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Rivista di enologia, gastronomia e turismo Anno XXVIII - Numero 3 - Maggio-Giugno 2010
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Rivista di enologia, gastronomia e turismo Anno XXIX - Numero 1 - Gennaio-Febbraio 2011
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speciale Toscana 2a
Parte
Karen Casagrandemiglior Sommelier dell’AnnoTrofeo Rastal 2010
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pagina somellier.pdf 1 16/12/10 12:20
Una famiglia frantoiana dove regna un’antica armonia Giancarlo Roversi 10
Portogallo: la terra dei Montado Luigi Terzago 14
Produrre vino rispettando l’ambiente Gladys Torres 18
Parigi preferisce il bio Enza Bettelli 20
Dalla Valle del Rodano al Vulcano Etna: alla scoperta dei vini del Canton Vallese - Antonio Iacona 22
Il primo icewine brasiliano Roberto Rabachino 24
Le notizie di enogastronomia e turismo a cura della redazione di Quality ADV 26
Seconda Parte 30
ROMA VINOEXCELLENCE & MERANO WINEFESTIVAL - a cura della redazione di Quality ADV 82
Chiude i battenti l’ottavo Salone del Gusto: Roberto Rabachino 84
Gorgona! “l’isola che non c’è” Luca Iacopini e Massimo Bracci 86
L’opinione del Presidente Pag. 2
La contraffazione alimentare vale 60 miliardi - Roberto Rabachino 4
L'opinione di Marcello Masi 6
Fisar in Rosa - Gladys Torres 8
News dal Mondo 90
In famiglia 94
Il CTN Comunica 106
Le Eccellenze dell'Espresso 201. I nostri assaggi - Davide Amadei 108
Speciale Congresso 2010 111
ComuniCazione istituzionale
ENOGASTRONOMIA • TURISMO • CURIOSITà
SCIENZA • TECNICA • APPROFONDIMENTI
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ariospeciale Toscana
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 12
Dai primi albori del nuovo anno, nonostante
qualcuno insiste ancora nel volere far credere
che la crisi che attanaglia il nostro Paese sia
passata, nonostante siano trascorsi i cento giorni per la
ricostruzione del dopo terremoto nelle Marche così come
i dieci giorni per la risoluzione del problema dei rifiuti in
Campania, per non parlare delle aziende che continuano a
chiudere i battenti e di quanti, di conseguenza, seguitano
a perdere il posto di lavoro; senza ignorare l’inquietudine,
ma forse sarebbe meglio dire agitazione, di tutte quelle
categorie coinvolte nei tentativi di riforme istituzionali
pensate per uscire da questo inarrestabile disfacimento,
quali Sanità, Università, Magistratura... tutto ciò in nome
del progresso che viene quindi trasformato in un ciclo
di riforme, anche se non sempre vincenti, tendenti ad
escludere dall’agenda politica le istanze provenienti da
ampi settori della società, senza potere più contare su
una certa, seppur minima, qualità della vita, sempre più
compromessa. E si potrebbe continuare, ma la nostra
rivista si occupa d’altro, e allora vediamo quali “riforme”
ci aspettano, concretamente, in questo nuovo anno:
innanzi tutto la didattica in tutte le sue forme: libri di testo,
lezioni in PowerPoint, revisione dell’albo docenti, ruolo
primario del Centro Tecnico Nazionale.
La nuova edizione dei libri di testo riguardanti gli
argomenti trattati nei corsi per sommelier di secondo
livello, enografia nazionale ed internazionale, sono in fase
avanzata e saranno pronti per la prossima primavera,
in più volumi. Così come il nuovo testo per i corsi di
terzo livello, la tecnica dell’abbinamento vino-cibo, sarà
stampato nelle prossime settimane.
Si sta lavorando per la revisione delle lezioni in PowerPoint
di primo livello, mentre a seguire l’uscita dei volumi prima
citati ci saranno anche le relative lezioni in PowerPoint.
È in preparazione un corso destinato ai Docenti, sulla
tecnica della comunicazione e degustazione dei vini,
dopo che è stato aggiornato l’Albo Docenti. I componenti
il Centro Tecnico Nazionale, unitamente ai Direttori di
corso, saranno chiamati a svolgere un ruolo di primaria
importanza per il conseguimento di un livello qualitativo
sempre più altro dei corsi di formazione.
Il tutto per garantire ai nostri Soci l’uniformità didattica che
ci distingue per il rigore formale ma anche per l’eleganza e
la sobrietà nello stile. Uno stile chiaro e preciso diventato
un punto di riferimento della sommelleria italiana. Le parole
chiave della nostra Federazione sono infatti Sobrietà e
Misura, cioè essere consapevoli di offrire un “prodotto”
di alta qualità senza necessariamente essere costoso
o accessibile solo a pochi eletti; e senza compromessi
sapere coniugare professionalità e passione con la
costante ambizione di affermare uno stile mai gridato,
ma raffinato e che duri nel tempo senza inseguire mode
o effimere tendenze, ma il proprio gusto. Tutti i giorni. Il
vero lusso è semplice, consapevole e unico come la vera
bellezza, a tutto tondo.
Auguro ai nostri Soci e a tutti i Lettori che le avversità
eventualmente subite possano affondare nel mare del
passato mentre tutti i sogni possano concretizzarsi in
questo duemilaeundici, con il consueto auspicio che il
vostro calice sia sempre colmo.
Presidente Vittorio Cardaci Ama
per comunicare con il Presidente:presidente@fisar.com
L’anno che sarà
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 3
Rivista di Enologia, Gastronomia e Turismo
Organo Ufficiale della F.I.S.A.R.Federazione Italiana Sommelier
Albergatori RistoratoriRic. di Pers. Giuridica PI. n° 1070/01 Sett. I del 9.5.01
Editore: Vittorio Cardaci AmaPresidente Nazionale FISARe-mail: presidente@fisar.com
Direttore Responsabile: Roberto RabachinoC.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino
Tel. +39 011 5096123 Fax +39 011 19706172e-mail: direttore@ilsommelier.com
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Comitato di Redazione e Controllo:Nicola Masiello, Mario Del Debbio, Graziella Cescon,
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Distribuzione della rivistaLa rivista viene inviata a tutti i soci Fisar, a tutti gli organi di informazione, atutti i giornalisti dei gruppi di specializzazione di settore, a tutte le Istituzioni,a tutte le Associazioni di settore e a tutti gli IPSSAR che ne facciano richiesta
tramite spedizione gratuita in abbonamento postale.
La rivista è associata al USPIUnione Stampa Periodica Italiana
Hanno collaborato a questo numeroMarcello Masi, Giancarlo Roversi, Enza Bettelli,
Gudrun Dalla Via, Virgilio Pronzati,Luca Iacopini, Massimo Bracci,
Silvana Delfuoco, Saverio Scarpino
Per la fotografiaOliviero Toscani, Saverio Scarpino,
Roberto Rabachino, Enza Bettelli, Alberto Doriae immagini di Redazione.
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campania@ilsommelier.com
L'immagine di copertina è del fotografo Arcangelo Piai - Susegana (TV)
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Non si può più solo esportare soltanto il
semplice prodotto senza promuovere
anche l’intero territorio con la sua sto-
ria e le sue tradizioni. Contestualmente vanno
incentivate tutte le iniziative che possano favo-
rire la verifica dei risultati, la trasparenza delle
scelte.
Per poter affrontare i mercati più difficili, a mio
avviso, dovrebbe essere costituito un’aggre-
gazione di tutti i fondi pubblici già destinati alla
promozione delle produzioni agricole ed agroa-
limentari al quale si dovrebbero anche aggiun-
gerebbero quote sempre più cospicue di cofi-
nanziamenti anche di origine privata.
Una cosa è certa: la dispersione degli inter-
venti, la scarsa organizzazione della domanda
e, in certi casi, dell’offerta crea purtroppo una
situazione di scarsa e decisamente insufficiente
finalizzazione degli interventi, con il risultato di
sovrapporre iniziative spesso contraddittorie se
non addirittura contrastanti.
Uno strumento indispensabile da non sottova-
lutare è la comunicazione agroalimentare.
Al consumatore estero bisogna ribadire il mes-
saggio che vede premiato il concetto delle pro-
duzioni di qualità come affermazione di quello
"stile di vita italiano" che in tutto il mondo è r
simbolo di naturalezza, benessere ed elegan-
za.
Il modello agroalimentare italiano deve essere
percepito come un bisogno di genuinità e sa-
lute da coniugare con quello di gusto e piacere
sensoriale.
Credo che, insieme, politica ed imprenditoria
possono raggiungere e trovare quel giusto equi-
librio indispensabile all’esportazioni di quei valori
che hanno nell’agroalimentare la loro principale
peculiarità anche sull’onda del riconoscimento
ottenuto della nostra “Dieta Mediterranea” pro-
clamata patrimonio dell’Umanità.
L’internazionalizzazionedei mercati:
una strada obbligataper l’agroalimentare
italiano
Il tema dell’internazionalizzazione richiede un nuovo modo di pensare e un nuovo tipo d’approccio.“ ”
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per comunicare con il Direttore:direttore@ilsommelier.com
di Roberto Rabachino
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 16
Avviene in Italia come in Francia, negli Stati Uniti come nel resto del mondo. I riflessi della crisi economi-
ca si riflettono sui mercati come bagliori di un temporale che è appena passato sulle nostre colline, ma resta vicino. Sugli scaf-fali del super mercato la guerra dei prezzi non conosce più limiti. Vitigni, blasonati e non, chiedono pochi euro ma tante etichet-te non garantiscono la qualità promessa. Nello Champagne e non solo le promozio-ni esagerate sono diventate la norma. Per mantenere il mercato molti produttori sono costretti ai salti tripli. In Nuova Zelanda una ricerca choc ha rivelato che il vino sfuso all’ingrosso ormai costa meno dell’acqua minerale: 0,67 centesimi contro 0,78 cen-tesimi al litro. In Italia come documenta la Cia il prodotto sfuso in alcune zone registra un arretramento che costringe gli agricol-tori a vendere sottocosto con conseguen-ti ed evidenti riflessi negativi sui redditi. Naturalmente è la crisi il principale attore
di questa situazione negativa, ma non è il solo. Come è noto il consumo procapite di vino in Italia diminuisce anno dopo anno. Tra i motivi non solo i prezzi, ma anche esigenze dietetiche ed una cattiva informa-zione che troppe volte confonde la cultura del vino con l’abuso di alcol. Nessuno può difendere l’abuso, mentre dovremmo mol-tiplicare gli sforzi per affermare nel nostro Paese la vera cultura del bere bene e del bere giusto. In questo contesto può essere inquadrata l’esigenza di un vino non esage-ratamente alcolico. Oggi fa quasi sorridere l’idea che fino ad una decina di anni fa era diffusissima la pratica del taglio per conferi-re, specie ai vini del nord, un tasso alcome-trico accettabile: molte leggende, ma an-che molte verità. Non molti sanno che oggi, però, con il costante innalzamento della temperatura terrestre è possibile coltivare la vite in regioni del mondo che fino a pochi anni fa non erano assolutamente adatte per produrre l’uva. Un esempio su tutti l’Inghil-
Vino di qualitàsenza compromessi
di Marcello MasiVice Direttore TG2 RAI
e responsabile rubrica Eat Parade
Milioni di bottiglie di vino invendute giacciono nellecantine in attesa di conoscere il proprio destino“ ”
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 7
terra che già sta sperimentando sulla sua terra l’impianto di molti ettari di vigna. Ma pochi sanno anche che il maggiore calo-re e la maggiore insolazione dei vitigni ha aumentato praticamente in tutto il mondo il contenuto di zuccheri nell’uva e di con-seguenza il valore alcolico del vino. E que-sto è un grosso problema. Vini che hanno combattuto sempre con i disciplinare per raggiungere il minimo consentito oggi si tro-vano a combattere con l’eccessivo carico alcolico. Difficile per i produttori intervenire in vigna, delicatissimo intervenire in cantina. Gli enologi stanno sperimentando una serie di procedimenti altamente tecnologici per porre rimedio a questi eccessi. La strada della sperimentazione incoraggia la spe-ranza di mantenere il prodotto integro, ma dubbi ed incertezze non mancano. La de-alcolizzazione parziale non può e non deve essere un rimedio qualunque. Soprattutto se applicata a grandi vini non può lasciare margini di errore. Un prodotto non integro e non all’altezza della qualità delle nostre ec-
cellenze immesso frettolosamente sul mer-cato sarebbe un errore gravissimo. Altra cosa è il discorso del vino non vino, e cioè del vino senza alcol. Stati Uniti, Germania e Giappone rappresentano già mercati ma-turi per questa bevanda gustosa e disse-tante. Un successo che potrebbe doppiare quello della birra analcolica che in Spagna, lo segnalo, ha già raggiunto il 10 per cen-to del mercato complessivo delle bionde. Anche in questo settore produttivo l’Italia non dovrebbe rimanere indietro, abbiamo tantissima ottima materia prima e impren-ditorialità capace di affermare il proprio va-lore. Inoltre confiniamo con l’immenso mer-cato del mondo islamico che alla bevanda di vino senza alcol potrebbe rivolgere molta attenzione. Comunque, vorrei rassicurare le bottiglie citate all’inizio del mio articolo: tranquille, nessuno vi torcerà un alcole, a voi vi berremo così come siete e con gran-de gusto.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 18
La proclamazione ufficiale dei vincitori è av-venuta sabato 13 novembre 2010 durante la Cena di Gala del Congresso Nazionale
FISAR di a Castelbrando (12-14 novembre) nella magnifica cornice del Ristorante La Fucina all'in-terno del prestigioso Castello che domina la cit-tadina di Cison di Valmarino (Tv) alla presenza del Vicepresidente della Provincia di Treviso Floriano Zambon e dei rappresentati dei Consorzi di Tutela
del territorio oltre alle numerose autorità ammini-strative amministrative ed accademiche e ai 200 fisariani. Il Presidente Nazionale FISAR Vittorio Cardaci Ama insieme a Paolo Fulgosi della Rastal hanno consegnato alla neo sommelier dell'anno il presti-gioso Trofeo Rastal e un soggiorno per due per-sone in Sicilia.Al secondo e al terzo posto a pari merito al Luigi Valter Piaggesi della Delegazione di Varazze e Piero D'Acunto della Delegazione di Roma. Mariapia Gori di Alessandria, Orietta Ferrari di Genova, Raffaele Porceddu di Valdichiana, Gaetano Augusto Prosperini di Catania e Giorgio Mantovani di Treviso hanno partecipato anch’essi al concorso classificandosi a pari merito al quarto posto. Importante e significativa la presenza femminile al Congresso Nazionale con le tre Consigliere elet-te Graziella Cescon, Luisella Rubin e Mariateresa Lanza ad accogliere le tante associate provenienti da tutta Italia.
Dopo Laura Sandoli della Delegazione di Pavialo scettro passa a Karen Casagrande“ ”
È nuovamente una donna la miglior sommelier
FISAR dell’annodi Gladys Torres
Negli ultimi anni per ben 5 volteil concorso è stato declinato al femminile
1993 - Claudia Marinelli della Delegazione Pontedera2000 - Mara Annunziata Lamanna della Delegazione di Roma
2007 - Marta Chiavacci della Delegazione di Lucca2009 - Laura Sandoli della Delegazione di Pavia
2010 - Karen Casagrande della Delegazione di Treviso
FISAR in rosa
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Karen Casagrande
I tre finalisti: Piagges, Casagrande e D'Acunt
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 9
Karen Casagrande con il trofeo Rastal
Un gruppo di associati alla Carpené Malvolti
Il Presidente Vittorio Cardaci Ama con Karen Casagrande che riceve il premio del soggiorno presso l'Azienda Barone di Villagrande - Milo (CT)
Graziella Cescon (al centro) con alcune sommelier
FISAR in rosa
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Una famiglia frantoiana dove regna
un’antica armonia
Ci sono famiglie di artisti, famiglie di attori, famiglie di grandi giornalisti, di atleti, di imprenditori, e molte altre ancora, dove ci
si tramanda di padre in figlio lo scettro del primato.“”
di Giancarlo Roversi
10
Elisabetta e Gabriella Gabrielloni
Ma ci sono anche le grandi famiglie dell’olio, ossia degli olivicoltori e frangitori di olive, che, di gene-
razione in generazione, si trasmettono i segreti del mestiere per mantenere viva un’antica tradizione di eccellenza. Una di queste, una delle più emblemati-che, è quella dei Gabrielloni che ha le sue radici a Montefiore, una manciata di case in ridente posizione panoramica in comu-ne di Recanati e a un tiro di schioppo da Montefano in provincia di Macerata. Quattro gradi di discendenza si sono pas-sati il testimone della nobile arte della moli-tura delle olive in una filogenesi armoniosa che parte dal fondatore, il nonno Marino, trasferitosi a cent’anni su una nuvola per deliziare col suo olio gli angeli del Paradiso, e poi attraversa il figlio Emilio e la moglie Cesarina, per approdare oggi alle nipo-ti Gabriella ed Elisabetta, due dinamiche frantoiane stregate dall’olio, quello che se-duce e crea nel consumatore una sottile, invincibile, “dipendenza”. Due donne di garbo, legate ai valori veri del-la vita e di sottile sensibilità, che abbinano il culto della tradizione con quello della qua-lità nell’ambito di una intrigante e moderna concezione dello stile di vita alimentare. Ma soprattutto che fanno l’amore con l’olio e sanno trasmettere, a chi ha l’opportunità di avvicinarle, un senso di antica armonia. Sì perchè entrare in dimestichezza con la fami-glia Gabrielloni, semmai sedendosi al desco con loro per assaporare i cibi gustosi e non sofisticati di mamma Cesarina, è un piccolo privilegio. Significa poter toccare con mano gli oliveti di famiglia, che si distendono sugli ameni declivi più a valle del frantoio, dove sorge ancora la vecchia casa patriarcale dei
Gabrielloni. Significa conoscere quasi uno ad uno gli olivi, accarezzati dal sole e lam-biti dalla brezza vivificatrice dell’Adriatico, e gustare dal vivo carciofi, ortaggi e frutta dal sapore antico. Significa apprendere le storie di quasi un secolo di olivicoltura, le storie di sacrifici, delle piccole grandi gioie quotidiane della vita dei campi. E significa, soprattutto, imparare a rispettare la natura e i suoi frutti, gli stessi da cui viene estratta la loro essenza più autentica e profonda. Vale a dire quel nettare inestimabile che è l’olio Gabrielloni nella sua espressione più sublime, il Laudato, sgorgato dall’incanto
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 11
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 112
per le olive di due giovani figlie d’arte e della loro famiglia frantoiana. Basta un sorriso rassicurante di mamma Cesarina, ma anche un sorriso di Gabriella ed Eisabetta e di Sonia, l’amabile e dina-mica cugina oggi parte attiva nell’azienda, e, perchè no, un sorriso divertito di Emilio per farti sentire a tuo agio, uno di famiglia. Basta mangiare alla tavola dei Gabrielloni con vista sulle colline maceratesi per sen-tirsi dei privilegiati. Perchè si è attorniati da un’atmosfera di gioia serena, di cose buo-
ne, di tentazioni per il palato e per
lo spirito. Specie se si sosta all’agriturismo
“Al crepuscolo”, l’ultima “creatura” dei Gabrielloni, che hanno magnificamente ristrutturato la vecchia casa patriarcale, dove, insieme a Gabriella ed Elisabetta, è all’opera Sonia Gabrielloni, la giovane e dinamica cugina anche lei innamora-ta della campagna e della natura Anche questa nuova struttura agrituri-stica è destinata a diventare un approdo
dello spirito oltre che del gusto, il gusto semplice e irresistibile delle buone cose di una volta. Perchè quando qualcosa nasce dall’amore il risultato non può mai tradire il visitatore, anche quello dal palato più esigente e raf-finato. Per descrivere l’olio o, meglio, i distilla-ti suadenti di olive, che scivolano via leg-geri dai fiscoli e zampillano coi loro colori dorati e smeraldini nel glorioso Frantoio Gabrielloni, sarebbe necessario un critico d’arte o, almeno, il lessico artistico, ossia quelle espressioni sottili e vibranti che i cri-tici figurativi impiegano per descrivere un dipinto, una scultura. Le “creature olearie” di Gabriella ed Elisabetta sono riservate esclusivamente a chi ama l’olio, quello che non solo porta la specifica di extravergine, che ormai hanno tutti gli oli, ma che racchiude nella sua strut-tura una carica di umori terragni sapiente-mente mescolati con i valori della tradizione e della qualità. Quando le due figlie di Emilio hanno preso in mano le redini del frantoio si sono trova-te di fronte a una scommessa, a una sfida:
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 13
tradire il passato e adeguarsi agli standard produttivi moderni oppure tenere duro, fa-cendo tesoro solo dello stretto necessario che l’odierna tecnologia offre come garan-zia di qualità e igiene per il consumatore. Insomma, passare all’estrazione a caldo or-mai massificata oppure continuare a molire le olive a freddo con le solenni molazze di pietra, le stesse che hanno accompagnato l’evoluzione della vita della civiltà mediter-ranea e il cammino del frantoio Gabrielloni. Per fortuna nostra ha avuto il sopravvento la fedeltà al sistema tradizionale.E così il molino oleario di Montefiore spre-me dalle olive, selezionate quasi una ad una, un olio che sa ancora...d’olio come ri-velano gli effluvi tra il dolce e l’erbaceo che avvolgono chi vi mette piede e creano un’ aura di armonia che sa di valori antichi e buoni, quelli che pensavamo di non potere più ritrovare. D’altronde magnificare le doti del Laudato, del Solivo e del Virgoro, la trimurti del fran-toio Gabrielloni (ma è in arrivo anche l’olio monovarietale di Mignola !), è quasi su-perfluo se si considerano i riconoscimenti nazionali e internazionali che li pongono ai vertici del gotha oleario. Forse aveva assaporato quest’olio anche Giacomo Leopardi che qui era di casa. Con un pizzico di fantasia possiamo scorgere il suo spirito mentre ci sorride compiaciuto dall’alto della torre di Montefiore che domi-na il frantoio Gabrielloni. Oggi il tormentato poeta recanatese sareb-be sicuramente orgoglioso di quest’olio dei suoi “ermi colli”, che sgorga dagli oliveti che abbracciava con lo sguardo, sulle colline da lui tanto celebrate. Le stesse pregiate olive, maturate al sole dell’Adriatico e insaporite
dalla brezza dei Monti Azzurri, le olive che accarezzava fra le dita vengono raccolte ancora manualmente come ai suoi tem-pi. Il miracolo della loro trasformazione nel migliore condimento del mondo, il succo d’oliva, avviene il giorno stesso della bruca-tura., entro 48 ore dalla brucatura. Al termine della lavorazione l’olio, filtrato a cotone con il metodo goccia a goccia pren-de poi il magico nome di “Laudato”, la gem-ma più preziosa del frantoio Gabrielloni, ap-prezzata dai buongustai di mezzo mondo, cui fanno da corona, a seconda delle varie-tà di olive utilizzate, il “Solivo” e il “Virgoro”, che è un monovarietale di eccellenza. Anche quest’anno, caratterizzato da un rac-colto scarso, gli oli del Frantoio Gabrielloni evidenziano una eccezionale qualità e fra-granza di gusto. In particolare il “Laudato”, un extravergine ottenuto da una selezione di olive raccolte nei poderi di famiglia, presen-ta un tasso di acidità incredibile: lo 0,11%. Veramente poco se si considera che è già considerata molto bassa una percentuale dello 0,25% !Il “Laudato”, di sapore dolce e delicato, è particolarmente indicato per il pesce, ma valorizza pure paste e verdure fresche. Il "Solivo" dona un tocco inconfondibile a bruschette, spaghetti e bolliti mentre il “Virgoro” può essere ottimamente utilizzato per impreziosire carni alla brace e per insa-porire zuppe di legumi.L’effetto straordinario degli impeccabili oli del Frantoio Gabrielloni va oltre l’utilizzo cu-linario. A comprovarlo è stato Marino (non-no di Gabriella ed Elisabetta), che è cam-pato 100 anni compiuti e ora sta in cielo su una nuvola a frangere le olive per fare l’olio per il Paradiso, il Laudato naturalmente.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Portogallo:la terra dei Montado
di Luigi Terzago - Consigliere Nazionale di Giunta
14
La produzione è esplosa no-
tevolmente verso la fine del
diciannovesimo secolo. Fra il
1890 ed il 1917 la mano d'opera è rad-
doppiata e nel 1930 addirittura quintu-
plicata, per un totale di 10.000 operai. A
quel tempo il Portogallo era divenuto il
principale produttore di sughero a livel-
lo mondiale, una posizione che detiene
tutt’oggi. Circa il 70 per cento delle assi
di sughero, è attualmente utilizzato per
la produzione di tappi, inclusi tappi na-
turali (43%), tappi per spumante, tappi
con testa (bar-Top) per vini fortificati e
superalcolici e piccoli tappi per altri usi.
Le foreste da quercia da sughero dan-
no un contributo notevole all'economia
portoghese ( 40 milioni di tappi prodot-
ti al giorno, con 12 mila lavoratori) ed
all'ecologia (secondo un recente studio
effettuato dalla Scuola di Agraria ISA di
Lisbona il Portogallo con le sue foreste
di sughero trattiene 4,8 milioni di ton-
nellate di CO2 nel corso di un’anno) e di
parecchi paesi mediterranei coprendo
una superficie mondiale di 2,2 milioni di
ettari.
“I tappi di sughero sono arrivati in Portogallo verso il 1700. Dopo circa 70 anni furono usati a Porto per tappare
delle bottiglie cilindriche, permettendo per la prima volta l’invecchiamento di un vino in un recipiente di vetro.
”
Un'analisi della distribuzione per singolo stato
delle sugherete (montado in portoghese) indica
che il Portogallo detiene il 33% del totale mon-
diale, che corrisponde ad una superficie di circa
730.000 ettari dei quali 50.000 hanno ottenuto la
certificazione FSC (Forest Stewardship Council)
che consente di promuovere una gestione fore-
stale, in modo che risulti adeguata, che produ-
ca benefici sociali e tenga conto anche di quelli
economici. Altri 150.000 ettari di sugherete
portoghesi potrebbero essere certificate entro il
2010.
In Portogallo si producono oltre 150.000 ton-
nellate di sughero l’anno, ovvero il 52,5% della
produzione del mondo in volume (l’italia è al ter-
zo posto con il 5,5%, seconda la Spagna con il
29,5%).
Nello scorso mese di novembre la FISAR è stata
invitata da APCOR (Associaçào Portuguesa de
Cortiça) alla visita delle sugherete di Coruche,
piccola cittadina situata ai confini della provincia
di Ribatejo con l’Alto Alentejo.
Dopo il pernottamento a Lisbona e l’incontro con
Carlos de Jesus (APCOR Project Operational
Director) visitiamo le foreste di querce da sughe-
ro (Quercus suber), pianta sempreverde, longe-
va (vive circa 200 anni) e con una grande capa-
cità di rigenerarsi (la corteccia si rigenera circa
16 volte).
Perché la quercia cominci a produrre sughero
occorrono 20/25 anni: il tronco deve misurare
almeno 1,3 metri di altezza e raggiungere una
circonferenza di 70 cm. Da quel momento, il su-
ghero può essere raccolto dall’albero per circa
150 anni, con un intervallo minimo di 9 anni. Solo
dopo la terza decortica si ottiene il sughero con
le migliori proprietà, adatto alla produzione di
sugheri di qualità, chiamato “amadia” o sughero
da riproduzione, dopo tale operazione sull’albero
viene dipinto un numero corrispondente all’ulti-
mo numero dell’anno in cui è stata fatta l’estra-
zione. In tarda mattinata la visita si sposta agli
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 116
impianti industriali Amorim& Irmàos con strutture
per l’immagazzinamento del sughero pari a 11
ettari, in questa fabbrica conosciamo come av-
viene il processo della lavorazione del sughero.
Nel primo pomeriggio visitiamo Equipar: sono i
più moderni impianti del Gruppo Amorim, i più
grandi stabilimenti al mondo per la produzio-
ne di tappi di sughero, in serata raggiungiamo
Oporto.
Il mattino seguente ci rechiamo a Santa Maria de
Lamas nella sede di APCOR per la presentazione
tecnica di ricerca avanzata da parte del dr Paulo
Lopes (Enologist PhD Research & Development)
su uno degli aspetti più indagati il cosiddetto
“sapore di tappo”, causato principalmente dal-
la contaminazione da parte di molecole di TCA
(Tricloroanisole) che impattano sulle proprietà or-
ganolettiche del vino. Grazie a questo impegno,
nel giro di soli cinque anni, il numero di bottiglie
danneggiate dal TCA è diminuito dell’80%.
Il tour termina con il trasferimento alla sede sto-
rica degli impianti Amorim sempre a Santa Maria
de Lamas, dopo aver rivisto le varie fasi di lavo-
razione per produrre tappi di sughero e il museo
storico di famiglia siamo invitati a pranzo nella
Casa do Fundador da Antònio Rios de Amorim
(Presidente di APCOR e della Corticeria Amorim
S.G.P.S., S.A.).
Meregalli FERTUNA SOMMELIER 22-12-2010 10:43 Pagina 1
Colori compositi
C M Y CM MY CY CMY K
Rossi d’Autore
“Lodai - Messiio - Plato”- Fertuna -
“Le tre età dell’uomo”- Tiziano -
“Annunciazione”- Botticelli -
Fertuna, l’arte del vino.
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Distribuitoin esclusiva da meregalli.com
Rossi d’Autore
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Produrre vino rispettando l’ambiente
18
“Emissioni zero”, un impegnativo programma di investimenti avviato all’inizio del 2009 – nell’anno del Pianeta Terra –
per la tutela dell’ambiente: oggi quel progetto è divenuto realtà.“”
di Gladys Torres
“Siamo orgogliosi di poter mostrare
che è possibile produrre vino ad
emissioni zero”, dichiara Salvatore
Avallone che insieme alla sorella Maria Ida oggi
guida Villa Matilde a Cellole (CE).
Fare vino tutelando l’ambiente è una scelta
derivata dalla consapevolezza che il settore
vitivinicolo rappresenta uno dei settori a
maggior consumo energetico e più alto impatto
ambientale. Ma al tempo stesso l’intero
comparto offre un considerevole potenziale
di miglioramento nell’efficienza energetica sia
nel senso del risparmio che nella possibilità di
utilizzo di energie alternative.
L’audit energetico di Villa Matilde è stato il punto
di partenza dell’intero progetto. Attraverso lo
studio approfondito di ogni fase del processo
produttivo è stato possibile stilare un bilancio
energetico in grado di individuare sprechi e
contemporaneamente supportare l’accresciuto
fabbisogno dovuto ad un ampliamento dei
sistemi di stoccaggio dei vini. Si è scelto di
adottare un sistema composito tra fotovoltaico,
produzione ad olio di colza e, a parziale
supporto, rete elettrica tradizionale.
Il ricorso alle energie alternative rappresenta
dunque, uno dei punti cardine dell’intero
programma “Emissioni Zero di Villa Matilde”,
che ha appena completato l’installazione
di un impianto fotovoltaico di 339 pannelli.
I pannelli sono stati applicati sui tetti di 6
strutture del complesso aziendale, senza
alterare il paesaggio agricolo circostante. La
produzione da energia solare che ne deriva dà
un contributo alla salvaguardia dell’ambiente e
del clima garantendo una mancata emissione
in aria di oltre 73 tonnellate all’anno di anidride
carbonica altrimenti prodotte dagli impianti
Villa Matilde
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 19
Impianto raccolta di energia solare di Villa Matilde
tradizionali. Una quantità rilevante se si pensa che
in un anno la stessa viene assorbita da circa 110
alberi.
Accanto alla produzione di energia alternativa si
è lavorato alla razionalizzazione di tutti gli impianti
dell’azienda con interventi strutturali sostanziali per
un attento risparmio energetico.
In primo piano si stanno compiendo una serie
di azioni per il risparmio delle acque utilizzate per
l’irrigazione e la lavorazione delle uve, l’utilizzo
di materiali da costruzione altamente coibenti
fino all’utilizzo delle più moderne tecnologie per il
contenimento dei consumi. Ma il progetto è vasto e
la politica produttiva di Villa Matilde non è nuova ad
interventi per salvaguardare la natura: da oltre 15 anni
l’azienda produce uve in regime di lotta guidata ed
integrata a basso impatto; contribuisce alla riduzione
di emissioni di CO2 prodotte dal ciclo fermentativo
attraverso l’impianto continuo di nuovi alberi; utilizza
elettricità per tutti i mezzi di movimentazione interna
delle merci e macchine agricole a basso consumo.
Ma non è tutto. Anche le bottiglie bordolesi utilizzate
vanno nella direzione dell’eco-sostenibile: il peso
vetro è stato abbattuto di 100 grammi per bottiglia
che significa un abbattimento di pari peso trasporto
con la conseguente riduzione di carburante.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Con migliaia di ristoranti, brasseries e
bar-tabac aperti a tutte le ore del giorno
e della notte, Parigi si può paragonare
a un’immensa vetrina della gastronomia e
dell’enologia francesi, in grado di soddisfare tutti
i gusti, dal più semplice al più raffinato, dal più
economico al più costoso. Tra le proposte più
classiche c’è ovviamente il vino, il cui consumo
non risente né del ritorno alle ricette di una
volta, soppiantando a volte l’abbinamento più
tradizionale con la birra, né al dilagare di happy
hours con relativi bocconcini più o meno esotici.
Però è finita l’era degli ingredienti sofisticati e delle
ricette elaborate e creative a tutti i costi e anche
in Francia c’è voglia di ritornare alla naturalità. I
locali si sono subito adeguati e a Parigi pure le
brasseries più modeste propongono i prodotti
bio e le semplici verdure di campagna di antica
tradizione coltivate nel modo il più possibile
spontaneo. A questo bisogno di semplicità
non si sottrae nemmeno il mondo del vino e
questa esigenza è stata recepita dai produttori
che, sempre più numerosi, evitano quindi le
aggiunte di zuccheri, di lieviti artificiali e di solfiti,
ottenendo gusti e aromi più caratteristici e meno
livellati. Di conseguenza i locali e gli indirizzi
preferiti dai Parigini per consumare e acquistare
questi prodotti sono subito diventanti bobo,
cioè un po’ bourgeois e un po’ bohème come le
persone che li frequentano, e per fare tendenza
non devono necessariamente trovarsi nei mitici
quartieri trasgressivi di Montparnasse e di Saint
Germain.
Un bicchiere di vino all’ora dell’aperitivo si
può ordinare in tutte le brasseries o, meglio
ancora, nei bar à vins che offrono un maggiore
assortimento. Per seguire corsi di degustazione
ci si rivolge alle enoteche o a scuole di cucina
blasonate, come quella di Ducasse che
presenta un percorso provocatorio, iniziando
dai vini rossi anziché da quelli bianchi. Ottimo
indirizzo il Museo del Vino di Parigi che ha sede
in un convento del 1500 e sotto le antiche
e suggestive volte raccoglie una notevole
collezione di antichi oggetti legati al mondo del
vino. Si possono seguire corsi di degustazione,
acquistare vini, qualche specialità gastronomica
e fermarsi a pranzo scegliendo dal menu tra
pochi piatti, ma di buon livello, e il vino dalla
carta con 300 etichette rigorosamente francesi.
