativi alle forme cinematografiche si può rilevare, almeno per quanto riguarda i film che raccontano le migrazioni, una sempre più radicale ibridazione tra fiction e documentario, e un utilizzo attento e politicamente orientato dell’intermedia-lità, intesa soprattutto come prelievo e montaggio delle immagini provenienti dai più disparati archivi audiovisivi.

In relazione agli aspetti appena descritti, si pensi ai processi di autenticazione e ricostruzione delle

soggettività migranti che si producono in Come un uomo sulla terra (2008) di Andrea Segre, Dagma-wi Yimer e Riccardo Biadene, e Mare chiuso (2012) di Andrea Segre e Stefano Liberti. Nel primo film, uno dei registi, Dagmawi Yimer, rimontando i video dei telegiornali sulle cronache degli sbarchi a Lampedusa, ritrova il suo volto e innesta la sua una memoria nello spazio chiuso delle immagini mediatiche. In Mare chiuso sono i video girati con i videofonini dagli stessi migranti a documentare

la disumanità e l’illegalità connesse alle pratiche di respingimento in mare attuate dalle autorità italiane. Oltre ad essere la prova documentaria di quanto è accaduto, queste immagini sono necessarie all’edificazione di una memoria dei migranti del ventunesimo secolo a cui è stato negato il diritto alla mobilità e al viaggio. Ma queste immagini sgranate, a bassa definizione, fanno anche parte di un archivio audiovisivo con cui gli italiani – un popolo che già a partire dalla fine dell’Ottocento è stato costretto ad emigrare – devono confrontarsi.

Consapevoli della norma etnografica che vieta l’identificazione con l’osservato, pena il rischio

di passare dall’osservazione partecipata del sog-getto alla costruzione scenica di un personaggio, alcuni registi come Carlo Mazzucarati, Giorgio Diritti e il già menzionato Andrea Segre, hanno scelto volontariamente di infrangere questa regola che accomuna l’etnografo al cineasta. In Vesna va veloce (1996) di Carlo Mazzacurati, la protagonista (Tereza Zajickova) elabora conti-nuamente delle strategie di evasione (le lettere piene di falsità scritte all’amica rimasta in Ceco-slovacchia, l’acquisto di vestiti di lusso, le fughe) per affermare la sua emancipazione. In La giusta distanza (2007) di Carlo Mazzacurati per poter risolvere un omicidio e scagionare l’immigrato Hassan (Ahmed Hafiene), stigmatizzato dalla comunità del piccolo centro agricolo veneto e giu-dicato dalla legge come il colpevole, Mazzacurati mette costantemente in discussione il rapporto tra osservato e osservatore.

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L’Italia è una terra straniera

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Nel primo lungometraggio di Giorgio Diritti Il vento fa il suo giro (2007), le Valli Occitane

sono l’epicentro di un’alterità che corrompe i rapporti tra gli autoctoni e la famiglia francese emigrata in quelle montagne per allevare il pro-prio bestiame e investe l’equilibrio tra le tradizioni e la modernità. In Io sono Li (2011), fra primi piani e semisoggettive, Andrea Segre chiede allo spet-tatore di partecipare alla scoperta del mondo che si apre allo sguardo di Li (Zhao Tao), costretta a lavorare in un bar tra le calli di Chioggia per pagare il suo debito alla mafia cinese e potersi ricongiungere con il figlio. Per elaborare l’incontro delle soggettività nell’ambiente, il regista di origini venete fa un sapiente uso anche della compo-nente linguistica nella quale coesistono l’italiano, il cinese, il croato – la lingua madre dell’istriano Bepi (Rade Šerbedžija), il poeta pescatore che si innamora di Li – e il chioggiotto, il dialetto del luogo in cui è ambientata la vicenda.

Corpi e spazi migranti

Nel suo rapporto con i fenomeni migratori della contemporaneità il cinema italiano, come era

già accaduto in passato, si è avvalso di strategie che operassero uno scarto rispetto alle rappre-sentazioni del confine come limite fisico e simbo-lico da difendere e introducessero una riscrittura delle soglie, dalle traversate per mare alle peri-ferie urbane lungo la penisola, in quanto spazi di traduzione tra le culture. Il viaggio del migrante non è mai lineare e predeterminato, al contrario si tratta di un attraversamento delle frontiere che si

svolge attraverso continui ripiegamenti (spaziali e temporali) e traiettorie imprevedibili: un incedere erratico soggetto alla volubilità ostile delle circo-stanze.

In Lettere dal Sahara (2006) di Vittorio De Seta, il viaggio attraverso l’Italia, dalla Sicilia al

Nord industrializzato, è raccontato attraverso lo sguardo del senegalese Assane (Djibril Kebe). Pur ripercorrendo l’inventario di situazioni e ste-reotipi che caratterizzano il trattamento narrativo dell’immigrato (lo sfruttamento lavorativo, la cri-minalità, il rispetto delle origini e delle tradizioni anche in un Paese straniero, il razzismo) il film di De Seta aggiunge un elemento di radicale novi-tà: dopo essere stato pestato e aver rischiato la vita, Assane sceglie volontariamente di ritornare a casa, in Senegal. Segnato dal viaggio, si reca da un suo anziano professore che lo incoraggia a raccontare l’esperienza italiana, il dolore e il senso di impotenza per le violenze subite davanti una

platea di giovani, già infatuati dal mito della fuga all’estero, bambini e anziani. Al ritorno non corri-sponde la sconfitta o la chiusura nel ventre protet-tivo della comunità: l’emigrazione è una necessità che il professore colloca, a partire dalla vicenda di Assane, all’interno della storia coloniale africana e la ripensa come strumento di emancipazione che il singolo può adoperare.

