Post on 22-Jan-2019
STUDI E TESTI DI PALAZZO SERRA
COLLANADEL DIPARTIMENTO DI LINGUE E CULTURE MODERNE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
Direttore
Massimo B
Comitato scientifico
Pier Luigi C
Roberto D P
Roberto F
Claudia H
Sergio P
Michele P
Laura Q M
Laura S
Giuseppe S
STUDI E TESTI DI PALAZZO SERRA
COLLANADEL DIPARTIMENTO DI LINGUE E CULTURE MODERNE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
Questa collana di studi e testi affianca i Quaderni di Palazzo Serraediti dal Dipartimento fin dal . La collana ospita monografie,raccolte di saggi, atti di convegni su temi specifici e edizioni di testi.
“Studi e Testi di Palazzo Serra” is a series of critical and textual stud-ies, conference proceedings, etc., concerning literature, language andculture. It is associated with Quaderni di Palazzo Serra, the journal ofthe Department of Modern Languages and Cultures (University ofGenoa, Italy), of which twenty-four issues appeared from –.
Palazzo Serra (formerly Palazzo Marc’Aurelio Rebuffo, ) wasrenovated in for Marchese Stefano Serra by the architect Gio.Battista Pellegrini, with frescos by Carlo G. Ratti. It includes the northtower of one of Genoa’s medieval gates, Porta dei Vacca. Opening onPiazza di Santa Sabina, it is the home of the Department and Libraryof Modern Languages and Cultures.
I saggi inclusi nella collana Studi e Testi di Palazzo Serra sono sotto-posti a Revisione Anonima di Pari (Blind Peer Review) secondo unalinea editoriale che si impegna ad affidare il ruolo di Valutatore, divolta in volta, a due studiosi indipendenti — italiani e non — che, peril ruolo svolto nella comunità scientifica e accademica internazionale,sono in grado di garantire la qualità della pubblicazione.
Articles and studies published in Studi e Testi di Palazzo Serra areevaluated and approved by two anonymous referees of recognizedscientific and academic standing.
Copyright © MMXVAracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.itinfo@aracneeditrice.it
via Quarto Negroni, Ariccia (RM)
()
----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: febbraio
I am the people—the mob—the crowd—the mass.
Do you know that all the great work of the world is
done through me?
Carl Sandburg, I Am the People, the Mob
11
Indice
13 Prefazione di Massimo Bacigalupo
21 Introduzione
29 Capitolo I
Sandburg e il suo tempo
1.1. ―Chicago Literary Renaissance‖, 29 – 1.2. L‘accoglienza criti-ca dei Chicago Poems, 32 – 1.3. Amici e ―nemici‖, 38
53 Capitolo II
Da Galesburg a Chicago
2.1. L‘infanzia e la prima adolescenza, 53 – 2.2. Esperienze di gio-
ventù: viaggi, lavori e battaglie, 58 – 2.3. L‘università e i primi esperimenti letterari, 60 – 2.4. Le prime pubblicazioni, 64 – 2.5.
Tra Chicago e Milwaukee: giornalismo, politica e amore, 73 – 2.6.
Da giornalista a poeta, 79
85 Capitolo III
Chicago Poems: interpretazione e commento
3.1. ―Chicago Poems‖, 86 – 3.2. ―Handfuls‖, 138 – 3.3. ―War
Poems (1914-1915)‖, 143 – 3.4. ―The Road and the End‖, 153 –
Indice 12
3.5. ―Fogs and Fires‖, 160 – 3.6. ―Shadows‖, 175 – 3.7. ―Other
Days (1900-1910)‖, 182
201 Capitolo IV
L‘eredità di Sandburg
4.1. Dopo i Chicago Poems, 201 – 4.2. L‘influenza di Sandburg
sulla poesia americana, 215
251 Bibliografia
263 Indice dei nomi
13
Prefazione di Massimo Bacigalupo
La popolarità di un poeta (e degli scrittori in genere) spesso
non coincide con la sua reputazione critica. Forse solo Emily
Dickinson e Robert Frost, in America, sono ai vertici delle quo-
tazioni critiche e insieme ai vertici delle vendite. Sono delle
forze dirompenti che nessuna accusa di eccessiva facilità ha po-
tuto deflettere e mettere in soffitta. Per altri, fra cui i ―poeti di
Chicago‖, la critica tiepida ha avuto la meglio, perlomeno in pa-
tria. Edgar Lee Masters, Carl Sandburg e Vachel Lindsay sono
giudicati da critici, antologisti e compilatori di curricula univer-
sitari ―storia‖, come si dice in America con caratteristica acce-
zione negativa, cioè cose che poco ci riguardano. Con buona
pace della reputazione internazionale ottenuta perlomeno da
Masters: Spoon River Anthology è infatti il solo libro di poesia
americana che tutti in Italia conoscono. Che questi autori ci di-
cano in effetti molto sulla storia dell‘America e ce lo dicano
chiaramente non c‘è dubbio (Lindsay fa un po‘ eccezione, giac-
ché i suoi canti sull‘Esercito della Salvezza e la campagna pre-
sidenziale di William Jennings Bryan parlano di cose troppo ar-
cane a un secolo e un oceano di distanza). Quei primi decenni
vigorosi del Novecento si colgono al meglio nelle pagine giunte
dal Middle West: i racconti di giovane e antica saggezza di
Sherwood Anderson, le cronache dei delitti, amori proibiti e
torti sociali di Spoon River, le musiche apparentemente incolte
ma efficaci di Carl Sandburg.