Del tutto speciale anche l’offerta delle Galeries
Lafayette che hanno recentemente aperto
Parigi preferisce il bio
Nella capitale francese la nuova tendenza gastronomica ridimensiona le esagerazioni e porta verso cibi
più semplici e possibilmente biologici. Vino compreso e scegliendo gli indirizzi “giusti”.
“”
di Enza Bettelli
20
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 21
quello che si può considerare un monumento
al vino francese dove è possibile anche fare
degustazioni. Si chiama Bordeauxthèque, è la
più grande raccolta di vino Bordeaux al mondo
e in 250 metri quadrati riunisce 12 mila bottiglie
con etichette dalle più diffuse fino a quelle più
antiche (p.e. Mouton 1945 o Yquem 1899),
alcune di cui rimangono ormai solo uno o due
esemplari con prezzi a dir poco da capogiro.
Una sala circolare con vini bianchi e Sauternes
ugualmente pregiati costituisce il cuore della
Bordeauxthèque.
Ma a Parigi le sorprese enologiche non finiscono
qui perché anche la ville lumière ha la sua vigna.
Pochissimi ettari a Montparnasse, proprio sotto il
Sacré Coeur, quanto rimane degli antichi vigneti
e che dal 1935, ogni secondo fine settimana di
ottobre, ospita una vera e propria festa del vino
con relative degustazioni in una allegra cornice
di musica e sfilate folcloristiche.
MATRIMONI DI GUSTOTra le offerte gastronomiche parigine, i frutti
di mare sono una costante nei menu di ogni
categoria di locali. Le ostriche sono molto diffuse
anche come semplice spuntino e si gustano
perfino in piedi presso i vari banchi all’esterno
di ristoranti, brasseries e nei mercati. La scelta
è fra varie tipologie, almeno 3, e abitualmente
vengono servite con una salsina a base di
aceto e cipolla che sembra non disturbare il
palato dei Parigini che vi abbinano di solito un
bicchiere di Muscadet. Il plateau royal è invece
un monumentale piatto di frutti di mare assortiti
che comprende tra l’altro scampi e granchi, con
il quale si abbinano vini più importanti, come
per esempio il Pouilly Fumé. Il civet è a base
di Bordeaux e ovviamente lo si serve con un
Bordeaux mentre la choucroute, che verrebbe
spontaneo abbinare con la birra alsaziana, si
sposa perfettamente con il Riesling con il quale
è spesso preparata. E arrivati al formaggio,
(peccato non sceglierne uno ben stagionato
per gustarlo con un prezioso Sauternes,
lasciandone un poco anche per chiudere il pasto
con qualche colorato macaron, inconfondibile
specialità dolce di Parigi.
Interno dell'enoteca parigina Bordeauxthèque Brasserie
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
I Paesi confinanti avrebbero potuto rivelarsi scomodi, vere e proprie spine nel fianco, ammantati come sono dalla legittima aura
di prestigio che li accompagna da secoli. Già, Italia e Francia, storici e nobili produttori di vino a livello mondiale, avrebbero potuto stonare sonoramente, o almeno disturbare, come “vicini di casa”. Invece, la calma glaciale della Svizzera, e più in particolare la serenità dei ghiacciai del Canton Vallese, si confermano un’autentica risorsa anche per il mondo enoico. Sì, perché il terzo Cantone più grande della Confederazione elvetica (dopo Grigioni e Berna) alla tradizione turistica, con le storiche Alpi “tradotte” in eleganti impianti sciistici, unisce una lunga e altrettanto storica tradizione vitivinicola, riuscendo a presentare oggi un terroir ricco e tra i più interessanti di tutta la Svizzera. Ancora più interessante se poi la nordica realtà della Valle del Rodano, che domina la regione, la si accosta a realtà tutte mediterranee, come la cucina e le produzioni vitivinicole dell’Etna, che se di nordico ha le sue cime innevate, di mediterraneo ha le sue lingue di fuoco. Come per la viticoltura siciliana, infatti, anche nel Canton Vallese si riscontrano tracce antichissime di agricoltura, già dal periodo romano o addirittura antecedenti. Molti dei vitigni autoctoni della Croce elvetica sono rintracciabili in questa regione, con risultati
eccellenti nella produzione di vini. Le statistiche ufficiali parlano di oltre un terzo delle produzioni elvetiche provenienti dalla Valle superiore del Rodano, con un’alta adattabilità della regione per la coltivazione dei vigneti. Numerose sono anche le manifestazioni che la regione organizza per far conoscere questa ricchezza enoica. Tra gli incontri di prestigio, spicca sicuramente “Vinea Sierre”, evento allestito annualmente con centinaia di viticoltori, 1.500 vigneti diversi e una quarantina di vitigni che vanno dal Pinot Noir al Syrah, da Petite Arvine a Marsanne Blanche a Chasselas. E ancora, le degustazioni del vino del ghiacciaio, nelle cantine del paese di Grimentz; le visite al Museo Vallesano della vigna e del vino,
Dalla Valle del Rodano
al Vulcano Etna: alla scoperta dei vini del Canton Vallese
La passione enoica elvetica svelata tra le
onde dello Jonio “”
di Antonio Iacona
22
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 23
diviso tra Sierre e Salgesch, collegate attraverso il sentiero viticolo; le passeggiate nella Via del vino, tra Martigny e Leuk; fino alle Settimane del vino di Varen. Ma sicuramente originale, proprio per quell’accostamento di cui scrivevamo tra Alpi Pennine e Valle del Rodano con il vulcano Etna e il mare Jonio, si è rivelata la “passione alpina” per i vini svelata nel contesto della Delegazione Fisar di Catania, opportunamente guidata per l’occasione, oltre che dal Delegato Gaetano Prosperini e dal Segretario Carlo Guzzardi, con i sommelier Fisar Evaristo Gallo, Giuseppe Milazzo e Angelo Sapienza, anche dal presidente nazionale Fisar Vittorio Cardaci Ama e da Michele Scammacca, tra i maggiori produttori vitivinicoli italiani. Un viaggio culturale e sensoriale, per poter apprezzare le abili “esibizioni” di etichette che si fanno bardi e portavoci del terroir vallese. Esibizioni, certo, perché musiche dai caratteri diversi e dalle diverse tonalità sono apparsi, infatti, i cinque vini degustati della Svizzera sud-occidentale. Fendant AOC 2009 Pierrafeu da uve: Chasselas (l’uva bianca più tipica della Svizzera e del Basso Reno), un vino consigliato per aprire le danze a vini e pasti successivi, che tradisce la sua gioiosa giovinezza, con “bouquet très fruité et intense avec une vive expression des arômes de jeunesse”, lo presenta ufficialmente la Provins Valais; Petite Arvine du Valais AOC 2009 “Maitre de Chais” uve: Petite Arvine, vitigno simbolo per il Vallese e per il vino svizzero di qualità, con sentori minerali e buona persistenza; Heida AOC 2008 “Maitre de Chais” uve: “Heida” o Payen o Savagny (3 nomi per la stessa uva! Queste uve vengono coltivate fino a 1300 metri ed i vini vengono anche chiamati “i vini del ghiacciaio”!), non è
un caso che sia tra i prestigiosi vini premiati, tra i numerosi concorsi, anche dal Cervim, che raggruppa i produttori di vino di alta montagna; Pinot Noir du Valais AOC 2009 St. Guérin uve: Pinot Noir nel particolare terroir: questo vitigno raggiunge dei notevoli livelli di complessità, molto equilibrato nei tannini; Cornalin du Valais AOC 2009 (Grand Métral) uve: Cornalin (una delle uve rosse più tipiche del Vallese da cui si ottengono vini molto interessanti), con sentori di frutta rossa che denota la supremazia del bosco. Di grande eleganza, dunque, i tre bianchi, che hanno saputo unire armoniosamente il fascino di riflessi dorati con i sapori accesi delle terre da cui provengono: buona acidità e la voglia di non passare inosservati al degustatore. Di carattere i due rossi, a tratti scontrosi, dalla presentazione forse con qualche parentesi aspra, ma a voler rivelare la durezza di una terra spartana, che non vede il mare, anche se possiede un altro paradiso di boschi e di montagne. Eleganza e durezza, equilibrio e armonia, bianco e rosso di Alpi e foreste che hanno saputo accompagnare, infine, con il prestigio che meritano, alcune degustazioni della gastronomia etnea, firmate dallo chef Giulio (Ylii) Dedei, sposando degnamente il mare e le montagne, il sale e il ghiaccio, le campagne siciliane con i loro formaggi e i pascoli alpini con i loro vitigni: arancinetti di calamari, crostini con ricotta e maggiorana, tocchetti di caciocavallo semistagionato e miele, melanzane grigliate in emulsione di basilico, crostoni in salsa verde, insalata di pomodoro e tonno sott’olio e capperi di Salina, gnocchetti di grano duro con pesto di mandorle e cozze. Il tutto concluso con un “prosit” che ha riecheggiato dalle onde dello Jonio fino alla Valle del Rodano.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 124
Il primo icewine brasiliano
Abbiamo preparato i nostri vigneti per realizzare una nostra idea - dichiara Wandér Weege,
fondatore della Vinícola Pericó“
”
di Roberto Rabachino
Siamo nel distretto di Pericó a São Joaquim
nello Stato di Santa Catarina in Brasile.
A causa di un eccezionale evento
climatico da quest’anno l’azienda Vinicola
Peric, ha tra i suoi vini un Icewine. Si avete letto
bene. A queste latitudini! Il Brasile, terra di sole,
samba, spiagge, di grandi parchi, della foresta
amazzonica può iscrivere il suo nome tra i paesi
produttori dell’icewine.
Un miracolo? Assolutamente no!
L’Icewine Pericò è stato coltivato a 1.300 mt.
di quota dove, tra il 4 e il 12 giugno 2009, la
temperatura è scesa a -7,5 °C consentendo
l’elaborazione di questo raro vino prodotto
esclusivamente con Cabernet Sauvignon.
“Abbiamo scelto questa varietà perché era l’unica
in grado di sostenere una vendemmia tardiva
in vigneto – dichiara l’enologo e agronomo
Jefferson Sancineto Nunes responsabile
del progetto. La natura poi è stata favorevole
consentendoci di poter scendere a quella
temperatura minima che potesse garantirci la
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 25
produzione di questo importante
ed unico prodotto”.
“Questo prodotto rappresenta il
nostro punto di partenza e non
certamente un punto d’arrivo
– dichiara Wandér Weege.
Ricerca, sperimentazione e
scelta dei collaboratori hanno
portato a questo straordinario
risultato. L’obiettivo era portare
all’attenzione del mondo intero il
prodotto enoico brasiliano. Con
orgoglio ed emozione credo
che l’Azienda Pericò sia stata
protagonista di un momento
unico scrivendo una pagina
importante nella storia del
comparto vitivinicolo brasiliano e
non solo”.
La scheda organolettica di
valutazione è stata fatta a Torino
dai sommelier della FISAR
ed ha ottenuto la valutazione
straordinaria di 90/100 con il
metodo OIV.
La presentazione mondiale
di questo primo icewine del
Brasile è stata fatta a Sao
Paulo il giorno 5 di Ottobre di
quest’anno dove, alla presenza
di giornalisti ed opinion leader,
il fondatore dell’azienda Pericò
Wandér Weege ha raccontato
la storia di quest’ azienda che in
meno di 10 anni è diventata un
esempio di qualità e successo.
Unico vero rammarico è
che l’Icewine Pericò non è
commercializzato in Italia anche
se è stato presentato ufficialmente
nella sede del Consolato Generale
di Milano con la partecipazione
attiva dei sommelier FISAR della
locale delegazione.
La bottiglia dell'Icewine
Il vigneto di Cabernet Sauvignon dell'Azienda Pericò
Italia per il primo Convegno nazionale dedicato al Moscato di
Scanzo DOCG. Questo vino rosso passito, prodotto su una
superficie di soli 30 ettari nella provincia di Bergamo, e più
precisamente nella zona di Scanzorosciate, ha 22 produttori
consorziati che insieme producono non più di 60mila bottiglie
da mezzo litro l’anno. Un piccolo quantitativo rende il Moscato
di Scanzo ancora più prezioso e ricercato, non sono in Italia
ma anche all’estero. La Denominazione di Origine Controllata
e Garantita, ottenuta con impegno e passione da parte
di tutti i produttori, è stata ottenuta nel 2009 e per questo
durante la cena sono stati premiati con pergamena d’onore
Paolo Bendinelli, presidente per 17 anni del Consorzio Tutela
Moscato di Scanzo, e Corrado Fumagalli, storico sostenitore
di questa associazione. Questo è stato il primo Convegno
nazionale sul Moscato di Scanzo, ma il Consorzio darà presto
nuovi appuntamenti che permetteranno di portare sempre più
in auge questo prezioso vino in Italia e all’estero.CONSORZIO DI TUTELA MOSCATO DI SCANZO www.consorziomoscatodiscanzo.it
MUNDUS VINI 2010: UN POKER D’ASSI AL CONCORSO ENOLOGICO!Tre Ori ed un Argento... è questo l’eccezionale risultato
ottenuto in Germania dai vini Gerardo Cesari al Gran Premio
Internazionale del Vino MUNDUSvini 2010: MEDAGLIA D’ORO
all’Amarone della Valpolicella DOC Bosan 2003 - MEDAGLIA
D’ORO all’Amarone della Valpolicella Classico DOC 2007 -
MEDAGLIA D’ORO al Ripasso Valpolicella Superiore Bosan
DOC 2007 MEDAGLIA D’ARGENTO al Lugana DOC Cento Filari
2009. 5800 i vini provenienti da 42 paesi e solamente al 30%
delle bottiglie presentate viene assegnato un riconoscimento.
Il giudizio è infatti legato alla valutazione di numerosi elementi:
corpo, eleganza e gamma aromatica del vino. «Questi risultati
ci rendono orgogliosi del lavoro fatto sia in vigna che in
cantina - dichiara Franco Cesari, presidente della Gerardo
Cesari - sono premi che hanno un valore soprattutto tecnico,
quindi di grande soddisfazione, e testimoniano la grande cura
e qualità delle nostre produzioni, da sempre incentrate sui
vini della Valpolicella. Lo dimostra anche la scelta della giuria
di premiare quattro diversi vini che rappresentano al meglio
il nostro territorio». Non certamente una sorpresa, ma una
conferma per quanto riguarda l’Amarone Bosan, già premiato
le notizie di enogastronomia e turismo
UN ROSE’ IN PIENA “REGOLA”L’azienda Podere La Regola di Riparbella (PI), nella
Costa Toscana (www.laregola.com) ha lanciato
un nuovo vino tipico della Costa degli Etruschi,
ovvero il rosato. Con Il “Rosègola”, cioè il rosè
de La Regola, l’azienda intende rivalutare
il vino della tradizione costiera da sempre
abbinato ai piatti della cucina livornese.
Dalla vinificazione “in rosa”, con raccolta
precoce (agosto) delle uve a bacca rossa di
Sangiovese, Merlot e Syrah, per garantirne
adeguata freschezza ed una bassa alcolicità
(12,5 %), nasce questo vino IGT dal sentore
floreale di rosa dai petali essiccati, poi ciliegie
e ribes. In bocca è polposo, la frutta è fresca e
vivace con una croccante ciliegia, mirtillo rosso
e lampone, note di mandarino e arancio. Buona freschezza e
persistenza, “uno dei migliori rosati toscani dell’anno” (Guida
Espresso 2010 15/20).PODERE LA REGOLA - www.laregola.com
IL MOSCATO DI SCANZO HA TUTTE LE CARTE IN REGOLASi è svolto il 10 novembre a Palazzo Maestri (Cenate Sopra)
il convegno nazionale dedicato al Moscato di Scanzo
decretandolo come la DOCG più preziosa per la sua poca
quantità prodotta. Grande partecipazione ed entusiasmo da
parte del pubblico e della stampa intervenuta da tutta
a cura della redazione di
nelle precedenti edizioni
del concorso per
l’annata 2000 e 2001
con la Medaglia d’oro
e il riconoscimento
di Miglior vino rosso
d’Europa, che ottiene
ancora una volta una
medaglia d’oro. È il
segno che la qualità di
questi vini non si discute,
lo sforzo e l’impegno
per mantenere e
migliorare la qualità
è costante. Non per
niente l’azienda ha scelto di non produrre alcuna versione
di Amarone nell’annata 2002 a differenza di molte altre
aziende del territorio, anche molto blasonate. Un risultato che
sarà un ottimo biglietto da visita e permetterà all’azienda di
affrontare l’importante mercato tedesco con una marcia in
più: la Germania rappresenta infatti ancor oggi un mercato di
riferimento per tutto l’export del vino italiano.GERARDO CESARI S.P.A. - www.cesariverona.it
NASCE PACTIO, CELEBRAZIONE DI 25 ANNI DI UNIONE TRA DUE GRANDI UOMINI DEL VINO“PACTIO, un nome, un vino che nascono dall’unione di ben 25
anni, tra due uomini che al vino hanno dato una vita: il Marchese
Nicolò Incisa della Rocchetta e Giuseppe Meregalli. Forse 25
anni fa non pensavano di sancire con un vino l’unione che si
è cementata successo dopo successo, ma oggi il PACTIO
ne celebra le ricorrenze e ne conferma nel tempo la stima e
la grande amicizia”. Nasce dunque un nuovo vino che unisce
due uomini ma che suggella anche la grandezza di una terra
vinicola feconda come la Maremma toscana. La Maremma,
che venne scelta grazie alla lungimiranza del Marchese Mario
Incisa della Rocchetta per la sua Tenuta San Guido, è diventata
famosa in tutto il mondo grazie al celebre Sassicaia che è oggi
considerato il vertice della produzione vitivinicola italiana, per il
livello raggiunto e per la costante qualità. Nessuno poi aveva
mai pensato di fare un vino “bordolese” su terreno italiano.
le notizie di enogastronomia e turismo
Ma anche Fertuna nasce in Maremma, in un luogo semplice
e solitario dove la nota dominante è data dalla natura, quella
della vegetazione spontanea e quella su cui ha agito, senza
sopraffazione, la mano dell’uomo, disegnando un anfiteatro
di vigneti. La tenuta conta 150 ettari di cui 50 di produzione
viticola con varietà di uve selezionate per ottenere vini di grande
qualità. Tutte le vigne sono dotate di impianto d’irrigazione
a goccia, alimentato da un grande lago artificiale di circa
1.500mq. La cantina è ipertecnologica e posta al centro dei
vigneti. Fertuna è la materializzazione del concetto di azienda
vitivinicola, che ha sempre avuto la famiglia Meregalli, nata dalla
lungimiranza dell’enologo manager, il Cav. Ezio
Rivella, e non da precedenti impianti vitivinicoli,
ma dalla sua percezione istintiva che il luogo
era quello giusto per realizzare in Maremma. Il
nome scelto è di pura fantasia e piace riferirlo
all’atmosfera quasi rarefatta che vi si respira. Si
avverte il senso di un luogo sospeso nel tempo
e nello spazio, pervaso da un senso magico.
I vini di questa tenuta sono distribuiti già in
18 paesi nel mondo e sono riconosciuti
anche a livello internazionale da critici del
calibro di James Suckling che ha segnalato
nella Buying Guide di WineSpectator,
considerato la bibbia del settore, il Messiio
con 91 punti e il Lodai (primo nella sua
categoria) con 88 punti. “Il PACTIO nasce
così dall’incontro tra Fertuna ed il Marchese
Nicolò Incisa della Rocchetta. Un vino che
vuole celebrare l’amore per la Maremma,
terra di grandi uomini e di grandi vini. Il suo
simbolo, il Giano Bifronte, che vigila fiero
sull’etichetta, diventa il simbolo di questa
unione, creato in onore dell’amicizia tra Fertuna ed il Marchese
Nicolò Incisa della Rocchetta”. Assemblaggio di tre vitigni,
Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot, invecchia 4 mesi
in barriques nuove di rovere francese e termina l’affinamento
in bottiglia. Ha profumo vinoso, intenso, fruttato con sentori di
vaniglia, di sapore morbido ed elegante, ben strutturato, con
tannino dolce si abbina perfettamente con salumi, formaggi
ed affettati, piatti di grande cucina con carni anche elaborate,
selvaggina e pollame nobile.
MEREGALLI GIUSEPPE s.r.l. - www.meregalli.com
a cura della redazione di
italiano e internazionale può offrire. Ora l’appuntamento è con
il ROMA VINOEXCELLENCE & MERANO WINEFESTIVAL,
l’evento di portata internazionale che dal 5 al 7 febbraio 2011,
raccoglierà a convegno alcuni fra i più importanti enologi,
giornalisti, wine writer ed esperti che tratteranno dei più grandi
vitigni esistenti. Un’occasione unica in Italia per approfondire
le proprie conoscenze guidati da esperti di fama mondiale e
per degustare vini eccezionali presentati da 100 aziende di
altissimo livello selezionate personalmente da Ian D’Agata ed
Helmuth Köcher.
www.meranowinefestival.com
NOMACORC PUNTA IN ALTO CON SELECT SERIESIl primo produttore al mondo di chiusure alternative per il
vino non poteva non puntare in alto per il lancio, avvenuto in
anteprima mondiale a Merano lo scorso 6 novembre, della
sua nuova gamma Select Series, dedicata in particolare ai vini
rossi e commercializzata dal 2011. I nuovi tappi, sempre in
polietilene coestruso ma con prestazioni ancora più elevate
dei precedenti, sono realizzati con un processo brevettato
le notizie di enogastronomia e turismo
MAZZETTI D’ALTAVILLA “REGINA” DELL’ECCELLENZAUn 2010 all’insegna dei riconoscimenti nazionali e internazionali
per Mazzetti d’Altavilla. I “Distillatori dal 1846” vincono in Italia
e all’estero e convincono il pubblico di appassionati attirando
in cima alla collina di Altavilla una pioggia di importanti premi.
La giuria del XXVIII° Alambicco d’Oro, storico concorso
astigiano, ha infatti premiato le grappe Mazzetti Riserva
18.46 e la Collezione Nebbiolo da Barbaresco. Inoltre
l’ANAG (Associazione Nazionale
Assaggiatori Grappa ed Acqueviti)
ha consegnato a Mazzetti
d’Altavilla un’esclusiva targa di
riconoscimento per le continue
vincite nell’ultimo decennio.
Spostando l’attenzione in terra
tedesca, il concorso “Internationaler
Spirituosen Wettbewerb 2010” ha
attribuito a Mazzetti d’Altavilla il
premio “Oro” per Incontro, grappa
invecchiata di Nebbiolo da Barbaresco e Barolo e il premio
“Argento” per la Grappa di Moscato da Collezione. Mazzetti
d’Altavilla: il Regno dell’eccellenza!
MAZZETTI D’ALTAVILLA S.r.l. - www.mazzetti.it
MERANO WINEFESTIVAL, NUMERI A TRE ZERI PER L’EDIZIONE 2010Questa 19ª edizione del WineFestival, dopo quattro intense
giornate, passa agli archivi con numeri di tutto rispetto. Oltre
4500 i visitatori e più di 330 i giornalisti giunti da tutto il mondo
appositamente per degustare i “nettari” proposti dai 664
produttori italiani e stranieri selezionati, e per poter parlare
con loro per conoscere e approfondire la storia delle aziende
e le caratteristiche dei loro prodotti. Ottimi i riscontri in termini
di pubblico e stampa anche per bio&dynamica, la giornata
interamente dedicata ai vini bio, e per Culinaria, spazio di vere
delizie con chicche gastronomiche fra le più ricercate dall’Italia
e dal mondo. Helmuth Köcher, patron del Festival, si dichiara
soddisfatto di essere riuscito anche quest’anno a rispettare
gli obiettivi dell’evento fin dal 1992, ovvero proporre agli
appassionati solo l’eccellenza, quanto di meglio il panorama
a cura della redazione di
che permette la stampigliatura delle estremità e rende, alla
vista, un effetto praticamente identico al sughero. Eliminata
l’apparenza di plastica, i tappi Select Series puntano ad essere
la vera alternativa al sughero completando l’offerta Nomacorc
non solo per l’eliminazione di difetti, a cominciare dal noto
TCA (che contamina circa 1 milione di bottiglie al giorno nel
mondo), ma anche nella complessa trafila della gestione
dell’ossigeno. La gamma Select Series è frutto delle più
recenti ricerche realizzate da Nomacorc e, grazie agli innovativi
sistemi di misurazione dell’ossigeno NomaSense basati sulla
oxo-luminescenza, permette un controllo completo delle
interazioni tra ossigeno e vino anche dopo l’imbottigliamento.
NOMACORC S.A. - www.it.nomacorc.com
OCTOMORE ORPHEUS PROCLAMATO MIGLIOR MALTO AL MONDONella sua “The Whisky Bible
2011”, appena uscita, il celebre
guru mondiale del Whisky Jim
Murray ha degustato e valutato
oltre 4500 prodotti provenienti
da tutto il mondo. Al termine
delle sue valutazioni, Murray ha
proclamato Octomore Orpheus
Single Malt of the Year: detto da
lui, ciò equivale al titolo di migliore
Malto al mondo per il 2011. Jim
McEwan, il Master Distiller che
ha creato Octomore Orpheus,
ha dichiarato: “Sono felice e
orgoglioso per questo grande
riconoscimento. Octomore
Orpheus è un pugno di ferro in un
guanto di velluto. È quanto è possibile ottenere combinando
un orzo potentemente affumicato col distillato più puro
che esista. Non c’è nient’altro di simile al mondo”. Viene
fatto invecchiare a Islay per cinque anni in fusti che hanno
contenuto bourbon, per poi subire una seconda maturazione
nelle rare e straordinarie barrique originali del leggendario
Château Pétrus. Il suo contenuto di torba è 140 ppm. Viene
imbottigliato senza taglio (cask strength), sull’isola di Islay, alla
gradazione di 61% vol. La sua disponibilità è di sole 15mila
bottiglie per tutto il mondo. All’esame visivo si presenta con
le notizie di enogastronomia e turismo
un magnifico color rosso acajou non troppo intenso. Al naso le
fragranze e gli aromi inebriano anche a distanza. È un sublime
assemblaggio di fumo e di torba, con note d’alghe fresche,
finissime note boisé ed essenze di mare. Aggiungendo alcune
gocce d’acqua esplodono i ricordi di frutti rossi, generati dai
fusti di rovere di Château Pétrus: ciliegie, mirtilli e melograno.
A seguire si percepiscono deliziosi sentori orientali, la dolcezza
della quercia e ancora un meraviglioso vortice fenolico, che
viene accompagnato dal soffio dell’orzo magistralmente
distillato. In bocca si avvertono un corpo robusto e una
consistenza incredibilmente morbida e vellutata. All’assaggio
si viene sommersi da un incredibile afflato di calore, poi si
avvertono la sua ricchezza, la sua eleganza e la sua finezza,
fuse assieme con una delicatezza e al tempo stesso una forza
fuori del comune.
FRATELLI RINALDI IMPORTATORI - www.rinaldi.biz
LA MONTINA,NUOVO IL ROSE’ EXTRA BRUTLe Tenute La Montina si trovano a Monticelli Brusati (Bs),
nell’estremo lembo nord orientale della Franciacorta, a
ridosso di un ampio anfiteatro morenico. Si sviluppano su
una superficie vitata di 72 ettari, dislocati in 7 Comuni della
Franciacorta. Vigneti, con giacitura preminentemente collinare,
impiantati su terreni calcarei e limo-argillosi. La produzione
media è di 450.000 bottiglie annue. Ultimo nato i n
Casa Montina il Franciacorta Rosatum Rosé
Extra Brut, ottenuto soprattutto da uve di Pinot
Nero raccolte in vigneti la cui storia e qualità
sono tradizionalmente consolidate. Le classiche
spremiture soffici ed il giusto tempo di macerazione
sulle bucce danno alle basi di questo vino nerbo
e vinosità, ma anche piacevolezza e finezza
conferiti dallo Chardonnay che lo completa.
Ha spuma soffice ed abbondante. Al naso
vengono esaltate le note marcate dei frutti
di bosco e della frutta matura. Al palato
è pieno, morbido ma con buon corpo.
Ottimo come aperitivo, ma sicuramente dà
il massimo di sé con salumi, carni grigliate
formaggi erborinati.LA MONTINA S.R.L. - www.lamontina.it
a cura della redazione di
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 130
spec
iale
Tosca
na
La Toscana esprime
da sempre un’identità
culturale e storica co-
struita nei secoli dai suoi am-
ministratori, artisti, letterati e da
tutto quel tessuto socioecono-
mico formato dai suoi artigiani
e contadini. Tra i tesori che la
Toscana regala al mondo vi è
senza dubbio il suo territorio,
da sempre votato alla produ-
zione di grandi vini tra cui pri-
meggia per tradizione, notorie-
tà e livello qualitativo il Chianti
Classico.
Il Medioevo e l’attuale fi-
sionomia del territorio. Nu-
merose sono le testimonianze
che ricordano, nella zona del
Chianti, la presenza degli Etru-
schi e dei Romani, ma è a par-
tire dal Medio Evo che il Chianti
comincia ad acquistare quel
paesaggio architettonico che
ancor oggi lo contraddistingue.
Fu proprio in epoca medieva-
le, infatti, che questo lembo di
Toscana fu teatro di aspre bat-
taglie fra Firenze e Siena, im-
pegnate a contendersi quello
che pochi secoli dopo diverrà
il territorio di uno dei vini più
noti al mondo. Così accanto ai
villaggi, alle pievi e alle badie,
furono costruiti castelli e roc-
caforti, che in tempo di pace,
furono poi in parte trasformati
in ville e residenze.
Fu la consacrazione del rap-
porto che sin dall’epoca etru-
sca legava la gente del Chianti
con la propria terra. L’espres-
sione più intensa e nobile di
questa simbiosi fu da subito
la produzione del vino, già in
documenti del 1400 chiamato
“Chianti”.
1716: nasce il Vino Chianti.
Il territorio del Chianti acquistò
Chianti Classico:una storia toscana
Un viaggio alla scoperta del Chianti Classiconon può che iniziare con le tappe storiche più importanti
che hanno portato la Denominazione a essere oggi uno dei sistemi socioeconomici del vino
più importanti del mondo.
Marco Pallanti - Presidente Consorzio Vino Chianti Classico
speciale Toscana
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 31
speciale Toscanaun tale prestigio da indurre, nel 1716, il Gran-
duca di Toscana Cosimo III a tutelarne il nome,
fissando in un bando i confini della zona di pro-
duzione, che ancora corrispondono approssi-
mativamente agli attuali 70.000 ettari. Il bando
del 1716 rappresenta il primo documento le-
gale nella storia che istituisce la delimitazione
di un’area viticola di produzione. E’ di fatto il
primo esempio di DOC ante litteram.
1924: nasce il primo Consorzio Vitivinicolo
d’Italia. A tutela della produzione del Chianti,
il 14 maggio 1924 un gruppo di 33 produttori
si riunì a Radda in Chianti per dar vita al Con-
sorzio per la difesa del vino Chianti e della sua
marca d’origine. Il simbolo scelto fin da subi-
to fu il Gallo Nero, storico simbolo dell’antica
Lega Militare del Chianti, riprodotto fra l’altro
dal pittore Giorgio Vasari sul soffitto del Salone
dei Cinquecento, nel fiorentino Palazzo Vec-
chio.
1932: il “Classico” è l’unico, l’originale. Ne-
gli stessi anni però, proprio per la notorietà che
aveva acquistato il Chianti, si trovò conveniente
produrlo anche negli altri territori toscani dota-
ti di una certa vocazione viticola, adottando le
stesse pratiche e gli stessi uvaggi del territorio
d’origine. Questo vino venne commercializzato
con il nome di Chianti, sottolineandone la ca-
ratteristica di essere fatto “all’uso” del Chianti,
e da quel momento l’indicazione geografica si
trasformò in una e vera e propria denomina-
zione enologica. Accanto all’originario Chian-
ti, nacquero così altre sei diverse tipologie di
vino.
Così, nel testo del decreto ministeriale del 1932
che sancì questo stato di cose, su impulso del
Consorzio per la difesa del vino Chianti e della
sua marca d’origine la zona del Chianti ven-
ne definita come “zona di origine più antica” e
al vino prodotto nel suo territorio fu aggiunto
il suffisso “Classico”, proprio per distinguere il
primo, l’originale, dagli altri “Chianti” realizzati
fuori dal territorio storico di produzione.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 132
spec
iale
Tosca
na 1984: arriva la DOCG. Nel
1984 l’intera denominazione
Chianti, e quindi anche la sua
zona di origine più antica, il
Chianti Classico, ottenne la
DOCG
1996: il Chianti Classico di-
viene una DOCG autonoma.
Con il decreto ministeriale del 5
agosto 1996, viene approvato
il disciplinare separato per la
denominazione Chianti Clas-
sico, che trasforma il Chianti
Classico non più in sottozona
della denominazione “Chianti”,
ma in denominazione autono-
ma.
2005: il Gallo Nero arriva in
fascetta. Nel giugno del 2005,
il marchio del Gallo Nero viene
inserito all’interno del contras-
segno di Stato e quindi ap-
plicato obbligatoriamente su
tutte le bottiglie di vino Chianti
Classico. Se fino ad allora era
possibile apporre il marchio del
Gallo Nero solo sulle bottiglie
dei soci del Consorzio, con
l’immissione del marchio in fa-
scetta di stato il Gallo Nero di-
stingue ogni bottiglia di Chianti
Classico prodotta, dai soci del
Consorzio ma anche dai pro-
duttori non soci. Il Gallo Nero
rafforza così il ruolo di simbolo
univoco e unificante di tutto il
Chianti Classico, assumendo
un connotato fortemente iden-
tificativo del territorio e dell’in-
tera filiera produttiva.
Il TeRRITORIOIl territorio del Chianti com-
prende nelle sue terre i comu-
ni di Castellina, Gaiole, Greve
e Radda in Chianti per intero
ed, in parte, quelli di Barberino
Val d’Elsa, Castelnuovo Berar-
denga, Poggibonsi, San Ca-
sciano Val di Pesa e Tavarnelle
Val di Pesa. Dei 10.000 ettari
coltivati a vite, circa 7.000
sono destinati al vino Chianti
Classico DOCG, la cui produ-
zione si aggira mediamente
ogni anno attorno ai 270.000
ettolitri.
Il VINO CHIANTI ClASSICOI criteri di definizione del
Chianti Classico. Il Chianti
Classico è un vero e proprio
vino di territorio. Da nessun
altra parte al mondo potrebbe
nascere con le caratteristiche
che lo distinguono nei mercati
di tutto il mondo, proprio per-
ché il suo vitigno principale, il
Sangiovese, nel Chianti tro-
va la sua naturale consacra-
zione. Vitigno a bacca rossa
originario dell’Italia centrale, il
Sangiovese dà vita a vini dal
colore rosso rubino che con
l’invecchiamento tende al gra-
nato, dal profumo di spezie
e piccoli frutti di bosco, dalla
buona struttura, eleganti, ro-
tondi, vellutati.