Il fallimento del progetto migratorio trova un potente rilancio in Mediterranea (2015) di Jonas

Carpignano, il cui ultimo A Ciambra (2017) ne costituisce la prosecuzione di un binario narrativo secondario. Come nel suo precedente cortome-traggio A Chjana (2011) e in Il sangue verde (2010) di Andrea Segre la cornice è Rosarno, e mede-simo è il fatto di cronaca raccontato dal film: il ferimento di alcuni braccianti africani da parte di giovani locali, supportati dalle organizzazioni cri-minali che gestiscono gli aranceti, e la conseguen-te rivolta dei braccianti stessi, che, nel gennaio del 2010, misero a ferro e fuoco il paese prima di essere arrestati o malmenati. Mediterranea dispone le fasi dell’esperienza migratoria in una successione che scongiura il rischio di una traiet-toria deterministica per farsi invece rapsodica e imprevedibile, sino all’ultima parte del film che ricaccia qualsiasi “tentazione” compassionevole. Subito prima del finale sospeso (e non a caso), in un ospedale di fortuna dove sono ricoverate le vittime delle rappresaglie di strada compiute dai rosarnersi, avviene una scelta drastica, la stessa adoperata dal protagonista di Lettere dal Sahara: Ayiva (Koudous Seihon) sceglie di abbandonare il viaggio, per ritornare a casa assieme al fratello Abas (Alassane Sy). Quest’ultimo, prima prota-gonista della rivolta e poi vittima del pestaggio, potrebbe ottenere il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Ma Ayiva, rifiuta per entrambi e progetta di ritornare in Burkina Faso.

Fino alla sequenza appena descritta i corpi di Ayiva, di Abas e degli altri migranti sono

stati continuamente esposti, prima ai pericoli del viaggio attraverso il deserto, poi costretti su un gommone e abbandonati in mare aperto, messi in salvo e identificati, infine disciplinati come forza lavoro. È dunque sul corpo che passano le tensioni tra la costruzione della soggettività e l’assogget-tamento al sistema culturale estraneo. E il cinema che filma i corpi non solo per esporli ma anche per raccontarne le storie è in grado di ridare un orizzonte di senso a una materialità biologica altrimenti informe, oppure formata da pressioni e imposizioni esterne. Nel mettere in scena il viaggio attraverso il Mediterraneo i migranti sono costan-temente bloccati negli spazi perimetrati dalle tecnologie politiche che stabiliscono i confini e le regole del loro attraversamento. È quello che ac-

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cade in Fuocoammare (2016) di Gianfranco Rosi, dove Lampedusa si fa ambiente mediale atto a sorvegliare il mare e i corpi in transito. Eppure questo movimento, anche quando produce un ripiegamento verso i luoghi di origine, come nel caso del film di Seta e di quello girato da Car-pignano, resta dirompente: nonostante i limiti, i pericoli e le regole imposte, i migranti provano a costruire nuovamente spazi e a riformulare i modi della loro esistenza. La mancata integrazione nei contesti d’arrivo più che indicare una sconfitta è il segno di un processo che non accenna ad ar-restarsi.

I film analizzati sono esemplari delle possibilità narrative ed espressive connesse agli incontri e

agli scontri tra soggetti in movimento e i paesaggi attraversati. Dal neorealismo al cinema del reale, la posta in gioco è quella di trovare e costruire immagini capaci di restituire una semantica dello sguardo in cui è l’immigrato a scrutare e ricom-porre lo spazio inquadrato, sempre alla ricerca di una dimora narrativa. In opposizione alla retorica dell’invasione e al rumore mediatico che si genera in coincidenza delle tragedie che accompagnano gli arrivi dei migranti in Europa, il cinema può offrici immagini e narrazioni in cui scoprire l’altro, ripensare la nostra identità e i modi del vivere assieme.

Riferimenti bibliografici

Sandro Bernardi, Il paesaggio nel cinema italiano, Marsilio, Venezia 2002.

Paola Corti, Matteo Sanfilippo (a cura di), Storia d’I-talia. Annali, vol. 24, Migrazioni, Einaudi, Torino 2009.

Massimiliano Coviello, Emigrazione, in Roberto De Gaoetano (a cura di), Lessico del cinema italiano. For-me di vita e forme di rappresentazione, vol. 1, Mimesis, Milano-Udine 2014, pagg. 309-371.

Roberto De Gaetano, Cinema italiano: forme, identità, stili di vita, Pellegrini, Cosenza 2018.

Gilles Deleuze, Cinema 2. L’immagine-tempo, Ubulibri, Milano 1989.

Daniele Dottorini, La passione del reale. Il documen-tario o la creazione del mondo; Mimesis, Milano 2018.

Pietro Montani, L’immaginazione intermediale. Perlu-strare, rifigurare, testimoniare il mondo visibile, Later-za, Roma 2010.

Abdelmalek Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’ immigrato, Raffaello Cortina, Milano 2002.

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