Prefazione 14
Lo studio di Franco Lonati è una rivalutazione complessiva
del poeta di Chicago per eccellenza, ed è ricco di informazioni
sul contesto della sua formazione e della sua ricezione. Ci ri-
corda l‘ammirazione universale di cui ha goduto e le tappe della
sua (s)fortuna critica. Infatti non è per nulla vero che Sandburg
sia rozzo, visto che apprese e forse superò la lezione degli Ima-
gisti, né che sia un epigono di Whitman, come già annotava
Franco De Poli presentando nel 1961 una scelta bilingue, Chi-
cago, per le Edizioni Avanti!1 In Whitman tutto è musica, affla-
to operistico, gonfio e a momenti pungente. Sandburg è più di-
staccato e ironico, meno corale. È un cantore sulle strade
dell‘America, e come tale viene celebrato controcorrente in una
recente storia letteraria dall‘eccentrico poeta irlandese-
americano Paul Muldoon2 come compilatore di The American
Songbag, dunque cultore del folklore, veste che assume anche
nelle straordinarie fiabe di Rootabaga Stories e Potato Face,
che portano titoli come Yonder and Yinder, Quish and Quee,
accompagnati nell‘indice da riassunti, per esempio:
THE SPINK BUG AND THE HUCK
A story about two nice bugs who were going to fight, but befo-
re fighting they decided to talk it over.
[...]
FOG WISP
A story of how snooxes understand snoox talk and spiffs un-
derstand spiff talk.3
Lasciamo il compito di tradurre queste invenzioni linguisti-
che a un bravo funambolo italiano, e registriamo l‘ipotesi che a
James Joyce, che nel 1930 quando uscì Potato Face stava scri-
vendo Finnegans Wake, Sandburg avrebbe detto di più dei suoi
1 CARL SANDBURG, Chicago, traduzione di Franco De Poli, Edizioni Avanti!,
Milano 1961, p. 7. 2 PAUL MULDOON, Carl Sandburg and The American Songbag, in GREIL
MARCUS, WERNER SOLLORS (a cura di), A New Literary History of America, Harvard
University Press, Cambridge, Mass. 2009, pp. 607-612. 3 CARL SANDBURG, Potato Face, Harcourt Brace, New York 1930, pp. VII-
VIII.
Prefazione 15
accigliati compagni di strada Eliot e Pound (spesso parodiati nel
Wake).
Le citazioni sopra riportate sono tratte dalla prima edizione
(1930) di Potato Face, che da anni era fra i miei libri. Mi chie-
do come essa ci sia arrivata, e non mi sorprenderebbe che fosse
un libro di Pound, che molti ne disseminò a Rapallo (dove vi-
vo). Segnacci non ce ne sono, ma si sa (e Lonati lo documenta)
che fra Ezra e Carl ci fu un rapporto di reciproca stima, e che
Sandburg fu fra coloro che si adoperarono per ottenere il pro-
scioglimento di Pound sullo scorcio degli anni Cinquanta.
Lonati ha il merito di ricordarci come questi mondi che oggi
paiono così lontani avessero molti punti di contatto. Soprattutto
la mitica rivista «Poetry» di Harriet Monroe, che dalla fonda-
zione a Chicago nel 1912 ―scoprì‖ nel giro di pochi mesi Pound,
Masters, Sandburg, Stevens, Eliot, Frost... e pubblicò quello che
gli uni scrivevano degli altri. Chicago, la poesia-simbolo di
Sandburg, apriva il numero di marzo 1914, seguita da Jan Ku-
belik, The Harbor, The Hammer, At a Window, Lost, Who Am
I?, Momus, The Road and the End – tutte (eccetto The Hammer)
ristampate nel 1916 senza varianti in Chicago Poems. La poe-
sia-preambolo Chicago non è forse la più riuscita del gruppo, e
oggi è appesantita dalla troppa notorietà, ma è importante per la
sua collocazione tematica. E comunque chi aprì «Poetry» nel
marzo 1914 non poté non respirare un‘aria tutta nuova. Un
Whitman senza l‘Ottocento, più misurato, meno geniale ovvia-
mente, ma capace di disegnare in pochi versi personaggi, pae-
saggi, sentimenti.