Oltre al Sangiovese posso-
no essere presenti fino a un
massimo del 20% altre uve a
bacca rossa autorizzate e/o
raccomandate, autoctone
come il Canaiolo e il Colori-
no o internazionali (Cabernet
Sauvignon, Merlot etc.).
A partire dalla vendemmia
2006 non possono più essere
utilizzate le due uve a bacca
bianca, il Trebbiano e la Mal-
vasia, il cui impiego era prece-
dentemente consentito fino a
un massimo del 6%.
Il Chianti Classico Annata.
Vino relativamente giovane e
ricco di frutto, viene messo in
commercio a partire dal 1° ot-
tobre successivo alla vendem-
mia perfetto in abbinamento a
primi piatti e a piatti a base di
carni bianche e rosse.
Il Chianti Classico Riser-
va. Vino ricco di struttura e
capace di affrontare un lungo
periodo di maturazione, può
essere definito riserva solo
se raggiunge una maggiore
gradazione alcolica (12,5°) e
dopo aver trascorso un invec-
chiamento minimo di venti-
quattro mesi, di cui almeno tre
di affinamento in bottiglia.
La riserva, vino in cui prevale
la possente struttura del San-
giovese, è il compagno ideale
per carni importanti, grigliate,
arrosti, brasati, selvaggina o
formaggi stagionati.
Il CONSORzIO VINO CHIANTI ClASSICOIl Presidente, Dr. Marco
Pallanti, ci parla del Consorzio
Vino Chianti Classico.
l’attività del Consorzio.
Dalla sua nascita il Consorzio
Vino Chianti Classico si occu-
pa della tutela, della vigilanza
e della valorizzazione della de-
nominazione Chianti Classico.
Dal Consorzio per la difesa del
vino Chianti e della sua marca
d’origine del 1924 al Consor-
zio Vino Chianti Classico di
oggi, l’organismo consortile
ha cambiato nomi e stili grafici
del suo marchio dove da sem-
pre però campeggia il simbolo
storico del Gallo Nero.
Oggi il Consorzio si conferma
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 33
speciale Toscana
come uno dei principali refe-
renti delle istituzioni nazionali e
comunitarie per il settore viti-
vinicolo. La sua organizzazio-
ne interna prevede strutture
necessarie ad assolvere i suoi
compiti istituzionali: dal fronte
della salvaguardia e dei servizi,
che vede impegnati il labora-
torio di analisi e quello legale,
a quello della valorizzazione,
affidato all’ufficio marketing e
comunicazione, il Consorzio
Vino Chianti Classico si svi-
luppa in diversi organi legati
dal comune impegno verso
produttori e consumatori del
Chianti Classico e della sua
terra di origine.
Per questo l’intera filiera, dalla
produzione delle uve all’im-
bottigliamento del prodotto,
è sottoposta ad un sistema di
tracciabilità, i cui dati vengono
gestiti direttamente dal Con-
sorzio e inseriti in un databa-
se informatizzato di pubblica
fruibilità. Il Consorzio attua,
inoltre, un severo controllo sul
prodotto confezionato già pre-
sente nei canali di vendita per
verificare la corrispondenza al
prodotto certificato.
Un’altra importante attività è
la ricerca e sperimentazione in
ambito agronomico ed enolo-
gico.
Numerose, infine, sono le atti-
vità promozionali, di pubbliche
relazioni, comunicazione e
marketing che vengono realiz-
zate nel corso degli anni al fine
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 134
spec
iale
Tosca
na
Uva Sangiovese
di promuovere, diffondere e
dare lustro all’immagine del vino
Chianti Classico nel mondo.
Il nuovo disciplinare di pro-
duzione. Allo scopo di tu-
telare in maniera sempre più
efficace la qualità del Chian-
ti Classico, il Ministero delle
Politiche Agricole e Forestali
ha recentemente approvato
le nuove modifiche al discipli-
nare di produzione del Chianti
Classico proposte dall’As-
semblea generale dei soci del
Consorzio. Il testo che rego-
la la produzione del Chianti
Classico ha così subito alcune
piccole ma significative modi-
fiche, volte a garantire ulterior-
mente la qualità del prodotto,
in particolar modo per quanto
riguarda il vino sfuso.
In questo senso si inserisce la
modifica riguardante la “Co-
municazione preventiva di
vendita” che prevede di co-
municare all’ente di certifica-
zione la commercializzazione
dello sfuso “atto a divenire,
almeno due giorni prima del
trasferimento dello stesso”.
Tale prodotto oggetto della
commercializzazione deve ri-
spondere alle caratteristiche
chimico-fisiche” previste dal
disciplinare per il vino già cer-
tificato Chianti Classico.
Altri criteri che regolano la pro-
duzione dei vini del Gallo Nero,
alla luce delle recenti modifiche
del disciplinare riguardano la
densità minima per l’impianto
di nuove vigne che viene sta-
bilita in 4.400 ceppi per ettaro
e l’entrata in produzione dei
vigneti: a questo proposito i
vigneti non possono entrare
in produzione prima del terzo
anno dall’impianto per una
resa massima del 40% della
quantità consentita dal di-
sciplinare (30 qt di uva). Dal
quarto anno entrano a pieno
regime per una resa del 100%
(75 qt di uva).
Il ruolo del Consorzio a
seguito della nuova OCM
Vino. A seguito del regola-
mento comunitario 1234/08
sull’OCM vino è stato appro-
vato a livello nazionale il Dgls
n. 61 che ha sostituito la vec-
chia legge 164/92 sulle deno-
minazioni di origine.
In questo contesto la novità
più significativa per i Consorzi
di tutela che hanno una rap-
presentatività di almeno il 66%
della denominazione è data
dal fatto che l’attività di valo-
rizzazione svolta da quest’ul-
timi, diversamente da quanto
fino ad oggi avvenuto, sarà
sostenuta da tutti gli utilizzato-
ri della denominazione e non
più soltanto dagli associati al
Consorzio.
In sostanza una sorta di “erga
omnes” per la valorizzazione
della denominazione e del suo
marchio.
Se da un lato, quindi, i Con-
sorzi hanno ceduto la pura
attività di controllo, dall’altro
gli organismi con una rappre-
sentatività di almeno il 66%
della denominazione avranno
la possibilità di gestire tutta
l’attività di vigilanza, tutela e
valorizzazione “erga omnes”.
Un grande risultato che raffor-
za il ruolo del Consorzio come
reale gestore della denomi-
nazione. Oltre a quanto sud-
detto, secondo la proposta
ministeriale il Consorzio potrà
anche definire l’attivazione di
politiche di governo dell’offer-
ta, al fine di salvaguardare e
tutelare la qualità del prodotto
e contribuire al miglior coordi-
namento dell’immissione sul
mercato della denominazione
tutelata.
Prossimi appuntamenti
con il Chianti Classico
CHIANTI ClASSICO COlleCTION 2011
Il 15 e 16 Febbraio prossi-
mi alla Stazione leopolda
di Firenze si terrà il tradi-
zionale appuntamento del
Gallo Nero con la stampa e
gli addetti ai lavori
Anche quest’anno le prota-
goniste saranno le centinaia
di bottiglie di Chianti Classico
in degustazione nell’arco di
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 35
speciale Toscana
due giorni dedicati a uno dei
territorio vinicoli più prestigiosi
del mondo. La “Chianti Clas-
sico Collection 2011” andrà in
scena come di consueto alla
Stazione Leopolda di Firenze
dove verranno presentate a
stampa e addetti ai lavori le
ultime annate e le principali
novità del Gallo Nero.
Il via è previsto per le 9.30 di
martedì 16 febbraio, giornata
dedicata esclusivamente alla
stampa che avrà la possibili-
tà di assaggiare oltre 350 eti-
chette delle ultime annate di
Chianti Classico. Previsti an-
che quest’anno oltre 200 gior-
nalisti provenienti da 29 diversi
paesi europei e extraeuropei:
Italia; Danimarca; Spagna;
Germania; Inghilterra; Polonia;
Serbia; Olanda; Repubblica
Ceca; Russia; Svezia; Norve-
gia; Austria; Ucraina; Finlan-
dia; Francia; Belgio; Grecia;
Svizzera; Croazia; USA; Giap-
pone; Canada; Cina; Corea
del Sud; Australia; India; Isra-
ele; Brasile.
Il 17 febbraio entreranno in
scena anche gli IGT prodotti
nel territorio e le anteprime di
un 2010 che promette delle
gran belle sorprese. Il neonato
Chianti Classico infatti si sta
comportando bene in cantina,
intenso nei colori e nei profu-
mi, presenta livelli di acidità tali
da fare prevedere una buona
attitudine all’invecchiamento;
le gradazioni alcoliche risulta-
no elevate ma senza eccessi,
a vantaggio di prodotti equi-
librati, che lasciano spazio a
un ricco bagaglio aromatico.
Qualità che sarà possibile ap-
prezzare direttamente insieme
ai produttori che saranno pre-
senti alla Leopolda durante la
seconda giornata di degusta-
zioni.
Dalle 13.00 la giornata sarà
dedicata agli operatori del
settore che avranno tempo
fino alle 20.00 per incontrare i
produttori e testare le diverse
etichette in degustazione.
Proprio per gli operatori il
Consorzio sta approntando
un modulo di iscrizione on line
che sarà accessibile dal 22 di-
cembre su
www.chianticlassicocollection.it.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 136
spec
iale
Tosca
na
Il piatto fiorentino più fa-
moso è sicuramente la
bistecca alla fiorenti-
na. Pellegrino Artusi in “La
scienza in cucina e l’arte di
mangiar bene” la descriveva
così: “da beef steak, parola
inglese che vale la costola di
bue, è derivato il nome della
nostra bistecca, la quale non
è altro che una braciuola col
suo osso, grossa un dito o
un dito e mezzo, tagliata dalla
lombata di vitella o nelle sue
estremità”. Possiamo ricon-
durre il nome e la tradizione
della bistecca alla famiglia De’
Medici. In occasione della ce-
lebrazione della festa di San
Lorenzo, il 10 agosto, Firenze
si illuminava della luce di gran-
di falò dove venivano arrostite
grosse quantità di carne di vi-
tello che venivano poi distribu-
ite alla popolazione. Proprio in
occasione delle celebrazioni di
un San Lorenzo, si narra fos-
sero presenti in città alcuni ca-
valieri inglesi i quali riferendosi
alla carne arrostita sui fuochi
la chiamarono beef steak. Da
qui una traduzione adattata
alla lingua corrente creò la pa-
rola bistecca che è giunta fino
ai giorni nostri.
Ma la cucina fiorentina non si
ferma alla bistecca ed è rap-
presentata a pieno dai piat-
ti “poveri”, quelli della gente
comune, tramandati nelle fa-
miglie, basati su ingredienti
semplici come il pane, l’olio e
le verdure dell’orto.
Proprio il pane è l’ingrediente
principale di tanti piatti della cu-
cina fiorentina. Rigorosamente
sciapo, o come di dice a
Firenze “sciocco”, caratteriz-
zato dalla mancanza assoluta
di sale. Questa caratteristica
ha origine nel XII secolo quan-
do le lotte tra Pisa e Firenze
portarono la repubblica mari-
nara a bloccare il commercio
del sale verso l’interno e fu
così che i fiorentini decisero di
panificare senza sale. Dante
nella Divina Commedia scrive-
va “Tu proverai sì come sa di
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 37
speciale Toscana
La cucina fiorentina: piatti poveri
ricchi di storia.a cura di Laura Maggi
Percorso tra i piatti della tradizione.
sale lo pane altrui,... ”.
La pappa al pomodoro è
una zuppa semplicissima ma
gustosissimo fatta con pane
raffermo, pomodori, spicchi
d’aglio, basilico, brodo e olio
di oliva extravergine. Da ricor-
dare che nella vera pappa al
pomodoro non deve essere
aggiunto alcun tipo di formag-
gio.
La fettunta è tipica dei mesi di
novembre e dicembre. È una
fetta di pane caldo e croccan-
te insaporita con uno spicchio
d’aglio strofinato sulla super-
ficie e condita con sale e olio
extra vergine di oliva “novo”
appena uscito dal frantoio.
Il pane con il cavolo nero
viene fatto in inverno usando
pane arrostito e cavolo nero
bollito e condito con olio extra-
vergine e sale. Il cavolo usato
è quello nero riccio di Toscana
dalle foglie lunghe d’un verde
scuro quasi nero che viene
prodotto durante tutto l’inver-
no. Per essere più buono è
necessario che il cavolo nero
abbia “preso il ghiaccio”, cioè
che sia passato da una o più
gelate invernali che ne am-
morbidiscono le foglie.
La ribollita è una zuppa il cui
nome deriva dal fatto che un
tempo le contadine ne cucina-
vano una gran quantità e quin-
di veniva “ribollita” per riscal-
darla e presentata di nuovo in
tavola nei giorni successivi.
La panzanella è un primo
piatto estivo fatta con pane
bagnato, “ammollato” nell’ac-
qua, pomodori maturi, cetrioli,
cipolla rossa e basilico, condi-
ta con olio extra vergine, ace-
to di vino e sale.
Passando poi ai piatti più sa-
poriti che si sposano perfetta-
mente con il pane sciapo che
ne esalta il gusto.
I crostini di fegatini fatti con
una salsa a base di fegatini di
pollo cotti sfumandoli con del
Vin Santo, tritati finemente a
mano, e portati a fine cottu-
ra con burro, capperi tritati,
filetti di acciuga e brodo. La
salsa ottenuta viene spalmata
su delle fette di “frusta”, una
pezzatura di pane simile alla
baguette, precedentemente
bagnate con del brodo.
I fagioli all’uccelletto sono
un piatto tipico della cucina
fiorentina. Un vecchio detto
fiorentino inizia con “Fiorentin
mangia fagioli” proprio per
sottolineare quanto sono po-
polari i fagioli a Firenze. Per
la preparazione la tradizione
vuole che si usi una pentola
di coccio, iniziando con un
leggero soffritto di olio e aglio
dove si mettono ad insaporire
i fagioli cannellini, preceden-
temente lessati, si aggiunge
la salsa di pomodoro con un
poco di acqua di cottura dei
fagioli, sale, pepe e un ciuffo
di salvia. Secondo Pellegrino
Artusi, che chiamava la ricet-
ta “fagioli a guisa d’uccellini”,
il nome deriva proprio dalla
salvia usata anche per insa-
porire gli “uccelletti” tanto cari
all’antica trazione culinaria to-
scana.
In questo percorso tra i piatti
della tradizione fiorentina non
possiamo dimenticare la trip-
pa e il lampredotto. A Firenze
si trovano ancora oggi diversi
“lampredottai” che, in piccoli
chioschi o furgoni attrezzati,
stazionano nei mercati e nelle
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Tosca
na
piazze e all’ora di pranzo sono
attorniati da fiorentini che si
gustano un panino con il lam-
predotto il tipico cibo da stra-
da di Firenze.
Il lampredotto è la parte più
scura della trippa detta gala,
caratterizzata da piccole cre-
ste (dette gale) dal sapore for-
te e deciso. Viene cotto a lun-
go in acqua con pomodoro,
cipolla, prezzemolo e sedano.
Una volta cotto, è possibile
gustarlo sia come un normale
bollito condito con salsa ver-
de, sia alla maniera più amata
dai fiorentini, ovvero tagliato
a pezzetti come ripieno di un
“semelle”, un panino la cui
fetta superiore viene bagnata
nel brodo di cottura del lam-
predotto, e condito con sale,
pepe, salsa verde e peperon-
cino piccante.
La trippa alla fiorentina è
un secondo piatto tipico del-
la città di Firenze ed è molto
gustoso. Si prepara tagliando
la trippa lavata a striscioline e
aggiungendola ad un soffrit-
to di cipolle, carote e sedani
tagliati a pezzettini. Si aggiun-
gono poi dei pomodori pelati
e si lascia cuocere fino a far
ritirare l’acqua della trippa e
dei pomodori. Si serve calda
con una spolverata di pepe e
un filo d’olio extravergine.
Spostandosi appena fuori
porta, all’Impruneta troviamo
il peposo alla fornacina, ov-
vero uno stracotto nato pro-
prio all’Impruneta il paese del-
le fornaci dove viene prodotto
il cotto.
Per concludere con i dolci del-
la tradizione fiorentina.
La schiacciata con l’uva è
un dolce che un tempo veni-
va cucinato durante il periodo
della vendemmia per le sagre
contadine e le sue modeste
origini sono testimoniate dal-
la semplicità degli ingredienti:
pasta per il pane, olio d’oli-
va, zucchero e uva nera. La
schiacciata alla fiorentina
è il dolce tipico di Firenze del
periodo di Carnevale, che una
volta veniva chiamato “schiac-
ciata unta” perché per prepa-
rarlo veniva usato lo strutto.
Oggi viene fatta una versione
più leggera che prevede l’uso
di olio extravergine di oliva,
farina, zucchero, latte e uova.
Ricorda la torta margherita.
La zuppa inglese è un dolce
al cucchiaio realizzato alter-
nando strati di pan di spagna
bagnati con alchermes a strati
di crema pasticciera e crema
al cacao. Le origini risalgono
alla prima metà del 1800. Si
racconta, infatti, che la zuppa
inglese sia stata “inventata” da
una donna di servizio di una
famiglia inglese residente sulle
colline di Fiesole. La domesti-
ca non volendo buttare via i
biscotti serviti con il tè diven-
tati secchi, pensò di riutilizzarli
bagnandoli con del liquore per
ammorbidirli e unendoli con al-
tri “avanzi” che aveva a dispo-
sizione: la crema pasticceria
(detta anche crema inglese) e
il budino al cioccolato.
I fiorentini vanno particolar-
mente fieri dei piatti della loro
tradizione perché rappresen-
tano un importante patrimonio
storico, culturale e artistico
del territorio da difendere e
diffondere.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 39
speciale Toscana
4a edizione di Anteprima Chianti Rufina
a cura di Virgilio Pronzati
Toscana Vino & Cultura
Vite e ulivo disegna-
no da sempre colli e
colline della campa-
gna toscana. Dove tutto ciò è
rappresentato al massimo, è
la vasta zona del Chianti. Un
nome che echeggia antiche
scene di caccia, eletto sin dal
passato lontano, a vero e pro-
prio simbolo della Toscana.
Uno dei quattro vini toscani
citati nel famoso Bando del
24 settembre 1716, emanato
da Cosimo III de’ Medici, nel
quale sono già tracciate le ri-
spettive zone di produzione. In
tempi più recenti, un Decreto
Ministeriale del 31/7/1932
che ne tutela la storica zona,
riconosciuta poi Doc col DPR
del 9/8/1967 ed infine, Docg
col DPR del 2/7/1984. Una
grande area vitivinicola co-
nosciuta in tutto il mondo,
comprendente i territori vocati
di sei province, suddivisa in
ben sette sottozone: Rufina,
Colli Aretini, Colli Fiorentini,
Colline Senesi, Colline Pisane,
Montalbano, Montespertoli.
RUFINA:
AlTITUDINe e QUAlITà
Rùfina, situata nella provincia
di Firenze, oltre ad essere la
più piccola sottozona è anche
la più alta. Le sue particola-
ri condizioni pedo-climatiche
(terreni ricchi di sali minerali,
con estati calde di giorno e
fresche di notte) che gli con-
feriscono un colore rubino in-
tenso, un ampio e persistente
bouquet, molta sapidità e fre-
schezza, e maggiore longe-
vità. Singolari peculiarità che
differenziano sostanzialmen-
te il Chianti Rufina dagli altri
Chianti. La zona di produzio-
ne comprende i territori co-
munali di Pontassieve, Rufina,
Pelago, Lonta e Dicomano in
provincia di Firenze. La super-
ficie vitata è di 12.483 ettari
di cui circa 770 iscritti all’Al-
bo (che saliranno nel tempo a
1.000 ettari), con una produ-
zione di circa 27.000 ettolitri.
Come per Colli Fiorentini e
Montespertoli, Il Chianti Rufina
Docg ha un contenuto alcoli-
co minimo del 12% (mezzo
grado in più rispetto alle altre
4 sottozone), se con 12,5%
ed invecchiato almeno 2 anni
(dal 1 gennaio successivo alla
vendemmia) di cui almeno 9
mesi in botte di rovere e, affi-
nato tre mesi in bottiglia, può
portare la qualifica Riserva.
ANTePRIMA CHIANTI
RUFINA 2010
Creata ed organizzata nel
migliore dei modi, Anteprima
Rùfina anche se nata solo 4
anni fa, è oggi una delle più
importanti manifestazione di
settore. L’evento, svoltosi il
12 e 13 novembre scorso ed
articolato nell’arco di 2 gior-
ni in due parti, ha richiamato
numerosi giornalisti specializ-
zati provenienti da tutta Italia
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 140
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Tosca
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e, in parte, dall’estero. Nella
prima parte, un tasting esclu-
sivo come la location. Teatro
dell’evento il regale salone
Vespucci Meeting Room del
fastoso Hotel Westin Excelsior,
situato in Piazza Ognissanti
nel centro di Firenze. A pre-
sentare l’evento, il dinamico
Giovanni Busi, presidente del
Consorzio di Tutela Chianti e
Chianti Rufina e patron della
Fattoria Travignoli. Busi dopo
avere illustrato ai giornalisti
che gremivano la sala, un qua-
dro completo comprendente
la zona, il vino e i produtto-
ri del Chianti Rufina e, per la
prima volta, un confronto con
altrettanti Bourgogne 1er Cru,
lasciava la parola ai giornalisti
Ian D’Agata e Jens Priewe,
brillanti conduttori delle degu-
stazioni. Altri brevi ma precisi
interventi, dai tre produttori
borgognoni presenti.
Nell’impegnativo tasting, si
sono alternati 6 Chianti Rùfina
Riserva ed altrettanti Premier
Cru della Borgogna, entrambi
dell’annata 2007.
le DeGUSTAzIONI DI
RùFINA RISeRVA 2007
Chianti Rùfina Docg Riserva 2007 Marchesi GondiTenuta Bossi Aspetto: limpido, di colore ru-
bino carico con orlo granato.
Al naso è abbastanza intenso,
persistente e fine, con sentori
fruttati e speziati di frutti rossi
maturi e pepe nero. In bocca
è secco, poco fresco ma sa-
pido, appena tannico, caldo,
pieno e continuo. Retrogusto:
speciale Toscana
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 142
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na
note fruttata e speziata.
Discretamente armonico,
quasi pronto.
Chianti Rùfina Docg Riserva 2007Azienda Agricola FrascoleAspetto: limpido, di colore ru-
bino carico. Al naso è discre-
tamente intenso, persistente
e fine, con sentori fruttati di
piccoli frutti rossi maturi, boi-
sè, spezie, balsamico e lievi
di cacao e cuoio. In bocca è
secco, sufficientemente fre-
sco, sapido, caldo, giusta-
mente tannico, di buon corpo
e persistenza. Retrogusto:
vena tannica con note fruttata
e speziata. Deve affinare an-
cora 1 o 2 anni.
Chianti Rùfina Docg Riserva 2007 Fattoria I VeroniAspetto: limpido, di colore ru-
bino carico. Al naso è abba-
stanza intenso e persistente,
discretamente fine, con sen-
tori di giaggiolo, piccoli frutti
rossi maturi e un po’ disidra-
tati. In bocca è secco, fresco,
sapido, caldo, giustamente
tannico, pieno e continuo.
Retrogusto: note sapida, frut-
tata e floreale. Quasi pronto.
Chianti Rùfina Docg Riserva Cedro 2007Fattoria lavacchioAspetto: limpido, di colore ru-
bino vivo. Al naso è intenso e
persistente, fine, ampio, con
sentori floreali, fruttati e spe-
ziati. In bocca è secco, sufficien-
temente fresco, molto sapido,
caldo, piacevolmente astringen-
te, pieno e continuo. Retrogusto:
note tannica, fruttata e speziata.
Quasi armonico.
Chianti Rùfina Docg Riserva Montesodi 2007 Marchesi de’ FrescobaldiAspetto: limpido, di colore. Al
naso è discretamente intenso
e persistente e fine, con sen-
tori fruttati e boisé. In bocca è
secco, poco fresco, sapido,
caldo, leggermente astringen-
te, pieno e abbastanza con-
tinuo. Retrogusto: note tan-
nica, fruttata e boisé. Quasi
pronto.
Chianti Rùfina Docg Riserva Bucerchiale 2007Fattoria SelvapianaAspetto: limpido, di colore
rubino vivo. Al naso è abba-
stanza intenso, persistente e
fine, con sentori fruttati, vege-
tali e boisé. In bocca è secco,
poco fresco, sapido, caldo, un
po’ astringente, pieno e conti-
nuo, con fondo amarognolo.
Retrogusto: note tannica, frut-
tato-vegetale e boisé. Ancora
giovane.
ANTePRIMA DeI RUFINA
2008 e 2009
Il giorno dopo, degna conclu-
sione con la presentazione e
degustazione delle annate
2009 e 2008 Riserva. Anche
in questo caso la location è
senz’altro ideale, in quanto
si tratta della stupenda Villa
Poggio Reale di Rufina, già
proprietà degli Spalletti ed
oggi sede del Consorzio di
Tutela. Nell’affollato grande
salone, posti in fondo ed ai lati,
vari tavolini, uno per azienda,
dove il titolare o l’enotecnico
presentava e serviva ai gior-
nalisti i propri vini. All’interno,
alcune raccolte salette dove
comodamente seduti si po-
teva degustare al meglio i 31
vini prodotti da diciannove
aziende, serviti da impeccabili
sommelier.
Le mie valutazione personali
Facendo una valutazione glo-
bale dei vini, i sedici Chianti
Rufina Docg 2009, hanno
espresso in generale buo-
ni colore e struttura. Al naso
oltre il fruttato - maturo in al-
cuni - discreta finezza, alcune
note boisé; mentre in bocca
oltre a sapidità e astringen-
za, evidenziavano abbastanza
corpo e continuità, ma ovvia
limitata armonia. Nel detta-
glio: 2 sono risultati ottimi, 4
buoni, 6 discreti e 4 sufficien-
ti. Ovviamente gran parte di
loro, data la discreta annata,
maturando, raggiungeranno
maggiore armonia. Gli altri
16 Chianti Rùfina Docg 2008
Riserva, hanno in generale
espresso al naso una qual
certa complessità, con profu-
mi fruttati, speziati e note bal-
samiche, ma anche di tostato
e boisé. Mentre al sapore si
presentavano sufficientemen-
te freschi, sapidi, giustamente
astringenti e continui, e in mi-
nor parte, poco freschi, magri
e duri. Quindi 2 ottimi, 5 buo-
ni, 6 discreti e 3 sufficienti. In
generale, un bilancio positivo
che attesta il Chianti Rufina tra
i grandi rossi d’ Italia.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 43
speciale Toscana
CARMIGNANO
La più piccola docg del nostro paese con meno di 200 ettari di vigneto ed una produzione
di altissima qualità, in un territorio unico dal punto di vista ambientale e paesaggistico.
La fama dei vini di Car-
mignano si accom-
pagna indubbiamen-
te all’antica storia di questa
zona: sin dal 1300 infatti, era
così grande la sua reputazio-
ne che nel 1716 il granduca di
Toscana Cosimo III de medici
emise un bando con cui stabi-
liva precise norme per la ven-
demmia e con cui delimitava
la zona di produzione, crean-
do il primo esempio al mondo
di denominazione di origine
controllata, ben un secolo
prima della francese appella-
tion d’origine controllè. Negli
ultimi venti anni il Carmignano
è stata protagonista di un’im-
portante crescita in termini
di qualità e quantità. Agli inizi
degli anni Novanta gli ettari a
vigneto erano poco più di 100
- praticamente gli stessi dai
tempi di Cosimo III de’ Medici
- mentre oggi superano i 200,
di cui 150 destinati a docg e
doc. In crescita anche il nu-
mero dei produttori aderenti
al Consorzio, che da 6 sono
passati a 13. La ricerca della
qualità ha significato investi-
menti nel rinnovo delle vigne,
con filari distanti 1 metro e
80 centimetri (come si usava
ai tempi della mezzadria), e la
scelta di potature decise, per
ottenere meno grappoli a van-
taggio della qualità.
Il disciplinare, le caratteristiche organoletticheIl Carmignano nasce da una
miscela di Sangiovese (alme-
no per il 50%), Cabernet (dal
10 al 20%), Canaiolo nero
(fino al 20%) altri vitigni rossi
(fino al 10%). La composizio-
ne rispetta i dettami del disci-
plinare in vigore, pubblicato il
9 luglio 1998 sulla Gazzetta
Ufficiale, che ha dato rispo-
sta alle richieste dello stesso
Consorzio dei vini di Carmi-
gnano, modificando il primo
disciplinare di produzione ri-
salente al 20 ottobre 1990. Il
testo del disciplinare individua
come componenti del Car-
mignano docg: Sangiovese
minimo 50%, Canaiolo nero
fino al 20%, Cabernet Franc
e Cabernet Sauvignon, da
soli o congiuntamente, dal 10
al 20%, Trebbiano toscano,
Canaiolo bianco e Malvasia
del Chianti da soli o congiun-
tamente, fino ad un massimo
del 10%. Inoltre possono con-
correre alla produzione le uve
di altri vitigni a bacca rossa
raccomandati o autorizzati per
la provincia di Prato fino a un
massimo del 10% del totale.
Il periodo di invecchiamento
deve essere effettuato in bot-
ti di rovere e/o di castagno,
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 144
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rispettivamente per almeno
otto mesi per il Carmignano e
per almeno dodici mesi per il
Carmignano tipologia riserva.
Altri prodotti, stessa qualità: Barco Reale e Vin Ruspo
Dalle stesse uve con cui si
produce il Carmignano si ottie-
ne anche il Barco Reale doc,
fratello più giovane del docg,
vino di più rapido consumo,
ma sempre con caratteristi-
che di alta qualità, il cui nome
deriva dalla grande proprie-
tà medicea che copriva gran
parte del territorio dei Comuni
di Carmignano e di Poggio a
Caiano e che era circondata
dal Muro del Barco Reale, lun-
go più di trenta miglia. E anco-
ra dalla stessa materia prima
nasce il Vin Ruspo, Rosato di
Carmignano doc (circa 500
ettolitri all’anno), che viene
prodotto svinando il 5 o 10%
del mosto delle vasche del
Carmignano docg prima della
fermentazione, e che deriva il
proprio nome dall’usanza dei
mezzadri di rubare, e da qui
vino ‘ruspato’, cioè ‘grattato’,
una o due damigiane dagli ul-
timi tinelli che venivano portati
in fattoria. Un ‘furto’ che col
tempo si codificò in un diritto.
Il territorioLa zona di produzione del Car-
mignano si trova sulle pendici
orientali del Montallbano, in
un’area di circa 40 chilometri
quadrati costituita per la mag-
gior parte da splendide colline
che vanno dai pochi metri di
elevazione di Comeana e Se-
ano, ai 200 metri del capoluo-
go, Carmignano appunto, ai
600 metri della vetta più alta
del Monte Albano: Poggio
Ciliegio.
Rispetto ad altre zone del
Chianti, e soprattutto a gran
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 45
speciale Toscana
Silvia Vannucci - neo Presidente del Consorzio di tutela dei vini di Carmignano
parte del Chianti Classico, c’è
dunque una netta differenza di
altitudine media. Questa è in-
feriore a Carmignano di alme-
no 150-200 metri. Pertanto si
ha un più lungo periodo vege-
tativo, una maggiore quantità
di calore immagazzinato nel
terreno, più regolare e com-
piuta maturazione delle uve
nelle annate meno favorevoli.
Il ConsorzioDa pochi giorni sono ufficiali le
nuove nomine del Consorzio
di tutela dei vini di Carmignano
che per la prima volta si dota,
oltre alla figura del presidente,
di uno staff tecnico di provata
esperienza a supporto di tutte
le attività del Consorzio:
il nuovo presidente del
Consorzio di tutela dei vini
di Carmignano è la dott.ssa
Silvia Vannucci, (giovane ti-
tolare dell’azienda di famiglia
Piaggia), mentre il direttore
generale della Promozione è
Realmo Cavalieri (somme-
lier di comprovata esperienza
e conoscenza del territorio e
dei vini del Carmignano) e il re-
sponsabile del settore tecnico
Giuseppe Rigoli (enotecnico
di grande esperienza, titolare
dell’azienda Ambra).
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 146
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Vigneti Carmignano
speciale Toscana
Vin Santo
a cura di Giovanni D’Alessandro
Vin Santo: emblema dell’ospitalità toscanae antico rito dei giorni della festa.
Il Vin Santo, è un prodotto
che ha radici e origini che
si perdono nella notte dei
tempi, da sempre viene realiz-
zato con tecniche tramandate
oralmente di padre in figlio,
come una preziosa eredità.
E’ un antico vino di colore
ambrato più o meno carico,
che per le sue particolari ca-
ratteristiche organolettiche
viene consumato in abbina-
mento al dessert quando ha
caratteristiche dolci (celebre in
tutto il mondo il binomio con
i cantuccini) e, può benissi-
mo essere accompagnato a
dei formaggi erborinati o dai
crostini neri di fegato, quan-
do si presenta in forma secca.
Nell’enologia toscana occu-
pa un posto importante e di
grande prestigio sin dal Medio
Evo.
Un po’ di storia
Sono varie le teorie sull’eti-
mologia del termine. Una
versione senese parla di un
frate francescano che duran-
te la Grande Peste del 1348
curava le vittime del morbo
con un vino che era comune-
mente utilizzato dai confratelli
per celebrare messa; da ciò si
sarebbe diffusa la convinzione
che tale vino avesse miraco-
lose proprietà taumaturgiche,
attribuendogli l’appellativo di
“santo”.
Un’altra versione è quella di
origine fiorentina secondo la
quale durante il Concilio di
Firenze del 1439, il metropo-
lita greco Giovanni Bessarione
proclamò, mentre stava be-
vendo il vin pretto: “Questo è il
vino di Xantos!”, forse riferen-
dosi ad un certo vino passito
greco (un vino fatto con uva
sultanina pressata) di Santori-
ni. I suoi commensali, che ave-
vano confuso la parola “Xan-
tos” con ‘santos’, credettero
che egli avesse scoperto nel
vino qualità degne di essere
definite “sante”. In ogni caso,
da quel momento il vin pretto
fu chiamato Vin Santo. Una
variante della storia narra che
egli abbia usato la parola Xan-
thos (in greco ξξξξξξ significa
giallo) mentre parlava del vino.
L’ origine meno romantica, ma
probabilmente più verosimile,
è l’associazione di questo vino
con il suo uso comune duran-
te la messa.
Varietà delle uve per il Vin
Santo e loro caratteristiche
enologiche
Il Vin Santo, dal punto di vi-
sta enologico, può essere
classificato fra i vini passiti e
si produce con uve che varia-
no con il variare della località.
Da noi in Toscana le uve più
adatte a fare il Vin Santo sono
il Trebbiano toscano, la Mal-
vasia del Chianti, il Canaiolo
bianco, il San Colombano
(utlizzato per lo più a Carmi-
gnano) e il Sangiovese (per la
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 47
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 148
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Tosca
na versione “occhio di pernice”;
anche se le ricette dei vitigni
sono varie ed incostanti.
La vendemmia è effettuata nel-
la maggior parte dei casi, con
grappoli scelti, ottenendo già
una selezione preliminare; solo
per una bassa percentuale
l’uva è raccolta tardivamente.
l’appassimento delle uve
Il problema dell’appassimen-
to delle uve rappresenta da
sempre una sfida, costosa e
poco pratica, quando si de-
vono trattare grandi quantità.
Il Vin Santo è prodotto grazie
alla vinificazione di uva appas-
sita, posta in condizioni tali da
arrivare a disidratazione. In tal
modo si ottiene una separa-
zione dell’acqua dagli acini, e
di conseguenza una concen-
trazione zuccherina maggiore.
Esistono vari metodi per fare
appassire l’uva:
- appassimento sulla pianta
(pratica generalmente non
seguita in Toscana);
- appassimento negli appassi-
toi (sistema tradizionale se-
guito in Toscana);
- appassimento in appositi lo-
cali con ventilazione forzata.
L’appassitoio deve essere un
locale molto sano, ben espo-
sto e molto ventilato, con
temperature di circa 10°C-15-
°C. Nella preparazione del Vin
Santo toscano il metodo clas-
sico e più comune è quello di
mantenerla nell’appassitoio e
di rinnovare l’aria molto spes-
so, collocando i grappoli scelti
su graticci di canne. Sui can-
nicci, i grappoli devono essere
disposti su un solo strato e me-
glio se fra un grappolo e l’altro
rimane un po’ di spazio libero
per la circolazione dell’aria.
Durante l’appassimento l’uva
non deve essere abbando-
nata a se stessa: periodica-
mente deve essere ripulita da
quelle parti di grappolo che si
presentano marcite, affinché
la muffa non si diffonda sull’in-
tera massa per eccessivo
contagio, alterando il carattere
fruttato dell’uva e conferendo
ad essa odori sgradevoli.
lavorazione del mosto
Quando la percentuale zuc-
cherina ha raggiunto tas-
si soddisfacenti (30%-40%
per i Vinsanti dolci, e 25%-
28% per i Vinsanti secchi), e
le percentuali di contenuto
di acqua hanno subito una
sensibile diminuzione, i grap-
poli vengono avviati al pro-
cesso di ammostamento.
L’uva così concentrata, passa
alla pressatura previa un’at-
tenta selezione che consiste
nel separare i grappoli marciti,
oppure troppo carichi di muffa
non buona (es. peronospora)
o, se si vuol eseguire un la-
voro più accurato, anche gli
acini marciti, quelli immaturi
e quelli vuotati dagli insetti.
Buona pratica è mantenere
questo mosto carico di feccia
e di vinaccia per 3-4 giorni ad
una temperatura di 20-22°C al-
lontanando successivamente il
mosto e pressando la vinaccia.
Ottenuto il mosto, inizia la fase
di fermentazione nel caratello.
la fermentazione
nel caratello
Dopo la decantazione più o
meno parziale, ha inizio una
delle fasi più importanti e de-
terminanti per la qualità del
Vin Santo: la fermentazione
nei caratelli. Entrano quindi in
gioco due fattori: quello micro-
biologico e quello della qualità
del caratello. Il caratello per il
mosto del Vin Santo deve es-
sere robusto è ben cerchiato in
ferro, per una maggior tenuta
anche durante la fermentazio-
ne, per non riscontrare incon-
venienti di cedimento. Questo
vaso vinario è costituito da
doghe in legno (in genere ro-
vere o castagno ma anche
acacia e ciliegio ), con strut-
tura simile alle botti, ma con
capacità molto più piccole (da
50 a 200 litri circa). In esso av-
viene sia la fermentazione del
mosto che l’invecchiamento
del Vin Santo. Dopo essere
stato riempito fino all’80-85%
del suo volume. Il caratello
viene chiuso ermeticamente
in modo che possa avvenire la
fermentazione.
I caratelli sono posti in lo-
cali chiamati vinsantaie ca-
ratterizzati da sensibili va-
riazioni delle temperature,
speciale Toscana
cosicché si verificano ripetu-
ti arresti della fermentazione,
che permettono il seleziona-
mento già dal 2° anno dei lie-
viti.
Il Vin Santo viene tenuto nei
caratelli per un minimo di 3
anni, periodo durante il quale
avviene sia la fermentazione
alcolica (specialmente in pri-
mavera ed autunno quando
le temperature favoriscono i
fermenti alcoligeni ) sia altre
fermentazioni condotte da
diversi tipi di batteri e muffe,
le quali conferiscono al Vin
Santo sostanze importanti per
l’acquisizione di determinanti
sapori ed odori. Nel periodo
di invecchiamento, durante il
quale continua la produzione
di alcool etilico, si possono
rendere necessari i travasi,
che consentono di separare
il Vin Santo dalla componente
fecciosa; tale operazione può
essere anche evitata, ma così
facendo si aumentano i rischi
di creare insediamenti di bat-
teri dannosi, che nutrendosi
di composti fecciosi, causano
alterazioni alla qualità del pro-
dotto.
la madre del Vin Santo
Il metodo tradizionale, valido
ancora oggi, è di usufruire del
deposito feccioso finale avuto
dall’ultimo travaso del vinsan-
to, ossia la Madre, contenente
quei ceppi di microrganismi re-
sistenti atti alla fermentazione.
Essa è costituita da gommo-
resine (sostanze solide di ori-
gine vegetale), pectine, pro-
teine, da lieviti e da batteri. Le
pectine, le gommoresine, e le
proteine apportano il velluta-
to, mentre i lieviti, generano
composti aromatici gradevo-
li in questa categoria di vini.
L’unico effetto negativo può
essere quello della formazione
di aldeide acetica in eccesso.
E chiaro che se la madre è
precedentemente derivata da
un vinsanto dalle qualità or-
ganolettiche non buone, verrà
scartata; al contrario le madri
migliori verranno riutilizzate.
La fermentazione può veni-
re affidata anche ai soli lieviti
derivanti dalla feccia dell’uva
ammostata, in assenza quin-
di della madre, anche se tale
pratica è meno abituale in To-
scana.
l’imbottigliamento
Terminato l’invecchiamento
(3 anni minimo), il Vin Santo
viene tolto dal caratello per
essere imbottigliato, suben-
do un processo di filtrazione,
vengono usati filtri di cellulosa
o filtri a cartone, in modo da
separare le eventuali sospen-
sioni presenti nel liquido.
La prima bottiglia di
“Sassicaia”, con la
stessa etichetta che
conosciamo oggi, esce nel
1968. Il “Sassicaia” (85%
Cabernet Sauvignon e 15%
Cabernet Franc) ha aperto la
strada a tanti altri grandi pro-
duttori, locali e “nazionali” per-
chè tutti vogliono fare grandi
rossi a Bolgheri, ma anche a
Castagneto Carducci e Suve-
reto. La nuova cantina della
Tenuta San Guido inaugurata
con la vendemmia 2009 è tut-
ta tecnologia, non lasciando
niente alla esteriorità. Dopo
qualche anno a Bolgheri un
“giovane” produttore Eugenio
Campolmi (venuto a manca-
re troppo presto), aveva de-
ciso dal 2001 di cambiare il
suo “Paleo” con il Cabernet
Franc in purezza. Una intui-
zione che ha premiato il bravo
“contadino” e che ora la mo-
glie Cinzia Merli ne continua
caparbiamente la produzione.
Aldo Santini, il grande giorna-
lista e scrittore livornese che
conosce molto bene la “sua”
provincia, anni addietro in
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 150
spec
iale
Tosca
na Livorno,terra di grandi vini
a cura di Gianfranco Grossi
La realtà vinicola della provincia di Livorno da molti anni si è imposta all’attenzione del mondo intero per alcune
produzioni, grazie in primis al marchese Mario Incisa della Rocchetta che impianta il primo vigneto di Cabernet a
Castiglioncello di Bolgheri nel 1944.
Gianfranco Grossi con il Marchese Niccolò Incisa della Rocchetta
omaggio al territorio di Bol-
gheri scrisse: “Davanti a que-
sti vini, giù il cappello”.
Il merito della nascita di vini
moderni e importanti a Bol-
gheri è di due contessine Della
Gherardesca che fanno inna-
morare un Antinori e un Incisa
della Rocchetta (che frequen-
tava l’Università a Pisa) e poi
li sposano. È proprio il mar-
chese Mario Incisa che mette
a dimora i ceppi di Cabernet
coltivati dai duchi Salviati a Mi-
gliarino. Poi, con l’intervento
di un allora “giovane promet-
tente” Giacomo Tachis il “Sas-
sicaia” trova la sua dimensio-
ne mondiale. La passione del
marchese, oltre al vino, erano i
cavalli: i meno giovani ricorda-
no le vittorie di Ribot allevato
a Bolgheri con il socio Tesio.
Una passione che il marchese
Nicolò “coltiva” ancora. Bol-
gheri ha una sua “Denomina-
zione di Origine Controllata”
riservata ai vini bianco, rosso,
rosato, Vermentino, Sauvi-
gnon e Vin Santo Occhio di
Pernice, mentre la DOC “Bol-
gheri” con riferimento alla sot-
tozona “Sassicaia” è riservata
al vino proveniente dalla omo-
nima sottozona. Il prof. Attilio
Scienza con Luca Toninato e
Paolo Krasnig hanno fatto uno
studio approfondito del terri-
torio di Bolgheri, “Un piccolo
territorio, zonazione e indica-
zioni pratiche per la valorizza-
zione delle risorse ambientali
e viticole della DOC Bolgheri”:
azienda per azienda, indican-
do il vitigno più adatto a quei
terreni.
Tra i produttori tradizionali
(a Bolgheri e Castagneto) ci
sono, tra gli altri, gli Antinori
(tutti ricordiamo il “Rosè”, poi
abbandonato e da qualche
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 51
speciale Toscana
Porto di Livorno
spec
iale
Tosca
na
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 152
anno “rientrato” prepoten-
temente nella produzione) e
Antonino Tringali Casanuova,
tanto per fare alcuni nomi,
ma anche Gaia, Satta, Grat-
tamacco Collemassari e, “I
Luoghi” di Stefano Granata,
Podere Sapaio di Massimo
Piccin, “Batzella”, “Chiappini”,
i Frollani di “Casa di Terra” ed
i Fuselli di “Terre del Marche-
sato”. Non me ne vogliano di
qualche dimenticanza.
Oltre a Bolgheri, Castagneto e
Suvereto buoni vini sono pro-
dotti anche a Bibbona (che ha
la sua Doc Terratico): da cita-
re Villa Caprareccia dei Fratelli
Galli e “Ferrari Iris e figli”.
La provincia di Livorno insie-
me ai grandi rossi ed a bianchi
di tutto rispetto (il Vermentino
è più sapido quando “vede” il
mare), “offre” molta cultura: a
iniziare dalla poesia del Car-
ducci “I cipressi che a Bolgheri
alti e schietti van da San Guido
in duplice filar” (ben 2525!!!), il
viale che è un inno alla civiltà
della campagna toscana. Poi,
seguendo il profumo del vino
che proviene dalle cantine,
siamo invitati a visitare mu-
sei, paesi che sembrano usciti
dalle fiabe, ammirare tramonti
da mozzafiato e dedicarsi an-
che ad appuntamenti culturali,
l’ultimo dei quali “Bolgheri Me-
lody” ha riportato un succes-
so strepitoso. Dalla fine degli
anni ‘50 il marchese Incisa ha
concesso un ampio terreno al
WWF per farne un’oasi fauni-
stica che è visitata da migliaia
di amanti della natura.
La Doc Val di Cornia compren-
de, tra le altre, le aziende “Tua
Rita”: di Rita e Virgilio Bisti (ve-
nuto a mancare recentemen-
te): al suo “Redigaffi” (Merlot
in purezza) Robert Parker,
autore della rivista “The Wine
advocate”, aveva dato una
valutazione di 100/100, una
cosa mai esistita, mentre il
“Giusto di Notri” da tantissimi
anni è apprezzato e ricercato
in tutto il mondo; “Gualdo del
Re” di Nico e Maria Teresa
Rossi e anche Pietro Petricci e
53
speciale Toscana
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Marilena Del Pianta: sono
aziende “storiche” di Suvere-
to. Credo buon ultimo, i Mo-
retti con la grandissima Can-
tina “Petra” (progettata da
Mario Botta), “La Bulichella”
di Hideyuki Miyakawa, Rus-
so del Podere Metocchina
e Jacopo Banti e la grande
azienda“Fratelli Muratori”.
A Piombino mi piace segna-
lare Anna Maria Toni Tolomei,
Fratelli Gigli di “Sant’Agnese”
e Bonti di San Giusto. Per
l’Isola d’Elba le aziende “in-
teressanti”: Pier Mario Meletti
Cavallari (dopo aver ceduto
“Grattamacco” sta coltivando
9 ettari a Capoliveri dove na-
sce un grande Aleatico), ”Ac-
quabona” di Marello Fioretti e
“Cecilia” soprattutto da quan-
do il giovane Lorenzo Signo-
rini ha preso in mano le redini
dell’azienda. Da poco anche
nell’isola di Capraia nasce un
rosso: “La Piana” di Linda Ca-
ioli. Della “Strada del Vino Co-
sta degli Etruschi” fanno parte
anche alcune aziende della
provincia di Pisa.
Il pesce: l'altra ricchezza dei livornesi
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 154
spec
iale
Tosca
nasp
ecia
le To
scana Bolgheri:
invito alla visitaa cura di Paolo Valdastri
Bolgheri è soprattutto uno stato d’animo,un modo di vivere, un’atmosfera rarefatta
di un mondo che si pensa estinto.
Come in un mosaico,
le singole tessere che
lo compongono sono
costituite da materiali e colori
preziosi, ma, osservandole
una ad una, non si ha la
percezione dell’insieme. La
natura è ancora incontaminata:
il bosco domina le colline
che, correndo parallele alla
costa, proteggono dal gelo
invernale. E ad occidente
domina l’azzurro del mare,
che mitiga, con le sue brezze,
le grandi calure estive. La
vigna, spesso incastonata nel
verde della foresta, e gli antichi
olivi, dominano, insieme al
silenzioso frusciare del vento,
un paesaggio pennellato con
discrezione dalla presenza
umana. La popolazione
è cordiale e accogliente,
sorridente e contenta di
condividere la propria fortunata
condizione esistenziale
con il visitatore attento. I
borghi sono ben conservati,
senza alcuna concessione
alla spettacolarizzazione
turistica: percorrendo a piedi
le piccole strade, si entra
immediatamente in sintonia
con una vita reale ancora a
misura umana, senza stress e
senza affanni. Anche la cultura
ha la sua giusta collocazione,
con eventi saggi e misurati, mai
fuori dalle righe. Ma la tessera
più preziosa del mosaico,
quella di oro zecchino, è
costituita dai vini di questa
terra, vini che hanno fatto la
storia recente dell’enologia
italiana e che si raccordano
in maniera perfetta con la
gastronomia locale.
Vini profumati, complessi,
generosi, vini che parlano
di territorio al di là del loro
specifico uvaggio.
Ecco allora, che il mosaico
è composto, ed il quadro
è completo e affascinante.
Immergersi nella natura
bolgherese e nel suo
ambiente umano e storico,
assaporandone i frutti dolci
e maturi della sua terra, è
un’operazione che conduce
molto vicino a quello stato
di aponia tanto ricercato dai
filosofi epicurei e tanto difficile
da raggiungere nella morsa
degli attuali ritmi di vita.
Questa condizione di grazia la
si può percepire già attraverso
l’assaggio di un bicchiere di
vino Bolgheri. Dietro l’etichetta,
in quel rosso elegante e
complesso si percepisce tutta
la naturale gioia di questo
territorio. L’etichetta evoca
un mondo che ci si accorge
di aver sempre sognato, e
che esiste ed è reale. La visita
dei vigneti, delle cantine, dei
borghi medievali, delle colline
55Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
e del mare, la degustazione
dei vini in compagnia dei
produttori, rendono conto
di quanto questo mondo sia
vero, concreto e a portata
di mano. Gli assaggi di vino
Bolgheri che seguiranno, a
casa propria oppure ovunque
nel mondo, riporteranno alla
memoria queste sensazioni
e le renderanno di nuovo
vive, animando il desiderio
di ripeterle il più spesso
possibile.
BOlGHeRI:I lUOGHIBolgheri: un Castello che
racchiude poche case,
una piccola chiesa dallo
stile asciutto, il Tinaione e il
Cantinone, testimonianza di
un’importante attività agricola
padronale, una piccola
piazzetta con la rassicurante
statua di Nonna Lucia, qualche
negozio di artigianato, molte
semplici e tranquille trattorie,
alcuni rocciosi, immensi olivi
pluricentenari. Tutt’intorno
boschi e colline, vigne ed
olivi a perdita d’occhio. Nelle
giornate più limpide, dall’alto
del campanile, la visione, quasi
un sogno, delle vette innevate
dei monti di Capo Corso ed
un mare intensamente blu nel
mezzo.
Castagneto Carducci: a
differenza di Bolgheri ha tutte
le caratteristiche di paese con
i suoi negozi, il suo traffico, i
suoi affari. Ma l’armonia del
luogo è sempre la stessa.
Qui si percepisce ovunque
la presenza del Poeta,
per i suoi versi, ricordati
efficacemente nel Parco
Letterario, ma soprattutto
per l’impronta lasciata nella
gastronomia locale,con le
sue pantagrueliche ricette di
cacciagione.
BOlGHeRI:Il VINOMario Incisa della Rocchetta
impianta il primo vigneto di
cabernet a Castiglioncello di
Bolgheri nel 1944.
La prima bottiglia di Sassicaia,
con la stessa etichetta che
conosciamo oggi, esce nel 1968.
Foto a cura di Luca Silvestri
Ornellaia, vigneto Bellaria
speciale Toscana
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 156
spec
iale
Tosca
naLa DOC per il vino rosso arriva
solo nel 1994 e disciplina
i Bolgheri Superiore ed il
Bolgheri Sassicaia, come
primo esempio di “cru”
italiano.
Tanti anni ci sono voluti
perché si capisse che le geniali
intuizioni del Marchese Incisa
avevano creato un fenomeno
particolare per la storia del
vino italiano: quel fenomeno
che rende i vini bolgheresi,
vini di piena e grande
espressione di “terroir”, vini
profondamente legati al suolo
ed al clima del territorio da cui
provengono. Vini di carattere
e razza originale e personale,
i più famosi dei quali derivano
da un perfetto adattamento
dei vitigni bordolesi al clima
di Bolgheri, un’espressione
mediterranea di cabernet e
merlot, altrettanto affascinante
di quella atlantica offerta
nel loro territorio di origine.
La vocazione ai grandi vini
si esprime, però, anche
con i tradizionali autoctoni
Sangiovese e Vermentino,
sempre molto diffusi nella
zona.
Sassicaia tra i più grandi vini
del mondo, ma non da solo.
Già dalla fine degli anni ’80
altri produttori, anch’essi oggi
famosi, si affiancano al “mito”
per dimostrare che “grande”
è l’intero territorio e non
solo il singolo vino. La DOC
Bolgheri ha avuto una rapida
espansione negli ultimi dieci
anni, passando dai 250 ettari
della fine anni ’90 agli oltre
960 attuali.
Le aziende attualmente
associate al Consorzio sono
36 su circa 50 operanti sul
territorio.
GeOGRAFIA e ClIMAL’area di produzione corre
parallela alle spiagge della
Maremma settentrionale
situate in provincia di Livorno,
nel Comune di Castagneto
Carducci. Ad est una catena
di colline corre tra Bibbona e
Castagneto e protegge vigneti
e oliveti dai gelidi venti del
nord, che, durante l’inverno,
provocano spesso micidiali
gelate. In estate, invece,
questo corridoio è percorso
da venti rinfrescanti che si
generano tra le valli del fiume
Cecina a nord e del torrente
Cornia a sud.
Gli anziani dicevano che non
si potevano fare grandi vini
in vicinanza del mare. Per
questo il primo vigneto del
Sassicaia fu piantato, nel 1944
a Castiglioncello di Bolgheri,
esposto ad est e a 400 m.
slm. Oggi si è dimostrato che
è proprio la vicinanza del mare
a dare grandi vini.
GeOlOGIAI terreni di Bolgheri hanno una
grande variabilità in un ambito
piuttosto ristretto.
Vi sono dei terreni alluvionali,
di origine fluviale, con ciottoli
tondi depositati dagli antichi
corsi d’acqua. Il nome
Sassicaia deriva proprio da
questa caratteristica. Vi sono
terreni di origine marina, con
sabbie eoliche, dei calcari e
delle argille. E ancora rocce
vulcaniche provenienti dalle
Colline Metallifere ad est.
Secondo le ricerche di Lizio-
Bruno, si possono individuare
tre grandi zone: le colline, la
zona intermedia e la zona più
vicina al mare. Sulle colline si
trovano i depositi alluvionali
più antichi. L’alluvione
ciottolosa sulla quale si trova
il vigneto Sassicaia è inoltre
caratterizzata da una buona
presenza di ossido di ferro. In
basso i depositi fluviali sono
più giovani e si mescolano, ad
ovest, con quelli marini.
VIGNeTO e VITIGNILa densità dei vigneti è molto
variabile. I più vecchi hanno
una densità di 5.500-6.000
ceppi per ettaro, mentre in
alcuni più recenti si arriva
alla soglia dei 10.000 ceppi
per ettaro, con necessità di
utilizzo di trattori scavallanti.
La maggioranza dei nuovi
impianti si attesta oggi su una
densità di circa 7.000 ceppi
per ettaro.
Il sistema di allevamento
prevalente è il cordone
speronato singolo, ma non
mancano esempi di guyot e
addirittura di alberello.
I vitigni più impiantati sono
ovviamente quelli la cui
vocazione è stata largamente
dimostrata da Sassicaia prima
e dagli altri storici, Ornellaia,
Grattamacco, Macchiole,
Guado al Tasso, Satta, dopo.
Si tratta di Cabernet
Sauvignon, Cabernet Franc,
Merlot. La sperimentazione
che dura ormai da quasi un
ventennio, ha dimostrato
le grandi potenzialità di altri
vitigni come Syrah e Petit
Verdot. Il Sangiovese continua
comunque ad avere un suo
zoccolo duro di sostenitori.
Per i vini bianchi, il Vermentino
è attualmente il più impiantato.
Il Sauvignon Blanc, dopo
alterne vicende, sta ritrovando
una sua dimensione altamente
qualitativa, ed è spesso
affiancato dal Viognier.
VINI ROSSI
L’attuale configurazione del
disciplinare, con la possibilità di
utilizzare Cabernet Sauvignon
fino all’80%, Merlot fino al
70%, Sangiovese fino al 70%,
non consente di definire uno
stile unico del vino Bolgheri.
In realtà i vini sono
generalmente basati sul
blend Cabernet (Sauvignon
e Franc) e Merlot, spesso
accompagnato da Petit
Verdot. Non mancano blend
con sangiovese o addirittura
sangiovese in purezza.
Siamo sempre di fronte a
vini rossi dai colori intensi
di un rubino cupo, spesso
impenetrabile, che dimostra
grande tenuta nel tempo. I
profumi sono caratterizzati da
frutto nero maturo e dolce,
a volte con note balsamiche
di macchia mediterranea,
con speziature del rovere
sempre ben integrate. Al
palato colpisce la rotondità e
la morbidezza, la dolcezza del
57Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Castello di Bolgheri: veduta dalle vigne
Foto a cura di Luca Silvestri
speciale Toscana
frutto sempre ben vivacizzata
dalla freschezza della
componente acida, la trama
tannica fitta e matura, il finale di
buona lunghezza. L’eleganza
e la struttura potente ma
slanciata grazie all’acidità,
sono le caratteristiche positive
più frequenti, anche se il clima
mediterraneo offre sempre
delle gradazioni alcoliche di
tutto rispetto.
Lo stile ideale può comunque
essere ricercato nel solco della
linea tracciata dal Bolgheri
Sassicaia e dai grandi storici
“Bolgheri Superiore”, senza
però trascurare gli IGT assurti
ormai a fama mondiale come
Masseto e Messorio (Merlot
100%), Paleo (Cabernet Franc
100%), Cavaliere (Sangiovese
100%).
Sotto il Bolgheri Sassicaia, i
Bolgheri Superiore ed i grandi
IGT, troviamo l’ampia gamma
dei Bolgheri Rosso. Si tratta
di vini di grande piacevolezza
e bevibilità, anch’essi
morbidi, eleganti e maturi,
meno impegnativi rispetto ai
“superiori”, ma pur sempre in
grado di accompagnare una
saporita cucina di carni rosse
e selvaggina.
È importante puntualizzare
che il grosso di questi vini
deriva, attualmente, da
impianti giovani, che, anno
dopo anno, dimostrano
un costante miglioramento
qualitativo dovuto alla
sopravvenuta maturità dei
vigneti. La critica internazionale
è concorde nell’affermare che
il potenziale del vino Bolgheri
è “gigantesco”.
VINI ROSATI
Il vino rosato ha una sua
tradizione radicata fin dagli
anni ’70, quando era famosa
la produzione del “Rosé di
Bolgheri” degli Antinori.
Le uve più utilizzate sono
il Sangiovese e la Malvasia
nera, ma anche il Cabernet,
Merlot e Syrah che danno dei
rosati freschi, fruttati e saporiti,
perfettamente adatti alle molte
ricette della cucina marinara
della costa.
VINI BIANCHI
Il Vermentino è il vino bianco
preferito da molti produttori di
Bolgheri. É di solito vinificato in
purezza, ma si trova anche in
uvaggio con Sauvignon Blanc
e Viognier.
La tipologia più diffusa è
quella dei bianchi freschi e
fragranti vinificati in acciaio,
da accompagnare al saporito
pescato mediterraneo. Si
trovano alcuni esempi di
Vermentino e di Viognier raccolti
a piena maturità delle uve e
vinificati in barrique. Lo stile è
più complesso ed impegnativo
e si adatta a preparazioni di
mare più elaborate, ma anche
ad una cucina di carni bianche
e pollame.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 158
spec
iale
Tosca
na
Tenuta Ornellaia
Sul tutto svetta il mon-
te Capanne con i suoi
poco più di mille metri.
Il mare che la circonda mitiga il
suo clima riducendo le escur-
sioni termiche giorno/notte
con scarsa piovosità più ac-
centuata nella parte occiden-
tale. Tracce del suo vino risal-
gono all’epoca greco-romana
e vien preso in considerazione
anche nel Bando delle Vigne di
Ferdinando I dei Medici con la
raccomandazione di recinge-
re le vigne per tener alla larga
i bovini, ma soprattutto i cin-
ghiali oggi veramente dannosi.
Anche Napoleone I dette una
mano agli elbani con tecnici
del sud della Francia che mi-
gliorarono molto la qualità del-
la produzione. Attualmente è
poca la superficie vitata perché
il turismo appare business più
redditizio e meno faticoso del
duro coltivar in terrazzamenti
ed a mano. Dai 5000 ha di fine
‘800 ai 3000 degli anni ’50 ai
560 degli anni ’90 ai circa 300
odierni dei quali solo il 10% -
trenta ! – coltivati ad aleatico.
Forse la recentissima proposta
di DOCG per l’Aleatico Passi-
to, scorporandolo dalla DOC
Elba, farà ricredere i vignaioli
elbani riportandoli sul loro viti-
gno più illustre e pregiato. Le
zone a maggior densità viticola
son le centro-orientali con il
territorio intorno al capoluogo
Portoferraio,il Pian di Mola, La-
cona e Porto Azzurro nonché
l’intorno di Capoliveri con il
colle che la sovrasta, partico-
larmente vocato per l’aleatico.
ISOLA D’ELBA “Un grandioso museo
mineralogico all’aperto” a cura di Marzio Berrugi
Questa è la definizione dell’isola che dette il Lotti, geologo di fine ‘800: a numerosi rilievi di poche centinaia
di metri si alternano alcune valli e tratti pianeggianti costieri come il Pian di Mola, fitto di viti.
speciale Toscana
59Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Vigneto Tenuta Ripalte
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 160
spec
iale
Tosca
naUna curiosità: scrive il prof.
Scienza che esiste anche un
aleatico a bacca bianca “liati-
co” o “viatico” noto agli scrit-
tori di vino fin dal 1300, che ha
fatto sostenere ad un enologo
dell’800 la sua apparteneza
al ceppo dei moscati. Mah. Il
nostro aleatico ha produzione
media e costante, ama climi
caldi ed asciutti, terreni in colli-
na e ben esposti con suoli bruni
mediterranei e sopporta le piu
diffuse malattie crittogamiche
un po’ meno le muffe che ac-
compagnano tarde primavere
marcatamente umide. Talvolta
se ne esce con acinellature fit-
te e demoralizzanti: allega me-
glio con l’archetto del Guyot e
con l’alberello che con il cor-
done. I suoi grappoli, piccoli,
pesano spesso meno di 300
grammi hanno buccia legge-
rissima e vengono mortifi cati
dalla vendemmia tardiva che
ne demolisce l’acidità: ideale è
la vendemmia un po’ precoce
che brilla per zuccheri ed aci-
dità. È perciò l’appassimento
la parola chiave che fa capire
questo grande vino. Valgono
ancora, a distanza di ottanta
anni, le regole del Foresi, elba-
no: raccolta alla seconda metà
di settembre,cernita rigosa,
appassimento al sole su gra-
ticci che vengono coperti con
teli la notte o se piove. Come
il “soleo” di Jerez de la Fronte-
ra. Usati anche tunnel ricoperti
di teli con ventilazione naturale
specialmente per grosso par-
tite da appassire. Quando gli
zuccheri oltrepassano di poco
il 30%, diraspatura spesso ma-
nuale, pigiatura e fermentazio-
ne per una settimana o poco
più con lieve macerazione di 5
o 6 giorni poi inox o recipienti
in legno, la cui capacità varia
secondo le intenzioni del pro-
duttore, nei quali la fermenta-
zione continua lentamente con
possibili riprese primaverili.
Quando il rapporto tra zuccheri
residui ed alcol è di 1 a 5, ovve-
ro almeno 16°C totali di cui 13
svolti siamo arrivati. Esce sul
mercato nell’anno successivo
alla vendemmia fragrante di
amarena, ciliegia, ribes e mora
maturi e zuccherini, rosso non
troppo carico acidità ben av-
vertibile che, aiutata dal tanni-
no, alleggerisce la sensazione
dolce: piacevole la salinità fina-
le. Può avere anche un anno o
due di affinamento ed allora il
colore si ispessisce, la frutta di-
venta sotto spirito o confettura,
affiorano leggere speziature e
note di legno legate al tipo di
affinamento. Spesso visitando
i vigneti si viene distratti dal
magnifico panorama che l’isola
offre, come nella tarda prima-
vera quando il verde delle viti si
confonde con il ricco verde che
le circonda, spesso lucente di
gioventù perché rinato dopo
uno dei numerosi incendi che
talvolta affliggono l’Elba. Come
avviene alle Ripalte sopra Ca-
poliveri dove i vigneti più in alto
offrono a NE Porto Azzurro
con sullo sfondo Portoferraio
ed a SO Montecristo con dietro
l’isola del Giglio, mentre dall’al-
to le vigne più in basso sem-
brano sospese sull’azzurro del
mare. Qui si mette a punto un
Aleatico passito fuori dal coro
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 61
speciale Toscana
Primo a dx Marzio Berrugi, ultimo a sx Piermario Meletti Cavallari;
il cui nome, Alea Ludendo,
sembra sottintendere i rischi
e le difficoltà che comporta la
messa a punto. Il timone lo tie-
ne Permario Meletti Cavallari,
già stella a Bolgheri, e la rotta
che ha tracciato conduce ad
un vino che ha sì amarena, ma
anche vegetali mediterranei
secchi, legni leggermente af-
fumicati, carruba ed altra frutta
secca con leggera terziarizza-
zione. Corpo pieno, morbido
con zucchero tutt’altro che in-
vadente, tannino che asciuga
le sensazioni dolci ed acidità
frasca che sostiene e pulisce
piacevolmente. Siamo in effetti
un po’ lontani dal vino dolce,
ciliegioso ed piuttosto ovvio.
Quando i 5 ha di vigneto avran-
no qualche vendemmia in più,
sarà sicuramente una bottiglia
eccellente. Notevole anche il
vermentino fresco di acidità,
di salvia ed essenze mediter-
ranee eppur pieno e morbido
con finale di mandorla, legger-
mente amarognolo ed il rosso
da alicante-grenache che con
piccola macerazione scarica il
colore e la percezione tannica
tanto da poter figurare, fresco,
su piatti robusti di pesce. Inte-
ressante anche Arrighi, piccolo
produttore di Porto Azzurro la
cui piccola produzione di Ale-
atico passito, decisamente di
qualità, è sul versante tradi-
zionale: corpo robusto,colore
intenso, amarena e ciliegia
evidenti, zuccheri residui ben
percettibili. Interessante la
presenza di sagrantino, primo
all’Elba, in parti uguali con san-
gioveto e syrah che spiega l’in-
solito nome del suo rosso Tres-
se. Procanico in purezza ed in
taglio con ansonica e biancone
ribadiscono il suo essere elba-
no. Di assoluto rilievo gli alea-
tici di due aziende del pian di
Mola, la Sapereta e la Mola:
vini caldi, color rosso vivo in-
tenso, fruttati, di gran struttura,
eccezionalmente lunghi in boc-
ca, tipici, ma distanti anni luce
da ciò che si produceva solo
venti anni orsono, mentre ai
Magazzini di fronte a Portofer-
raio l’Azienda La Chiusa tiene
botta e tradizione con un pas-
sito intenso, morbido e caldo,
intriso di ogni tipo di ciliegia,
amarena in primis. L’augurio è
che la DOCG cui accennavo
in partenza non faccia senti-
re “arrivati” questi benemeriti
della rinascita dell’aleatico, ma
li spinga a sempre meglio in-
terpretare il vitigno e la grandi
potenzialità della sua bacca
appassita.
Il Cacciucco:tradizionale bandiera
della gastronomia livornese
a cura di Gianfranco Grossi
Tra le ricette livornesi quella più ricercata è senz’altroil “cacciucco”, quello con 5 “C”, mi raccomando,
altrimenti si troverebbe subito da litigare…
Livorno è città giovane
nata da una mesco-
lanza di genti con usi,
colori, riti, lingue e sapori: così
è nato il cacciucco, piatto na-
zionale della policroma colonia
dei Granduchi. Ecco perchè
spesso viene usata l’espres-
sione: “Cacciucco di pesci e
cacciucco di genti”.
Il cacciucco è la “gloria” di Li-
vorno, come la cacciuccata è
la festa di Livorno. E i livornesi
sono toscani soltanto perché
lo dicono le leggi e le carte ge-
ografiche. Le sue origini sono
antichissime. E’ un piatto nato
senza regole perché fatto con
quanto avanzava ai pesca-
tori (soprattutto pesci “rotti”
che nessuno voleva). Sono
in molti ancora oggi a dire e
raccontare che quello “suo” è
il cacciucco “vero”. Ma non è
così: ognuno lo fa a modo suo
e magari è anche un… buon
cacciucco. Negli ultimi anni,
poi, è stato “inventato” il cac-
ciucco per i turisti (qualcuno
dice ingentilito, roba da signo-
rine): cioè senza pesci liscosi,
con il pane abbrustolito ma
non agliato e, peccato grave,
senza o con pochissimo pe-
peroncino.