E risentimenti. Questi saranno più evidenti nella raccolta
completa del 1916, con la sezione dedicata alla Grande Guerra e
gli attacchi contro predicatori venduti e sfruttatori dei poveri
dagos e wops, cioè italiani e latini in genere. Di rado però
Sandburg si lascia prendere la mano dall‘indignazione, la sua
lingua rimane chiara, i versi a loro modo asciutti, e non manca-
no momenti di simbolismo (Momus per esempio, descrizione di
un dio impassibile che contempla l‘oceano del vivere).
Nello stesso numero di «Poetry» del marzo 1914 era inclusa
Eros Turannos di Edwin Arlington Robinson, un testo destinato
Prefazione 16
a trovar posto in tutte le antologie. Per esempio nell‘Oxford
Book of American Verse curato da F.O. Matthiessen nel 1950.
Qui a Sandburg, nato nove anni dopo Robinson eppure apparte-
nente a una diversa generazione, Matthiessen dedica una venti-
na di pagine (a Stevens ne dedica quasi 50), proponendo Chica-
go e altre sei poesie da Chicago Poems, fra cui le robuste Ice
Handler e la epifanica Limited, che è quella sul treno e
l‘incontro con un altro passeggero:
I ask a man in the smoker where he is going and he
answers: ―Omaha‖.4
Come si vede, non si può accusare di vacua retorica populi-
sta un poeta che termina così nettamente la sua presentazione di
un fatto umano: ―presentazione‖ e basta, come dettava Pound
imagista; e ancora nella prefazione ai Complete Poems Sand-
burg affermerà di aver sempre minor tolleranza in confronto
agli aggettivi. Una volta imagista, sempre imagista.
Come utilmente ricorda Lonati, i Complete Poems furono
recensiti nel 1950 su «Poetry» da William Carlos Williams,
cinque anni più giovane di Sandburg. Secondo Lonati si tratta di
una stroncatura quasi senza appello che sarebbe alle origini del
tramonto di Sandburg nella considerazione della critica del se-
condo Novecento. In realtà si tratta di un testo lungo e impegna-
tivo in cui chiaramente Williams, anch‘egli intento a rappresen-
tare l‘America in tutta la sua molteplicità fisica, storica ed etni-
ca nel poema Paterson, parla soprattutto a se stesso (e all‘amico
Sandburg) dei propri programmi, di come creare una forma
nuova e rigorosa che regga. Di Sandburg dice che per lui la
stessa mancanza di forma è forma, che egli persiste con costan-
za nel mutare, nel flusso5. Vede in Sandburg un declinare e un
4 FRANCIS OTTO MATTHIESSEN (a cura di), The Oxford Book of American
Verse, Oxford University Press, New York 1950, p. 588. 5 WILLIAM CARLOS WILLIAMS, Carl Sandburg‘s Complete Poems, «Poetry: A
Magazine of Verse» 78, 6 (settembre 1951), p. 350: «It is the very formlessness of the
material, its failure to affirm anything formal, the drift of aimless life through the six
hundred and seventy-six pages that is the form. It had to be shapeless to affirm what
was being said: persistence in change».
Prefazione 17
disperare, un appellarsi al mito di Lincoln (cui Sandburg dedicò
anni di lavoro e scrittura). Insomma qui Williams è un poeta di
primo piano che parla a se stesso con l‘intensità e la (mancanza
di) lucidità caratteristiche del suo genio. È un testo interlocuto-
rio, che a Sandburg non sarà dispiaciuto:
It is formless as a drift of desert sand engulfing the occasional
shrub or tree and as formed. The Collected Poems make a du-
ne-like mass; no matter where you dig into them it is sand.
(Sandburg! I didn‘t think of that. It seems as if the name itself
has gotten into it.) His characters, a drift of people, a nameless
people for the most part, are sand, giving the wind form in
themselves until they lie piled up filling the pages.6
Una delle poesie più antologizzate di Sandburg, Grass, parla
dell‘erba che copre tutto, ad Austerlitz, Gettysburg e Verdun.