Sono molti gli ingredienti co-
mandati dal Signore che
compongono (o dovrebbero)
un bel piatto di cacciucco:
grongo e scorpano, palombo
e nocciolo, cicale, boccacce,
seppie e polpetti, sugarelli,
gallinelle, murene, ghiozzi, tri-
glie, ecc. e pane ben agliato in
fondo che poi l’alito “guarisce”
con un potente “ponce”.
Al confronto del “cacciuc-
co viareggino”, molto caro a
Lorenzo Viani, squisito non c’è
che dire, il cacciucco livornese
è tutta un’altra cosa. Anche se
recentemente Claudio Mollo
ha organizzato una gara di
cacciucco tra livornesi e via-
reggini che ha riportato un
grande successo di pubblico
attratto da questo confronto:
alla fine un pareggio ha messo
tutti d’accordo.
Aldo Santini recentemente ha
scritto un libretto sul cacciucco
(distribuito con Il Tirreno), pre-
parato dal alcuni grandi chef
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iale
Tosca
na
Claudio Mollo
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 63
speciale Toscana
“pluridecorati” e l’ha chiamato
“Per un cacciucco del 2000”.
E’ una pubblicazione che ha
suscitato un “vespaio” di pole-
miche, attirandosi le proteste
di quasi tutti i ristoratori livor-
nesi. Ma lui ha tenuto “duro”
dicendo che “quando è nato
non c’erano gli ingredienti che
abbiamo a disposizione oggi,
a cominciare dal pomodoro
e dal peperoncino (giunti a
noi alla fine del ‘500) e da un
raffinato “olio extravergine di
oliva”.
Una raccomandazione: per
degustare al meglio questo
piatto “sostanzioso” mettia-
moci un buon rosso giovane.
NASCe UN COMITATO DI
VAlORIzzAzIONe PeR Il
CACCIUCCO
Proprio per difendere que-
sto piatto tradizionale ha
preso definitivamente vita il
Comitato di Valorizzazione
del Cacciucco e delle
Ricette della Tradizione
Gastronomica livornese.
Voluto da Claudio Mollo, gior-
nalista e critico gastronomico,
cultore delle tradizioni culina-
rie della Toscana che, insieme
ad un gruppo di esperti del
settore della comunicazione
e dell’alimentazione ha deciso
di dare il via ad una iniziativa
coccolata da tempo.
“Non esiste “una ricetta” o “la
ricetta” del Cacciucco – affer-
ma Claudio Mollo - ma esi-
stono una serie di ricette che
documentano quanto questo
piatto, come altri, oggi non tro-
vino più rispondenza sui menù
proposti dalla maggior parte
dei locali della città. Aspetto
negativo quello della perdita di
identità di un piatto tradiziona-
le e tipico come il Cacciucco,
che non fa altro che aggiun-
gersi alla spaventosa crisi di
immagine nel panorama italia-
no che la ristorazione livorne-
se sta vivendo ormai da molti
anni a questa parte.
Con il Comitato di
Valorizzazione, la speranza è
quella di portare “nuovamen-
te” alla luce certi piatti evitan-
do di cadere in polemiche con
chicchessia o gare su chi fa
meglio questo o quello. Del
resto ognuno di noi è libero di
portare avanti le proprie idee
e noi porteremo avanti la cul-
tura gastronomica senza tanti
discorsi intorno, supportati
dalla stampa specializzata na-
zionale, dai professionisti della
comunicazione, e dagli opera-
tori del settore ittico, invitando
chiunque fosse interessato
ad avvicinarsi all’iniziativa, per
provare a tornare, almeno una
volta a mangiare un piatto
“vero” e schietto.
Al suo esordio, appoggiano
il Comitato, con il loro patro-
cinio, l’ASA – Associazione
Stampa Agrolimentare Italiana;
L’Associazione Nazionale Città
del Pesce di Mare e il Pesce
Dimenticato. Organizzazione
che seguiranno da vicino le
vicissitudini del neonato grup-
po.
Presto verrà attivato un sito
internet dedicato al Comitato,
mentre è già disponibile un
indirizzo e-mail: comitatodel-
cacciucco@tiscali.it al quale
si può richiedere informazio-
ni e precisazioni. Possibile
anche un contatto postale
all’indirizzo: COMITATO DEL
CACCIUCCO – c/o Casella
Postale 1062 – Fil. 6 – 57121
LIVORNO.
AlTRI PIATTI DellA CU-
CINA lIVORNeSe e Del-
lA SUA PROVINCIA
Livorno è stata da sempre cro-
cevia di popoli e religioni. La
presenza ebraica è massiccia
e bene integrata, da sempre,
nel tessuto cittadino. La cuci-
na livornese quindi ha subito
forti influenze da quella ebrai-
ca. Il piatto che più di altri in-
contra il favore dei buongustai
è il “Cuscus” che a Livorno è
presente fin dal 1700 quando
gli ebrei cominciarono ad arri-
vare dalla Tunisia e dalla Libia.
Altre ricette, tanto per citar-
ne alcune, sono le Reginette
con bietole, Zuppa di azzime,
Impanata, Animelle, Cardoni
ripieni, Baccalà in ghiotta, Tri-
glie (di scoglio) alla livornese,
altra specialità molto richiesta
dagli amanti della buona cuci-
na, ecc.
Anche le “roschette” a Livor-
no sono popolarissime e ne
siamo debitori agli ebrei “se-
farditi” venuti dalla Spagna
che qui furono liberi e ricevet-
tero numerosi privilegi. Ce ne
sono di due tipi: “Roschette di
Pasqua” (per la Pesah non si
mangiano cibi lievitati) e “Ro-
schette di Purin” che è la festa
dell’allegria.
Per quanto riguarda i piatti
tipicamente livornesi, oltre al
cacciucco ed alle triglie non si
può non ricordare, tra gli altri,
lo “stoccafisso alla livornese”,
il “Brodo di sassi” (ai tempi
della miseria… nera), il Cavolo
“strasciato”, le Cée alla sal-
via (ormai introvabili), i Datteri
ripieni alla livornese, Gam-
beroni alla Calafuria, l’Inno di
Garibaldi (il “lesso” tagliato a
pezzi e “rifatto” con le patate),
Palombo con piselli, la Torta
di ceci (e il “5 e 5” con il pane
francese con una spruzzata di
pepe). L’elenco sarebbe an-
cora lungo…
La cucina dell‘isola d’Elba e
Capraia (Montecristo e Gor-
gona sono inaccessibili, men-
tre l’accesso a Pianosa è con-
tingentato) naturtalmente, ci
presentano una infinita varietà
di piatti di pesce. Dall’Elba
ci vengono anche dei buoni
vini bianchi. E un tradizionale
buon “Aleatico”.
Per l’entroterra, il Bordatino
che è un piatto originario della
Garfagnana e della Lucchesia,
è arrivato a Castagneto Della
Gherardesca (oggi Castagne-
to Carducci) e a Bolgheri nel
1814 ed ha sfamato tantissi-
me famiglie. Sempre a Bol-
gheri e in tutta l’Alta Marem-
ma, molto ricercati i Crostini
di coglionella, la “Soprassata
di cignale”, Testa di cinghia-
le alla castagnetana, Zuppa
di fosso, Cinghiale in umido,
Pappardelle al cinghiale. Tut-
ti piatti che richiedono grandi
“rossi”. Sulla costa, invece,
Sarde ripiene, Zerri sotto pe-
sto, Pastasciutta “insulla pala-
mita”, Spaghetti con le triglie,
“Baccalà dell’uliva”, Calamari
in zimino, Orata al Sassicaia e
Triglie di Castiglioncello.
Tra i dolci: Campigliese, Ca-
stagnaccio, Cenci, Corollo
o ciambella, Frittelle di riso,
Schiaccia briaca dell’Elba e a
Livorno la “stiacciata” di Pa-
squa, ecc.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 164
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iale
Tosca
na
Val di Corniaa cura di Alessandro Alcamo
“Qualità” è stata fin da subito la parola d’ordine di questa giovane zona di produzione, in un territorio in cui la viticoltura è molto attiva fin da epoche antichissime.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 65
speciale Toscana
La Doc nasce
ufficialmente nel 1990
dopo 4 anni di intensa
attività dell’Associazione
Intercomunale, costituita
fra i comuni di Piombino,
Campiglia Marittima,
Suvereto, Sassetta, San
Vincenzo e Monteverdi, che
ha guidato a livello istituzionale
il percorso di riconoscimento
della DOC affidando, in tale
ambito, all’enologo Marco
Stefanini il compito di studiare
rigorosamente terreni e
vocazione escludendo dal
perimetro della stessa tutti i
terreni non vocati. Una storia
articolata ed appassionata
che Walter Gasperini, uno
dei protagonisti di allora, ha
raccolto in un volume fresco
di stampa.
Diciannove furono i produttori
“fondatori” della DOC e
molte di quelle aziende
rappresentano ancora oggi
l’eccellenza qualitativa del
territorio (Gualdo del Re,
Bulichella, Petricci e Del Pianta
a Suvereto, Az. San Giusto a
Piombino e Jacopo Banti a
Campiglia). Col passare degli
anni al nucleo dei “pionieri” si
sono aggiunte nuove realtà che
hanno contribuito a tenere alto
il livello di qualità, come non
citare Tua Rita, produttrice del
pluridecorato Redigaffi, merlot
in purezza, con un dinamismo
che è ancora lungi dall’essersi
esaurito. Nel 1999 è stato
rivisto il disciplinare andando
ad inserire accanto agli storici
Sangiovese, Trebbiano e
Vermentino anche i vitigni
internazionali (Cabernet,
Merlot e Syrah) e l’Aleatico,
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 166
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iale
Tosca
na
a coronare un’ espansione di
gamma e di prodotti che negli
anni novanta si era già venuta
affermando con forza. La
definitiva consacrazione della
zona è avvenuta con l’ingresso
di grandi realtà nazionali del
mondo vitivinicolo sul territorio,
dove sono state realizzate
autentiche cantine modello
(Petra- Gruppo Moretti,
Tenuta Rubbia al Colle – F.lli
Muratori). Ma, come detto, la
zona è di per sé in continua
evoluzione ed oggi vive un’altra
trasformazione: dai “pionieri”
della Bulichella il concetto
di viticoltura biologica si sta
estendendo a numerose altre
aziende e in 3 casi (I Mandorli e
Macchion de’Lupi a Suvereto e
La Cerreta a Sassetta) si pratica
già la coltura biodinamica.
Attualmente nella DOC operano
49 aziende (29 a Suvereto,
8 a Campiglia Marittima, 7 a
Piombino, 3 a Monteverdi, 1
rispettivamente a San Vincenzo
e Sassetta) con una superficie
vitata complessiva di 561 ha.
La natura dei terreni varia
sensibilmente in funzione delle
zone, nel giro di pochi metri
si passa da argille calcaree a
terreni galestrosi, fino a trovarsi
di fronte ad argille plioceniche
e terreni calcarei affioranti.
Questa enorme e preziosa
variabilità è una fonte di
ricchezza per il territorio e i suoi
prodotti in quanto i vini che qui
nascono diventano complessi
e strutturati.
Il Sangiovese, il Merlot ed
il Cabernet riescono ad
esprimersi molto bene,
soprattutto nei terreni più
antichi come il Promontorio di
Piombino, quelli di Suvereto
collina, a Campiglia Marittima e
Sassetta, mentre nei terreni più
a valle si conferma il Cabernet
e danno il meglio di sé vitigni
come il Syrah ed il Vermentino.
I vini della Val di Cornia assumono
sovente una mineralità lieve,
conferita da terreni di coltura
antichi e importanti, che
rendono intriganti e originali
molti prodotti.
La DOC Val di Cornia sia da un
punto di vista geologico che
viticolo rappresenta un anello di
congiunzione tra i territori della
Maremma, con i sui vini robusti,
minerali e ricchi di carattere ed
il Bolgherese, caratterizzato da
prodotti intriganti, eleganti e
signorili, raggiungendo nei suoi
vini di eccellenza un equilibrio
raro di tutte queste virtù.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 67
speciale Toscana
Da secoli si coltivano,
su questi dolci pendii
la vigne e da secoli
se ne trae il nettare di Bacco.
Viene fatta risalire ai Romani la
coltivazione della vite nel terri-
torio ma è “soltanto” nel 846
d.c. che viene menzionata in
un atto ufficiale la produzione
di vino: “A tertiam vices uba le-
gittima calcata” - “vino puro, di
uva pigiata tre volte secondo le
regole, e poi svinata”
Ancora non era nato il piccolo
borgo medioevale, Montecarlo
è stato infatti costruito nel
1333, ma sul colle il lavoro agri-
colo era sicuramente dedito
alla viticultura; il piccolo paese
di contadini che lì vicino sorge-
va si chiamava infatti Vivinaia,
derivante dall’antica Via Vinaria,
strada romana che attraversa-
va la collina da oriente ad occi-
dente e che congiungeva la Via
Cassia presso Buggiano con la
Via Romea presso Altopascio.
La coltivazione della vite pre-
miava, ancora oggi in con-
trotendenza con i tipici vitigni
Toscani, la produzione dei vini
bianchi tanto che, una volta de-
caduta la Repubblica di Lucca
ed il territorio inglobato nel
granducato di Toscana, il Duca
Cosimo dei Medici “rallegrava
i commensali” bevendo i vini
prodotti con uva Trebbiano sul
colle Montecarlese e li stessi
vini raggiungevano contratta-
zioni superiori, sul mercato di
Firenze, a qualsiasi altro vino.
Montecarlo: 40 anni di D.O.C.
a cura di Roberto Forassiepi
Il piccolo comune posto sulla lieve collinache divide la piana di Lucca dalla Valdinievole
è sicuramente uno dei territori più vocati per la coltivazione della vite in tutta la Toscana.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 168
spec
iale
Tosca
naMa l’evento che ha cambiato ra-
dicalmente il vino di Montecarlo
è avvenuto circa nel 1870 quan-
do Giulio Magnani, proprietario
della Fattoria Marchi-Magnani,
decise di andare a visitare la
Francia per apprendere le tec-
niche di vinificazione di quei
territori e decise di riportare
delle barbatelle di vite di alcune
varietà che, secondo il suo giu-
dizio, potessero essere coltiva-
te nel suo territorio di origine.
Visitando la valle del Rodano
ritenne che il Roussanne, il
Semillon, il Viogner ed il Syrah
potessero migliorare i vini
Montecarlesi, bianco e rosso,
donandogli più corpo e profu-
mi ed andando ad ingentilire
quelli prodotti con gli autoctoni
Trebbiano e Sangiovese, antici-
pando notevolmente la tenden-
za degli ultimi anni di realizzare
dei blend tra vitigni autoctoni e
vitigni internazionali. Introdusse
anche tecniche di vinificazione
innovative per il territorio e per
il periodo, imparate in Francia,
tanto che intorno agli anni ’30
del secolo scorso, il vino era
conosciuto come “lo Chablis di
Montecarlo” e fini con l’allietare
i commensali del banchetto di
nozze tra il Principe Umberto di
Savoia e Maria Josè.
L’assegnazione della D.O.C.
nel 1969 al vino bianco di
Montecarlo, una delle prime in
Toscana, è un riconoscimento
sia della qualità del prodotto
sia della sua storia, insieme alla
Vernaccia di San Gimignano,
D.O.C. nel 1966, risulta esse-
re l’alternativa in bianco in una
regione conosciuta per i grandi
vini rossi. Un bianco risultato
di un microclima particolare,
un territorio ventilato con una
discreta diffrenza termica tra
giorno e notte, diverso da ogni
altra parte della regione etru-
sca.
Il vino di Montecarlo ha comun-
que seguito l’evolversi della
tecnologia in cantina ed oggi
produce in particolare vini bian-
chi freschi e profumati, da abbi-
narsi alle tante portate di pesce
che la cucina costiera propo-
ne e vini rossi giovani, freschi,
equilibrati da abbinarsi con i
piatti della pianura Lucchese,
dove la cultura contadina pro-
poneva la Farinata col Cavolo
Nero, la Zuppa alla Frantoiana
e tutti quei piatti legati ai pic-
coli allevamenti di conigli e polli
che i contadini producevano “in
proprio”.
Montecarlo
Dieci anni fa, all’inizio
del mio percorso
di giornalista, venni
incaricato dal mensile Euposia
di scrivere un articolo sulla
biodinamica applicata alla
viticoltura. Questo compito mi
venne assegnato non tanto per
le mie capacità, ma, piuttosto
per la mia posizione geografica.
Abitavo, ancora oggi, a Lucca e
sulle mie colline, allora, covava
un focolaio di un nuovo modo
di interpretare la viticoltura;
se ne sapeva poco, ma era
certo che questo metodo
era svincolato dall’uso della
chimica nel vigneto. I riverberi
di questo piccolo fuoco erano
localizzati precisamente a
Valgiano, dove un giovane
enologo stava mettendo in
discussione i saperi istituzionali
acquisiti all’Università per
iniziare un cammino personale
di sperimentazione. Il giovane
enologo è Saverio Petrilli
e oggi il piccolo fuoco è un
incendio appiccato a tutta la
viticoltura italiana.
ORIGINeL’origine dell’applicazione
del metodo biodinamico
in agricoltura risale al secolo
scorso nel celebre incontro tra
gli agricoltori di Koberwitz e
l’antroposofo Rudolf Steiner.
Durante questo ciclo di otto
conferenze, Steiner dettò i
principi per un’agricoltura
naturale indipendente dalla
crescente e invasiva industria
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 69
speciale ToscanaSulle
COLLINE LUCChESIalla scoperta
della viticoltura biodinamica
a cura di Fabio Pracchia
Podere dei Concori
della chimica. Le tesi steineriane
furono le fondamenta di una
filosofia agricola destinata a
rivoluzionare il concetto di
agricoltura. Tra i punti di questi
enunciati vale la pena ricordare
il concetto fondamentale di
organismo agricolo in relazione
continua con terra e cielo. La
reciproca influenza tra i corpi
celesti, il suolo e ciò che vive
sopra esso, piante, uomini e
animali e tale da generare un
ciclo chiuso, che ripropone un
modello universale di equilibrio.
Questo equilibrio è possibile
a patto di conservare il più
possibile la biodiversità delle
colture e degli animali. Difficile
mantenere questa situazione
nell’agricoltura moderna dove
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 170
spec
iale
Tosca
na
Gabriele Da Prato - Podere Concori Saverio Petrilli - Tenuta di Valgiano, premio Vini di Toscana 2009 per la viticoltura sostenibile
la monocultura e la grande
estensione hanno depauperato
i terreni di sostanza organica
e gli uomini di capacità di
osservazione. Chi ha reso
possibile l’applicazione di
questo metodo alla morfologia
della nuova agricoltura è stato
Alex Podolinsky. Nato in
Russia e emigrato in Australia,
Podolinksy riuscì a realizzare
una serie di preparati, veri e
propri stimolatori di fertilità,
che applicati in piccole dosi
riuscivano ad attivare l’attività
radicale e fotosintetica
delle piante in maniera
sorprendente. Il metodo di
preparazione dei preparati
sfiora la normale comprensione
ma basti sapere che si
basano sulla moltiplicazione
dell’attività microbiotica e
sull’aumento delle rifrazione
dei raggi del sole. Base
della moderna biodinamica,
questi preparati vengono
denominati comunemente
500 e 501. Ce ne sono altri,
ma comunemente vengono
impiegati questi due.
lUCCASaverio Petrilli ha incontrato
più volte Podolinsky e ne
ha colto l’insegnamento. A
Lucca l’enologo della Tenuta
di Valgiano ha formato una
sorta di circolo virtuoso di
piccoli viticultori che praticano
la biodinamica all’interno delle
loro proprietà. Non è un caso
che questa enclave si sia
formata sulle colline lucchesi.
Innanzi tutto, nonostante
l’aspetto conservatore,
Lucca ha sempre mostrato
l’interesse per l’altro da sé,
per la scoperta: basti pensare
che in viticoltura le uve francesi
compaiono da sempre
nei declivi vitati di questa
provincia. La monocultura è
poco diffusa, spesso la vite
interrompe una teoria di oliveti,
orti e campi per l’allevamento.
Ancora, spesso il vino non
è l’unica fonte di reddito e
quindi convive spesso con
altre attività come agriturismo,
ristorazione o altre professioni.
Ultimo, in base a quanto detto
sopra, molti vignaioli hanno
una rara apertura mentale,
culturalmente avanzata e perciò
pronta al nuovo. In termini di
sostenibilità la biodinamica
permette di portare avanti
un vigneto senza inquinare
e stimolando la vegetazione
a guadagnarsi da sola ciò di
cui ha bisogno, attraverso una
brulicante attività radicale e
fogliare. I terreni sono salubri
e ricchi di microrganismi
che danno ossigeno al
suolo, tornano gli insetti
che regolano l’ecosistema
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 71
speciale Toscana
e predano quelli pericolosi
per le colture. Le aziende
che hanno abbracciato
l’agricoltura biodinamica a
Lucca sono disseminate per
il comprensorio delle colline
con qualche interessante
inserzione fuori zona.
Fabbrica di San Martino,
Fattoria Colle Verde e
naturalmente la Tenuta di
Valgiano occupano in pieno
la denominazione. Per
queste aziende l’agricoltura
biodinamica ha significato
un’interpretazione sempre
più fedele del concetto di
appartenenza. Ciò si è tradotto
in vini progressivamente
più personali e scevri da
conformismi gustativi. Anzi
il vino per loro ha cessato
di essere una sola voce di
guadagno ma la naturale
conclusione di un processo
agricolo armonico e ampio.
Diverso il discorso per le altre
due aziende, principali attrici
di questo movimento. Macea
e Podere Còncori. Queste
aziende sorgono in un’area
dove la tradizione vitivinicola
è affidata ai saperi contadini,
capaci di individuare con la
propria sensibilità i migliori
appezzamenti per le uve.
Siamo, per quanto riguarda
Macea nella Media Valle del
Serchio, e, nel caso di Podere
Concori in Garfagnana. In
questi luoghi, meno facili per
la viticoltura in quanto più a
nord e meno assolati, proprio
la conoscenza delle vecchie
generazioni ha permesso a
queste aziende di salvare non
solo una sorta di viticoltura
ancestrale, ma addirittura
di riportare alla luce vitigni
locali altrimenti destinati
all’estinzione. La biodinamica
ha aiutato queste aziende in
molti modi. Proprio l’utilizzo
dei preparati, citati sopra, ha
permesso un radicamento
delle viti e un apporto di luce
sufficiente per condurre a
maturazione le uve che in
questi luoghi necessitano di
particolare attenzione. Ma
non si tratta solo di qualità
delle uve. In Garfagnana,
data la pendenza dei terreni,
ci sono pericolosi periodi
dell’anno dove le frane non
sono così rare. L’attenzione
alla biodiversità delle specie
vegetali e al fitto radicamento
delle stesse ha permesso una
naturale tenuta del terreno.
Circa tre anni fa in una frana
che aveva coinvolto la zona di
Gallicano dove sorge Podere
Còncori gli unici terreni che
avevano tenuto erano quelli
dell’unica azienda vitivinicola
presente. Che coincidenza
vero?
PARlIAMO DI VINOPurtroppo una diceria
diffusa anche tra gli addetti
ai lavori è che i vini ottenuti
da agricoltura biodinamica
abbiano qualche imprecisione
stilistica. Smettiamola una
volta per tutte: non è vero. Un
esempio per tutti: il Domaine
de la Romanée-Conti è
condotto in biodinamica.
Punto. Detto questo un
tratto comune di questo
approccio agricolo è che
origina vini capaci di rivelare
la reale vocazione dei vigneti.
A Lucca è precisamente
così. Soprattutto perché
stiamo parlando di vignaioli
che non delegano il
compito della vinificazione
e dell’affinamento delle
proprie uve. Il risultato è
stato eccellente. In parallelo
a un cambiamento della
critica enologica sempre più
attento ai vini di territorio, i
vini lucchesi si sono trovati
schierati. A parte Valgiano,
da tempo al vertice della
qualità enologica italiana,
specialmente la Fabbrica
di San Martino e Podere
Còncori stanno raccogliendo
molti consensi dalla stampa di
settore e dagli appassionati,
grazie a vini al tempo stesso
originali e profondi.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 172
spec
iale
Tosca
na
speciale Toscana
Risalendo il corso del
fiume Serchio tro-
viamo i paesi di
Castelnuovo Garfagnana, la cit-
tà più grande, Pieve Fosciana,
Castiglione di Garfagnana, Villa
Collemandina, Camporgiano,
Piazza al Serchio e tanti altri in-
cantevoli borghi come Corfino,
Careggine, Minucciano, Vagli,
luoghi dove il tempo sembra
essersi fermato ed aver iniziato
a correre indietro verso i primi
decenni del secolo scorso.
Chi visita questi paesi sente i
profumi ed i sapori di un tempo,
incontra la cultura contadina,
viene inebriato dalla tranquillità
e dalla lentezza dello scorrere
delle giornate, senza frenesia,
fuori da ingorghi, file caotiche.
Una terra dai sapori “poveri”,
semplici, contadini, una cucina
che riscopre il farro, la farina
di neccio, la polenta, il pane di
patate, il miele, i funghi porci-
ni, il formenton e salumi poveri
come il biroldo (del maiale si sa,
non si butta via nulla).
E quindi iniziamo il nostro viag-
gio con una panoramica delle
delizie che questa valle na-
sconde, solo una piccola parte
naturalmente perché ogni pic-
colo borgo va fiero di una spe-
cialità locale, magari prodotta
solo da una piccola macelleria
o da un contadino o da un paio
di pastori o da una vecchietta
che abita in quella casa là in
fondo al paese.
I PReSIDI SlOW FOODAnche in questa antica terra
bisogna ringraziare Slow Food
che ha aiutato alcuni picco-
li produttori a continuare la
produzione di piccole perle di
bontà che altrimenti sarebbe-
ro andate perdute e avrebbero
continuato a vivere solo nella
memoria degli anziani fino ad
andare, piano piano, perdute.
Il Biroldo della Garfagnana
è una tipologia di sanguinaccio
in cui viene utilizzata esclusi-
vamente la testa del maiale, il
cuore e la lingua con l’aggiunta
di spezie che variano a secon-
da dell’artigiano che lo produ-
ce. Non vengono aggiunti i pi-
noli o l’uvetta come nel biroldo
lucchese.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 73
La Garfagnana: viaggio tra i sapori di un tempo
a cura di Livio Del Chiaro
Immersa tra le Alpi Apuane e l’Appennino Tosco Emiliano, attraversata dal fiume Serchio e brulicante di valli,
laghi e boschi si trova uno dei patrimoni naturalistici ed enogastronomici più importanti della Toscana, la Garfagnana. Siamo in provincia di Lucca, ad un passo dal Modenese, a sud
della Lunigiana, altra grande terra di antichi sapori.
Un tempo era considerato un
cibo povero che nel corso de-
gli anni è stato dimenticato ma
poi fortunatamente riscoperto
da alcuni macellai e protetto
come presidio Slow Food.
Il Prosciutto Bazzone deve
il suo nome alla sua forma
particolarmente allungata
che ricorda una bazza (nome
locale per un mento pronun-
ciato). Questo è un prosciutto
prodotto con maiali locali alle-
vati allo stato semi-brado che
vengono macellati intorno ai
15 mesi, quando hanno rag-
giunto un peso di circa 200
kg. Il bazzone è molto grande
e deve essere tagliato solo col
coltello per esaltare le sue ca-
ratteristiche organolettiche. E’
una vera rarità prodotta da 3
soli produttori che hanno rico-
struito la filiera produttiva.
L’ultimo presidio Slow Food
è il Pane di Patate della
Garfagnana, che viene pro-
dotto aggiungendo alla farina
di grano un 15% di patate
lesse (spesso quelle di Sillano)
e facendo lievitare con lievito
madre. È un pane morbido e
molto saporito che fa venire
in mente quei tempi in cui le
patate venivano usate perché
costavano poco e perché il
pane così prodotto si conser-
vava più a lungo.
DOP e IGPla Farina di Neccio della
Garfagnana DOP è una farina
di castagne (neccio in garfa-
gnino significa castagno) per
produrre la quale le castagne
vengono essiccate in “metati”
(apposite strutture in muratu-
ra collocate nei castagneti in
cui le castagne vengono fatte
essiccare sopra un fuoco leg-
gero, alimentato con ciocchi
di castagno). Con la farina di
neccio si prepara la polenta,
i manafregoli, il castagnaccio
ed i necci, spesso accompa-
gnati con ricotta.
Il Farro della Garfagnana
IGP viene coltivato in terreni
idonei tra 300 e 1100 m s.l.m.,
viene seminato in autunno,
coltivato secondo i dettami
dell’agricoltura biologica e
raccolto in estate. Col farro si
preparano zuppe, torte, mine-
stre di fagioli, formaggi.
AlTRI PRODOTTI TIPICIIl Formenton otto file della
Garfagnana è un particolare
tipo di granturco con grandi
chicchi di colore oro, coltiva-
to praticamente da sempre in
Garfagnana. Viene macinato
in mulini a pietra ed usato per
preparare un’ottima polenta.
Il Miele della Garfagnana è
un altro prodotto dalle caratte-
ristiche organolettiche partico-
lari, dovute al territorio di pro-
duzione ancora praticamente
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 174
Biroldo Farina di Neccio
Farro della Garfagnana
spec
iale
Tosca
na
incontaminato. I più tipici sono
quello di acacia e naturalmente
quello di castagno.
Altri prodotti tipici sono i fun-
ghi porcini, qui particolarmen-
te abbondanti e saporiti, il pe-
corino, prodotto solitamente
con pecore di razza massese
allevate brade. Questo viene
sottoposto ad una stagiona-
tura più o meno prolungata ed
affinato con diversi ingredien-
ti (vinacce, cenere, foglie di
noce, farro, castagne).
Ma troviamo anche il pesce,
naturalmente non di mare
ma di torrente, la trota, in
particolare quella marinata di
Gallicano, preparata già nel
1500.
E per finire vi sono anche altri
salumi tipici come il Manzo di
pozza, carne di manzo taglia-
ta a pezzi e messa in una ca-
vità (pozza) con una salamoia
naturale fatta di sale ed erbe
aromatiche e la Mondiola
della Garfagnana, un salame
con la tipica forma ad “U” ed
una foglia di alloro nel mezzo.
Il VINOFino a non molti anni fa nel-
la lucchesia ed in Versilia
venivano decantate le lodi
dei prodotti alimentari della
Garfagnana ma si raccoman-
dava di non bere mai vino
garfagnino perché pessimo.
Negli ultimi anni questa affer-
mazione è stata smentita visto
la capacità di alcuni produtto-
ri di riuscire ad ottenere otti-
mi vini anche in questa zona
dove non c’era mai stata una
vera produzione di qualità. Ma
basta ricordare che fino a non
molti anni fa nessuno avrebbe
scommesso un centesimo su
Bolgheri ed invece....
Una chiaccherata con
Gabriele da Prato, proprietario
dell’azienda Poderi Concori
e precursore della viticoltura
di qualità in Garfagnana, mi
ha un poco chiarito le idee.
Gabriele è stato il primo vi-
gneron della Garfagnana, che
nel 1999 decise di continuare
l’opera del padre ed iniziare un
progetto basato sull’agricoltu-
ra biodinamica per produrre
un vino al livello degli altri vini
toscani nelle colline di Fiattoni
a Gallicano. Con l’aiuto del
maestro Saverio Petrilli e dopo
aver visitato diverse zone di
eccellenza per la produzione
di vino tra cui la Borgogna,
Gabriele decise di scegliere
vitigni capaci di adattarsi bene
a questo clima, recuperò alcu-
ni vitigni autoctoni, intraprese
la via della biodinamica, iniziò
a concepire il singolo vigneto
come cru...ed il miracolo av-
venne. Secondo Gabriele non
sono mai stati prodotti vini di
qualità in Garfagnana non per
una reale incapacità del terroir
ma per una chiusura mentale
ed una convinzione che que-
sta terra non poteva dare buon
vino. Le possibilità sono però
molto grandi per tutta la zona
dalle valli un poco più basse
e vicine al fiume Serchio dove
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 75
speciale Toscana
Formenton Prosciutto bazzone
Chenin Blanc, Pinot Bianco,
Syrah e Pinot nero si sono
ben adattati, fino alle zone ad
altitudine più elevata dove ad
esempio il Riesling potrebbe
dare risultati inattesi.
lA CUCINA GARFAGNINAImmaginiamo per un attimo
non di trovarci nel solito ri-
storante all’ultimo grido ma
in un vecchio casolare in una
piccola conca con una vista
sul fiume Serchio da un lato
ed un immenso bosco di ca-
stagni dall’altro. Ci troviamo
seduti ad un rustico tavolo in
legno apparecchiato in manie-
ra piuttosto spartana con una
vecchia tovaglia a quadri rossi
e bianchi, con in mezzo al ta-
volo una brocca di vino rosso
e un bel “tombolo” di polen-
ta. Per cominciare, il padrone
di casa ci porta un tagliere di
affettati misti dove spicca al
centro il colore nero del birol-
do che accompagniamo con
un poco di pane di patate ed
un bicchiere abbondante di
vino rosso.
Poi passiamo ad una minestra
di farro e fagiolo mascherino
della Garfagnana, seguita da
cinghiale in umido e funghi
porcini con polenta di formen-
ton otto file. A questo punto,
anche se siamo già pratica-
mente sazi, ci viene portato un
vassoio di pecorini locali, fre-
schi, semistagionati ed anche
a lunga stagionatura sotto pa-
glia e fieno. E si arriva al dolce,
una fetta di castagnaccio (con
rosmarino e noci) ed un paio
di necci (crepes di farina di
castagne preparate con i testi
su fuoco a legna) con ricotta
e miele.
Per concludere un digesti-
vo, l’Elisir di China di Pieve
Fosciana (famoso negli anni
20’-30’).
A questo punto soddisfatti ci
alziamo con difficoltà dal tavo-
lo e siamo felici che esistano
ancora dei luoghi come que-
sto, dove il tempo scorre un
po’ più lentamente, dove si
apprezzano cibi semplici e ge-
nuini e dove la tradizione non
viene vista come arretratezza
e quasi con disprezzo ma con
ammirazione e come qualco-
sa da preservare. Un valore
che stiamo perdendo, ma che
ancora possiamo recuperare.
Benvenuti in Garfagnana!
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 176
spec
iale
Tosca
na
Parco dell'Orecchiella Garfagnana
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 178
spec
iale
Tosca
na ANDREA BERTUCCI “l’ecogastronomo”
a cura di Mario Del Debbio
Durante una delle mie ulti-
me visite all’ Osteria del
Vecchio Mulino di Castelnuovo
di Garfagnana, ho assistito ad
una scena che testimonia da
sola la caratura di questo per-
sonaggio. Sono seduto alla
lunga tavola comune proprio
di fronte al vecchio bancone
quando una coppia di stra-
nieri di mezza età, riconoscibili
come tali per l’abbigliamen-
to ampiamente corredato da
macchine fotografiche e l’im-
mancabile guida tra le mani,
entra nel locale presumibil-
mente per mangiare. Dopo
un primo sguardo misto tra
curiosità e timore vedo il viso
della signora illuminarsi di un
grande sorriso. Con la gui-
da ben aperta si dirige verso
Andrea Bertucci intento ad
affettare, rigorosamente a
mano, un superbo prosciutto
e, pronunciando qualcosa in
un dialetto che sul momento
non riconosco ma sicuramen-
te nord-europeo, mostra pri-
ma al marito e poi allo stesso
Andrea la foto sulla guida che
lo ritrae nella stessa identica
posizione: seduto al taglio del
prosciutto. Andrea sorride e
dice, quasi candidamente: “si,
si, sono proprio io, questo è
il mio posto”. In questa foto
c’è tutto Andrea, un gigante
buono con la faccia da Bacco,
che trasmette a tutti una pas-
sione grande come il mare: la
ricerca costante della qualità.
La stessa che evidentemen-
te cercava quella coppia che
dalla lontana Scozia, giran-
do e rigirando per le terre di
Toscana, era finita in questo
angolo di paradiso gastrono-
mico che è la Garfagnana. In
questa osteria nata ai primi del
novecento, ubicata nelle fon-
damenta medievali del duomo
cittadino, e che custodisce
intatta l’atmosfera dell’antico
ristoro con il grande bancone
e le alte scaffalature dell’epo-
ca, Andrea Bertucci da oltre
20 anni porta avanti il suo pro-
getto tirando dritto sulla sua
strada. Una strada che lui non
ha solo percorso ma letteral-
mente costruito parlando di
qualità, di eco-sostenibilità, di
tutela del territorio e di risco-
perta dei prodotti tipici quan-
do queste cose ancora non
erano di moda.
Assieme a pochi amici, e mi
piace citare il compianto Enzo
Pedrieschi, ha riscoperto e
Andrea Bertucci
fatto conoscere i prodotti della
sua terra come il Formenton
Otto File una qualità di gran-
turco che stava per essere
perduta e che Andrea con
grande intuito ha contribuito
a salvare convincendo alcuni
contadini locali non solo a non
abbandonarne la produzione
ma piuttosto ad incrementar-
la, od ancora come il Biroldo
della Garfagnana, un san-
guinaccio cotto oggi Presidio
Slow Food, e tanti altri sen-
za dimenticare ovviamente il
Farro, prodotto per il quale il
nostro Andrea si è guadagna-
to il titolo di “faro del Farro”
proprio per il suo ruolo guida
nella salvaguardia del patrimo-
nio gastronomico garfagnino.
Per questo la sua bottega è
diventata meta di viandanti di
ogni dove, persone semplici in
cerca di cose semplici da gu-
stare seduti accanto ad altre
persone sconosciute che la
buona tavola sa rendere subi-
to grandi amiche.
Ma oggi Andrea non si fer-
ma solo alla sua amata
Garfagnana, nella sua missio-
ne di “Eco-Gastronomo” va in
cerca di qualità ovunque essa
si trovi, nei grandi vini, nei sa-
lumi, nei formaggi italiani ed
anche in certe piccole chicche
che provengono da altri paesi
accompagnandole con le tor-
te di farro e di patate prepa-
rate in casa come facevano le
nostre nonne. Un prodotto per
essere di qualità, dice Carlin
Petrini anima di Slow Food,
deve essere “buono, pulito e
giusto”. Buono per le carat-
teristiche organolettiche, che
provocano esaltanti sensazioni
in bocca; pulito, perche deve
essere il più possibile prodotto
in modo adeguato, utilizzando
metodi poco impattanti; giu-
sto, perche chi coltiva e lavora
in questo modo deve essere
remunerato adeguatamente.
Un comandamento sposato in
toto dal nostro Oste garfagni-
no. La sua bottega dei sapori
vi attende e lui, potete esserne
certi, vi accoglierà seduto in-
tento a tagliare una fetta della
sua ultima scoperta, che sia un
salume, un formaggio o altro
ancora ma sempre e comun-
que con un garanzia infallibile:
selezionata con cura da Andrea
Bertucci “l’ecogastronomo.”
Enoteca Vecchiomulino
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 79
speciale Toscana
le Pergole Torte 2007 - Montevertine - Radda in Chianti (SI)
Al naso è un catalogo delle note tipiche del sangiovese, con marasca, tanta
mineralità, terra bagnata, cui unisce, in un insieme di inarrivabile distinzione, note
terziarie di caffè e tabacco dolce. In bocca è emozionante, grazie alla perfetta
fusione di morbidezza, tannini finissimi, acidità e, soprattutto, una grande sapidità. Il
finale, su piacevoli sensazioni di piccoli frutti rossi freschi e dolci, di pepe e di terra,
è lunghissimo e rinfrescante. Eξ la dimostrazione delle vette di finezza e profondità
di cui il sangiovese è capace.
Bolgheri Sassicaia 2007 - Tenuta San Guido – Bolgheri (LI)
Il naso, decisamente distinto ed elegante, ha netta mineralità, note di caffè e
tostatura, liquirizia, piccoli frutti neri (mora), arbusti mediterranei, note balsamiche
fresche. La bocca si caratterizza per una bellissima sapidità, i tannini finissimi sono
da ammorbidire, ma lξequilibrio è già notevole; il finale, pulitissimo e lungo, è segnato
da intriganti sensazioni marine, iodate, saline.
Masseto 2007 - Tenuta dell’Ornellaia - Castagneto Carducci (LI)
Colore rosso rubino molto concentrato, impenetrabile. Al naso è decisamente ricco,
con note minerali (evidente talco), liquirizia, prugna, frutta rossa matura, sentori
mentolati freschi; solo accennati e discreti i caratteri vegetali del vitigno; la bocca
è grassa, ma con notevoli acidità e sapidità; la materia è notevole, senza alcun
cedimento, ma il finale, molto lungo, è fresco e corrispondente alla complessità
olfattiva. Eξ un Masseto magari non concentrato come suoi altri millesimi, ma
decisamente più elegante e piacevole.
Chianti Classico 2007 - Riecine - Gaiole in Chianti (SI)
Olfatto molto tipico con nettissima marasca, terra, note di viola; in bocca ha un
tannino leggermente ruvido, da affinare, ma ha grande freschezza, è molto sapido,
il finale è decisamente persistente ed elegante, invitante con netti sentori minerali e
fruttati. Un grande vino di territorio, godibilissimo, ad un piccolo prezzo.
Chianti Classico Riserva 2007 - Villa Cafaggio – Panzano (FI) Il Chianti Classico Riserva ha un colore rosso rubino, con una leggera nuance granata riconducibile al Sangiovese. Al naso si riconosce subito la frutta matura con note di mirtillo nero e di ciliegia con un piacevole sottofondo floreale. Palato pieno giustamente tannico di buona dolcezza. Finale lungo ed asciutto. Vino strutturato ed elegante ottimo compagno della cucina toscana.
80
spec
iale
Tosca
na Degustando
Bolgheri Superiore Ornellaia 2007 - Tenuta dell’Ornellaia - Castagneto Carducci (LI)Allξolfatto si esprime su note dolci, molte spezie, caffè, discreti aromi vegetali varietali. In bocca è ricco, ha grande materia, struttura, concentrazione; il calore alcolico è subito integrato e contrastato da una piacevole ed elevata sapidità; i tannini sono quasi vellutati, lξacidità non è eccessiva; il finale, molto lungo, è segnato da piacevoli note balsamiche da legno.
Tenuta di Valgiano 2007 - Tenuta di Valgiano - Valgiano (LU)Al naso esprime eleganza e finezza aromatica con note di amarena, cannella e pepe, profumo intenso e persistente. In bocca si ritrova immediatamente la piacevolezza del frutto, la struttura denota una trama di tannini, fitta ed elegante, ottima maturazione e morbidezza. Chiude in lunghezza sulle stesse note speziate e minerali Un vino equilibrato di gran classe sicuramente di grande durata
Melograno Rosso 2008 - Podere di Concori – Gallicano (LU)Rosso rubino. Profumo accattivante e diretto, di frutta rossa di bosco giovane, con note di ciliegia amarena, spezie (pepe sopratutto) ed erbe aromatiche. Al palato è fresco e deciso mantenendo però eleganza e equilibrio. Tannini non oppressivi ben integrati. Finale di buona lunghezza che gioca ancora con le spezie e retro-olfattiva di leggera aromaticità. Un vino che invita alla beva.
Piaggia 2007 riserva - Piaggia – Poggio a Caiano (PO)Rubino di trama fitta. Al naso attacco di frutti di bosco maturi con note di mora, seguono spezie e note aromatiche dolci di discreta persistenza. Attacco in bocca di grande impatto con tannini dolci ed integrati. Finale lungo che lascia un sentore di frutta matura con note di terziario. Da bersi e ribersi.
Tenuta di Capezzana 2007 – Villa di Capezzana – Carmignano (PO)Rosso di buona intensità. Si presenta al naso con profumi ξtoscaniξ con note di viola e piccoli frutti a polpa scura. Al palato si dimostra vivo e di buona freschezza. Tannini in evidenza ma senza eccessi. Buona struttura e complessità. Finale di giusta durata che lascia in bocca le note fruttate con leggere sfumature vegetali.
Casalferro 2007 - Barone di Ricasoli – Gaiole in Chianti (SI)L’azienda storica del Chianti propone l’ultima versione del Casalferro in Merlot in purezza. Di colore rubino intenso presenta un olfatto elegante con di frutta di bosco – ribes e more – con note floreali e sottofondo di leggera speziatura. Fresco al palato con tannini ancora in evidenza ma nel complesso equilibrato ed elegante. Finale che gratifica il palato con un ricordo fruttato.
I’ Rennero 2007 - Gualdo del Re – Suvereto (LI) Da uve Merlot un rosso rubino profondo. Naso avvolgente con frutta matura a polpa scura dalla ciliegia marasca alla mora. Note speziate sul fondo. In bocca denota la sua struttura, caldo e pieno, di piacevole morbidezza. Tannini di grande trama e di giusta dolcezza. Sul finale ampio e lungo si riconoscono ancora le note fruttate ravvivate dalla freschezza delle spezie.
Soc. Agr. I Balzini - Black Label 2007 - Igt Colli della Toscana CentraleCabernet Sauvignon - Sangiovese - MerlotLimpido. Rosso rubino con leggero granato all’unghia.Al naso intenso e persistente con floreale di Mammolo e rosa. Speziatura elegante con finale di cacao. Fruttato di prugna e frutti di bosco maturi, in evidenza il lampo-ne. Al gusto caldo, di corpo, leggera dominanza tannica già evoluta, sapido e con acidità vestita. Molto persistente.
81
speciale Toscana
GLI INCONTRI INTERNAZIONALI
e LE GRANDI VERTICALI DI IAN
D’AGATA faranno conoscere al
pubblico veri e propri cult wines quail
l’Araujo e i Passiti d’Austria, e sa-
pranno sapere emozionare i palati
con annate epiche, dai Capezzana
degli anni ’30 ai Riesling austria-
ci degli anni ’70, passando per il
Chianti Classico Monsanto al 1964
fino ad approdare a Veuve Cliquot e
Bordeaux di annate difficili da dimen-
ticare.
a cura della redazione di Quality ADV
82 Il Sommelier Novembre-Dicembre 2010 • n. 6
Dal 5 al 7 febbraio 2011 il Salone delle Fontane
del Quartiere EUR a Roma ospiterà la seconda edizione del
ROMA VINOEXCELLENCE& MERANO WINEFESTIVAL.
Un evento di assoluta ri-
levanza internazionale
che persegue l’ambi-
zioso obiettivo di creare cul-
tura nel mondo del vino, per-
mettendo ad appassionati e
winelovers di conoscere i più
autorevoli esperti mondiali, di
partecipare a focus e seminari
di grande interesse, nonché
di poter degustare vini davve-
ro unici provenienti da tutto il
mondo, insieme a quelli pro-
posti dalle 100 aziende italia-
ne selezionate da Ian d’Agata
ed Helmuth Köcher.
I CONVEGNI SCIENTIFICI si
apriranno SAbATO 5 FEb-
bRAIO con L’Osservatorio
2011: Méthode Classique
e Méthode Charmat, e pro-
seguiranno con il Secondo
Simposio Internazionale
del Riesling, con contri-
buti da Germania, Austria,
Canada, Francia e Italia.
DOMENICA 6 FEbbRAIO si
punteranno i riflettori su un vi-
tigno sempre più apprezzato
da pubblico e critica, il Merlot,
con The Rome International
Focus on Merlot con esperti
di calibro mondiale quali Jean-
Claude Berrouet di Petrus,
Kees Van Leeuwen di Cheval
Blanc e altri ancora.
LuNEDì 7 FEbbRAIO la
Round Table Conference
sul Cabernet Sauvignon
con relatori quali il Marchese
Incisa della Rocchetta,
Eric Boissenot, Axel Heinz,
Gonzague Lurton e Claire
Villars.
Ian D'Agata ed Helmuth Köcher
LE GRANDI DEGUSTAZIONI ogni giorno dalle ore 14 alle ore 20• 100 aziende vitivinicole italiane con oltre 500 vini in degustazione• Più di 100 grandi vini esteri in assaggio• I Grandi vini e prodotti gastronomici del Friuli Venezia Giulia• Incontri con esperti ed enologi di fama internazionale
GLI ESPERTI - giornalisti e wine writerBernard Burtschy (Le Figaro, F), Abi Dhur (Lussemburgo), Charles Metcalfe (International Wine Challenge, GB), Jens Priewe (Der Feinschmecker, D), Margaret Rand (Decanter, GB), Eric Riewer (La Revue du Vin de France,, F), Luzia Schrampf (Der Standard, A), Rocco Lettieri (giornalista, CH), Massimo Claudio Comparini (New Wine Journal), Fabio Turchetti (Il Messaggero) e tanti altri.
I CONVEGNI• Sabato 5 febbraio: 9.30-12.00 - L’Osservatorio 2011: Champagne, Metodo Classico e Metodo Charmat• Sabato 5 febbraio: 15.30-17.30 - Il Secondo Simposio Internazionale sul Riesling• Domenica 6 febbraio: 9.30-12.00 - The Rome International Focus on Merlot• Lunedì 7 febbraio: 9.30-12.00 - Conferenza-tavola rotonda sul Cabernet SauvignonAd ogni convegno seguirà una degustazione di 18 vini da tutto il mondo con i loro produttori.Degustate Sassicaia, Ornellaia, Château Durfort-Vivens, Château Haut-Bages Libéral, Messorio Le Macchiole, Redigaffi Tua Rita, Champagne Billecart-Salmon ed altri.
LE GRANDI VERTICALI E DEGUSTAZIONI GUIDATE DA IAN D’AGATA• Jean-Claude Berrouet (Ch. Petrus) e i grandi Merlot di Pomerol e Saint Emilion incluso il mitico Château Petrus• Kees van Leuwen e espressioni del Merlot nel territorio del Cheval Blanc con Petit Cheval e Cheval Blanc 1997 - 2001• Jaime Araujo e Araujo, verticale del vino cult americano• Luzia Schrampf e gli Eiswein e Passiti d’Austria• Ricardo Freitas e il Madeira Barbeito dal 1987 (!) - 1920 - 2000 - 2002• Dominique Demarville e Champagne Veuve Cliquot dal 1975 al 1990• Denis Blée e Champagne Billecart Salmon dal 1988 al 2000• Beatrice Contini Bonacossi e Carmignano di Capezzana dal 1930 al 2000• Laura Bianchi e il Castello di Monsanto Chianti Classico Riserva Il Poggio dal 1964 al 2006• Maurizio Castelli e Francesco Marone Cinzano e il Brunello di Montalcino Col d’Orcia MG 1985-2001• Delia Viader e Viader degustazione Cabernet cult del Napa Valley• Clair Villars e Gonzague Lurton e verticale di Château Haut Bages-Libéral e Durfort-Vivens• Riesling d’Austria e Riesling della Germania, verticale dal 1970
Ingresso € 35Per maggiori informazioni, visitate il www.meranowinefestival.com
Sabato 5, domenica 6 e lunedì 7 febbraio 2011Salone delle Fontane, Roma
Partner:Organisation:
(i soci FISAR usufruiranno di uno sconto riservato)
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 184
La FISAR ha risposto positivamente
all’invito di Slow Food partecipando
attivamente al Salone del Gusto che si
è svolto a Torino dal 21 al 25 ottobre 2010.
Nei giorni di apertura sono stati impiegati 100
sommelier provenienti dalle Delegazioni di
Alessandria, Asti, Biella, Torino e Vercelli.
I nostri sommelier hanno
“versato”, consigliato
e descritto qualcosa
come 120.000 bicchieri
di vino dall’ENOTECA
PIU’ GRANDE DEL
MONDO (come ha
scritto il New York
Times) scelti tra le 1.759
etichette dei migliori vini
al mondo nell’Enoteca
e le 547 etichette
nell’esclusiva Banca del
Vino - Slow Wine.
“Un ringraziamento sincero va alla FISAR
- dichiara il Presidente di Slow Food
Roberto Burdese. - La professionalità e la
disponibilità dei sommelier ha trasformato la
manifestazione in un evento che sarà ricordato
negli anni per molti motivi: uno è sicuramente la
professionalità dimostrata dai sommelier. E poi.
Gli espositori sono soddisfatti, hanno stretto
contatti importanti con gli operatori di settore, si
sono divertiti ed era tempo che non si vedevano
così tante facce allegre” continua il Presidente
di Slow Food Roberto Burdese. e venendo
ai numeri: “Se è difficile fare una stima precisa,
possiamo però affermare che è stato raggiunto
l’obiettivo dei 200.000 visitatori. Tra questi il
30% sono stranieri. Rispetto al 2008 poi si sono
venduti più libri: un dato che rivela una mutazione
culturale in atto nel pubblico del Salone, rispetto
alla prima edizione del 1998: grande successo
ovviamente della nuova
guida Slow Wine e
anche, a sorpresa,
de Il piacere dell’orto,
entrambi titoli di Slow
Food Editore”.
“È stato un piacere e
un orgoglio partecipare
ad un’importante
m a n i f e s t a z i o n e
mondiale come è il
Salone del Gusto di
Torino - dichiara il
Presidente FISAR Vittorio Cardaci Ama.
- I nostri sommelier hanno dimostrato con i
fatti e con la loro assoluta eleganza la nostra
genetica vocazione indirizzata alla promozione
e divulgazione dell’eccellenza del comparto
certificando la nostra riconosciuta professionalità
in Italia e all’estero”.
I nostri sommelier sono stati anche impiegati
per la presentazione della prima guida Slow
Wine 2011 nella stupenda cornice della Reggia
di Venaria Reale.
Chiude i battenti l’ottavoSalone del Gusto:
di Roberto Rabachino l’edizione dei record con la FISAR protagonista
da sx.: Vincenzo Fragomeni, Davide Scabin, Fiorenza Cambiaghi, Giangiacomo Stella e Gladys Torres
Un gruppo di Sommelier con Luigi Mastrocicco Resp. Nazionale dei Sommelier
Il nostro stand al Salone del Gusto
Da sx.: Luigi Terzago, il Presidente Vittorio Cardaci Ama, Roberto Rabachino, Mario Del Debbio,Luigi Mastrocicco
Roberto Burdese, presidente Slow Foodcon due nostri Sommelier
Il Segretario Nazionale Mario Del Debbioringrazia Vincenzo Fragomeni, capo servizi
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 85
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Questa volta non ci occuperemo di una
vera e propria doc e neanche di una realtà
commerciale ben definita ma piuttosto di
esempio di viticoltura di qualità realizzato attraverso
una struttura abbastanza singolare quale è la colo-
nia penale dell’isola di Gorgona. La Gorgona è la
più piccola e la più settentrionale isola dell’Arcipela-
go Toscano. Il Territorio ricade amministrativamen-
te nel comune di Livorno, ed è parte integrante del
Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Dista 34
Km da Livorno e 60 Km dalla Corsica. La sua su-
perficie è circa 2,50 Kmq per capirsi il lato più lungo
è circa 2 km.
La storia di quest’isola è stata legata per molti secoli
alla chiesa, infatti fin dagli albori del Cristianesimo
ha visto vari insediamenti di ordini religiosi a
carattere eremitico a cominciare da Sant’Agostino
che vi soggiornò per un certo periodo. L’egemonia
Gorgona! “l’isola che non c’è”
È l’isola più piccola dell’Arcipelago Toscano ed è sede di una colonia penale ad indirizzo
agro-zootecnico dal 1869.“”
di Luca Iacopini e Massimo Bracci
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La Rocca Vecchia
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 87
religiosa continuò fino quasi alla fine del 1700
quando l’ultimo ordine dei certosini abbandonò
definitivamente l’isola e da quel periodo divenne
un importante centro per la pesca delle acciughe
fino ad arrivare al 1869 in cui buona parte dell’isola
fu destinata a colonia penale. Gorgona mostra un
territorio collinare, con una sorta di piccola dorsale
montuosa con la massima punta a quota 255 s.l.m..
Nonostante sull’isola siano presenti alcune sorgenti
non esistono corsi d’acqua perenni. Sono presenti
zone umide ma di piccole dimensioni. Il versante
orientale mostra ampi terrazzamenti, realizzati
principalmente alla fine dell’ottocento. Alcune
di queste terrazze ospitano tuttora coltivazioni;
altre sono in corso di rinaturalizzazione con le
principali essenze floristiche mediterranee o dalla
pineta di pino d’Aleppo. L’unico punto di approdo
dell’isola è una piccola insenatura denominata
Cala dello Scalo dove per altro si sviluppa l’unico
insediamento di tipo civile. Quasi la totalità dell’isola
è dedicata all’insediamento penitenziario. L’Isola
ospita attualmente 60 detenuti e 30 agenti di polizia
penitenziaria, stagionalmente alcuni risiedono con
la propria famiglia. La comunità autoctona residente
sull’isola è ormai ridotta a una sola persona,
gorgonese veracemente e fortemente affezionata
alla sua terra la signora: Luisa Citti di 85 anni. Altri
gorgonesi hanno mantenuto la residenza ma si
recano sull’isola solo nei periodi di vacanza. L’intero
territorio di Gorgona, comprese le abitazioni del
villaggio sono di proprietà del Demanio. Dal 1986
è possibile visitare l’Isola con i permessi speciali da
parte della Direzione della Casa di Reclutamento.
Il Clima in Gorgona è generalmente definibile di
tipo mediterraneo ossia inverni miti con piovosità
concentrate in autunno e primavera e stagioni estive
calde e tendenzialmente siccitose. In un ampia area
definita “agricola” si svolgono la maggior parte delle
produzioni vegetali e animali. Sono allevati tutti gli
animali domestici (bovini, suini, ovo-caprini, equini,
asini, pollame, api) e coltivate le tipiche specie
vegetali della nostra zona (vigna, olivi, ortaggi, piante
aromatiche e officinali). I principi ai quali si ispirano
le varie produzioni agro-alimentari della casa di
reclusione sono fondati sul rispetto dell’ambiente
e del consumatore, sul benessere degli animali
allevati e sulla qualità delle coltivazioni. I prodotti
vengono venduti in un circuito interno perché le
finalità principali dell’amministrazione carceraria non
è economica ma formativa e rieducativa.
In questa realtà agricola esiste anche una piccola
produzione di vino, che due anni fa è stata presente
anche al Vinitaly. Sono 2 ettari di vigneto con circa
6.000 piante allevate a cordone speronato impiantati
nel 1999 con vari vitigni come il Vermentino e
l’Ansonica per i vitigni a bacca bianca; il Sangiovese, il
Merlot e l’Alicante per i vitigni a bacca rossa. Sull’isola
è presente anche una cantina per la vinificazione
dove vengono eseguite tutte le operazioni sino
all’imbottigliamento. Tutte le fasi della produzione
sono svolte dal personale detenuto dirette da un
enologo esterno incaricato dal Ministero di Grazia
e Giustizia. Durante il nostro pranzo, fatto sotto una
piccola pineta di Pino marittimo, in uno scenario
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 188
mozzafiato con il mare a pochi metri e in lontananza
il continente, ci hanno fatto bere il “loro” rosso come
lo ha definito Paolo (nome simbolico che abbiamo
dato al nostro “sommelier” detenuto su quell’isola
oramai da dieci anni). Questo vino composto per il
circa 70% di Sangiovese e il restante di Merlot si
mostra nel bicchiere con un coloroe rosso rubino
carico poco trasparente. Al naso un vino complesso
dove predomina la viola ma decisamente il Merlot fa
la sua parte con intensi frutti rossi maturi. In bocca
un vino di corpo, intenso, fortemente tannico con
le componenti dure piuttosto rilevanti comunque
sufficientemente equilibrato. Qui si percepisce tutta
la voglia di queste persone: la volontà di fare un
ottimo prodotto ma con mezzi non più adatti alle
vinificazioni moderne. Parlando con il personale
si capisce che non sempre è facile conciliare la
detenzione con i tempi di madre natura come la
raccolta, la fermentazione, le temperature, gli orari,
il meteo, etc. Abbiamo fatto i nostri complimenti
perché in quel posto, con quel pranzo, non avremmo
voluto bere nessun altro vino al mondo.
Gorgona con umiltà e impegno cerca di soddisfare
il fine ultimo del carcere: restituire persone migliori
alla società di oggi. La terra, le piante e gli animali
rappresentano educatori fondamentali per ogni
essere umano; L’isola offre questa opportunità in
un contesto ambientale e paesaggistico di immenso
valore. In virtù delle molteplici attività svolte sull’isola
oggi sono diversi i percorsi di collaborazione con la
società esterna, il tutto per permettere a ciascun
individuo un nuovo reinserimento socio-lavorativo.
Visitare Gorgona è stata un’emozione unica, ed è
impossibile rimanere insensibili alle bellezze che
essa ci propone o alle quantità di punti di interesse
che, concentrare in un così minuscolo territorio, ci
rivela. Auguriamo a tutti di vedere questo gioiello
della nostra bellissima Italia.
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Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 190
Conosciuta in tutto il mondo, la Mosella è,
insieme alla vicina Rheingau , la regione
vitivinicola tedesca più rinomata. Un
paesaggio fluviale romantico e profumato che
segue lo snodarsi del fiume omonimo. Di origini
antichissime, le prime viti vi furono impiantate in
epoca romana.
La produzione è quasi completamente dedicata
ai vini bianchi anche se alcuni produttori hanno
destinato piccoli appezzamenti alla coltivazione
di pinot nero con risultati contrastanti.
Il vitigno più importante qualitativamente parlando
è il celebrato Riesling renano, che originario di
queste regioni quando riesce a trovare i pendii
con le giuste esposizioni e le giuste composizioni
del suolo può dare vini di eccezionale qualità
caratterizzati da una longevità incredibile.
I riesling di qualità sono vini dotati di un’elevata
acidità, con spiccate note minerali che
presentano note vegetali e fruttate che con
l’invecchiamento virano verso i caratteristici
sentori di idrocarburo tipici di questo vitigno. Un
ottimo standard di qualità si può trovare nella
regione compresa tra i comuni di Brauneberg
e Erdener, dove è anche ubicato il vigneto
Calmont, presso Bremm che presenta il pendio
più ripido d’Europa con i suoi 68°. In questa parte
di Mosella si trovano i più rinomati vigneti come
il Doctor di Bernkastel, l’Ürziger würtzgarten,
l’Erdener Treppchen e l’Erdener Prälat.
A donare ai vini grande qualità è la presenza
di vari tipi di ardesia (grigia, blu e rossa) che li
arricchiscono di una spiccata mineralità ed in
alcuni casi di note affumicate.
Altra caratteristica peculiare è che il terreno di
questa regione assorbe calore durante il giorno
e lo rilascia nelle ore notturne favorendo la
maturazione dei grappoli. Nel comune di Ürzig il
suolo cambia. Il terreno è vulcanico, per cui ricco
di ferro. Questa caratteristica trasmette ai vini
particolari note speziate che possono ritrovarsi
accompagnate da sentori di frutta esotica e
tropicale nei vini provenienti dal vigneto Prälat,
situato nel comune di Erden, il cui terreno è
composto da ardesia rossa e la cui esposizione
è la migliore di tutta quest’area.
Passeggiando in questa terra si coglie un
aspetto, che in parte l’accomuna con la
Borgogna, e cioè che i vigneti sono suddivisi
in moltissime proprietà, con rare eccezioni,
in cui un singolo vigneto è di proprietà di un
unico produttore. Questa frammentazione
Viaggio in Mosella
Ogni passo mosso in questa valle è un’occasione per scoprire idilliaci scorci panoramici
dei vigneti che dominano il paesaggio. “”
a cura di Enrico Folpini sommelier della Delegazione di Bareggio
Newsdal MONDO
causa non poche difficoltà ai produttori, il cui
lavoro in vigna è già reso complicato dalle
pendenze importanti. A colpire i visitatori
sono i sorrisi e la cordialità dei produttori
della zona, grandi o piccoli che siano, sempre
disponibili ed ospitali nei confronti di chiunque.
Per quanto riguarda i produttori più importanti
di questa regione è consigliabile prenotare le
visite ed essere in gruppi non eccessivamente
numerosi perché i locali destinati alle
degustazioni non sono particolarmente ampi. Le
spiegazioni puntuali dei sommelier e degli enologi
qualificati (che generalmente parlano un ottimo
inglese) rendono ineccepibili le degustazioni.
Permettono di cogliere le differenze e le diverse
sfumature tra i vini prodotti con uve provenienti
da vigneti differenti, che qui vengono vinificati
separatamente ed indicati sulle etichette
delle bottiglie. Da non perdere sono le visite
a produttori come J.J.Prumm, Dr Loosen,
Markus Molitor e Fritz Haag dove è possibile
degustare alcune delle migliori etichette della e
visitare alcuni dei vigneti più caratteristici della
mittel mosel. Effettuando più visite è anche
interessante cogliere le differenti caratteristiche
e filosofie che contraddistinguono i diversi
produttori, ad esempio Markus Molitor produce
vini con un residuo zuccherino più elevato
che risultano meno secchi e di conseguenza
più facili per chi li consuma, Dr. Loosen astro
nascente della mosella e vincitore del “Decanter
Man of the year 2005” si distingue per la grande
eleganza e raffinatezza dei suoi vini provenienti
da viti situate nelle zone migliori, che hanno
la caratteristica di essere molto longeve, con
un’età compresa tra i 60 e i 100 anni, ed ancora
a piede franco (quindi non innestate su piede
americano) poiché l’ardesia ed il clima di queste
latitudini non consentono l’attacco da parte
della fillossera,responsabile in altre zone di una
distruzione quasi totale delle vigne.
Il vantaggio delle viti a piede franco consiste
nel fatto che si hanno produzioni inferiori
quantitativamente ma migliori qualitativamente
rispetto alle viti innestate, inoltre essendo
solitamente anche piuttosto vecchie hanno
radici molto sviluppate che permettono una
migliore e maggiore estrazione delle sostanze
presenti nel sottosuolo che donano ai vini una
più alta concentrazione delle note minerali e
speziate.
Un aspetto interessante che merita un
approfondimento è la classificazione dei vini
tedeschi. Conoscerla è necessario per sapersi
orientare tra la moltitudine di tipologie diverse,
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 91
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 192
soprattutto per quanto riguarda le vendemmie
tardive botritizzate, che da queste parti
venivano già realizzate un secolo prima che nel
rinomato bordolese, che stando ad alcune fonti
avrebbe importato la muffa nobile proprio da
queste regioni.
Altra meta da non perdere è la Ruwer. La zona
prende il nome da un piccolo affluente di destra
della Mosella, che si trova poco a sud di Trier,
città romana che regala piacevoli scoperte.
Nella Ruwer spesso i vigneti sono proprietà di
un unico produttore e i suoi vini hanno spiccate
note vegetali ed un grado di acidità superiore
rispetto a quelli prodotti in Mosella.
Le due più significative aziende vinicole della
zona sono Maximin Grunhaus e Karlsmühle.
Maximin Grunhaus è una storica proprietà. Le
sue origini risalgono all’anno mille.
In passato è appartenuta al clero e a famiglie
nobili. L’attuale proprietario è la famiglia
Von Schubert nella persona del Dott. Carl,
pluripremiato enologo di grande esperienza che
produce vini di grande eleganza e longevità,
il quale fa anche da eccezionale anfitrione
durante la visita alla tenuta ed alle splendide e
storiche cantine, le cui pareti sono interamente
ricoperte di muffa.
Una curiosità è il fatto che le botti da circa 800
litri utilizzate per l’affinamento, vengono prodotte
utilizzando legno di rovere proveniente da alberi
presenti nella tenuta; per i primi passaggi le
botti vengono destinate all’affinamento del pinot
bianco e solo successivamente, quando la
cessione dei profumi si riduce, vengono invece
utilizzate per il Riesling.
Karlsmühle è l’altro produttore di riferimento e
si trova a poche centinaia di metri dalla Maximin
Grunhaus. Qui la visita è facilitata poiché
l’agronomo Kay Hausen parla un ottimo italiano.
La filosofia dell’azienda prevede vini molto
freschi e secchi che presentano sentori fruttati
e vegetali molto eleganti e persistenti. Questi
risultati si ottengono grazie alla fermentazione
spontanea la cui temperatura viene mantenuto
a circa 11°c.
Questi produttori non effettuano trattamenti
con pesticidi e anticrittogamici e utilizzano
prevalentemente fertilizzanti naturali come la
paglia delle stalle e la legna delle vecchie vigne
mentre per quanto riguarda la vinificazione
utilizzano i solfiti in quantità molto basse .
In conclusione, il consiglio è di venire a visitare
questa regione per scoprire una gamma di vini
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 93
veramente interessanti in una terra che offre
degli scorci paesaggistici eccezionali.
ClASSIFICAzIONe DeI VINI
La legislazione tedesca prevede per i vini
ottenuti da uve di qualità la denominazione QpM
(Qualitätswein mit Prädikat), all’interno della
quale troviamo una decina di denominazioni.
Quelle da ricordare sono:
Kabinett
Vini leggeri e freschi da bere giovani, anche se
sopportano senza problemi un invecchiamento
superiore ai dieci anni. Sono definiti trocken
(secco) nel caso in cui il residuo zuccherino sia
basso o halbtrocken (semisecco) e fineherb
quando il residuo di zuccheri è più elevato.
Spätlese
Vini ottenuti da uve leggermente sovra mature.
Si prestano a un buon invecchiamento.
Auslese
Vini ottenuti da uve sovramature, in alcuni casi
botritizzate, con una selezione dei grappoli
e con uve più mature rispetto agli spatlese.
Questi vini sono molto morbidi per il contenuto
zuccherino elevato e necessitano di un buon
invecchiamento.
Beerenauslese
Vini ottenuti da uve sovramature e botritizzate
raccolte a mano che prevodono l’utilizzo dei
soli acini attaccati dalla muffa i quali vengono
selezionati dureante la vende; questi vini sono
generalmente dolci e presentano i sentori
caratteristici della muffa nobile e si prestano ad
un lungo invecchiamento.