Mentre mette giù le sue riflessioni Williams scopre che in
Sandburg c‘è l‘informe sabbia. Nel penultimo paragrafo dice
che in Cornhuskers, la raccolta seguita a Chicago Poems, sem-
bra emergere di più la persona Sandburg ed elenca alcuni titoli:
I was struck by such poems as Roses, Horses, Joliet, Knucks,
In Tall Grass, Mammy Hums and Bringers.7
Una rilettura di Sandburg potrebbe cominciare seguendo
queste indicazioni del suo rivale per l‘attenzione dell‘America.
(I knucks o knuckledusters sono dei tirapugni di ferro, e la poe-
sia ironizza sul perdono predicato da Lincoln e i suoi concitta-
dini di oggi.)
Cornhuskers (cioe ―sbucciatori di granturco‖) uscì nel 1918.
In una lettera del 20 ottobre 1919 il raffinatissimo Wallace Ste-
vens ne scrive all‘amica Harriet Monroe (―Chère Alma Mater‖),
certo consapevole del debole di quest‘ultima per il poeta di Chi-
cago:
6 Ivi, pp. 350-51. 7 Ivi, p. 350.
Prefazione 18
I have read C. Sandburg‘s book with sincere pleasure. So much
fresh air, fresh feeling, simple thinking, delightful expression:
delighted expression, does one good. I cannot say that the lar-
ger pieces stir me, but one comes on the most excellent raisins
everywhere[…]8
Se nel giudizio c‘è anche la volontà di compiacere l‘amica,
esso è nondimeno sincero e, ciò che importa qui, giusto. Quale
migliore espressione del gusto di vivere e scrivere e leggere che
emanano le pagine di Sandburg, che in effetti continuano a sor-
prendere per freschezza, onestà e vigore. Stevens ricorderà che
passando per Hartford Sandburg «brought his guitar out to the
house and sang for us... Such warmth and friendliness are their
own reward»9. Il figlio di Henry James incontra il padre di Pete
Seeger, e scoprono di parlare la stessa lingua americana.
Lo studio di Lonati è dedicato ai Chicago Poems, il loro re-
troterra e contesto, e il loro seguito. Tratta dunque con cono-
scenza di causa di uno dei periodi più stimolanti e creativi del
Novecento e di un personaggio che ha un ruolo centrale. Lonati
propone una lettura attenta della raccolta del 1916 nelle sue va-
rie sezioni, offrendo con ciò uno strumento utile e insolito. È
sempre importante nella vicenda di un poeta il libro singolo e la
sua costruzione, e una lettura ravvicinata deve appunto partire
dalle scansioni di una raccolta nelle diverse parti e poesie. Sic-
ché lo studio di Lonati potrebbe servire da modello per simili
letture di libri indispensabili come, per fare un titolo, North of
Boston di Frost (1914), o anche Harmonium di Stevens (1923).
Una ricognizione attenta di questi testi insegna molto e mette al-
la prova il critico, che in qualche modo propone un punto di vi-
sta e stimola il lettore a un confronto con il testo e la sua inter-
8 HOLLY STEVENS (a cura di), Letters of Wallace Stevens, Knopf, New York
1966, p. 216. Sandburg aveva inviato Cornhuskers a Stevens con inserita una poesia
dattiloscritta, Hats, e l‘annotazione: «Here is one of thirteen ways of looking from a skyscraper» (ivi, p. 215n).
9 Ivi, p. 765. Vedi anche lettera del 27 marzo 1922 a Alice Corbin Henderson:
«Carl Sandburg was here not long ago. I expected to swallow my Adam‘s apple when he
began to sing but the truth is that I enjoyed it immensely» (WALLACE STEVENS,
Collected Poetry and Prose, Library of America, New York 1997, p. 939).
Prefazione 19
pretazione. Questo tipo di lavoro si è fatto troppo poco e offre
un campo ampio alla ricerca. Ritrovare le poesie nel momento
che gli autori le hanno sistemate in raccolte, e non come siamo
abituati a fare seguendo le orme degli antologisti (e autoantolo-
gisti), che sono come i direttori di un museo e forniscono una
loro particolare interpretazione e selezione di ciò che a loro pa-
rere conta. Il risultato della rilettura può essere, come in questo
caso, la riscoperta di una ricchezza inaspettata e trascurata.
Sandburg ha molti meriti ed è uno scrittore di qualità, forza e
sottigliezza. Lonati ci ricorda che rivalutandolo facciamo un re-
galo a noi stessi. E chissà che fra qualche decennio i valori ri-
spettivi dei poeti di quella stagione non si stabilizzino più
equamente e che leggibilità e passione non siano necessaria-
mente confuse con rozzezza e facilità.
MASSIMO BACIGALUPO