Trocckenbeerenauslese
Vini ottenuti da uve botritizzate completamente
disidratate. Risultano molto dolci, hanno
basso contenuto alcolico e un periodo
d’invecchiamento quasi illimitato.
Questi vini possono competere con i migliori
Sauternes.
eiswein
Vini ottenuti da uve gelate sulle vigne che
presentano un alto grado di acidità e una grande
concentrazione di zuccheri. La parte ghiacciata
degli acini, quasi completamente composta da
acqua, viene eliminata durante la pressatura.
Sono vini che, se prodotti in maniera perfetta,
sono dotati di grande eleganza e dolcezza
ma non risultano stucchevoli grazie all’elevata
acidità. Anche per gli eiswein l’invecchiamento
è pressoché illimitato.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 19494
fin amiglia
Festa del decennale della FISAR di CosenzaNel Rinascimento dei vini del Mezzogiorno la Calabria sta cominciando a segnalarsi con qualche etichetta, qualche produttore ma soprattutto con l’orgoglio di questi ristoratori “ambasciatori” della propria terra che, assieme a piatti gustosissimi e tenacemente locali, cominciano a proporre sempre di più i vini calabresi.In questi ultimi anni, si e potuto assaporare il gusto di questo cambiamento: che è prima di tutto culturale, e sta avvenendo nella stessa terra che gli antichi greci chiamavano Enotria.L’occasione più recente è stata il 26 agosto, quando Francesco Pingitore (che cura la delegazione della provincia di Cosenza) mi ha voluto fra i relatori del decennale. Scenario incantevole il Miramare Palace Hotel di Trebisacce ma, soprattutto, mi hanno colpito le testimonianze di stima che sono arrivate da tutta Italia.
La nostra amata penisola ha la fortuna di racchiudere in natura una enorme varietà di vitigni e, di conseguenza, di Doc e, chi come me ama il vino, è perennemente alla ricerca di qualcosa di nuovo. Quello stesso desiderio di scoperta, anzi di riscoperta vista l’antichissima tradizione dei vini calabresi, ha animato anche le altre relatrici che da Toscana e Campania hanno voluto celebrare i dieci anni della FISAR di Cosenza. La piscina del Roof Garden e la luna rossa affacciata sulle acque dello Jonio hanno fatto da coreografia al talk show serale condotto da Francesco Pingitore, attuale delegato della Federazione, dal titolo “Vino, arte, cultura e le donne”.Dopo i saluti di rito dei componenti del direttivo associativo, sommelier e titolari delle cantine associate, e quelli istituzionali del sindaco di Trebisacce, Mariano Bianchi e del consigliere regionale Gianluca Gallo, al tavolo degli interventi si sono, succedute
diverse esponenti femminili del mondo dell’enogastronomia. Tra tutte Maria Teresa Lanza, consigliere nazionale FISAR e responsabile del settore sviluppo, Elisa Niccoli, sommelier professionista toscana, volto iperfotografato dalle riviste di settore. Con loro anche io che, a distanza di poche settimane, nell’ambito della mia attività di food expert e sommelier in lingua inglese mi sarei ritrovata a New York con il sapore della Calabria e dei suoi vini ancora freschi sul palato.Vino & cibo, la Calabria ha tanto da esprimere e lo abbiamo potuto apprezzare nella degustazione del decennale della FISAR di Cosenza con vini bianchi e rosati provenienti da otto cantine associate: Rivera, Spadafora, Tramontana, Farneto del Principe, Russo & Longo, Vignaioli del Pollino, Tenuta del Castello e Feudi San Severino.Notizia inviata da Antonella Millarteper la Delegazione di Cosenza
Forte divino Sotto le Stelle con la FisarSi è svolta quest’estate sulla bellissima spiaggia di Forte dei Marmi “Forte divino Sotto le Stelle”. Questa manifestazione nasce perché troppo spesso i vini bianchi, anche se importanti, non ricevono l’attenzione che meritano; troppo difficile riuscire ad assaggiare in comparazione diretta molti vini spumanti; praticamente
impossibile assaggiarli se provengono da varie parti del mondo. Nasce piano piano...un po’ in sordina ma già con idee ed obiettivi ben chiari: raccogliere in un solo evento tutto ciò che di meglio è acquistabile in Italia. Negli intenti degli organizzatori c’è la volontà di far diventare questa serata sulla spiaggia l’evento più mondano dell’estate, in una delle località italiane più esclusive.Gli ingredienti di “Forte divino Sotto le Stelle” sono semplici ma creano un’alchimia incredibilmente affascinante. Una notte speciale
in compagnia di grandi vini e gastronomia d’eccellenza, nella cornice di una spiaggia tra le più belle d’Italia per un incontro unico nel suo genere, ambientato in uno scenario straordinario come la spiaggia di Forte dei Marmi, conosciuta in tutto il mondo per i suoi bellissimi tramonti oltre che per la cura della propria offerta turistica. Una serata di degustazione dedicata al vino bianco, bollicine e ai prodotti della terra di Versilia.Molte le cantine presenti che hanno accompagnano con i loro vini una cena di ottimo livello, all’interno di
95Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 95
fin amiglia
uno dei più bei stabilimenti balneari di Forte dei Marmi il tutto coordinato dai sommellier della F.I.S.A.R. della delegazione Versilia. Una serata magica dall’atmosfera avvolgente dove sono stati assaggiano i vini più rappresentativi di alcune della cantine più prestigiose e dove è stato possibile conoscere direttamente i produttori in un ambiente tranquillo e rilassato. Da contorno un ricco menù fortemarmino, seduti ad una tavola elegantemente apparecchiata per l’occasione sulla sabbia, a pochi metri dal mare.Notizia inviata da Luca Iacopini
In questi giorni 8 ragazzi protagonisti del programma “Viages sen sin” che tradotto suona “viaggi senza fine” sono stati ospiti dell’APT di Pisa con tanto di telecamere al seguito per registrare un nuovo format per la televisione brasiliana. L’occasione è stata sfruttata per proporre una cena a base di Tartufo, accompagnata da una degustazione dei vini locali e un corso di cucina su come preparare la pasta secondo la tradizione Toscana. La degustazione dei dieci vini presenti è stata fatta dal sommelier Iacopini dove oltre a relazionare e degustare i vini è stato simpaticamente affrontato l’abbinamento con i piatti degli entrambi paesi, in un vero e proprio gemellaggio enogastronomico. Il tutto firmato per essere trasmesso in uno dei paesi a più alto sviluppo economico del mondo: il Brasile, da Globo sat la più grande pay tv dell’America Latina.Basti pensare che il Brasile, nei prossimi anni si svolgeranno i Mondiali di calcio e le Olimpiadi e che la crescita stimata del prodotto interno lordo per il 2010 è superiore al 7%. Potenziali
Turisti che potranno prendere visione della bellezza della Toscana attraverso questa sorta di grande fratello itinerante dalla Spagna all’Italia. Gli 8 ragazzi che caratterizzeranno le puntate dello show viaggiano su un camper, seguito da operatori della produzione per tutti i 26 giorni del viaggio. Le tappe sono Valencia, Tarragona, Leida, Andorra, Barcellona e Girona in Spagna, Perpignan, Marsiglia, Nizza,la Corsica e il principato di Monaco in Francia Genova, Pisa, Firenze Siena, Perugia
e Roma in Italia. Un format giovane e accattivante dove si raffigura le quotidiane abitudini dei giovani in paesaggi mozzafiato. Per il territorio Toscano è una promozione di rilievo, in modo particolare quella pisana che nel recente passato è stata celebrata da giornali autorevoli Usa proprio come meta di facoltosi acquirenti di tenute su cui investire in alternativa alla “vicina” Siena.
Notizia inviata da Luca Iacopini
La Fisar presenta i “Chianti delle colline Pisane” alla tv Globo
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 19696
fin amiglia
Consegna degli attestati al primo sommelier della Delegazione di Lodi
Festa grande a Lodi, giovedi 7 otto-bre, presso il ristorante “La Quinta”, la giovane delegazione Fisar, ha conse-gnato i diplomi ai primi sei sommelier del territorio: Rocco Chiarillo, Antonio Fusarpoli, Riccardi Ursula, Alberto Sabbioni, Manola Suzzani, Rinaldo
Zuccarello.La giovane delegazione, capeggiata dalla delegata Annarita Granata, si propone allo scenario lodigiano con entusiasmo, brio e spirito innovativo. La voglia di diffondere la cultura e la conoscenza del vino rende la delega-
zione propositiva e vogliosa di colla-borare anche con enti esterni e realtà enogastronomiche del territorio.I festeggiamenti sono avvenuti alla presenza di amici, colleghi, della pro-duttrice friulana Antonella Cantarutti ( i cui prodotti hanno deliziato gli astan-ti) e di Roberto Pace, delegato della Fisar di Pavia; delegazione che si rin-grazia per l’appoggio e la disponibile collaborazione fornita nei tre corsi di formazione dei neosommelier. La delegazione di Lodi, che sta per cominciare i nuovi corsi, di cui un secondo livello, propone un autun-no ed un inverno caldi: corsi pro-fessionali per sommelier, minicorsi per avvicinare i neofiti ancora inde-cisi, serate di abbinamento cibo-vino, serate di degustazione a tema.
Notizia inviata da Annarita Granata della Delegazione di Lodi
IX edizione selezione vini di ToscanaLa FISAR è stata chiamata nuovamen-te all’importante degustazione. Il concorso ha l’obiettivo di selezio-nare e premiare i migliori vini toscani per creare un vero e proprio bouquet d’eccellenza da utilizzare in azioni di promozione, e per realizzare uno stru-mento di consultazione multimediale e cartaceo pensato per favorire nuovi
contatti a livello nazionale ed interna-zionale.I sommelier chiamati sono stati ( da sx nella fotografia) : Marco Barbi -Del. Valdichiana, Fabio Cartei - Del. Le Due Valli, Andrea Bencini - Del. Firenze, Davide Cecio e Davide Amadei - Del. Livorno.Alcuni numeri.1364 campioni di vino in degustazione in rappresentanza di 467 aziende (nel 2008 i campioni erano 1207).I campioni sono divisi in 19 categorie. I degustatori sono 7 per commissio-
ne, la valutazione è singola e non per commissione. Le commissioni sono 11 e sono composte da 1 sommelier, il resto sono enologi nazionali ed inter-nazionali, giornalisti del settore nazio-nali ed internazionali.Le commissioni hanno fatto 5 sessio-ni di lavoro, ogni sessione si divide in due segmenti di 12-14 vini ciascuno. La scheda di valutazione è quella in-ternazionale dell’ Union Internationale des Enologues.I vini che raggiungeranno un risul-tato pari o superiore ad 85/100
97Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 97
fin amiglia
saranno premiati con una menzione speciale, i primi 5 vini che per ogni categoria avranno ottenuto il pun-teggio più alto in assoluto, riceve-ranno invece un diploma d’onore.
Notizia inviata da Claudia Marinelli, consigliere nazionale FISAR
La Delegazione di Padova il 17 ottobre scorso ha con piacere partecipato attivamente alla Festa del Vino denominata “VII Berényi Borünnep”, nella bella cittadina Ungherese di Jászberény, accompagnando alcuni produttori del Padovano e portando senza ombra di dubbio un’importante e significativa nota di professionalità nel servizio ma soprattutto, dando lustro alla Sansovino Vigneti e Cantine di Conselve (PD), che anche grazie ai Sommelier FISAR, ha ricevuto un consenso inaspettato, valorizzando la qualità dei prodotti del Veneto e il made in Italy.FISAR Padova rappresentata dal Delegato Andrea Zampieri e dai tre Sommelier Anna Oksana Kolyuzheva, Diego Chiaro e Filippo Girotto, prima di effettuare il servizio hanno avuto modo di visitare alcune cantine di Eger, tra cui una piccola ma pregevole realtà, Kovàcs Nimròd Winery.
Accompagnati da alcune guide locali, la delegazione ha potuto osservare le tecniche di lavorazione delle uve, ancora molto artigianali, visitando poi la caratteristica cantina, che affina e conserva i vini esclusivamente in barrique e tonneau, disposti lungo un’interminabile galleria scavata nella roccia e nel sottosuolo. La Delegazione ha avuto anche modo di visitare uno stabilimento di produzione di botti, dove si è potuto apprezzare la bontà dei legnami impiegati e le tecniche di lavorazione, ancora artigianali e di pregevole fattura. Lavorazioni che non utilizzano moderne attrezzature di taglio, ma il semplice impiego delle sapienti mani, basate sull’esperienza centenaria di un’azienda locale. La manifestazione svoltasi in un contesto folcloristico con tutto il sapore dei bei tempi andati, ha offerto visibilità ad una trentina di cantine ungheresi, tra
cui alcune dell’area Tokaj, con grande interesse da parte del pubblico. Unica cantina italiana presente alla manifestazione, è stata l’azienda vinicola Sansovino Vigneti e Cantine, che con il prodotto di punta “Friularo Ambasciatore”, ha letteralmente entusiasmato gli avventori. La manifestazione ha avuto un notevole successo per noi italiani, anche grazie al binomio stretto in quell’occasione, con la FISAR di Padova e due produttori di formaggio e salumi del Padovano, evidenziando l’alta qualità del food Italiano, particolarmente apprezzato con esaurimento di tutti i prodotti
esportati a Jászberény. FISAR Padova, per mano del Delegato Zampieri, ha voluto inoltre ringraziare per l’ospitalità ricevuta, le autorità, donando la rivista Il Sommelier, con lo speciale Veneto, e il gagliardetto FISAR con l’emblema della nostra Federazione al Sindaco Dr. Szabò Tomàs, che apprezzando il gesto, oltre a notare la qualità dei prodotti della nostra Regione e l’eleganza del servizio FISAR, ha potuto constatare che questa occasione ha valorizzato ulteriormente il gemellaggio tra Conselve e Jászberény, auspicando che questa manifestazione, dedicata alle tradizioni e al vino, meriti in futuro la giusta attenzione e possa diventare punto di riferimento, utile anche ad incrementare i rapporti e gli scambi tra Italia e Ungheria.
Notizia inviata da Andrea Zampieri della Delegazione di Padova
La FISAR di Padova in Ungheria
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 19898
fin amiglia
La FISAR di PontederaValdera a Pisaunicaterra 2010
Nei giorni 13 e 14 novembre si è svolta per la prima volta a Pontedera, presso il Centro Sete Sois Sete Luas, la rassegna dell’enologia pisana PISAUNICATeRRA DI VINO 2010, giunta alla quattordicesima edizione, promossa dalla Provincia di Pisa Assessorato allo Sviluppo Rurale e con il contributo del Comune di Pontedera.L’evento che ha visto circa 700 visitatori in una sede innovativa a ciò preposta, e con un allestimento fatto con materiali naturali, ove il prodotto vino ha mostrato ancor più il proprio fascino. Hanno partecipato 59 aziende della Provincia di Pisa, supportate dal servizio dei sommelier Fisar della Delegazione di Pontedera Valdera, Pisa e Livorno; un caloroso ringraziamento al Delegato di Pisa Maria Cristina Messina, che insieme a Daniela Mattiacci hanno coordinato l’evento, ai responsabili dei servizi
di Pontedera- Valdera Massimiliano Chelli, di Pisa, Liana Benini e di Livorno Silvia Puccini, per la collaborazione.Si ringraziano inoltre i sommelier che hanno prestato servizio, per l’ottimo lavoro di squadra svolto: Cappelli Stefano, Angiolini Valeriano, Moretto Dario, Chelli Massimiliano, Pandolfi Simone, Ciompi Alessandro, Ciampi Alessandro, Carraro Flavio (Pontedera- Valdera), Maggiani Manuela, Barsotti
Franco, Marchi Massimo, Di Sacco Stefania, Marrucci Alessandro, Due’ Tiziana, Ruffini Monica, Agostini Cinzia , Botti Flavia, Lena Gerado, Noferi Stefano (Pisa), Baglini Carla, Gaspardin Mario, Materassi Doriana, Raimondi Giovanni, Ucciferri Nadia, Del Chiaro Alessandro, Cricchio Gabriele, (Livorno). Notizia inviata da Daniela Mattiaccidella Delegazione Pontedera Valdera
Alla Delegazionedi Pisa si presenta il tartufoIl tradizionale appuntamento autun-
nale della FISAR di Pisa e Litorale ha
registrato un grande successo con la
presentazione di una cena in onore a
sua maestà il Tartufo. Doverosamente,
lo chef Atima ha sottolineato come dal
suo menu proposto fossero bandite
qualsiasi sorta di essenza ma fos-
se presente esclusivamente il tartufo
vero. La cena, organizzata dal dele-
gato Maria Cristina Messina al risto-
rante Circolo I° Maggio a Buti in via
Panicale 1, ha avuto inizio con antipa-
sti di crostini al tartufo, salumi al tar-
tufo, formaggio al tartufo e formaggio
con miele al tartufo, quest’ultimo par-
ticolarmente apprezzato per le sottili
fettine del prezioso tubero annegate
nel dolce e filante prodotto.
Ottimi i due primi: tagliolini freschi e
mezzelune naturalmente ambedue
con ricche e profumate scaglie di tar-
tufo e seguite da un tenerissimo filet-
99Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 99
fin amiglia
to, cotto al punto giusto, accompa-
gnato da porcini e tartufo. Ha chiuso
il numero delle portate uno squisito
dessert di panna cotta al caramello
tartufato, che ha stupito per la genti-
lezza dell’accoppiamento che poteva
sembrare azzardato. Ottimo il servizio
vini, espletato dall’esperto sommelier
Piero Ristori che ha abbinato in ordi-
ne i seguenti vini: Lerner dell’Abbazia
di Novacella, Schiava Gentile dell’Al-
to Adige, Lacryma Christi Vesuvio
Rosso di Mastroberardino e Dolce
Peccato Toscana Passito di Torre a
Cenaia, quest’ultimo, forse, sovra-
stato dal sapore deciso e penetrante
del caramello. Grandi applausi finali
alla Brigata di cucina che ha deli-
ziato e soddisfatto i sensibili palati
dei convenuti in un tripudio di sapo-
ri, aromi e profumi a base di tartufo.
Notizia inviata da Tiziano Taccola
della Delegazione di Pisa e Litorale
Davvero ben riuscita la visita nel
veronese organizzata dalla delegazione
di Milano lo scorso 6 novembre.
Le premesse non erano certo
favorevoli, dato che nel corso della
settimana precedente in buona
parte del Veneto si era scatenata la
gravissima e ben nota alluvione, ma
alla fine tutto è andato per il meglio.
Oggetto della visita è stata la cantina
“Cà Rugate” di Montecchia di Crosara,
una tra le aziende più dinamiche e
affermate del veronese.
Perfetta l’accoglienza e molto
interessante la visita agli impianti,
collocati in spazi ampi e perfettamente
ordinati, moderni e computerizzati
ma con una particolare attenzione
alla tradizione, come testimonia il
suggestivo “ecomuseo”, ambiente
dedicato alla ricostruzione della
tradizione contadina, con attrezzi e
impianti d’epoca collocati in ambienti
accuratamente allestiti. Davvero
suggestivo.
Altrettanto stimolante la degustazione:
una selezione di salumi, formaggi e
dolci del territorio da abbinare con
gli ottimi prodotti dell’azienda: dal
particolare spumante metodo classico
da uve Molinara in purezza (!) “Fulvio
Beo” ai Soave classico “San Michele”
(l’ottimo prodotto base) e “Monte
Fiorentine” (selezione da vigneti con
resa inferiore, dai Valpolicella fino
all’ottimo Amarone della casa.
Tutto davvero benfatto e servito con
grande disponibilità a raccontare
vicende e prodotti, rispondendo con
cortesia a tutte le domande.
Complimenti a Cà Rugate e… alla
prossima.
Notizia inviata da Mario Zerbini
della Delegazione di Milano
La Delegazione di Milano in visita a Cà Rugate
Divise ufficiali FISAR.
Trova i rivenditori su: www.fisar.com
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Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1100100
fin amigliaLa Delegazione FISAR di Prato
incontra i vini di un esperto produttore calabreseRiservata ai Soci ed agli amici della FISAR, la Delegazione di Prato ha organizzato una serata di incontro con i vini di Roberto CERAUDO, un rinomato produttore vinicolo della fascia ionica calabrese, in località Dattilo. La degustazione si è tenuta presso la sede dell’Accademia del Peperoncino di via Franchi in Prato ed è stata molto apprezzata dai partecipanti.La zona di produzione dei vini di Roberto CERAUDO sono le colline di Strongoli, una fascia di terreni baciati dal sole e accarezzati dal mare Jonio, tanto vicino “da sentirne il profumo trasportato dalla brezza…e il fruscio della risacca nelle quiete sere d’estate”; e odoranti ancora di antico.È l’antica Petelia, infatti, la sede naturale di produzione dei vini di cui parliamo.La città, fondata da Filottete, fu capitale dei Lucani; presa dai Bretti, in seguito alle guerre di Pirro, entrò nell’orbita romana;durante le guerre puniche fu espugnata a lungo dai Cartaginesi e, dopo la disfatta seguita alla battaglia di Canne, rimase fedele a Roma. Petelia, per la sua fedeltà alla Repubblica, fu premiata da Roma, ricevendo il titolo di città e la possibilità di coniare moneta propria.Questo antefatto per dire che tutti i vini di Ceraudo hanno come marchio di riconoscimento una di queste monete, che rappresentano la dea Minerva, una volta coniate dalla città di Petelia.Era ed è la terra del KRIMISSA, il vino degno di essere servito agli dei ed ai
vincitori dei giochi di Olimpia, antenato dell’attuale Cirò. Una terra dagli antichi fasti, i cui vini in gran parte ottenuti da vitigni autoctoni coltivati da millenni, traspirano ampiamente, oltre alla gloria, odori e sapori di quelle colline sempre uguali. Il GAGLIOPPO, che è la base di molti di questi vini, di origine greca, è ritenuto da molti il vitigno più antico del mondo.Oltre ai vitigni tradizionali, quali il Greco bianco, Mantonico e, recentemente anche il Magliocco e Pecorella, l’Azienda Ceraudo ha impiantato vitigni stranieri quali Chardonnay e Cabernet Sauvignon. Una delle prime fra le aziende calabresi ad usare un’agricoltura biologica e tecniche avanzate.L’IMYR è stato il primo fra i vini ad essere degustato. Si tratta di un bianco di colore giallo paglierino, dal profumo pieno armonico e persistente e dal sapore fresco e rotondo. È un bianco IGT Val di Neto, a base di Chardonnay 100%. È affinato in barrique di rovere francese per quattro mesi.Grandi apprezzamenti per il GRAYASUSI IGT Val di Neto, rosè, etichetta argento, a base di Gaglioppo in purezza. Vino dal colore rosato, di rango eccellente e di vivace violacità, gustoso per i sapori di ribes e lamponi, dal profumo intenso e persistente, affinato per 4 mesi in barrique.Il DATTILO, un rosso dal colore rosso rubino, speziato, con affinamento in barrique per 18 mesi, un IGT Val di Neto, è caratterizzato da un profumo armonico di frutti di bosco, dal sapore fresco, vellutato e rotondo.
Altro Vino interessante si è
mostrato il PETRARO, prodotto con
GAGLIOPPO AL 50% E CABERNET
SAUVIGNON al 50%. Un IGT rosso
val di Neto, dal colore rosso rubino,
dall’odore gradevole con sentori di
frutta di bosco, dal sapore fresco e
rotondo, caldo e armonico, corposo,
piacevolmente vellutato; affinato in
barrique per 24 mesi.
All’esame organolettico questi vini
risultano tutti molto eleganti e si
distinguono per la complessità e
persistenza dei profumi oltre che per
una significativa consistenza.
In accompagnamento a queste
“perle” dell’enologia calabrese sono
stati gustati alcuni prodotti tipici
dell’Enotria, come la ‘NDUJA di
Spilinga, il PECORINO crotonese,
SOPPRESSATA e CAPICOLLO
caserecci, PEPERONI RIPIENI
con TONNO E ACCIUGA oltre ai
PACCHERI alla calabrese…
Il successo della serata sarà di
stimolo per ripetere un nuovo incontro
che permetta di conoscere vini di
eccellenza e grande personalità delle
varie regioni italiane, spesso poco
conosciuti dal pubblico. Tali incontri
favoriscono l’approfondimento
di quanti frequentano i corsi per
il conseguimento del diploma di
Sommelier e deliziano il palato dei molti
simpatizzanti FISAR che seguono le
nostre iniziative.
Notizia inviata da Vanda Ingarozza
della Delegazione di Prato
Tentiamo l’impossibile? Questo era il titolo della serata che la F.I.S.A.R. Delegazione Siena Valdelsa aveva scelto per abbinare due mondi, quello del vino e del gelato, che non sempre vanno in simbiosi, cercando di far apprezzare la bontà del gelato con le caratteristiche organolettiche del vino proposto.La serata, svoltasi lo scorso 14 Ottobre presso la “SALA RICEVIMENTI” della Pubblica Assistenza di Poggibonsi, in collaborazione con la premiata e rinomata gelateria DONDOLI di San Gimignano, ha avuto un grandissimo successo di pubblico e gradimento, riuscendo a vincere questa difficile sfida, cioè abbinare dell’ottimo vino, a gusti di gelato molto particolari che lo stesso Sergio Dondoli aveva preparato in esclusiva per l’occasione.In una sala gremita e apparechiata per le grandi occasioni (i settanta posti disponibili erano andati esauriti già dalla mattinata di mercoledì), l’amico e docente F.I.S.A.R. della Delegazione di Brescia, Giampaolo Zuliani, ha avuto il difficile quanto gradito compito di condurre la degustazione, accompagnando gli ospiti ad apprezzare e contrapporre gusti e sapori diversi che man mano si andavano scoprendo esaltando le qualità del gelato con quelle del vino. Il lavoro di preparazione della degustazione si è basato su alcuni elementi fondamentali per riuscire ad armonizzare l’alimento gelato con il vino: il controllo della temperatura di mantecazione del gelato, per riuscire ad innalzare la temperatura di servizio, la presenza di spezie ed aromi che potessero creare richiami e delicati contrappunti con i profumi e gli aromi del vino ed alcune accortezze durante l’esercizio di abbinamento per riuscire a contenere lo sbalzo termico tra il gelato e il vino. L’attenzione e la scrupolosità con cui gli intervenuti seguivano tutto lo svolgimento della serata, facevano ben capire che gli abbinamenti con tanta cura e dedizione scelti, avevano fatto sicuramente centro, invogliando il pubblico più volte a chiedere il bis per poter “gustare” certe prelibatezze, sottolineando il gradimento degli abbinamenti proposti.Lo stesso Sergio Dondoli, intervenendo durante le varie portate, ha spiegato con cura ed amore per il proprio lavoro, quanto sia difficile “creare” gusti nuovi di gelato e quanto studio ci sia alla base di ogni singola nuova creazione. Il “Maestro Gelataio” più volte ha allietato il pubblico con aneddoti, racconti e storie sulla sua pluripremiata carriera, diventando così il vero valore aggiunto della serata, narrando dei difficili inizi in Germania, alla sua vocazione per il gelato
arrivata quasi per caso, che ne hanno poi nel tempo determinato la sua fama internazionale. L’evento, aperto come si conviene in certe occasioni dal responsabile di Delegazione Franco Aiazzi, ha visto come primo assaggio un crostino al gelato di acciughe con pomodori confit, abbinato ad un vino bianco dell’Abbazia di Novacella (BZ) della linea Praepositus, Weiss 2005 IGT molto apprezzato dal pubblico. I Sommelier FISAR hanno poi continuato la degustazione servendo ai convenuti, un Moscato di Noto DOC, Notissimo 2008 dell’azienda Riofavara, Ispica (RG) che accompagnava un gelato con caprino stagionato e noci di una delicatezza sopraffina che ha davvero entusiasmato il palato di tutti i presenti.Il terzo assaggio proposto e scelto dalla Delegazione e dallo stesso Dondoli, vedeva “scontrarsi” un gelato alla crema con zafferano e pinoli tostati con un ottimo Sauternes ASC, Chateau La Garenne 2005, Nicole Christian Ferbos, Gaec Garenne, Preignac (France) definito da molti un abbinamento al limite della perfezione, dove gelato e vino si fondevano in una prelibata nota armonica.La chiusura della degustazione era lasciata (e non poteva essere altrimenti) da un gelato di zabaione con cantucci e vin santo in abbinamento ad un Vin Santo, Caratello 2005, dell’Azienda Monterotondo di Gaiole in Chianti (SI) che come detto chiudeva degnamente la serata iniziata con tante perplessità e molta curiosità, ma finita con la certezza che gelato e vino, almeno qui a Poggibonsi, hanno trovato il così detto quieto vivere.Notizia inviata da Filippo Franchini della delegazione di Siena Valdensa
101Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 101
fin amiglia Il nettare di Bacco alla corte
di sua maestà il Gelato
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1102102
fin amiglia
Florence Wine Event 2010
Firenze, dal 19 al 21 novembre, ha festeggiato la quarta edizione di Florence Wine Event, nella prestigiosa cornice del Cortile dell’Ammannati di Palazzo Pitti. L’evento è stato Organizzato dal Comitato Oltrarno Promuove (a cui aderiscono Confesercenti, CNA, Confartigianato e Confcommercio) e Promowine, con il contributo della Camera di Commercio di Firenze.
Un ricco momento alla presenza di numerosi consorzi vinicoli, produttori di vino e altri prodotti d’eccellenza toscani. La Delegazione Fisar di firenze, guidata da Laura.Maggi ha gestito le degustazioni in modo vivace grazie anche ai wine tour guidati tra i tavoli dei produttori per accompagnare il pubblico desideroso di conoscere i particolari delle numerose etichette presenti.
La manifestazione, ben organizzata, ha visto la partecipazione di un pubblico
variegato: dal semplice appassionato e curioso all’appassionato evoluto, fidelizzato a questo tipo di manifestazioni e i membri delle associazioni di settore. Molti i turisti presenti anche se i primi freddi e la pioggia si facevano sentire sull’Arno.
Il Florence Wine Event è stato voluto anche per promuovere l’Oltrarno fiorentino: infatti esso rappresenta non solo una grande opportunità di degustazione ma anche l’occasione di scoprire o riscoprire questa parte di Firenze ancora molto tradizionale e affascinante. Infatti, alla base di Palazzo Pitti, in San Frediano, si sviluppano il dedalo di stradine ricche di ristoranti e locali, di botteghe artigiane, di antiquari, di negozi di moda giovane e vintage.
Tra gli extra event che hanno arricchito la kermesse l’educational “l’Arte della tavola” organizzato dalla produttrice fiorentina Antonella d’Isanto, titolare
con il marito Vincenzo dell’azienda vitivinicola I Balzini, in collaborazione con la Richard Ginori 1735, che ha fornito la prestigiosa mise en place. Due chef fiorentini, hanno accolto il folto pubblico, femminile e maschile, al Rondò di Bacco spiegando i segreti dell’arte di ricevere a tavola, secondo una semplice filosofia di base: una bella tavola, la giusta atmosfera, il garbo della padrona di casa, fanno da contorno per la riuscita dell’occasione conviviale. Durante l’ educational, a cui il pubblico ha partecipato attivamente con domande e curiosità, sono stati trattati tutti i temi per accogliere gli ospiti quali gli inviti, l’apparecchiatura, come costruire un menù con le basilari tecniche di abbinamento cibo-vino, il servizio, compresi utili suggerimenti di sommellerie. Il tutto in modalità elegante e rilassante al tempo stesso.
Notizia inviata da Valentina Niccolai
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Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1104104
fin amigliaLa Delegazione di Verona in gita nello Jura
Inevitabile partenza ad ore anteluca-ne da Verona il giorno 6 ottobre 2010, dopo l’attraversata della Valle d’Aosta con splendide vedute, ora sugli eroici vigneti, ora sulle severe dimore-fortez-za, ora sulle vette incoronate dai ghiac-ciai, beneficiati da un sole oserei dire “agostano”, siamo approdati a metà pomeriggio nello Jura. Ai nostri occhi la regione si è offerta con una gamma variegata di paesaggi e colori: dai bo-schi impenetrabili ai pascoli popolati di bianchi bovini, dai laghi smeraldo alle colline color ocra intessute di vigneti. Lo Jura le cui “marne” e i “calcari”, hanno offerto al mondo della geologia il termine “Giurassico”, ospitano una gamma di vitigni di carattere che do-nano vini che non lasciano mai indiffe-renti. I “rossi” dello Jura devono la loro origine a tre “cépages” di pregio che danno luogo a dei vini luminosi e leg-geri (Trousseau, Poulsard, Pinot noir): rosati o rubino ciascuno con il suo co-lore e rotondità, ma tutti generosi di aromi di frutti rossi. Due sono le grandi famiglie che danno origine ai “bianchi”: lo Chardonnay con eleganti nuance di fiori bianchi e l’impetuoso “Savagnin” vera identità del terroir della regione. Vale la pena a questo punto, prima di proseguire nel racconto del viaggio, di soffermarci nell’analisi dei due vini simbolo: le Vin Jaune (il Vino Giallo) e le Vin de Paille (il Vino di Paglia). Le Vin Jaune è il più rappresentativo dei vini giurassiani. Il colore è giallo dorato brillante ed impiega molti anni a raggiungere la sua intensità. I pro-fumi, felicità per l’olfatto, presentano una scala aromatica sempre più com-plessa con il trascorrere degli anni, uno straordinario fuoco d’artificio, una
compiuta melodia che inframmezza la frutta secca (in particolare la noce), con avvolgenti spezie (noce moscata, zafferano, ginger), passando per la frutta a polpa bianca e note floreali, senza tralasciare una piacevole mine-ralità. La bocca rimane a “bocca aper-ta”. Questo nettare raro e ragguar-devole viene vinificato oltre che ad Arbois, L’Etoile e nella Côtes du Jura, anche attorno a Château-Chalon, uno sperone roccioso di una cinquantina di ettari che offre la migliore versione del territorio. Le Vin Jaune invecchia, per legge, in fusti di quercia per sei anni e tre mesi prima di essere posto in vendita, esso ha quindi il tempo di concentrare gli aromi inimitabili, grazie al “mistero del velo”, che solo il viti-gno Savagnin è in grado di esprimere.Vediamo cosa accade. La permeabi-lità della botte lascia evaporare una parte del contenuto e poiché nessun rabbocco è permesso, la botte rimane incompleta e un velo di lieviti naturali si forma sulla superficie del vino “si-gillandolo” (se questo non accadesse verrebbe declassato a Côtes de Jura Savagnin). Sorvegliato con grande at-tenzione dai mastri cantinieri, il vino acquisisce allora, anno dopo anno, le sue qualità e i suoi aromi particolari. Le Vin de Paille nasce dalla scelta dei migliori grappoli dei vitigni bianchi giu-rassiani. Appassiti per più mesi su un letto di paglia (da cui il nome) o più spesso all’aria aperta. Dopo la pres-satura, il vino viene messo ad invec-chiare in botti di rovere e, a seconda della vinificazione, si veste di un bel giallo dorato intenso o della dolcez-za di un biondo caramello. Gli anziani attribuiscono a questo vino delle vir-
tù medicinali , ma è per l’esplosione dei profumi di frutti canditi (ananas e dattero), di marmellata d’arancia, di the e spezie e la sua profonda mor-bidezza, che viene soprattutto ap-prezzato. In bocca è perfetta l’armo-nia tra l’alcool, gli zuccheri e l’acidità. La visita alla prima cantina è avve-nuta presso Chateau d’Arlay ricevuti nell’avita magione dal proprietario il conte d’Arlay. Non abbiamo ricevuto una buona impressione dai vini de-gustati: leggeri e squilibrati ora per acidità ora per tannini in eccesso. Soprattutto perplessità ha suscitato il Vin Jaune che sia nei profumi sia in bocca ha presentato note ossidative eccessivamente invasive.L’indomani 7 ottobre tutti ad Arbois, dopo una interessante visita alla cat-tedrale gotica con tour della cittadina, vista al Domaine de la Pinte. Dopo un breve giro per i vigneti, condotti se-condo le regole dell’agricoltura biodi-namica e dov’era ancora in corso la vendemmia, siamo stati ospitati nella sala degustazioni dove abbiamo po-tuto avere un’ampia panoramica dei vini prodotti. Possiamo dire che sia nei vini più semplici (Arbois Pupillin blanc 2007, Arbois Poulsard 2007, Arbois Trousseau 2007, Arbois pinot noir 2006) sia in quelli di maggior struttura (Arbois Savagnin 2003 di buona per-sonalità, Cuvèe Vieilles Vignes Rouge 2005 in divenire) abbiamo potuto ap-prezzare la qualità proposta. Non de-gno di menzione il Cremant du Jura. All’altezza delle aspettative il Vin Jaune 2003 e il Vin de Paille 2005. Un trionfo di profumi di frutta secca e mineralità il primo, morbido e suadente il secondo con spiccate note di dattero candito.
105Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 105
Molte le bottiglie acquistate. Dopo il pranzo a base di piatti locali (su tutti un soddisfacente poularde de Bresse) e la visita alle saline di Salins le Bains (una antica vena d’acqua che attra-versando uno strato di salgemma si carica di sali e, pompata in superficie e riscaldata, lascia su appositi banchi di lavorazione il suo prezioso carico), visita alla Fromagerie Vagne dove si produce il famoso “fromage Comté” (per capirci un formaggio che ricorda un po’ il gruviera).Venerdì 8 ottobre di buon mattino vi-sita alle saline reali di Arc et Senans, una imponente complesso architet-tonico (progettato dall’architetto di re Luigi XIV) che ha potuto svolgere le sue funzioni per pochi anni a causa di sopraggiunte difficoltà tecniche (di fat-to produrre sale costava più di quanto si ricavasse dalla vendita). Nel pome-riggio visita al Domaine Jean Bourdy dove si conferma per le viti la meto-dologia di conduzione biodinamica. La cantina è presente sul territorio fin dal 1579 e da allora è sempre appar-tenuta alla stessa famiglia. Accolti da un simpatico anfitrione (Jean François Bourdy) siamo penetrati nelle caves (brutta impressione, muri anneriti dal-la muffa con fusti molto vecchi e ta-lora malandati) ed abbiamo iniziato la degustazione che inizialmente do-veva essere di due soli vini, ma che in breve, contrariamente alle abitudini francesi, grazie alla nostra curiosità e alla disponibilità dell’ospite si è (fortu-natamente) allargata a ben 6 tipologie. Dobbiamo dire subito che, finalmente, abbiamo trovato vini del tutto soddi-sfacenti. Nell’ordine di entrata (alla moda giurassiana prima i rossi e poi i bianchi): Côtes du Jura Rouge 2006 (pinot nero e trousseau, profumo in-
tenso con spiccata ciliegia, leggere spezie, tannini levigati, buona acidità, il tutto in discreto equilibrio), Côtes du Jura Blanc 2005 (buona tonalità di colore, profumi dove la frutta fresca domina senza nulla concedere agli anni, leggera vaniglia, piacevole nota minerale sul fondo, fresco vivo l’aci-dità, ancora più di qualche anno di vita davanti), Côtes du Jura Savagnin 2005 (fratello minore del Vin Jaune, si rivela potente nei profumi e in bocca, allo stato attuale manca di equilibrio ma non c’è dubbio che con i molti anni di vita davanti saprà ben recupe-rare), Vin Jaune 2002 (che dire, sem-plicemente affascinante nonostante “la giovane età”, giallo dorato, frutta fresca e secca a profusione, spezie orientali, pietra focaia, acidità impor-tante, il tutto ovviamente ancora alla ricerca del suo equilibrio). A questo punto si accende una animata discus-sone sulla longevità dei vini (il titolare afferma oltre cinquant’anni) e mentre noi esprimiamo i nostri dubbi ecco il colpo di scena, il sig. Bourdy si volta di scatto va verso la scaffalatura più lon-tana dai nostri occhi e ne estrae una bottiglia, senza nulla aggiungere l’apre e ce la offre, dopo qualche minuto di ossigenazione esplode al naso un tri-pudio di profumi di noce, nocciola, mandorla amara, di muschio, di curry, leggera mela e nuance di fiori secchi, marna e gesso; in bocca un’acidità ancora viva ma in buon equilibrio con il tutto, retrogusto-olfatto che rimanda ai profumi, finale lunghissimo. Era un “semplice” Côtes du Jura Blanc 1953. Lunga vita al re. Non mi dilunghe-rò oltre, ma sappiate che in questa cantina sono stoccate circa 30.000 bottiglie a partire dal 1778 per arriva-re ai nostri giorni e che in vendita ci
sono annate a partire (a seconda dei vini) dal 1865!!! (carta canta, mi sono trattenuto il listino e detto per inciso per soddisfare la curiosità vi rivelerò che l’annata di Château-Chalon 1865 viene proposta a € 5000, certamen-te costoso, ma non mi sembra uno sproposito data la rarità). Vin de Paille 2002: emotivamente sorprendente per la soavità e lo spessore della materia. Sabato 9 ottobre gita a Macon breve giro della città e proseguimento per Pouilly-Fuissé per l’appuntamento con la cantina di Dominique CorninGiovane imprenditore (forse alle pri-me esperienze di produttore) non ci ha impressionato con i suoi vini. Tecnicamente ben fatti, ma senza col-pi d’ala come ci saremmo aspettati da una qualità così affermata. Pochine le annate a disposizione (la più vecchia datava 2002). Vitigno chardonnay con affinamento in barrique; le annate de-gustate dal 2008 al 2006 abbastanza costanti nella loro espressione. Al naso profumi molto freschi di mela, pesca, limoncello, lieve vaniglia; in bocca di-fetto di morbidezza con una acidità da vivace a molto vivace; finale discreta-mente lungo. Vini rossi senza meriti. Interessante il pranzo al ristorante “Au Pouilly-Fuissé” con piatti tipicamen-te Jurassienne. Domenica 10 otto-bre chiusura con la visita a Bourg en Bresse del monastero reale di Brou, capolavoro del periodo gotico. Al po-meriggio, rientro in Italia con la nostra doverosa scorta di vini dello Jura, una regione sicuramente poco conosciu-ta dai più, ma certamente meritevole.
Notizia inviata da Gianni Vincenzi Consigliere della Delegazione di Verona
fin amiglia
Il CTN comunica a cura di Giorgio Pennazzato
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Gli incontri, organizzati con l’intento di
nominare nuovi Direttori nelle zone non
adeguatamente coperte, si sono prefissi
di rispondere alle seguenti domande: “Chi è il
Direttore di Corso Fisar? Quale ruolo importante
svolge il Direttore? Quali capacità e conoscenze
deve avere?”
Questa prima iniziativa è stata sviluppata come
esperimento per ulteriori corsi di aggiornamento
da svolgersi sul territorio nazionale, per rendere
sempre più efficienti e preparati i DCSF, aprendoli
di volta in volta a nuovi ingressi a seconda delle
esigenze del territorio.
La didattica ha trattato i temi fondamentali per la
formazione di un DCSF:
- “Comunicazione efficace” (docente il dott.
Giorgio Pennazzato, consulente aziendale,
libero docente al Politecnico di Milano e
Consigliere nazionale Fisar)
- “Degustazione e valutazione di un vino”
(docente il prof. Vanino Negro, docente del
Corso di Laurea in Enologia dell’Università di
Padova)
- “Servizio del Sommelier” (docente il
Sommelier Franco Jurassich, Responsabile dei
Sommelier della Delegazione di Venezia)
- “Regole operative per organizzare e gestire
un corso” (docente la sommelier e prof.ssa
Antonietta Turrin, Insegnante scolastica).
I quattro temi riguardavano appunto aspetti
essenziali alla formazione di un DCSF, il cui
ruolo è fondamentale nella organizzazione
Prima serie di corsi 2010 per direttore di corso per
sommelier Fisar
Alla fine dello scorso ottobre si è conclusa la prima serie di corsi dedicati alla formazione di nuovi Direttore di
Corso per Sommelier Fisar (DCSF), con la possibilità di parteciparvi anche a chi era già Direttore, ma aveva il
desiderio o sentiva la necessità di aggiornarsi.
“”
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Giorgio Pennazzato
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 107
territoriale della nostra Associazione, poiché cura
la realizzazione dei corsi da cui devono uscire i
nuovi Sommelier, ossatura della FISAR.
Due al momento i corsi realizzati: a Capua,
nei giorni 19 e 20 giugno; e a Desenzano sul
Garda, nei giorni 23 e 24 ottobre; in entrambi
i casi tutti i partecipanti hanno superato il test
finale ed hanno ricevuto un DVD personalizzato,
che riporta le slides delle 4 lezioni del corso, per
consentire un ripasso nel tempo ed un personale
aggiornamento.
Per la maggior parte dei partecipanti è stata
giudicata positiva la durata di due giorni di corso,
collocati di sabato e domenica. Tale soluzione ha
permesso agevolmente la partecipazione dei soci
interessati, senza dover chiedere ferie e senza
ingenerare problemi famigliari.
In particolare si è dimostrata indovinata la
concentrazione in due giornate, seguite subito
dall’esame, perché ha impegnato al massimo
l’attenzione dei partecipanti, ben consci che alla
fine li aspettava l’esame; inoltre l’immediatezza
dell’esame stesso ha consentito nei corsisti
un buon ricordo di quanto appena appreso,
controllato e verificato con la compilazione e
correzione dei test di comprensione, tenuti alla
fine di ogni “lezione”.
Si è così utilizzata la didattica nota come “full
immersion concentrated”, seguita anche a
livello della grande industria e delle primarie
attività commerciali e di servizi per una adeguata
preparazione del personale con mansioni
particolari.
Lasciamo la conclusione ad una frase ricavata
dal test CS di un corsista: “Sicuramente le
espressioni e i volti dei docenti mi rimarranno
in testa per la passione trasmessa”.
Vanino Negro durante le lezioni
Giorgio Pennazzato
a cura di Davide Amadei
Le Eccellenze dell’Espresso 2011
I nostri assaggi
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1108
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Il 7 ottobre 2010, al Mercato di San Lorenzo di Firenze, è stata presentata la Guida I Vini d’Italia 2011 dell’Espresso, curata da Enzo Vizzari, Ernesto Gentili
e Fabio Rizzari, con la grande degustazione dei 231 (17 in più rispetto alla precedente edizione) vini che hanno ottenuto le "5 bottiglie", cioè un voto uguale o superiore ai 18/20, serviti con grande professionalità da più di 100 sommelier FISAR.L’elenco degli Eccellenti contiene, accanto ad alcuni “mostri sacri”, molti vini “originali”, poco noti o comunque non famosi; e mancano molti prodotti che costantemente vengono premiati nelle altre importanti pubblicazioni analoghe. Questo dimostra la serietà del metodo, ma soprattutto manifesta la “scelta di campo” ed il criterio di fondo della Guida: i vini “migliori” sono quelli bevibili, eleganti, legati al territorio di provenienza; come si legge nell'Introduzione, la chiave oggi è «produrre meglio», che significa «vini più autentici e facili da bere». Se poi si sfoglia la Guida, si vede che alcuni vini blasonati raggiungono solo le 4 bottiglie, sono giudicati ottimi, ma non raggiungono l’eccellenza in quanto carenti di quel qualcosa in più che li renda, appunto, eleganti e bevibili. Molta materia, tanto
frutto, elevata concentrazione ed estrazione, di per sé non premiano se non ci sono profumi sfaccettati e distinti al naso, profili contrastati in bocca, pulizia e freschezza del finale gusto-olfattivo.Dalle degustazioni effettuate la scelta dei curatori della Guida risulta decisamente confermata: emerge la valorizzazione di vini che, nell’eleganza e nella naturalezza, sono invitanti ed espressivi del territorio. Alle eccellenze di Toscana è dedicata un'autonoma sezione in questa Rivista, nell'ambito dell'ampio servizio monografico sulla Regione.
Barolo Riserva Monfortino 2002Giacomo ConternoIl colore è decisamente granato piuttosto scarico. All’olfatto, inizialmente chiuso, il vino progressivamente si apre, cresce, fino a diventare sontuoso, con terra, fiori rossi macerati, un’evidente e tipica rosa, note balsamiche, erbe medicinali, china, piccoli frutti di bosco rossi, e tanto altro. In bocca l'ingresso rotondo è subito contrastato dalla grande massa dei tannini, di grana finissima, e da una vena acida che percorre tutta la bocca; colpisce l’infinita
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persistenza del finale, pulito su sentori netti di fiori secchi e cioccolato. Potenza ed eleganza coniugate alla perfezione. La quintessenza del nebbiolo. Sette anni in botte grande per un vino figlio dell’annata 2002, in cui moltissimi produttori neppure hanno prodotto Barolo; ma l’area di Serralunga, in particolare la zona dove sono i cru Francia, da cui viene il Monfortino, e Vigna Rionda, non è stata colpita dalle grandinate. Non si può fare a meno di pensare alla potenziale longevità di questo vino, al suo futuro radioso, al piacere di aspettarlo anche per molti anni.
Barolo Riserva Monprivato Cà d'Morissio 2003Mascarello Giuseppe & FigliNaso molto complesso, multiforme, con tante spezie dolci, soprattutto note di sottobosco e di terra umida, note balsamiche e agrumate, tamarindo, poi piccoli frutti rossi maturi. In bocca è caldo all'attacco, ha imponente struttura, ma ha acidità sorprendente e tannini dolcissimi, in un insieme di grandissimo equilibrio, sia pur nella estrema gioventù; il finale non finisce mai, su intriganti sensazioni anche di caramella d’orzo. Un grande lavoro in vigna e le peculiari condizioni pedoclimatiche del cru Monprivato di Castiglione Falletto hanno consentito di produrre una monumentale Riserva anche in un'annata difficile, caldissima, in cui per molti è stato impossibile raggiungere questi livelli di maturità dei tannini e di acidità: il 2003 di Mauro Mascarello, con una persistenza quasi incommensurabile, non ha nulla da invidiare al suo omologo della celebratissima annata 2001.
Barolo Cannubi San lorenzo Ravera 2006Giuseppe RinaldiUn Barolo di territorio, del Comune di Barolo, di grande classicità con molta frutta rossa di bosco (lampone), fiori e spezie eleganti, note minerali, accenni di piante officinali; in bocca ha una gran quantità di tannini, da addomesticare ma dolci, grande struttura, lunghissimo finale, anche fresco, con continui ritorni di frutta, fiori e spezie. Senz’altro un “infanticidio”, ma si gode tanto fin da ora. Non è da meno il “fratello”, proveniente dal famoso vigneto condiviso col terroir di La Morra, il Barolo Brunate le Coste 2006, con intriganti aromi minerali di cipria e di ciliegia al naso, gran tannino, giovanissimo, finale molto persistente su
sensazioni balsamiche e di erbe aromatiche.
lessona Omaggio a Quintino Sella 2005
Sella
Fiori, tanti fiori, per un nebbiolo del Nord nella
sua più tipica espressione giocata sull'eleganza
e sulla finezza dei profumi, sottili ma netti e
diretti, sfaccettati. Grande freschezza e bevibilità,
tanta naturalezza in bocca, con finale lungo
elegantissimo su sensazioni di rosa e piccoli frutti
rossi.
Montepulciano d’Abruzzo 2006
Valentini
Non manca all’olfatto la consueta nota riduttiva,
quasi una “puzzetta”, che, come l’esperienza
dimostra, col tempo l'affinamento in bottiglia
eliminerà; è comunque molto fine quanto a
distinzione dei profumi, con piccoli frutti rossi,
lievi note affumicate ed un’inaspettata nocciola
fresca; è decisamente equilibrato in bocca, con
notevole estratto e tannini di grana molto fine,
fresco e sapido, con grande facilità di beva e
piacevolezza; il finale, anche con netti sentori di
caffè, è lungo e rinfrescante.
etna Rosso Contrada Rampante 2008
Passopisciaro
Colore rosso rubino quasi trasparente, tipico del
Nerello Mascalese così come del Pinot Nero. Ed
all'eleganza di un grande Chambolle-Musigny
questo vino non ha nulla da invidiare, a partire
dall’olfatto ricco di piccoli frutti rossi (fragola,
lampone), nette sensazioni minerali e floreali,
resine da legno. In bocca la pulizia e la finezza
sono estreme, il tannino è di gran quantità e
grana fittissima, il finale, segnato da freschezza
ed elevata sapidità minerale, è lunghissimo. Da
segnalare la nuova scelta aziendale di valorizzare
le singole “contrade”, per far emergere le diversità
dei vari cru del territorio del vocatissimo versante
Nord del vulcano. Il vino premiato con l'eccellenza
proviene dalla Contrada più elevata dell'azienda,
ad oltre 1000 metri sul livello del mare, da piante
di più di 80 anni: le grandi escursioni termiche,
l’equilibrio delle vecchie viti, i terreni vulcanici
spiegano facilmente la qualità del prodotto.
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Trento doc Riserva lunelli 2003Ferrari Naso non espresso e non particolarmente complesso, con note boisé, lieviti e pasticceria; in bocca le bollicine sono finissime, carezzevoli, il vino è morbido e subito fresco grazie anche alla “esplosione” della carbonica. Finale piuttosto lungo e pulito.
Manna 2008Franz HaasBianco d'assemblaggio in cui, al naso, possono facilmente riconoscersi alcune note varietali di grande distinzione e finezza, quali la foglia di pomodoro e la salvia del sauvignon, ed il litchi, netto, del gewurztraminer; poi escono note minerali, quasi “rocciose”, e dopo si scopre che c'è riesling. In bocca colpisce subito l'acidità citrina estrema, nonostante i due anni dalla vendemmia, ma subito si percepiscono elevata struttura e limpida sapidità minerale, verso un finale cristallino abbastanza lungo e senz’altro freschissimo.
Carso Vitovska 2008 zidarichIl colore giallo dorato tradisce subito lo stile macerativo di questo bianco della viticoltura “eroica” del Carso. Naso “dolce”, con miele d’acacia, albicocca matura, fiori gialli, ma non mancano sentori marini freschi, quasi salmastri; in bocca è delizioso, grasso ma subito fresco e molto sapido, con tannino accennato; colpisce la persistenza del finale, con leggere ed eleganti note ossidative, su continue sensazioni fresche minerali.
Malvasia di Bosa 2006ColumbuGiallo dorato vivo ed intenso, che lascia presagire grande ricchezza olfattiva e gustativa. Al naso impressiona con un’emozionante complessità e, soprattutto, originalità, con intensi sentori di tè, camomilla, noce, note ossidative, rabarbaro, agrumi freschi. In bocca la dolcezza è accennata e discreta, il finale è freschissimo e lungo su note ossidative e perfetta corrispondenza con le
sensazioni dell’olfatto. Non è certamente un caso che sia stato l'unico vino ad avere il massimo punteggio della Guida (20/20).
Colli Piacentini Vin Santo di Vigoleno 2000 lusignaniIl colore è davvero particolare, decisamente ambrato, quasi marrone (caffè diluito), a ricordare un Pedro Ximenes; il naso è complesso, con frutta secca, noce, fico secco, caramello; al gusto è travolgente, pastoso all'ingresso ma immediatamente rinfrescato da netta acidità, con un perfetto equilibrio in un contesto di grande struttura; il finale non finisce mai. Dalle uve dei vitigni tradizionali Santa Maria, Melara, Bervedino, e di quelli aggiunti di recente Marsanne, Sauvignon, Ortrugo e Trebbiano, appassite su graticci fino a dicembre, nasce questa perla piccola ma preziosissima dei Colli Piacentini.
Il Caberlot 2007Podere Il CarnascialeNaso intenso, con netto aroma di menta fresca, note vegetali eleganti, sentori di frutta nera matura (mora) e di spezie; leggero boisé. In bocca l'armonia gustativa è eccezionale: è perfetto connubio di materia e finezza, i tannini sono seta, è decisamente fresco e sapido, con una morbidezza avvolgente che percorre tutto l'assaggio; il retrolfatto è intenso e complesso, con orzo maltato e tanta menta rinfrescante; il finale, molto lungo, è invitante e succoso.
Brunello di MontalcinoRiserva Piaggione 2004SalicuttiNaso molto sfaccettato, da sangiovese di razza, con sentori terrosi e salini, fiori freschi e secchi, poi spezie, tabacco, cuoio, note balsamiche. In bocca è grande, c'è tanta materia, il tannino è tantissimo ma davvero molto fine; ci sono abbondanti dosi di freschezza e sapidità; la persistenza è infinita, con continui ritorni di tutti i sentori dell’olfatto, in un contesto di naturalezza e tipicità.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 111
Al confronto, davanti ad ad una affollata
e attenta platea, nel Teatro Magno
di Castelbrando, hanno partecipato
assieme al nostro Presidente Vittorio Cardaci
Ama, e al sottoscritto che ha coordinato i lavori:
Vasco Boatto Professore di Economia Agraria e
Forestale preso l’Università di Padova e Direttore
del CIRVE presso il Campus di Conegliano,
Luca Giavi, Direttore Forum Spumanti d’Italia
e Presidente emerito della FISAR, Roberto
Rabachino, Direttore responsabile del portale
giornalistico Turismo del Gusto.
La discussione, nella quale ciascuno dei relatori
ha portato il proprio contributo a partire dalla
propria attività e professionalità ha confermato
il rilievo che il turismo del vino ha assunto negli
ultimi anni.
Di fronte al calo generale del turismo in Italia, -
3% nel 2009, il turismo del vino ha migliorato
le proprie posizioni: dai 5,5 milioni ai 6 milioni
Il Convegno sull’Enoturismoal Congresso FISAR 2010
Come da programma, domenica il 14 novembre scorso, in occasione dell’Assemblea Nazionale, a CastelBrando,
la FISAR ha dato spazio ad un tema di grande rilievo, per il mondo del vino e non solo, quale è quello dell’enoturismo.
“”
di Filippo Terrasini
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1112
gli enoturisti con un volume di
affari che vale 3 miliardi di euro,
segnando un + 20% sul 2008.
Questo grazie ad una offerta
sul territorio che si è sempre
meglio strutturata, tipicizzata
esprimendo livelli diffusi di
qualità: per citare soltanto
alcuni dati sono 140 le strade
del vino operanti, 1.300 i
Comuni a vocazione vitivinicola
con circa 400 denominazioni
territoriali di vini.
Un altro aspetto in termini di
valore aggiunto per il territorio,
è stato evidenziato nella
discussione, è l’impegno al
quale questa rete di Enti Locali
sta ponendo nell’affrontare, e
risolvere al meglio, temi come
il rinnovo o l’impianto di nuovi
vigneti, il controllo dell’erosione
e la tutela idrogeologica,
insomma la complessiva
salvaguardia dell’ambiente.
Rispetto ai due aspetti, però,
di risorsa economica e di
salvaguardia dell’ambiente, si
riscontrano e si rischiano effetti
contrari: non sempre l’offerta
è della qualità necessaria,
la difesa del territori, oltre a
buona volontà, ha bisogno di
investimenti che continuano ad
essere indisponibili e comunque
inadeguati alle necessità.
Da questo punto di vista
l’intervento di Boatto, a partire
da uno studio condotto su
realtà di diversi paesi Stati
Uniti, Australia, America Latina,
ha ribadito come dalla grande
professionalità del comparto
dell’enoturismo possa venire
un importante risposta anche
ai problemi dell’occupazione e
costituire quindi una reale risorsa
per l’economia, sottolineando
nello stesso tempo quanto
in Italia sia ancora molto da
fare per raggiungere livelli di
qualità che risultino attrativi
soprattutto per il turismo del
vino internazionale.
Anche da questo punto di
vista puntuale l’intervento di
Rabachino che ha insistito sugli
aspetti della comunicazione:
di come debba distribuirsi
adeguatamente fra i diversi
media, televisione, radio,
carta stampata, e soprattutto
raggiungere livelli di efficacia,
in termini di risultati attesi, che
ha bisogno di coordinamento e
professionalità.
Un ultimo aspetto del turismo
enogastronomico che è
stato messo in evidenza è il
legame del vino (e dei prodotti
gastronomici tipici) con il
proprio territorio e non solo
con qualità ed esposizione dei
terreni, microclima, ma anche
soria e cutura del territorio, dei
suoi abitanti, e di quanto questo
confermi quanto la tipicità dei
nostri vini sia la carta vincente
per competere sui mercati del
mondo.
Sulla questione della tipicità
puntuale è stato il contributo
di Giavi che ha marcato
la differenza fra prodotti
territoriali, quelli che si
trovano esclusivamente su un
territorio, e prodotti tipici quelli
che del territorio, si è detto,
racchiudono storia e cultura
e che costituiscono la reale
risorsa.
Il Presidente Cardaci, alla
conclusione dei lavori, ha
sottolineato, quanto la FISAR,
con i suoi sommelier quali
ambasciatori di una consapevole
cultura del vino, hanno fatto
e faranno sul territorio per
garantire quel livello di qualità
dell’offerta indispensabile a
garantire il consolidamento
e l’ampliamento dei flussi
turistici legati ai prodotti tipici
del territorio ed in particolare al
vino.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 113
È Treviso a conquistare il terzo Trofeo
Divinando - concorso a squadre ri-
servato alle delegazioni di sommelier
provenienti da tutta Italia e organizzato da Fisar
insieme a Carpené Malvolti - e a piazzare sul
gradino più alto del podio del Trofeo Rastal
per Miglior Sommelier dell’anno 2010 Karen
Casagrande, sommelier trevigiana di 24 anni.
Un en plein arrivato al termine di una lunga gior-
nata iniziata con la visita in cantina di Carpené
Malvolti a cui hanno preso parte oltre 130 som-
melier e l’annuale congresso Fisar che quest’an-
no ha scelto come location il suggestivo castello
di Castelbrando a Cison di Valmarino (TV).
Treviso asso pigliatuttoal terzo Trofeo
La delegazione veneta si afferma sia nel concorso a squadre sia nel Trofeo Rastal
con Karen Casagrande Miglior Sommelier Fisar dell’anno. A Treviso anche il premio come miglior delegazione.
“”
a cura di Mario Del Debbioper comunicare con il Segretario Nazionale:
segretario@fisar.com
114
Fisar Treviso - con il Trofeo Divinando
Fisar Varazze - terza classificata
Fisar Firenze - seconda classificata
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
La delegazione trevigiana, già vincitri-
ce del Trofeo nel 2008 e seconda classi-
ficata nel 2009, quest’anno ha messo in
campo cinque “alfieri” che hanno domina-
to la sfida combattuta a colpi di bicchiere
- ovvero Michela Taffarel (capitano) con
Francesco Del Bello, Matteo Bruniera,
Sara Fracassi e Cinzia Sandre - e hanno
avuto la meglio sulle delegazioni di Firenze
- seconda classificata con Anna Paola
Coppi capitano, leonardo Finetti,
Marco Naldi, livio Del Chiaro e Giovanni
d’Alessandro - e Varazze, sul terzo gra-
dino del podio con il capitano Antonio
zinno, Gloria Freddini, Donatella
Ribaudo, Alessandro Pellegrini e Angelo
De Gasparis.
Quarto posto ex aequo per le altre tre squa-
dre di Torino, Livorno e Castello di Jesi, tutte
meritevolmente giunte nella finale a sei dopo
una lunga serie di quesiti sulle tipologie di
vino, sui territori di produzione e il riconosci-
mento “bendato” di un vino.
Ma Treviso non si è accontentata di vincere
il Trofeo Divinando e ha voluto stravincere,
aggiudicandosi oltre al il titolo di Miglior
Sommelier dell’anno Fisar con Karen
Casagrande, sommelier ventiquattrenne
che si è imposta su luigi Valter Piaggesi
della delegazione di Varazze e Piero
D’Acunto della delegazione di Roma
anche il premio come miglior delegazione
per la più alta crescita di iscritti, ricevendo in
premio una jeroboam appositamente creata
per l’occasione dalla Carpenè Malvolti.
La premiazione del Trofeo Divinando è av-
venuta alla presenza del Presidente nazio-
nale Fisar Vittorio Cardaci Ama, che ha
consegnato nelle mani dei vincitori la targa
premio.
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1
Premio Jeroboam-Carpené alla Delegazione di Treviso
Il Congresso di Treviso, tenutosi il 13 e 14 novembre scorso nella stupenda cornice del rinascimentale Castello Brandolini (cono-
sciuto come Castelbrando), nella pedemontana trevigiana, terra dove nasce il vino Prosecco, ha rappresentato una tappa importante nella storia della Fisar. Il luogo che è stato prescelto per il Congresso, arroccato su un alto sperone roc-cioso, oltre che imponente e di grande fascino, è ricchissimo di storia. Il Castello si trova infat-ti lungo l’antico tracciato della Claudia Augusta Altinate, la strada romana realizzata nel 15 a.C. per congiungere la città di Altinum (alle porte di Venezia) con Augusta Vindelicorum, l’attuale città di Augsburg in Baviera. Filologicamente restau-rato negli anni ’80 del secolo scorso, il Castello ospita attualmente un albergo, diversi ristoranti e idonee strutture congressuali. Qui dunque, in un luogo che i partecipanti hanno conosciuto e ammirato, si è tenuto il Congresso e la parteci-pazione di delegati, consiglieri di delegazione e soci Fisar è stata molto elevata, più di sempre, dimostrando anche che la Fisar è cresciuta nella realtà enologica e ristorativa italiana e che l’or-ganizzazione è stata impeccabile, già in fase di preparazione dell’avvenimento.A dimostrare il successo del Congresso di Treviso ci sono i numeri dei partecipanti ai diversi mo-menti dell’avvenimento. Per il brindisi di apertura di venerdì sera, ospiti di Altamarca Associazione Colline del Veneto, e per la visita della storica Cartina Carpenè Malvolti, dove, sul finire dell’800, è nato il Prosecco Spumante, nella mattinata di sabato 13 sono arrivati ben 150 soci da ogni par-
te d’Italia, i quali hanno potuto constatare il no-tevole impegno dell’azienda per ottenere sempre dei vini e degli spumanti di alta qualità. Lo stesso numero di presenze si è avuto poi a pranzo in un ristorante storico trevigiano, la “Locanda da Lino”, tanto amata dal soprano Toti Dal Monte; una del-le grandi interpreti d’opera della prima metà del secolo scorso, dal mai dimenticato Alberto Sordi, da Rodolfo Sonego, uno dei più celebri sceneg-giatori italiani della seconda metà del ‘900 e da molti altri artisti, scrittori e poeti. La sera, poi, al tradizionale Galà con premiazione del “Sommelier dell’anno- Trofeo Rastal” e della squadra vinci-trice del “Trofeo Divinando - Carpenè Malvolti”, tenuta nella Sala degli Stemmi del Teatro Magno del Castello sono intervenuti ben 230 commen-sali e già questa straordinaria presenza di auto-rità e fisariani ha rappresentato un successo di cui la Fisar può andare giustamente fiera. La do-menica mattina al Convegno sull’Enoturismo ha partecipato un centinaio di soci che hanno segui-to con molta attenzione gli interessanti interventi dei relatori, quindi alla riunione dei delegati sono intervenuti circa 140 tra soci, segretari e delega-ti. I numeri che hanno decretato il successo del Congresso di Treviso non sono finiti, perché la domenica pomeriggio al Teatro Sansovino c’è stata una interessantissima degustazione con i vini dei Consorzi Tutela Vini Docg e Doc tre-vigiani – Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, Montello e Colli Asolani, Piave e Lison Pramaggiore – accompagnati da prodotti tipici locali e alla degustazione sono intervenute oltre duecento persone.
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Congresso FISAR 2010
Un successo di presenze in una straordinaria cornice nella terra del Prosecco“ ”
a cura di Graziella Cescon
116
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Mi preme aggiungere che duran-te la serata di gala di sabato è stato premiato con il Tastevin d’Argento il Direttore del Merano Wine Festival Helmuth Koecher ed è stato insignito del titolo di socio benemerito Giancarlo Moretto, socio fondatore di numerose delegazioni venete, già fondatore della Serenissima Signoria dei Vini del Piave, un uomo che alla cultura del vino ha dato veramente tanto..Da trevigiana e consigliere nazionale mi consentirete di esprimere anche da queste colonne la mia soddisfa-zione per la meritata vittoria di Karen Casagrande, quale Sommelier Fisar dell’anno 2010-2011 e della Squadra Trevigiana Fisar che ha conquistato il Terzo Trofeo Divinando. E i motivi della soddisfazione, che non è solo mia, ma di tutti i soci Fisar, sta nel fatto che dai nostri corsi escono ormai da tempo sommelier molto preparati, capaci di accrescere di continuo la propria cul-tura professionale, chiamati sempre più spesso anche dalle Istituzioni per svolgere il proprio servizio. Dal Congresso di Treviso parte dunque un duplice invito a tutte le Delegazioni Fisar italiane. Se, infatti, la preparazio-ne dei sommelier, la serietà e validità culturale e professionale dei corsi, la qualità del servizio restano il costante obiettivo primario di ogni delegazione, non deve mancare l’impegno a mette-re in giusto risalto l’Associazione stes-sa con manifestazioni – che già ci sono in molti luoghi – realizzate in luoghi prestigiosi, capaci di ulteriormente va-lorizzare la Fisar, che si prepara a ce-lebrare i suoi primi intensi quarant’anni di vita.
Brindisi da Carpenè
2010
Incontro con Altamarca
Giancarlo Moretto con Graziella Cescon
Karen Casagrande riceve il premio del soggiorno presso l'Azienda Barone di Villagrande - Milo (CT) www.villagrande.it
Helmuth Kocher (dx) alla Cena di Gala
Il Socio BenemeritoGiancarlo Morettocon il Presidente
Graziella Cescon Degustazione Consorzi
Il Presidente alla Cena di Gala
Roberto Donadini
Il Sommelier Gennaio-Febbraio 2011 • n. 1 119
Roberto Donadini
Ristorante da Lino
Sommelier in Servizio alla Cena di Gala
Ospiti alla Cena di Gala Pupitres Carpenè Malvolti
Sommelier in servizio Visita in Carpenè Malvolti
Concorso Sommelier dell'anno FISAR 2010TROFEO RASTAL
Karen CasagrandeMiglior Sommelier dell'anno 2010
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